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ANNO LVIII - N dicembre 2020 Weberstr. 10 AZA 8004 ZURIGO POST CH AG TEL

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Academic year: 2022

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Corriere

dell’ italianità

ANNO LVIII - N. 40 - 11 dicembre 2020 Weberstr. 10 AZA 8004 ZURIGO POST CH AG

TEL. 044 240 22 40 www.corriereitalianita.ch

Mobilità, discriminazioni e

situazioni di emergenza: cause o effetti del virus?

COVID: TRE QUESTIONI DI CUI POCO SI PARLA

Della pandemia di Coronavirus tanto si è scritto, anche sulla pagine del nostro giornale, in relazione alle ricadute econo- miche e finanziarie, l’impatto sulle differenze di genere, gli effetti ambientali, senza dimenticare la questione sanitaria e la gestione politica del virus. Eppure ci sono altri ambiti e sfere relazionali che sono segnate dal virus. Di queste si par- la meno. E proprio a questi ambiti dedichiamo le pagine di approfondimento del Corriere dell’Italianità di questa setti- mana. Anzitutto, ci chiediamo quale sia l’impatto del COVID sulla mobilità internazionale e in particolare: in che modo il coronavirus influisce sul desiderio espresso dagli expat in Eu-

ropa di lasciare i Paesi ospitanti? Un’altra questione riguarda emergenti disuguaglianze tra gruppi etnici e il modo in cui si è colpiti dal virus: perché i bianchi muoiono di meno? Le altre due questioni che approfondiamo hanno a che fare con la frattura sociale tra le generazioni più anziane e quelle più giovani diversamente colpite dal virus e l’evidente pressione che la pandemia pone a situazioni di emergenza, come quelle esperite dalle carceri italiane.

di V. Camia, M. Andaloro, A. Tskhay e A. Vaccari

ALLE PAGINE 4, 5, 6 e 9

La compagnia aerea made in Ticino pronta al decollo

SOUTHSUISSE AIRWAYS

di Samantha Ianniciello

La Città di Lugano è da tempo all’opera per il progetto di rilancio dell’aeroporto di Agno. Solo con il passaggio della gestione a investitori privati sarà, infatti, possibile soste- nere la continuità e lo sviluppo dell’aeroporto. Per questo motivo la Città, lo scorso settembre, ha indetto un bando di concorso volto appunto a raccogliere le adesioni di gruppi

privati intenzionati a gestire l’hub ticinense. L’apertura del- le buste, lo scorso 13 Novembre, vede in lizza sette gruppi.

La SouthSuisse Airways è parte del progetto presentato da Northern Lights AG, uno tra gli investitori che ha risposto all’invito. La compagnia aerea fonda il suo business model proprio in funzione dell’aeroporto di Lugano Agno.

SEGUE A PAGINA 3

Moby Dick emergerà di nuovo?

il COMMENTO

di Alessandro Sandrini

Nel 1851 Hermann Melville pubblicò Moby Dick, or The Whale, poi tra- dotto in Italia solo nel 1932 da Ce- sare Pavese. Per lungo tempo molti interpreti hanno visto le figure di Achab e della balena come metafora della lotta del bene contro il male, della luce contro le tenebre dell’a- bisso. Tuttavia quest’opera, tra le più alte della cultura occidentale, è grande perché, più che raccontare una storia, lascia spazio a riflessioni e interrogativi crossover.

E a proposito di balene, qualche mese fa i giovani ecologisti norve- gesi hanno citato il governo di Oslo alla Corte Suprema: l’accusa è la pa- lese violazione di un articolo della Costituzione secondo il quale ogni cittadino ha diritto di vivere in un ambiente salubre. Le associazioni ambientaliste, Greenpeace e Nature and Youth Norway, denunciano in- fatti che le perforazioni esplorative per la ricerca di petrolio nel mare di Barents e nell’Artico ledono questo articolo e quindi la salute dei citta- dini.

Lo sfruttamento dei pozzi petroli- feri ha fatto sì che la Norvegia, che fino agli Settanta basava gran parte della propria economia sulla pesca, diventasse il secondo produttore di petrolio in Europa dopo la Russia e un solidissimo colosso economi- co. Nel gennaio del 2018 la Corte Suprema norvegese aveva respinto un’analoga iniziativa dando ragione ai petrolieri, ritenendo che la Nor- vegia non potesse essere ritenuta re- sponsabile per le emissioni causate dal petrolio esportato (e col quale si arricchisce). (...)

SEGUE A PAGINA 9

LAVORO

GIANNI RODARI

CORSI

2

11

16

di Andrea Grandi

Assistiamo da mesi al distanzia- mento sociale, tradotto in un’e- splosione del lavoro agile e non legato al “posto fisso”. Anche le aziende si stanno adeguando alle restrizioni sanitarie con procedu- re che portano alla creazione del

“prodotto occupazionale”: i pro- tocolli, le direttive che rendono il lavoro fatto a casa pari e uguale a quello svolto in ufficio.

di Stefania De Toma

Cosa si direbbe, cosa si potrebbe chiedere a Rodari, immaginando di incontrarlo a Palermo, su una pan- china di Piazza Marina dove cam- peggia quella cattedrale della natu- ra che è uno degli alberi più grandi d’Europa, un magnifico ficus dove i rami mettono nuove radici?

di Giorgia Reclari Giampà Il 2021 sarà un anno di cambiamen- to per i media della Svizzera italia- na. Per una coincidenza inedita saranno rinnovati contemporane- amente i vertici della RSI, dei due quotidiani e del domenicale Il Caf- fè. Il nome del nuovo direttore/di- rettrice della Radiotelevisione sviz- zera di lingua italiana, che sostituirà il pensionando Maurizio Canetta, sarà annunciato proprio in questi giorni. Nulla è ancora stato deciso invece per il sostituto di Lillo Alaimo al Caffè, mentre sono già noti i nomi dei timonieri del Corriere del Ticino e de laRegione.

ALZHEIMER

VIAGGIO A CHERNOBYL

8

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di Valeria Camia

L’Alzheimer è la principale malattia tra forme di demenza che, in Sviz- zera, colpiscono 128’000 persone.

Abbiamo chiesto alla professores- sa Esther Stoeckli, Presidente del consiglio di consulenza scientifica della Fondazione Synapsis - Ricerca Alzheimer Svizzera RAS, di aiutar- ci a fare il punto della situazione sullo stato delle conoscenze me- dico-scientifiche relative a questa malattia demenziale.

di Maurizio Nappa

Per chi non ha potuto viaggiare, e siamo in tanti, quest’anno a causa del coronavirus, la lettura è spes- so l’unico strumento per evadere e conoscere nuovi luoghi. La casa editrice indipendente Keller dal 2005 propone libri di autori che, nella maggior parte dei casi, ap- partengono alla Mitteleuropa, con- centrandosi sui temi dei confini, dei viaggi come il reportage che in- tendo qui proporre. Il titolo è “Una passeggiata nella zona” di Markijan Kamys, ucraino, nato nel 1988, due anni dopo il disastro di Chernobyl.

Wässeristrasse 28, 8340 Hinwil Tel. 044 931 20 40 • www.moebel-ferrari.ch

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2 PRIMO PIANO

Venerdì 11 dicembre 2020

Settimanale di lingua italiana in Svizzera www.corriereitalianita.ch

EDITORE Associazione Corriere degli Italiani – Svizzera

COMITATO DIRETTIVO Paola Fuso (presidente) Roberto Crugnola (vice presidente) Manuela Andaloro, Franco Narducci,

Marina d’Enza, Alberto Ferrara COMITATO D'ONORE Alberto Costa (Presidente)

Alex Berner, Mario Botta, Marina Carobbio, Franco Cavalli,

Maria-Cristiana Cedrini DIREZIONE REDAZIONE

Valeria Camia redazione@corriereitalianita.ch

COMITATO DI REDAZIONE Andrea Grandi, Marina D’Enza,

Stefania De Toma, Paola Fuso, Franco Narducci, Antonio Spadacini,

Alessandro Vaccari SEGRETERIA / AMMINISTRAZIONE

Daniela Vitti segreteria@corriereitalianita.ch

Weberstrasse 10, 8004 Zürich Tel. 044 240 22 40 IBAN CH24 0900 0000 6001 2862 6

COLLABORATORI

Maria-Vittoria Alfonsi, Giulia Bernasconi, Moreno Bernasconi , Jacopo Buranelli, Rosanna Chirichella, Paolo Rossi Castelli,

Alberto Costa, Gino Driussi, Samantha Ianniciello, Paola Quattrucci, Adrian Weiss

ABBONAMENTO annuale CHF. 90.- abbonamenti@corriereitalianita.ch

DIRETTORE MARKETING Antonio Campanile antonio@campanile.ch

Tel. 079 405 39 85 SOCIAL MEDIA MANAGER

Samantha Iannicello DIGITAL ENGAGEMENT

Manuel Epifani STAMPA Theiler Druck AG Verenastrasse 2 - 8832 Wollerau

Gli articoli impegnano la responsabilità degli autori.

Il Corriere degli italiani per l’italianità bene�icia del contributo erogato dal Dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la stampa

italiana diffusa all’estero.

Corriere

dell’ italianità

COMUNICATO COME CAMBIA IL MONDO DEL LAVORO

L’esito della ricerca “La posizione dell’italiano in Svizzera”

Lavoratori esportabili al tempo della pandemia

C’era molta attesa per l’Assemblea 2020 del Forum per l’Italiano in Svizzera, svoltasi il 28 novembre scorso inevitabilmente in modali- tà online a causa delle ancora più restrittive norme di contenimento del Covid-19. Vi hanno partecipato più di 60 persone - in rappresentan- za delle organizzazioni associate, come pure persone interessate allo stato di salute della lingua italiana in Svizzera.

I lavori dell’Assemblea, presieduti dalla prof. Valeria Gemelli, rettrice della Kantonsschule Freudenberg di Zurigo, sono iniziati con un video recante i saluti e i ringraziamenti della presidente del Governo zu- righese, Silvia Steiner, che ha sot-

tolineato l’importanza della terza lingua nazionale e dell’opera del Forum. Sono poi proseguiti con la relazione annuale di Manuele Ber- toli, presidente del Forum, e gli in- terventi dei responsabili dei gruppi di lavoro.

Il Corriere dell’Italianità ha parte- cipato all’Assemblea con la sua pre- sidente Paola Fuso, intervenuta nei lavori per ribadire, in un contesto nuovo, l’importanza della lingua italiana fuori dal “perimetro della territorialità” e dunque della comu- nità di lingua italiana e italofona a Nord del Gottardo e nella Svizzera romanda. Importanza che da alcu- ni anni caratterizza l’impegno del Corriere a favore della promozione

dei valori di cui la cultura italiana è portatrice.

Anche sulla scia dell’intervento di Paola Fuso, l’Assemblea ha fatto sua la proposta d’istituire un nuovo gruppo di lavoro che si occupi dei media italofoni oltre Gottardo, pro- posta che sarà approfondita da parte del Comitato nei prossimi mesi con l’auspicio di poterla concretizzare nel corso del 2021.

A conclusione dei lavori, è stato pre- sentato dai ricercatori dell’OLSI/

DFA l’esito della ricerca «La posizio- ne dell’italiano in Svizzera».

Il comunicato rilasciato dal Forum, al riguardo, ha evidenziato che “la relazione ha richiamato l’interesse dei partecipanti e diverse sono sta-

te le domande poste ai ricercatori sugli aspetti considerati in questo studio commissionato dal Forum” e che “nei prossimi mesi è prevista la redazione di un apposito rapporto che metterà in evidenza luci e om- bre della presenza dell’italiano nella Confederazione”.

Nello stesso comunicato, il Fo- rum ha ringraziato gli enti che han- no sostenuto il finanziamento della ricerca - il Dipartimento dell’edu- cazione, della cultura e dello sport TI, il Dipartimento dell’educazione, cultura e protezione dell’ambiente GR, la CORSI (Società cooperativa per la radiotelevisione svizzera di lingua italiana), l’Accademia svizze- ra di scienze umane e sociali (ASSH) e Migros Ticino - consultabile sul suo sito www.forumperlitalianoin- svizzera.ch.

Chi fosse interessato a porre doman- de, esprimere osservazioni, critiche, ecc. è invitato a farlo entro fine dicembre 2020 scrivendo a forum- perlitalianoinsvizzera@gmail.com . Sarà premura del Forum portare a conoscenza dei ricercatori le osser- vazioni espresse in modo che pos- sano tenerne conto nella redazione finale del rapporto.

di Andrea Grandi

Cominciamo da una buona notizia.

L’imminente arrivo dei vaccini do- vrebbe riportarci alle nostre abitudi- ni, a dove eravamo rimasti, ai com- piti a casa interrotti dalle cronache di questo 2020. Ma con una diffe- renza rispetto al passato: oggi anche

l’agenda della nostra vita sconta gli effetti dovuti alla “realtà aumenta- ta” che abbiamo vissuto durante la pandemia. Siamo cambiati: pronti a riprendere i vecchi problemi, ad ac- cettare la loro complessità. Ma anche a rivederne la logica, il fondamento, le giustificazioni che sino ad inizio anno chiamavamo certezze ed ora, tra esitazioni crescenti, fatichiamo a riconoscere come il futuro che verrà.

Facciamo un esempio. Negli scorsi mesi il distanziamento sociale si è tradotto in una esplosione del lavoro agile, “in assenza”: dal domicilio, in forma mobile, e comunque non più in ufficio, dal “posto fisso”. È una re- altà che ormai tutti accettiamo paci- ficamente e da cui riconosciamo che indietro non si torna.

Nel 2020 le aziende, per adeguarsi alle restrizioni sanitarie, hanno re- visionato le procedure che portano alla creazione del “prodotto occu- pazionale”, cioè i protocolli, le di- rettive che rendono il lavoro fatto a casa pari e uguale a quello svolto in ufficio. Insomma ci siamo fatti una ragione che seguendo le istruzioni

del management si può benissimo lavorare fuori dal perimetro azien- dale senza che il risultato cambi.

Ma su questo tema si ripropone un

interrogativo sollevato a suo tempo da Alan Blinder, economista presso l’università americana di Princeton e consulente del governo statunitense sotto le amministrazioni democrati- che di Clinton ed Obama: se il lavoro da ufficio può essere svolto da casa, nulla esclude che, a parità di resa, si possa anche svolgere in Paesi dove

costo della manodopera e garanzie occupazionali sono inferiori.

È il cosiddetto fenomeno dell’offsho- ring of jobs, la delocalizzazione, il trasferimento all’estero delle presta- zioni lavorative. È un’evoluzione già vissuta dalle società commerciali, che per sfuggire a costi e burocrazia nei paesi industrializzati ha portato alla nascita delle società offshore, bucalettere registrate in geografie periferiche.

Dal punto di vista amministrati- vo, rispetto alle società tradizionali ,quelle offshore risultano paren- ti moralmente illegittime, perché ignorano che i costi di un’impresa nei paesi industrializzati includono anche elementi che vanno a benefi- cio dell’eco-sistema in cui operano, come le trattenute fiscali e previden- ziali. Riassumendo, se una società tradizionale e una offshore sono si- mili, non è detto che siano la stessa cosa. È il medesimo rischio cui si sta incamminando il lavoro “in assenza”, e che potrebbe condurre i prestatori d’opera, oltre che “invisibili”, a di- ventare anche “inutili”.

Almeno sino al 2019 la situazione era rimasta pressoché stabile: ad esempio negli USA, su 26 mansio- ni “esportabili”, undici erano state effettivamente trasferite, mentre 15 invece avevano incrementato la loro presenza sul territorio.

Poi il 2020 ha rivoluzionato questo scenario. Anzi, è cominciata una rin- corsa delle aziende per organizzare il lavoro in forma remota, in “assenza”, sottolinea Richard Baldwin, docente di economia internazionale presso il centro di ricerca The Graduate Insti- tute (IHEID) di Ginevra. Si tratta di una tendenza che anche nella prati- ca ha trovato conferma immediata, ha osservato in una recente intervi- sta Mark Read, amministratore dele- gato della britannica WPP, una delle maggiori società internazionali nel campo della pubblicità, ricerche di mercato e della consulenza: “negli ultimi cinque anni abbiamo chiesto ai nostri dipendenti di digitalizzare il lavoro. Poi quest’anno è arrivata la pandemia ed in soli sette giorni ci siamo trovati costretti a sviluppare del 600% le nostre attività in forma digitale”. Queste osservazioni an- ticipano un altro fenomeno, che si prevede in accelerazione se doves- sero mancare sussidi governativi per trattenere in azienda i dipendenti

“in assenza”, gli invisibili che lavora- no dal domicilio.

Quello che si può fare ovunque nel mondo, ora può anche essere svolto da chiunque nel mondo, conseguen- za di una semplice analisi logica quando, ha osservato il professor Baldwin, un’ azienda non collega più la prestazione lavorativa al man- sionario assegnato ad uno specifico dipendente.

Per tradursi in realtà questa impie-

tosa legge di mercato deve ancora confrontarsi con ostacoli fortuna- tamente posti da madre natura:

sensibilità linguistico-culturali, differenze di fuso orario, difficoltà geografiche. A queste resistenze si aggiunge l’imponderabile fattore umano, che durante la pandemia ha portato i rapporti tra colleghi e con i clienti a consolidare una solidarietà sociale per il momento sviluppatasi in forma digitale ma che tutti ora at- tendono di ritornare a condividere di persona.

Sono proprio le attività collegate a queste relazioni che portano a esclu-

derne una delocalizzazione all’este- ro, ma piuttosto ad ipotizzare la loro continuazione in forma “ibrida”, con un mix di presenza e assenza.

All’opposto, dolenti note sono in arrivo per i lavori “esportabili”, dove si può prevedere un incremento di precariato occupazionale e salariale, il che porterebbe le leggi di merca- to a dettare le regole e le aziende ad imporre ai loro dipendenti le me- desime retribuzioni e modalità di lavoro già accettate altrove, dai la- voratori “offshore” ed a chiamata, gli

“invisibili” ed “inutili” alle gerarchie aziendali.

Ad esempio, come già nel 2017 sot- tolineava uno studio dell’Organiz- zazione internazionale del lavoro (ILO) di Ginevra, un campione di 3’500 lavoratori di 75 Paesi occupati in mansioni non specialistiche af- fermava di lavorare sulla base di un compenso orario fra i 2 ed i 6.50 dol- lari, ma confermandosi disponibile ad accettare retribuzioni anche infe- riori al salario mimino legale.

Tra questi due estremi, lavoro ibri- do e precariato d’importazione, troviamo i sopravvissuti del “posto fisso”. Nella maggioranza dei casi si tratta di impiegati con mansio- ni generiche. Sarà proprio questo capitale umano a scontare la globa- lizzazione e casualizzazione delle attività lavorative che abbiamo sino- ra illustrato, e che li porterà ad una lenta riduzione degli effettivi.

Per la loro categoria si annuncia una rivoluzione diversa dalle inter- ruzioni delle attività industriali che conquistano i titoli di testa dei no- tiziari e l’attenzione dei media. Per loro si annuncia una rivoluzione si- lenziosa nelle forme ma non nelle conseguenze, una lenta migrazio- ne verso un lavoro che probabil- mente non sfama, ma alimenta.

Nel 2007 alcuni studi avevano già ipotizzato

che il progresso informatico avrebbe portato alla migrazione

di una quota fra il 22 ed il 27% degli impieghi

disponibili. Il 2020 ha rivoluzionato lo

scenario.

La “realtà aumentata”

degli scorsi mesi, dopo aver declassato

il lavoro a semplice

“prodotto”, ora si avvia

a “spersonalizzarlo”.

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Venerdì 11 dicembre 2020

PRIMO PIANO 3

SOUTHSUISSE AIRWAYS: INTERVISTA A DAMIAN HEFTI, CEO & FOUNDER

ENERGIA PULITA

La compagnia aerea made in Ticino pronta al decollo

Le amministrazioni locali e il puzzle delle energie rinnovabili

di Samantha Ianniciello SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (...)

Damian Hefti, CEO e fondatore della SouthSuisse Airways, e Andrea Bur- khardt, fondatore di Northern Lights AG e pilota di linea con 20 anni di esperienza, più della metà dei quali maturati a Lugano, ci hanno illustra- to il progetto della nuova compagnia area ticinese.

Signor Hefti come è nato questo progetto?

Il progetto nasce in virtù della neces- sità e delle enormi possibilità deri- vanti dalla fondazione di una nuova compagnia aerea ticinese, con colle- gamenti giornalieri con diverse città d’Europa in una struttura rinnovata e personalizzata. La nostra idea è ba-

sarci innanzitutto sull’affidabilità e sulla qualità dei servizi volti a ridurre e addirittura ad azzerare ritardi o can- cellazioni, sulla sicurezza dei velivoli utilizzati e delle operazioni grazie a investimenti sulla manutenzione e sulla formazione del personale e sulla flessibilità della scelta del vettore in caso di destinazioni intercontinenta- li con connecting flights. Questo mo- dello è rafforzato dalla possibilità di offrire operazioni di check-in veloci, tempi di controllo sanitari ridotti e una sicurezza più elevata con collega- menti diretti da città a città.

Il modello di business della SouthSuisse Airways è stato stu- diato sull’aeroporto di Lugano- Agno. Quali destinazioni saranno servite?

Riguardo ai collegamenti aerei il Ticino è attualmente escluso dal re- sto della Svizzera e dunque anche dall’Europa. L’idea è ripristinare il

di Marco Nori

L’attenzione per le energie rinnova- bili non è mai stata così alta – e le ri- sorse sul piatto così importanti. È un momento storico di cambiamento di paradigma e il sistema sta iniettando molta liquidità che anche le ammini- strazioni locali possono convertire in investimenti e occupazione. Dobbia- mo però renderci conto che queste amministrazioni locali non hanno sempre dimestichezza con il busi- ness dell’energia, in particolare delle energie rinnovabili che sono in fase di definizione tecnologica e hanno ampi margini di cambiamento.

L’energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica o mareomotrice hanno

modalità di produzione diversissime e un mercato altrettanto diversificato.

Come fa un’amministrazione locale a scegliere quella che fa al caso suo fra le diverse proposte che riceverà nel prossimo futuro? Ci sono parametri immediati per guidare le scelte, come la presenza di aree non coltivate e as- solate o coste per l’eolico, ma non sono sufficienti. In Svizzera l’eolico è parti- colarmente osteggiato perché si teme deturpi il territorio e così deprezzi il valore delle fattorie e degli immobili vicini. I suoi detrattori sostengono che la conformazione del territorio elveti- co montagnoso non è adatto all’instal- lazione di turbine eoliche, ma la vici- na Austria, che ha una configurazione comparabile, produce sessanta volte

l’energia eolica della Svizzera. In Italia, che ha migliaia di chilometri di coste sembrerebbe un’area promettente per l’eolico offshore, ma la discussione ri- guardo la creazione di un parco eolico al largo di Rimini è molto serrata: i pe- scatori non lo vogliono, il turismo ne ha una gran paura, la giunta regionale è sfavorevole. I tribunali, le associa- zioni dei cittadini, le reticenze ammi- nistrative sono fattori da tenere bene in conto.

I fattori sono tantissimi, c’è la gestio- ne della Grid (la griglia elettrica), deve entrare in gioco la disponibilità di manodopera locale o la riconversione di alcune aree industriali già presen- ti. Magari c’è un polo manifatturie- ro già presente a cui fornire energia

pulita. Il tutto può essere combinato con un occhio al marketing, come la creazione di un bollino “territorio a impatto ridotto” per la promozione del paesaggio e dei prodotti locali. Da non tralasciare anche la necessità di un supporto legale e amministrativo per aggiudicarsi i fondi nazionali o quelli della UE. È un puzzle compli- cato, molto complicato. Gli industriali possono - e devono - aiutare le am- ministrazioni a districarsi fra le varie possibilità offrendo una consulenza professionale.

Meno visibile ma altrettanto impor- tante è il tema della bonifica. Che fare dei siti di produzione ed estrazione dei combustibili fossili, e dei macchi-

nari che li bruciano per funzionare?

Sono decisioni che dovranno andare di pari passo con quelle della transi- zione energetica. Quale sarà il destino delle grandi centrali a carbone? (ebbe- ne sì, ce ne sono ancora, in tutta Euro- pa). Alcune di esse saranno convertite, altre saranno ormai abbastanza vec- chie per essere smaltite, e qui entrerà in gioco un poderoso lavoro di boni- fica di tutti i materiali pericolosi, un lavoro ineludibile, e sarà uno sforzo da mettere in conto e a bilancio.

Per vincere questa scommessa non basta avere la tecnologia ma serve la pianificazione e la concertazione perché la tecnologia sia efficiente, produttiva e anche redditizia.

collegamento con Ginevra, aprire la tratta Francoforte prima e London City poi, entrambi importanti punti di accesso al resto del mondo. Pen- siamo, inoltre, anche a collegamenti stagionali verso la Spagna e in Italia su Olbia. Successivamente valute- remo anche la possibilità di aprire il collegamento su Roma. Altre desti- nazioni saranno valutate man mano per permettere alla compagnia aerea di consolidarsi e crescere a un ritmo ancora più rapido.

Chi saranno i principali investito- ri del progetto?

Abbiamo la presenza di un importan- te investitore svedese che crede forte- mente nel progetto di rilancio dell’a- eroporto e nella compagnia aerea ed è intenzionato ad aprire un centro di manutenzione per jet all’aeroporto di Lugano.

Quali interventi ritiene priori-

tari per ripristinare l’operatività dell’aeroporto di Lugano-Agno?

L’aeroporto attualmente ha dei criteri obsoleti per quanto riguarda le pro- cedure di avvicinamento dei veivoli, tant’è che non di rado i passeggeri ticinesi, soprattutto in caso di mal tempo, si sono visti atterrare sull’a- eroporto di Milano con tutti i disagi del caso. In generale l’aeroporto di Lugano-Agno risente di procedure obsolete che con il progetto di rilan- cio vanno in tal senso riviste e a mo- dernizzate e che sono state oggetto da parte nostra di un lungo e approfon- dito studio tecnico.

Alla luce della situazione pan- demica odierna quali sono le sfi- de più significative per la nuova compagnia ?

Vedo la situazione pandemica più come un’opportunità che come una sfida.

Il comparto dell’aviazione civile è stato messo a dura prova quest’anno dalla pandemia. L’aviazione negli ul- timi anni ha visto una costante guer- ra dei prezzi tra le varie compagnie con un conseguente abbassamento del livello dei servizi. La pandemia ha messo in crisi diverse compagnie ed è chiaro che in un futuro prossi- mo è impensabile per le compagnie ancora operanti di poter offrire prez- zi così bassi realizzando profitti e cercando nel contempo di rientrare delle ingenti perdite occorse durante tutto l’anno. Vi è inoltre da conside- rare l’inevitabile allungamento dei tempi d’attesa negli aeroporti più grandi a causa dei controlli sanitari d’obbligo in partenza ed in arrivo.

Quello che noi vogliamo offrire è un servizio di qualità che consenta ai passeggeri locali di poter viaggiare senza doversi spostare - nella mi- gliore delle ipotesi - sull’hub di Mi-

lano, dove le procedure di imbarco non possono certo essere di quindici minuti.

L’idea è quello di far sì che il Ticino benefici di una migliore connettivi- tà aerea internazionale e globale a pochi passi da casa, soddisfacendo la domanda di viaggio di residenti, viaggiatori d’affari e turisti con un prezzo contenuto nell’ambito de- gli standard svizzeri. E’ necessario cogliere l’occasione favorevole che questa crisi ha paradossalmente determinato. In questo periodo, ad esempio, il mercato è sommerso di aerei in liquidazione ed è possibile ottenere tariffe notevolmente più basse per leasing o acquisto di aero- mobili.

Quali potranno essere i modelli degli aerei che verranno presi in dotazione per la sua compagnia?

Gli Embraer E- Jets 170 (aerei bimo- tore a reazione utilizzati per voli di corto e medio raggio) offrono le mi- gliori prestazioni tra i regional-jet passeggeri in grado di operare dallo scalo di Lugano-Agno. Garantiran- no ottime performance operative se verranno effettuate alcune modifiche alla procedura di avvicinamento allo scalo che, fra l’altro, permetterebbe

di aumentare gli arrivi anche di jet privati, attualmente in difficoltà ad atterrare in determinate condizioni meteorologiche. Ciò porterebbe ad un aumento generale degli utili per l’aeroporto a fronte di una diminu- zione parallela dei costi, visto che la manutenzione dell’attuale sistema ha un costo che verrebbe eliminato con il passaggio ad un sistema GPS.

Un’ultima domanda: qual è la sua personale visione dello sviluppo futuro dell’aviazione civile?

La totale assenza di voli commer- ciali da e per il Ticino influenza tut- ti i settori economici e turistici del Cantone. La possibilità di dotarsi di una compagnia locale avrebbe un effetto benefico su tutto il territorio perché darebbe un forte impulso a tutta l’economia: numerose aziende potrebbero essere invogliate a venire ad investire ancora di più sul territo- rio ticinese, il turismo ne giovereb- be significativamente, senza contare tutto l’indotto di hotel, ristoranti, catene commerciali. Insomma si sca- tenerebbe un vero e proprio circolo virtuoso che consentirebbe di dare al Canton Ticino una nuova vitalità e di renderlo estremamente più competi- tivo rispetto ai vicini Cantoni.

Vogliamo offrire un servizio di qualità che consenta ai passeggeri locali di poter viaggiare

senza doversi spostare sull’hub di Milano.

La totale assenza di voli commerciali da e per il Ticino influenza tutti

i settori economici e

turistici del Cantone.

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4 DOSSIER: COVID E EXPAT

Venerdì 11 dicembre 2020

COME SI MUOVE L’EUROPA

COVID19, Brexit e populismo hanno cambiato le scelte degli Expat europei

di Manuela Andaloro

L’Annual Report on intra-EU Labour Mobility del 2019, commissionato dal- la Comunità Europea conferma che sebbene la mobilità all’interno dell’UE abbia continuato a crescere nel 2019, lo ha fatto a ritmo più lento rispetto agli anni precedenti.

Ma come sono cambiati e stanno cam- biando i trend e gli interessi di molti expat? Come ha influito sulle fluttuazio- ni l’attuale pandemia? Quali altre cause stanno impattando le scelte degli expat?

In questo contesto consideriamo

“expat” chi vive e lavora in un paese ospite per scelta o per necessità secon- darie, per un periodo più o meno de- terminato di tempo, spesso con istru- zione superiore. Professionisti quindi che hanno liberamente scelto il paese ospite per motivazioni non legate a for- ti necessità economiche, finanziarie, o di stabilità, ma a dinamiche definite soft come famiglia, desiderio di inter- nazionalità, avanzamento di carriera.

Chi, per fortuna o per meriti ha avuto insomma il lusso della scelta.

Come vivono ad oggi gli expat euro- pei la loro scelta?

Quali fattori, dinamiche, avvenimenti politici influiscono ad oggi sulle scelte attuali, imminenti o piani futuri?

Richiama l’attenzione un’intervista contenuta in una recente analisi del Financial Times ad una expat di ritor- no: “Il richiamo della vita da expat era svanito”, racconta Tara (nome di fan- tasia), 38 anni “Essere intrappolati in quarantena significava che la facilità di viaggiare - uno dei motivi principali per cui eravamo d’accordo a rimanere - non esisteva più come opzione. E l’aumento del sentimento contro gli stranieri è sta- to un altro fattore”, dice, sentimento che attribuisce alla maggiore concorrenza per i posti di lavoro causata dalla re- cessione economica. Tara non sembra

essere l’unica expat che sceglie di tor- nare a casa a causa delle ricadute della pandemia. Dati significativi puntano al fatto che stiamo assistendo ad un forte trend in ascesa.

Non esiste ad oggi un’analisi puntuale e strutturata sull’argomento, rilasciata da organi ufficiali senza scopi di lucro o posizionamento favorevole sulla sce- na economica. Tuttavia basandoci sul- la comprensione del recente e attuale quadro macroeconomico, politico e so- ciale, e guardando dati sia rilasciati sia dalla UE sia da alcuni suoi membri, sia i dati del settore immobiliare, possiamo avanzare qualche ipotesi.

I fattori che stanno guidando il cambia- mento e il ripensamento delle loro scel- te da parte di molti Europei sembrano attribuibili a Brexit, alla crescita del po- pulismo, al COVID-19 e alla percezione di come il Paese ospitante abbia gestito l’emergenza e relative difficoltà di spo- stamento.

In un recente sondaggio sulla propria base di clienti globali, la catena di con- sulenti immobiliari Knight Frank ha rivelato che quasi due terzi degli expat (64%) afferma che i lockdown hanno influenzato la loro decisione di acqui- stare una nuova proprietà nel loro pa- ese d’origine. Di questi, circa il 29% ha dichiarato che tornerà nel paese d’origi- ne a tempo pieno, e il 57% è alla ricerca di una casa da poter utilizzare in futuro nel Paese d’origine.

UK e Irlanda – Brain drain e contro- esodo

L’Irlanda sembra in testa ai Paesi in cui gli expat fanno rientro. I più recenti dati dell’ufficio centrale di statistica mostra- no che 28.900 cittadini irlandesi sono tornati a vivere e lavorare da gennaio ad aprile 2020, il numero più alto in 13 anni.

“Il dieci percento delle nostre vendite di case di nuova costruzione a Dublino nel 2020 proveniva da espatriati di ritorno”, conferma Ray Palmer-Smith dell’ufficio irlandese di Knight Frank.

Un recente studio dell’Oxford- Berlin Research rileva che il numero di bri- tannici che lasciano il Regno Unito per l’Europa continentale è al massimo di 10 anni, e circa la metà di tutti i cittadini britannici che vivono in Germania avrà la doppia nazionalità britannica e te- desca entro la fine del 2020. Gli inglesi che hanno deciso di ottenere passaporti europei (in Spagna, Germania, Francia, Italia) sono aumentati di oltre il 500 per cento, e del 2.000 percento in Germa- nia.Con gli expat che riconsiderano le loro opzioni, si materializzano sempre più decise le implicazioni per l’industria del trasferimento aziendale, per le scuole internazionali e le multinazionali a li- vello globale.

Svizzera – reality check?

La Svizzera conta un numero molto alto di immigrati, circa il 25% della popola- zione residente; oltre il 60% di questi sono altamente istruiti per l’85% citta- dini expat UE, spesso attratti nel paese dalle condizioni fiscali molto favorevo- li, che peròsempre più frequentemente, altri paesi europei stanno adottando.

Nel 2019, l’immigrazione netta è stata di circa 55.000, alla pari rispetto all’an- no precedente, ma in calo da una media annuale di 72.000 dal 2009 al 2016.

Un sondaggio del 2019 sugli expat, In- terNations Expat Insider 2019 mostra come la Svizzera sia al 38 ° posto delle preferenze di paesi in cui vivere come expat, lo studio evidenzia le difficoltà e

le fredde realtà della vita nella nazione alpina.

Le impressioni degli expat che vivono in Svizzera sono peggiorate in tutti e cinque gli indici negli ultimi anni: qua- lità della vita, facilità di sistemazione, lavoro, vita familiare e finanza persona- le. “La Svizzera ha perso 40 posti negli ultimi cinque anni. Si tratta di un gran- de calo”, ammette Malte Zeeck, fonda- tore e co-CEO di InterNations. “Anche l’accessibilità economica dell’assistenza sanitaria (61°) e dell’assistenza all’infan- zia (35° su 36) sono problemi importan- ti per gli expats.

La Svizzera, che era una delle principali destinazioni per gli espatriati in carrie- ra solo pochi anni fa, sembra aver perso parte del suo fascino: circa un quinto degli intervistati esprime grande insod- disfazione.

Possiamo ad oggi solo ipotizzare che la crisi Covid avrà un ruolo ulteriore nella conferma di un trend che sembra comunque puntare al fatto che meno expat negli ultimi anni scelgano la Sviz- zera come nuova destinazione, o scel- gano di rimanerci.

Germania – efficienza e umiltà La Germania ha un’economia significa- tiva e potente che consente agli expat di avere un’alta qualità di vita. La popola- zione di expat nel paese è aumentata gradualmente nel corso degli anni e ad oggi gli expat in Germania rappresenta- no il 3.7% della popolazione (a fronte di un 15% di immigrati totali).

La Germania è un’economia, una so- cietà e una cultura straordinariamente brava ad attutire i colpi, anche se spesso sembra rinunciare alla reinvenzione e all’ innovazione.

Si respira in Germania una forte umil- tà, il Paese ha imparato dalla storia che

“l’eccezionalismo” non è solo sbagliato, è pericoloso. E agisce di conseguenza.

L’analisi dell’ Expat Insider 2019 ci fa notare che il paese è al quarto posto al mondo per lavoro, ma barriere sociali e linguistiche spesso non rendono l’espe- rienza degli expat facile.

Uno studio di Destatis, l’ufficio federale di statistica tedesco, al di là della paren- tesi COVID-19, mostrano un trend per- manente di arrivi di expat, e in aumento se si considera l’intera popolazione mi- grante.

Per molti, sia all’interno sia all’esterno della Germania, la gestione efficiente della pandemia ha evidenziato il fasci- no del Paese: bassa disoccupazione, un sistema sanitario generoso e accessibi- le, una leadership politica efficace e una società stabile.

Italia – la nuova epoca che attira ta- lenti stranieri e cervelli di ritorno L’Italia conta nel 2019 quasi il 10% di po- polazione straniera, al terzo posto dopo la Germania e il Regno Unito e seguita da Francia e Spagna.

Expat provenienti da tutta Europa si stabiliscono in Italia e rappresentano quasi il 6% della popolazione europea nel Paese.

Tuttavia nei sondaggi expat, almeno fino al 2019, l’Italia non totalizza ottimi risultati, al contrario. Il costo della vita in Italia è più alto che in molti altri paesi dell’UE, ma varia a seconda della regio- ne e delle città.

La grande maggioranza di expat euro- pei in età lavorativa in Italia si concentra in Lombardia, ed in particolare a Mila- no, che conta il 15% di stranieri, e dal 2015 ad oggi ha ricevuto un inesorabile flusso di investimenti in vari settori, ol- tre che di expat dell’UE.

La crisi COVID sembra avere giocato un ruolo chiave per gli expat di ritorno, in combinazione con le recenti policy fiscali messe in atto da vari governi eu- ropei e tra i primi dal governo italiano che mette in campo interessanti bene- fici fiscali.

Quanto emerge dalla ricerca ‘COVID-19 - L’impatto sui giovani talenti’, condotta dal Centro Studi PWC attraverso Linke- din parla chiaro. L’obiettivo dello studio era comprendere come la pandemia abbia influenzato stili di vita, percorsi professionali e aspettative dei talenti italiani con un profilo internazionale.

I risultati danno una forte indicazione:

oltre il 25% degli expat italiani all’estero rientrerà o è rientrato in Italia e quasi l’80% sta considerando questa opzione.

Le azioni messe in campo dal governo italiano sono percepite come maggior- mente efficaci di quelle dell’Unione Europea, nel rispondere alla crisi CO- VID-19. La risposta del governo italiano è diffusamente percepita come una del- le migliori dopo quella tedesca.

La vita da expat in Europa, come la conosciamo oggi, sopravviverà al COVID-19, al populismo, alla Brexit?

I timori per la salute, l’impatto sociale, le restrizioni sui viaggi fanno sì che più expat in Europa e nel mondo tornino a casa.

Fin troppo rapidamente, il COVID ha tolto splendore a molti elementi della vita da expat. Le famiglie in altri paesi sembrano improvvisamente troppo lontane, la paura di essere confinati in un paese in cui le misure anti-COVID non sono adatte né efficienti, il cre- scente populismo che potrebbe acuirsi a causa dell’inevitabile crisi economica, sono tutti fattori che hanno fatto au- mentare esponenzialmente l’interesse di molti a spostarsi o a tornare nel Pae- se d’origine. Mentre le cifre sono ancora difficili da ottenere, iniziano a emergere chiari e forti segni di un cambiamento epocale duraturo.

La gestione della pandemia da parte del Paese ospitante influisce sulla decisione degli expat di “stare” o

“tornare”.

Per quanto riguarda la Svizzera come destinazione scelta da expat europei, il trend

sembra in stallo: la qualità della vita non

soddisfa.

Gli expat italiani stanno rientrando, in tempo di pandemia, anche grazie

alle recenti politiche fiscali del governo

italiano.

Fonte: Roxana Torre (www.torre.nl)

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Venerdì 11 dicembre 2020

DOSSIER: COVID E DISCRIMINAZIONE 5

CORONAVIRUS E DISCRIMINAZIONI ETNICHE

Alcuni gruppi etnici muoiono di COVID più di altri: perché?

di Valeria Camia

Purtroppo il legame tra etnia e salute è noto e quindi preesistente la pan- demia in corso. Basti ricordare che in Brasile le persone di colore hanno un’aspettativa di vita che è tre anni in meno rispetto ai bianchi, mentre in America, gli afro-americani vivono in media quattro anni e mezzo in meno rispetto ai bianchi. Il coronavirus ha però ingigantito tali differenze. In Gran Bretagna, ad esempio, i tassi di infezione nazionali sono oltre quattro volte superiori nelle comunità paki- stane rispetto a quelli delle comunità bianche. Secondo l’Institute for Heal- th Metrics and Evaluation dell’Univer- sità di Washington, negli Stati Uniti una persona ispanica di 40 anni ha 12 volte più probabilità di morire per il virus rispetto a un coetaneo bianco, mentre i decessi tra gli afro-americani quarantenni sono nove volte più alti.

Un recente studio condotto in Svezia ha mostrato che gli immigrati hanno molte più probabilità di morire rispet- to ai nati in Svezia.

Affrontare queste disuguaglianze - e ridurre l’impatto del COVID-19 sulle comunità di etnie minoritarie - è una questione di giustizia razziale e un imperativo per ogni società che voglia fare di equità e giustizia i propri pila- stri. La strada è lunga però, perché, come vari e recenti studi mostrano, la riduzione delle disuguaglianze strut- turali non porterà necessariamente a un equilibrio tra i decessi causati dal coronavirus. Le condizioni socio-e- conomiche, pur svolgendo un ruolo evidente e aggravante sulla mortalità causata dal virus, non spiegano suf- ficientemente come mai i bianchi si salvino di più.

Dimmi quanto povero sei e ti dirò come ti ammalerai

West Garfield Park è uno dei quartieri più poveri di Chicago: molte case sono abbandonate, così come negozi e fab- briche; il tasso di violenza minorile è molto alto e anche il possesso di armi tra la popolazione. Obesità, problemi cardiaci e diabete sono problemi “co- muni”, al punto che le complicazioni cardiache costituiscono la prima causa di morte in questa parte dell’America.

Qui, dove risiedono prevalentemente afro-americani, la probabilità di mori- re per arresto cardiaco è due volte più alta di quella che hanno i bianchi che risiedono in zone “bene” della città.

Non solo. In sobborghi come quello di West Garfield Park, i decessi per coronavirus sono statisticamente più significativi che nei quartieri residen- ziali. Dall’altro lato dell’Atlantico, la situazione non è diversa. In Galles, dove abitano numerose comunità di pakistani e di bangladesi e i livelli di povertà sono tra i più altri del Paese, la popolazione ha il doppio di proba- bilità di morire di COVID-19 rispetto a chi abita nelle zone più benestanti del Paese.

Due fattori aiutano a spiegare l’im- patto sproporzionato del COVID-19 sulle minoranze etniche. In primo luogo, c’è una questione di probabilità di esposizione al virus: in molti Paesi occidentali le minoranze etniche sono occupate spesso in lavori che le met- tono a regolare e stretto contatto con il pubblico, aumentando il rischio di infezione: si tratta di personale per le pulizie, lavoratori in catene di ri-

storazione e nel settore del turismo, ad esempio. Le minoranze etniche sono anche più propense a vivere in zone disagiate dei centri cittadini e in appartamenti affollati e multigene- razionali, il che aumenta il rischio di diffusione del virus. Secondo un’in- dagine pubblicata lo scorso settem- bre dal governo britannico solo il 2%

delle famiglie bianche britanniche in Inghilterra ha meno camere da letto del necessario, contro il 30% circa del- le famiglie del Bangladesh, il 16% delle famiglie pakistane e il 15% delle fami- glie provenienti dall’Africa. In secondo luogo, deve essere considerato lo stato di salute generale di alcune minoran- ze etniche, più povere, che fanno più frequentemente uso di cibi pronti e alimenti surgelati meno salutari. I dati medici messi a disposizione dalla co- munità scientifica delineano infatti come le minoranze etniche soffrano di condizioni di salute preesistenti, quali il diabete e le malattie cardiache, che aumentano il rischio di complicazioni da coronavirus.

Come scrive Zubaida Haque in un edi- toriale per The Guardian, non esiste un solo gene per essere asiatico o nero, quindi l’insorgenza di certe patolo- gie non è necessariamente il risultato della biologia: “è più probabile che sia il risultato di circostanze - dove vivi, cosa puoi permetterti di mangiare, quanto spazio verde hai a disposizio- ne, quanto esercizio fisico sei in gra- do di fare, e stress e tensioni della tua vita.” Le disuguaglianze economiche e sociali preesistenti hanno fatto sì che alcuni gruppi etnici minoritari siano stati colpiti dal virus in modo peggiore di altri.

Un virus che discrimina tra le etnie Eppure, il livello di povertà da solo non spiega i decessi causati dal virus.

Secondo l’Ufficio Nazionale di Statisti- ca della Gran Bretagna, dopo aver con- trollato per fattori quali la residenza in aree densamente popolate, condizioni mediche preesistenti, povertà e tipo di lavoro, gli uomini del Bangladesh han- no comunque un rischio di soffrire di complicanze causate dal COVID che

è ancora quasi una volta e mezzo su- periore a quello degli uomini bianchi della stessa età.

Allarmanti sono anche i risultati di un studio del British Medical Journal, secondo il quale più della metà delle donne incinte, ricoverate in ospeda- le con il COVID-19 in tutto il Regno Unito tra inizio marzo e metà aprile scorso, provenivano da un gruppo di minoranza etnica.

La questione dei rischi di salute per certi gruppi etnici più di altri non ri- guarda solo il COVID. Il cancro è un esempio di una malattia la cui preva- lenza non può essere spiegata solo da fattori socioeconomici. Ne abbiamo parlato sullo scorso numero del Cor- riere dell’italianità, riportando la te- stimonianza del Premio Nobel per la medicina Harold Varmus. In numerosi studi raccolti in nazioni occidentali è stato rilevato che le persone che pro- vengono dal continente africano han- no tassi di cancro allo stomaco e alla prostata molto più elevati rispetto ad altri gruppi etnici, mentre le don- ne asiatiche hanno più probabilità di qualsiasi altro gruppo di contrarre il cancro alla bocca. E le donne afro-a- mericane negli Stati Uniti non hanno più probabilità delle donne bianche di ammalarsi di cancro al seno, ma han- no molte più probabilità di morire per questo. Durante la prima ondata della pandemia di coronavirus le minoranze etniche hanno rappresentato l’11% dei ricoveri ospedalieri in Gran Bretagna, e il 36% di quelli che hanno ricevuto cure intensive.

Purtroppo non va dimenticato, se non altro per una questione di (in)giustizia sociale, che tra le cause che portano certe minoranze a morire di COVID

più di altre vi è anche il problema del- la “legittimità di soggiorno”. Questo riguarda tutti gli immigrati illegali in un certo territorio, che non possono sottoporsi ad adeguate visite mediche.

Per far fronte a questo problema alcu- ni governi si stanno organizzando, ad esempio offrendo checkpoint e con- trolli in “spazi neutri” come le chiese, secondo quando riportano i giornali americani.

Cultura e anche razzismo, non razza Se da un lato le condizioni di salute precedenti all’ospedalizzazione pos- sono spiegare i maggiori decessi tra certi gruppi etnici, un ruolo importan- te (ed esplicativo) è svolto anche dalla dimensione che definiamo qui come

“culturale”, che tocca anche il razzi- smo.

Anzitutto va detto che le popolazioni di alcune etnie sono meno propense a farsi visitare. Molti, tra le popolazioni indigene in Brasile, ad esempio, sono riluttanti ad andare in ospedale, come riporta il The Economist che cita le parole di Elivar Karitiana, della tribù Karitiana, che lavora per il sistema sa- nitario indigeno nello stato amazzoni- co di Rondônia: a fronte di ospedaliz- zazioni conclusesi con decessi a causa del covid, non di rado gli abitanti di villaggi indigeni incolpano i medici che “hanno ucciso i pazienti, metten- dogli un tubo per la respirazione.” La paura di affidarsi al sistema medico si riscontra anche nei Paesi occidentali:

le cifre mostrano che in Gran Bretagna le donne bianche si sottopongono a screening cervicale più frequentemen- te che donne di origine asiatica. Dai sondaggi, si rileva che molte donne di minoranze etniche non fanno lo scre- ening per la paura di ciò che potrebbe essere trovato e a causa dell’imbarazzo di essere visitate da un medico ma- schio. Uno studio dell’America’s Na- tional Bureau of Economic Research del 2018 ha scoperto che gli uomini afroamericani sono meno proni a sot- toporsi a visite e screening medici se sono visitati da dottori caucasici.

Di certo non aiuta l’accrescimento della fiducia nelle strutture mediche

il fatto che, come rilevato da studi americani, negli Stati Uniti, quando un uomo di etnia afro-americana en- tra in un ospedale con un attacco di cuore, la probabilità che egli riceva un trattamento chiamato angioplastica entro 90 minuti è di un terzo inferiore rispetto a un concittadino bianco. Al- tri studi, riporta il dossier pubblicato recentemente da The Economist, di- mostrano che i pazienti afroamericani ricevono anche meno antidolorifici.

Un esperimento dell’Università della Virginia ha scoperto che sono a volte i medici stessi, soprattutto se bianchi, a speculare e sottovalutare la percezione del dolore degli afroamericani, pen- sando addirittura che il loro epidermi- de sia “più spesso”.

Fanno riflettere i dati raccolti dall’In- stitute of Global Health dell’Univer- sity College di Londra: mostrano che l’esposizione cronica alla discrimina- zione danneggia la loro salute, in par- ticolare in quanto aumenta gli ormoni dello stress. L’impatto del razzismo sulla salute è equiparabile, secondo lo studio, a quello dell’esposizione con- tinua ad alti livelli di inquinamento dell’aria. Potrebbe essere quindi che certe etnie, che sono soggette a discri- minazioni razziali, si ammalino più gravemente perché il loro sistema im- munitario è già stressato?

E se fossero (anche) i geni?

Infine, va ricordato che, oltre agli studi secondo i quali etnia e reddito sono fat- tori esplicativi del contrarre e morire di COVID, altre ricerche suggeriscono di aggiungere complessità esplicativa.

Biobank, ad esempio, ha raccolto una serie di dati sui malati di COVID-19 e, pur controllando per disparità sociali, malattie pregresse e etnia, lo studio non è stato in grado di definire quali predittori possano spiegare perché alcuni si ammalano (di più) del virus rispetto ad altri. L’ipotesi, sulla quale si sta facendo ricerca, è che le differenze a livello di popolazione vadano cercate nella genetica della risposta immuni- taria al sars-cov-2. Mettere al centro i geni è un’operazione discutibile, in quanto porta a distogliere lo sguardo dal ruolo dell’etnia e altri fattori socio- economici. Tuttavia, gli scienziati che si occupano di genetica non mancano di far notare le diversità genetiche di popolazioni diverse in luoghi diversi.

Ad esempio, nelle zone del mondo colpite dalla malaria, la selezione na- turale ha portato a un aumento della prevalenza di un gene che fa sì che le cellule del sangue formino una strana forma di falce che protegge dalla ma- laria (il che aiuta a spiegare come mai oltre il 90% dei malati di falcemia in America siano afroamericani).

Un quadro complesso, un unico imperativo

Ad oggi, non è ancora chiaro per qua- le motivo alcuni gruppi etnici siano maggiormente colpiti dal COVID ri- spetto ad altri, se sia biologico, geneti- co, socio-culturale o (probabilmente) un mix di vari fattori, e un continuo impegno medico per comprendere come mai alcune etnie si ammalino più gravemente di altre è auspicabile.

Così come è necessario che la questio- ne trovi anche risposte politiche, che migliorino le condizioni sociali, eco- nomiche e umane che rendono alcune etnie - le più vulnerabili - ulteriormen- te esposte a certe malattie.

Per quanti perseguono l’ideale di una società giusta e inclusiva, è un impe- rativo morale il chiedere che siano ac- cresciuti gli investimenti nella sanità, nell’istruzione e nelle infrastrutture delle aree svantaggiate, così come gli investimenti in alloggi a prezzi acces- sibili e altre misure per aumentare la mobilità e consentire ai singoli di tra- sferirsi in centri dinamici che offrano posti di lavoro e redditi più elevati, quindi accesso a equi trattamenti me- dici. Perché, se anche la situazione so- cio-economica non causa la morte da COVID, certamente essa ne accresce il rischio.

Le condizioni socioeconomiche non spiegano pienamente le disparità razziali in

materia di salute.

Sempre più studi indicano nella disuguaglianza razziale

un aspetto urgente dell’epidemia, ma i governi cosa fanno?

La questione del perché le minoranze sembrano essere più a rischio di

morire di Covid-19 è

controversa.

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Venerdì 11 dicembre 2020

ANZIANI E GIOVANI IN ITALIA E IN ASIA CENTRALE

UNIONE EUROPEA

Il COVID-19 amplia il

divario generazionale?

Le piattaforme online si mobilitino contro la disinformazione

di Aliya Tskhay

Il mondo intero è segnato dalla pande- mia del Coronavirus: i sistemi sanitari di una moltitudine di Paesi sono tesi, l’economia globale è in recessione, i viaggi sono limitati e la promessa di vaccini è ancora in corso nonostante le recenti scoperte. Tuttavia, c’è un altro impatto del COVID-19 che può durare più a lungo di tutti gli altri: si tratta di una frattura sociale tra le generazio- ni più anziane e quelle più giovani.

Questo è particolarmente evidente se si confrontano i Paesi con una popo- lazione anziana predominante (come l’Italia) e i Paesi con una percentuale di popolazione più giovane (come in Asia centrale - in Uzbekistan, ad esempio, il 42 per cento della popola- zione ha meno di 25 anni).

Se si considera il numero di casi e il tasso di mortalità, solo il numero di casi e il tasso di mortalità possono presentare un’immagine molto dra- sticamente diversa della situazione intorno a COVID-19 in Italia e in Asia centrale. Secondo i dati dell’OMS al momento della stesura di questo ar- ticolo, si trattava del numero di casi e di decessi: Italia - 995.463 casi (42.330 morti); Kazakistan - 157.261 (2.306);

Kirghizistan - 64.360 (1.188); Tagiki- stan - 11.417 (84); Uzbekistan - 69.173 (589).

Tuttavia, l’impatto sociale della pan- demia su questi Paesi e le sfide che i governi si trovano ad affrontare po- trebbero essere molto simili. Statisti- camente il virus è pericoloso per tutte le fasce d’età, ma il tasso di mortalità tra gli ultraottantenni è cinque volte superiore alla media globale, secondo l’ONU. I governi si sono trovati di fron- te a un dilemma morale per salvare gli anziani o per permettere ai giovani di continuare a lavorare. Le politiche sono state diverse, così, ad esempio in Kazakistan le persone sopra i 65 anni non hanno potuto lasciare la casa al culmine della primavera.

Il problema non è solo legato all’au- mento del tasso di mortalità, ma an- che alla morte degli anziani. I tassi di mortalità nelle case di cura in tutta Europa, soprattutto nel Regno Unito, in Francia, evidenziano la vulnerabi-

lità di tali istituti al virus. Avere una percentuale più alta di persone a ri- schio che vivono da sole e che hanno bisogno di aiuto nella situazione di isolamento crea ulteriori insicurezze, oltre a un enorme peso psicologico di non poter vedere i propri familiari e amici.

La struttura familiare e la vita sociale giocano un ruolo importante, poiché in Asia centrale le persone anziane vi- vono con i loro figli e le famiglie multi- generazionali sono comuni. Di conse- guenza, si crea un ambiente a maggior rischio di diffusione del virus. Ancora più importante, la protezione delle persone vulnerabili significherebbe inevitabilmente restrizioni per molti.

Questo è di fondamentale importanza e rappresenta una lotta per i governi della regione, poiché pone il dilemma di come destreggiarsi tra il manteni- mento dell’attività economica e la pro- tezione della salute pubblica.

L’impatto economico delle serrate nazionali è stato ovviamente diverso a causa delle singole strutture delle economie, ma evidente in Italia e in Asia centrale. Il calo della produzio- ne, l’arresto del settore dei servizi e il forte calo della domanda di petrolio e gas (particolarmente importante per il Kazakistan, l’Uzbekistan e il Turkme- nistan, che dipendono dalle risorse) hanno già messo a dura prova le eco-

nomie in via di sviluppo della regione dell’Asia Centrale.

In Kazakistan, secondo il recente rapporto della Banca Mondiale (CO- VID-19 e Human Capital), solo il tasso di disoccupazione è stimato superiore al cinque per cento, con un tasso di povertà fino al 12,7 per cento. Il decli- no dell’attività economica e un impat- to più duro sui lavoratori autonomi e a tempo parziale, così come sui gruppi vulnerabili, è previsto per il prossimo anno, nonostante gli interventi fisca- li. Si tratta di previsioni simili a quelle della ripresa economica italiana, in quanto il blocco e le restrizioni hanno contribuito all’aumento dei lavoratori inattivi, con un tasso di disoccupazio- ne giovanile del 29,7% in Italia nel set- tembre 2020.

Per il Kirghizistan, il Tagikistan e l’Uz- bekistan, COVID-19 ha portato la mi- grazione a domicilio dei lavoratori sta- gionali a cui è stato negato l’ingresso in altri Paesi vicini o in Russia (la de- stinazione abituale di tale lavoro). Ciò ha significato che migliaia di giovani sono tornati con limitate opportunità di lavoro e soprattutto con un reddi- to inferiore per sostenere le famiglie, mettendole a rischio di povertà estre- ma. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) ha lanciato un appello urgente per i finanziamen- ti diretti a sostenere le comunità di migranti a causa dell’impatto di CO- VID-19.

I livelli di istruzione avranno anche un impatto sulle differenze tra le ge- nerazioni più anziane e quelle più giovani, dato che milioni di bambini stanno subendo interruzioni dovu- te all’apprendimento a distanza. Per l’Asia centrale, l’accesso all’istruzione digitale è una questione di capacità economiche e di copertura Internet, nessuna delle quali è al 100%. Ai bam- bini delle comunità rurali montane del Tagikistan, ad esempio, durante la chiusura, è stato offerto di ricevere un’istruzione attraverso programmi televisivi preregistrati. Poiché il Kaza- kistan e il Kirghizistan amministrano ancora solo parzialmente l’insegna- mento in classe, la disponibilità della tecnologia necessaria e delle quali- fiche degli insegnanti per l’insegna- mento a distanza rimane una sfida.

Allo stesso modo, il governo italiano si pone anche la questione del reclu- tamento degli insegnanti, della dispo- nibilità di dispositivi per le famiglie

a basso reddito e di materiali per il curriculum dell’educazione digitale.

Questi fattori indicano che i livelli di istruzione e i tassi di alfabetizzazione delle giovani generazioni saranno ine- vitabilmente compromessi. Di conse- guenza, anche la crescita economica e la prosperità della generazione futura sono a rischio.

Un altro esempio preoccupante della crescente frattura tra le generazioni è rappresentato dalle manifestazioni popolari e dal malcontento dovuto alle difficoltà economiche e alle cre- scenti disuguaglianze. In Asia centrale le manifestazioni portano anche l’e- lemento politico di insoddisfazione generale nei confronti delle autorità.

Così, dopo le manifestazioni e i vio- lenti scontri dopo le recenti elezioni dell’ottobre 2020 in Kirghizistan, gli edifici del governo sono stati seque- strati e il governo e il presidente si sono dimessi. In tutta Italia il malcon- tento per le politiche di restrizione del governo si è scontrato anche con le for- ze di polizia. Lo scoppio di violenze e manifestazioni è indice dell’atmosfera di tensione che le nostre società stan- no vivendo e di quanto sia percepibile il disagio delle giovani generazioni.

Trovare la via d’uscita dall’isolamento nazionale potrebbe allentare tali ten- sioni. Tuttavia, con i promettenti ri- sultati dei test sui vaccini, ci troviamo ora di fronte a un’altra questione: su a chi dare priorità. Proteggere le perso- ne vulnerabili allenterà la tensione sul sistema sanitario, ma la vaccinazione dei giovani garantirà il ritorno alla normalità e a un’economia funzionan- te. Il rapporto dell’OCSE sull’impatto di COVID-19 sui giovani sottolinea l’ap- plicazione di una lente intergenera- zionale sulle politiche governative per il futuro. Fornisce anche una serie di linee guida e suggerimenti affinché gli Stati siano consapevoli dell’impat- to sui giovani e sulle generazioni più anziane per gli anni a venire, dato che il mondo sta affrontando la pande- mia. Si tratta di un messaggio cruciale a cui prestare attenzione da parte di un’organizzazione internazionale che si concentra sull’economia e lo svilup- po e che opera in diversi Paesi. Da qui l’importanza di questo tema non solo per la comunità degli esperti, ma an- che per il pubblico in generale.

In questi mesi di lotta contro il virus, abbiamo imparato molto su di esso e alla fine sapremo come curarlo, ma i problemi sociali che la situazione sve- lata potrebbe rimanere con noi più a lungo e avere un effetto molto più profondo. Così, l’attuale pandemia ha dimostrato l’urgente necessità di una maggiore cooperazione internazio- nale nella lotta per contenere e com- battere il virus, e ancora di più che le società si uniscano per mantenere la coesione sociale e la prosperità econo- mica per tutti.

Aliya Tskhay è ricercatrice accademica presso la University of St Andrews in UK.

DOSSIER: COVID E GAP GENERAZIONALE

Anche se il numero di casi tra le diverse

fasce d’età varia enormemente da Paese

a Paese, il divario tra anziani e giovani si

amplierà in base a fattori socio-economici.

La pandemia compromette i livelli di istruzione e i tassi di alfabetizzazione

delle giovani generazioni e anche la crescita economica

e la prosperità della generazione futura

sono a rischio.

(ats ans) L’Ue “vuole andare online, ma lo vuole fare secondo i propri valori. Non presentiamo un pacchetto ideologico, di sinistra o di destra, ma la possibilità di giocare secondo le regole. Nessuno vuole stabilire il ministero della Verità, ma vogliamo spingere le piattaforme ad assumersi le responsabilità per quanto pubblicano e ad intervenire”.

Così la vicepresidente della Commis- sione Ue Vera Jurova presentando il piano d’azione sulla democrazia, che in larga parte si rivolge al mondo digitale, per affrontare la disinformazione, le in- terferenze dei Paesi terzi, l’applicazione di regole nelle competizioni elettorali ed il terrorismo.

Il piano punta a promuovere elezioni li- bere ed eque, contrastare la disinforma- zione online e le interferenze straniere, e sostenere media indipendenti. Nel 2021 la Commissione proporrà misure

legislative sulla trasparenza della pub- blicità politica per chiarire le respon- sabilità delle piattaforme online, degli inserzionisti e degli sponsor di conte- nuti a pagamento e rivedrà le norme sui finanziamenti ai partiti politici Ue.

Sul piano della lotta alla disinforma- zione, Bruxelles sta pensando all’in- troduzione di sanzioni finanziarie ad attori stranieri. Nella primavera 2021, l’esecutivo Ue rivedrà il codice per la disinformazione con l’obiettivo di farne un quadro di co-regolamentazione de- gli obblighi e delle responsabilità delle piattaforme online.

Sempre l’anno prossimo, l’Ue presen- terà una raccomandazione per tutelare la sicurezza dei giornalisti e misure per la trasparenza della proprietà dei mez- zi di informazione e dei finanziamenti statali. La strategia sarà implementata gradualmente, entro il 2023.

Riferimenti

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