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Commento all’editoriale pubblicato sul n. 1/2019. Non autosufficienza e politica. Perché il disinteresse?

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Commento all’editoriale pubblicato sul n.

1/2019. Non autosufficienza e politica. Perché il disinteresse?

In questo numero la rivista ospita un commento all’editoriale di Cristiano Gori “Perché gli anziani non autosufficienti non interessano alla politica?” pubblicato su I Luoghi della cura online il 23 gennaio 2019.

di Aldo Amoretti (Presidente Associazione Professione in Famiglia)

Ho letto con interesse l’editoriale di Cristiano Gori “Perché gli anziani non autosufficienti non interessano alla politica?”

pubblicato il 23 gennaio 2019 su “I luoghi della cura online”. Quanto sostenuto in tale articolo ha totale fondamento.

Tuttavia c’è un altro risvolto che, a mio parere, merita attenzione. L’opinione prevalente, non solo nel mondo della politica, ma pure dei sindacati e di tutti gli ambienti che hanno responsabilità nella guida del paese, è che il lavoro nero delle badanti non sia una patologia, ma una “medicina”. In altre parole, se le famiglie si “arrangiano” con la badante immigrata, totalmente o parzialmente irregolare e senza contratto, va bene così; meglio lasciar correre. Si tratta di un pensiero inespresso, forse perfino inconsapevole ma diffuso. Esso rappresenta il principale ostacolo che, l’Associazione di famiglie alla quale dedico il mio impegno volontario (Professione in Famiglia), si trova di fronte cercando di promuovere la regolarizzazione del lavoro delle badanti.

Ad esempio, l’8 marzo scorso, durante la manifestazione nazionale delle donne Cgil Cisl Uil, tenutasi in una grande sala dell’Università di Roma gremita di persone, sono stati proposti interventi molto autorevoli ma, nessuno, ha pronunciato la parola badanti. Innegabile che si tratti di donne lavoratrici, tante e immigrate. In diverse occasioni, in dibattiti sul tema dell’assistenza ai non autosufficienti, mi sono sentito spiegare che la soluzione badante non è quella desiderabile perché, di fatto, alternativa all’idea che siano lo Stato e la comunità organizzata a provvedere. Peccato che, ad oggi, non ci siano molte alternative.

La Fondazione Moressa sostiene che le badanti, in Italia, siano circa due milioni. Ciò emerge da uno studio condotto per l’Associazione Domina presentato in diverse occasioni, da ultimo a Firenze il 23 gennaio 20191. Due milioni sembrano molti, ma va considerato che tale numero ricomprende badanti, colf e baby sitter. Il Censis, in uno studio del novembre 2015 per Assindatacolf, parla di un milione e seicentomila badanti. Dati forniti dall’Inps, riferiti al 2017, dichiarano un totale di 864.526 persone assicurate. Di queste, 393mila sono badanti e 469mila colf. Il numero di badanti risulta essere di molto sottostimato, motivato dalla diffusa tendenza ad una regolarizzazione nulla o parziale delle badanti stesse (il riferimento è alle lavoratrici completamente “in nero”, ma anche a quelle assunte con la “finzione delle 25 ore settimanali” che permette al datore di lavoro un risparmio sul versamento dei contributi). In ogni caso si tratta di un numero di lavoratrici ingente.

Di pari passo, crescono entità cooperative che offrono servizi a domicilio. Certo, una parte con rapporti discutibili con le operatrici, altre utilizzando un Accordo sindacale del 28 novembre 2016 stipulato da Professione in Famiglia, Unai e UilFpl che regolamenta come cococo una figura definita Operatore di aiuto.

Allo scopo di regolarizzare il lavoro delle badanti in Italia, noi dell’Associazione Professione in Famiglia abbiamo una

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proposta: deduzione dal reddito di tutta la spesa per badante, operatore di aiuto o collaborazioni similari. Due parlamentari del Pd, On. Misiani e On. Carnevali, hanno presentato disegni di legge in questo senso. Non è chiaro quanto si tratti di iniziative personali e quanto di iniziative del partito, dal momento che non si ha notizia di una discussione in merito, neppure in occasione del recente Congresso nazionale celebrato in forma di Convenzione il 3 febbraio e seguito dalle primarie del 3 marzo 2019.

Tra coloro che ci ascoltano, taluni tendono a dire che la nostra proposta è rozza e che andrebbe a benefici solo di una parte delle famiglie, quelle che si possono permettere la spesa per la badante. Questo è vero, ma non è la sola cosa da fare. Vi sono infatti altri possibili livelli di intervento che potrebbero andare nella direzione di sostenere le famiglie meno abbienti. Per esempio, l’Associazione per la Ricerca Sociale, insieme a welforum.it, il 28 novembre 2017, presso il Cnel, hanno organizzato un Primo Convegno nazionale “Osservare per orientare le politiche sociali – Riforme da attuare e riforme da introdurre” nel corso del quale, fra i tanti ragionamenti proposti, Costanzo Ranci ha formulato un’idea di riforma della Indennità di accompagnamento che troviamo convincente.

È desiderabile e ragionevole che si lavori nella messa a punto di un complesso di proposte partendo dall’impegno pubblico e, più precisamente, da un investimento di maggiori risorse pubbliche, cominciando a superare la separazione tra le strutture sanitarie e quelle socio-assistenziali, garantendo giusti riconoscimenti ai caregiver, valorizzando il terzo Settore, cooperazione, privato sociale e quanti altri soggetti possano avere ruolo. Il mondo di chi è sensibile al tema, per scelta o per necessità, non sarà ascoltato se non sarà capace di coalizzarsi.

C’è un precedente clamoroso che si può imitare dal momento che non è il caso di inventare la ruota più di una volta: l’

Alleanza contro la povertà. Coalizzando le forze interessate ha imposto il tema della povertà all’ordine del giorno della vita politica e sociale del paese. Con le dovute varianti si deve fare qualcosa di analogo sulla non autosufficienza.

Foto di lecreusois da Pixabay

Note

1. Si trovano commenti relativi a questo evento su La Repubblica del 9 gennaio 2019 e su vita.it del 15 gennaio 2019

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