Corriere
dell’ italianità
ANNO LIX - N. 34 - 3 novembre 2021 Weberstr. 10 AZA 8004 ZURIGO POST CH AG
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in continuità con il Corriere degli Italiani per l’italianità
Italiani in Svizzera e Svizzeri che amano gli Italiani
Culture che si incontrano
di Romeo Ricci
Sono 660 mila oggi gli Italiani residenti in Svizzera. A loro si aggiungono i 60 mila frontalieri, che lavorano nel Can- ton Ticino e in parte nel Canton Grigioni. Sono sempre più amalgamati nel tessuto sociale della Confederazione e, an- che se c’è ancora da fare, sembrano lontani i tempi in cui gli italiani erano “estranei indesiderati”. Fotografa bene la situa- zione il saggio “Gli italiani in Svizzera, prima precari e
poi inseriti”, firmato da Franco Pittau, Giuseppe Bea, Ales- sia Montuori e Michele Schiavone, che si interroga sul futu- ro. Perché se gli Svizzeri riconoscono la forza del contributo del lavoro italiano al benessere svizzero, alcuni provano una sensazione di “disturbo”. Non fa parte di quest’ultima catego- ria lo scrittore svizzero tedesco Pedro Lenz, che proprio nel mix culturale ha trovato la sua strada. (...)
CONTINUA A PAGINA 5 Giovanni Piancastelli. Emigrazione dell’Agro Romano- Partendo. Olio su legno
Arte contemporanea. Una ripresa senza precedenti
Donne, strutture e mediatici vespai
Economia dell’arte
SI CERCANO POLEMICHE O SOLUZIONI?
di Laura Torretta
Del tutto a sorpresa, nel primo semestre del 2021 il mercato dell’arte internazionale è riuscito a ritrovare il suo brio: sono stati realizzati 6,9 miliardi di dollari, il 3% in più rispetto al primo semestre 2019 (il 2020 non è classificabile).
È quanto emerge dal rapporto di ARTPRICE, dipartimen-
to di Artmarket, banca dati francese creata nel 1987 da Thierry Ehrmann.
Questa performance è rassicurante, anche se la crisi dovu- ta alla pandemia sta ancora paralizzando tutti i segmenti del mondo culturale e costituisce una fonte di notevole incertezza sul breve termine. (...)
CONTINUA A PAGINA 3
di Alessandro Sandrini
Avrò avuto 7 o 8 anni e non avevo idea di cosa potesse acca- dere in conseguenza di una mia leggerezza.
Armato di fionda girovagavo per i campi della bassa veronese dove vivevano i miei nonni, cercando invano di colpire qual- che passerotto in volo. Una volta mirai a un bussolotto posto
su un palo di una recinzione. Cilecca al primo colpo, mi av- vicinai e al secondo fu centro. Mal me ne incolse. Fui assalito da un’orda di vespe che cominciarono ad infierire sulla schie- na. Per fortuna ero vicino a casa e mia nonna e una vicina mi salvarono. Avevo scatenato un vero vespaio, senza volere.(...) CONTINUA A PAGINA 4
Un Paese a misura di chi?
EDITORIALE
di Rossana Cacace
Con voto segreto, con 154 voti favo- revoli, 131 contrari, e due astenuti, il Senato italiano ha respinto definiti- vamente il DDL Zan.
Il disegno di legge (che prende il nome dal suo creatore, il deputato del PD Alessandro Zan) contro l’o- motransfobia, che reca misure di prevenzione e contrasto della discri- minazione e della violenza per sesso, genere o disabilità, non potrà più es- sere riproposto. Un nuovo DDL con un tema analogo dovrà aspettare sei mesi per essere trattato in Senato.
Dopo la notizia della bocciatura del DDL Zan da parte dei senatori- il te- sto era stato approvato alla Camera nel novembre 2020, ricordiamolo- a Milano è stato organizzato un flash mob: diecimila persone, all’Arco del- la Pace, hanno protestato, tra le altre cose, contro la “scollatura tra la gente e la politica”.
C’è da dire anche che, secondo un sondaggio effettuato da Ipsos sul tema, l’opinione pubblica non si di- mostra compatta: se il 59% degli ita- liani intervistati afferma di conoscere i temi trattati dal disegno di legge e il 54% dichiara che esiste un problema di discriminazione, una buona fetta- il 30%- afferma di non saperne nulla e di non averne mai sentito parlare.
Alla domanda “A suo parere il DDL Zan, che prevede di estendere le pene previste per i reati di razzismo anche agli atti di discriminazione o violenti per motivi fondati sul genere, sull’o- rientamento sessuale o sull’identità di genere…?” il 49% degli intervistati ha risposto che è una legge giusta e utile in Italia, mentre per il 31% è una leg- ge sbagliata in quanto le discrimina- zioni sono già sanzionate dalle leggi vigenti. Il restante 20% ha preferito non rispondere.
Poi c’è il governo, che celebra la gran- de ripresa e parla di nuove opportuni- tà. Dopo l’approvazione della legge di bilancio 2022 (che prevede pensioni con Quota 102, novità per il Reddito di cittadinanza, superbonus edilizi, decontribuzione degli affitti per gli under 31 e ulteriori misure espansive e di crescita) da parte del Consiglio dei Ministri, il presidente Mario Draghi in conferenza stampa ha dichiarato:
«È una legge espansiva, accompagna la ripresa. Si agisce sia sulla doman- da, ma anche sull’offerta: tagliamo le tasse, stimoliamo gli investimenti.
Abbiamo dato priorità agli interven- ti che stimolano la crescita, in primis quelli a favore di giovani e donne».
Ecco, i giovani. Una mia amica, (ot- tima) insegnante ha raccontato: “li pratico da 38 anni i giovani e ho una vetrina molto chiara delle loro esi- genze e malesseri, che mi prodigo ad ascoltare. Uno studente mi ha chiesto
‘posso scrivere nei testi nominando- mi al femminile? io mi sento così!’ e di queste storie ho lunga lista”.
“Il benessere , ha aggiunto- non con- siste solo in lavoro e progetti, ma an- che e soprattutto in serena identità sessuale, che porta ad una crescita consapevole ed armonica”. Ecco, io non saprei dirlo meglio di così.
Consolati piÙ vicini ai cittadini.
È possibile?
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Riceviamo e pubblichiamo una lettera indirizzata al Direttore, che pone l’attenzione sul dibat- tito -molto vivo sulla stampa dell’emigrazione-, che ha come oggetto la crisi dei consolati ita- liani. Come rimediare a tutto ciò?
Come entrare in reale sintonia con i cittadini? Servono davvero ingenti finanziamenti e nuove norme, oppure il nodo della que- stione è soprattutto di natura or- ganizzativa?
di Patricia Schoch
L’uguaglianza di genere riguar- da tutti noi, donne e uomini. Ne è convinta la Rosenkranz che, in qualità di responsabile della comunicazione e dell’ammini- strazione di Travail.Suisse e di socio Syna, è stata scelta come rappresentante alla sessione delle donne di Berna. «Ritengo il sindacato uno dei movimenti sociali più importanti», afferma e spiega i punti cardine del suo intervento.
I diritti delle donne.
Intervista a Linda Rosenkranz
7
Vaccini. La terza dose perch É e per chi 7
Con un linguaggio diretto, Tanja Stadler, presidente della Task Force Covid-19 del Consiglio fe- derale, ha fatto notare che 1,6 milioni di persone in Svizzera non sono ancora vaccinate: il rischio di un sovraccarico de- gli ospedali è reale, col perico- lo di un calo della qualità delle cure, sia per i malati di Covid, sia per tutti gli altri. Insomma, un inasprimento delle misure, che nessuno vuole, non è una cosa impensabile. Intanto per gli immunizzati si parla della terza dose che, come Stadler ha sot- tolineato, è stata decisa poiché si è notato, per la Svizzera, che il tasso di copertura in ottobre è sceso tra gli ultraottantenni al 73-87%, rispetto all’89-94% del mese precedente. Si presume che ciò accadrà anche tra le per- sone dai 65 anni: una terza dose potrebbe evitare da 10 a 20 mila ricoveri.
di Giorgio Marini
“Nonostante il mio lavoro, ho sempre vissuto lì”, spiega Luciano Ligabue. Lì “significa” Correggio, la città in provincia di Reggio Emilia dove il cantautore è nato e cresciu- to. Una docu-serie, dal titolo LIGA- BUE - È Andata Così, disponibile in esclusiva su RaiPlay, racconta la sua vita. Nella nostra intervista l’ar- tista ci parla di crisi, di rinascita e di futuro. Tra palco e realtà.
Luciano Ligabue,
30 anni di carriera 16
2 PRIMO PIANO
Mercoledì 3 novembre 2021Settimanale di lingua italiana in Svizzera www.corriereitalianita.ch
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Pandemia
A ruota libera
Anche in Svizzera si farà la terza dose di vaccino. Perché e per chi
Vaccino sì, vaccino no.
Opinioni e proposte
di Redazione
Via libera, in Svizzera, alle iniezioni di richiamo contro il Sars-CoV-2, det- te anche boosters-shots. Lo ha deciso martedì 26 ottobre l’autorità per l’o- mologazione e il controllo dei medica- menti Swissmedic. Secondo quanto ha dichiarato ai media il presidente della Task force Tanja Stadler, la vaccina- zione di richiamo potrebbe prevenire fino a 20.000 ricoveri. Ma, almeno al
momento, non riguarda tutti. Vedia- mo di fare chiarezza.
Per la maggior parte dei vaccini anti Sars-CoV-2, il richiamo è una con- seguente terza dose di vaccino. Nel- lo specifico, per il vaccino mRNA di Moderna, dovrebbe essere iniettata una mezza dose, per quello Pfizer/
Biontech, invece, una dose intera. Per Jannsen, il preparato della Johnson &
Johnson, si tratta, invece, di una secon- da dose.
di Angela Cosentino
Che confusione!! Vaccino sì, Vacci- no no, libertà, dittatura e chi più ne ha più ne metta. Non voglio unirmi al coro, già ricco e variegato, che ci accompagna quotidianamente attra- verso i media, ma voglio esprimere, umilmente il mio parere.
Prima di tutto, a dire la verità, intima- mente siamo tutti “no vax”: infatti chi, spontaneamente, senza una ragione più che valida, vorrebbe farsi inietta- re “qualcosa” di cui si conosce poco?
Ma c’è il Covid 19, una malattia di cui
poco si parla, al contrario dei vaccini, contro cui bisogna premunirsi e for- tificarsi.
“Io voglio morire, ma non così “ e se- condo me l’idea portante che dovreb- be aiutare tutti a convincersi che il vaccino, al di là dell’incertezza, al di là del “balletto” tra una dose, due dosi, tra Pfizer, Johnson & Johnson, Astra- zeneca, Moderna e così via, è necessa- rio a proteggerci.
Certo siamo sempre là: l’informazio- ne è latente, ci sono tante voci, a volte attendibili, per lo più che ci confon- dono. E allora io dico: perché non ri-
cordarci che siamo cives- cittadini, che chi ci governa deve informare noi che chiamiamo loro il potere, che dobbiamo pretendere un’in- formazione seria, professionale, attraverso riunioni, assemblee dove tutti possono esprimere dub- bi, incertezze, perplessità e dove qualcuno sia in grado di fare luce sulla questione.
Riprendiamo ad agire nei quartieri, ritorniamo ai confronti personali, prendiamo anche noi coscienza atti- va, “diventiamo consapevoli e pro- tagonisti”.
Relativamente al mix vaccinale, ov- vero prima dose con un vaccino e se- conda dose con un altro, le autorità elvetiche non si sono ancora espresse.
Tuttavia, sulla base dell’esperienza di altri paesi – come gli Stati Uniti – non sembrano esserci ragioni valide per ri- fiutare la vaccinazione incrociata.
Perché una dose in più. Il booster viene somministrato per rinfrescare la memoria immunologica delle persone che sono già state vaccinate e prevenire
così decorsi gravi della malattia. Come infatti è emerso, ci sono contagiati an- che tra coloro che sono stati vaccinati due volte. «Gli ultimi dati dello studio indicano che una dose supplementare può aumentare la capacità di formare anticorpi contro il Covid, soprattutto nei pazienti con un sistema immunita- rio indebolito», ha scritto Swissmedic.
A chi viene consigliato il richiamo?
Il Consiglio federale lo raccomanda alle persone oltre i 65 anni di età, in particolare ai residenti delle case di ri- poso e di cura e agli anziani con gravi malattie croniche. I soggetti con pre- esistenti condizioni cardiache o pol- monari, ma anche i diabetici, possono anche ricevere un richiamo, dall’età di 12 anni. Quali tempi devono essere osservati? Una terza dose può esse- re somministrata alle persone con un sistema immunitario indebolito dopo almeno 28 giorni. Per le persone anzia- ne o i pazienti a rischio, una terza vac- cinazione è indicata almeno sei mesi dopo la seconda dose secondo le in- formazioni diffuse da Swissmedic. An- che in precedenza, una terza dose era raccomandata per le persone con un sistema immunitario indebolito o con malattie gravi. Va però specificato che per le persone gravemente immuno- compromesse la terza dose non è una vaccinazione di richiamo, ma piutto- sto parte dell’immunizzazione di base.
È possibile che in futuro i vaccini ven- gano adattati a varianti di virus mo- dificate, come avviene per i vaccini antinfluenzali. Al momento, tuttavia, i vaccini destinati al richiamo sono
identici a quelli somministrati finora.
Anche con una vaccinazione di richia- mo, non si può raggiungere il 100% di protezione vaccinale contro il Sars- CoV-2, ma al massimo una protezione superiore al 90%.
Per quanto riguarda il certificato Co- vid e il suo periodo di validità, l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica della Confederazione Svizzera (UFSP) ha fatto sapere che la validità del docu- mento viene prolungato di un anno dopo la somministrazione della dose di richiamo. Secondo l’UFSP e la Com- missione federale per le questioni di vaccinazione (CFV), le raccomanda- zioni dettagliate saranno pubblicate prossimamente. Quello che è noto, attualmente, è che tutte le perso- ne idonee potranno registrarsi per la vaccinazione di richiamo dall’i- nizio di novembre ed effettuarla a partire a partire da metà dello stes- so mese di novembre. L’UFSP ha an- nunciato che le prime vaccinazioni di richiamo saranno somministrate con ogni probabilità nelle case di riposo.
Intanto dall’8 al 14 novembre è previ- sta in tutta la Svizzera una settimana della vaccinazione, accompagnata dal motto “Insieme per uscire dalla pande- mia”. Come sottolineato dalla Stadler, infatti, 1,6 milioni di persone in Svizze- ra non hanno ancora ricevuto la prima dose di vaccino.
Manifesto pro vaccino in Francia. A ogni vaccinazione la vita ricomincia il suo corso, si legge.
Mercoledì 3 novembre 2021
PRIMO PIANO 3
Economia dell’arte
LETTERA AL DIRETTORE
Arte contemporanea.
Una ripresa senza precedenti
di Laura Torretta
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (...)
Ma gli operatori sono riusciti comun- que a generare un fatturato equiva- lente alla media dei dieci anni pre-
Caro Direttore,
sulla stampa dell’emigrazione è in corso in queste settimane un vivace dibattito sulla crisi dei consolati ita- liani e sulle misure di carattere eco- nomico e normativo atte a frenarne il definitivo tracollo.
Tra gli altri, è possibile leggere gli in- terventi di parlamentari, esponenti del CGIE, membri dei Comites, ex Sot- tosegretari di Stato, i quali tutti sol- lecitano urgenti interventi a sostegno dell’attività consolare. In un contesto così lodevolmente attivo, non è dato conoscere tuttavia la posizione della Farnesina, che appare stranamente silenziosa.
Nella mia impressione, le invocate misure finanziarie, pur necessarie, e, forse, ormai indifferibili, difficilmen- te riusciranno a risolvere il problema di fondo del servizio consolare che, in larga misura, è problema di natu- ra squisitamente organizzativa. Per venire incontro alle esigenze dei cit- tadini, non occorre emanare nuove circolari, e non occorrono neppure massicci investimenti finanziari, oc- corre bensì cambiare l’organizzazione del lavoro, calibrando i moduli lavora- tivi sulle esigenze degli utenti. Se non si coglie questo punto, tutto il discor- so sul riscatto dei consolati rischia, secondo me, di girare a vuoto. Perciò,
è da auspicare la digitalizzazione di tutte le postazioni lavorative, a co- minciare dagli sportelli di ricevimento del pubblico, che vanno aperti al pub- blico cinque giorni su sette, mattina e pomeriggio. In questo ambito, urge poi annullare l’infausto obbligo delle prenotazioni on- line, un obbligo che ha generato finora soltanto liste di at- tesa. Spetta perciò ai diplomatici un compito strategico: quello di diventa- re gli attori del cambiamento.
È triste dover osservare quanto sia grande in questi mesi lo spazio dedi- cato al tema dello ‘‘smart working’’ e al correlato benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, mentre quasi non si parla dei gravi disagi arrecati ai cit- tadini.
Che il tema organizzativo sia, del re- sto, di centrale importanza, lo si può dedurre, sia pure indirettamente, dai moduli lavorativi adottati con indi- scusso successo da Poste Italiane, un modello di organizzazione del lavo- ro, quello delle Poste, che si presenta come rispettoso delle esigenze e delle aspettative di cittadini e utenti e a cui gli uffici consolari potrebbero util- mente ispirarsi.
Non diversamente dalle Poste, anche il Consolato generale di Zurigo, dal 2015 al marzo del 2020, aveva intro- dotto moduli lavorativi centrati sui bisogni dell’utenza, un esperimento di successo, che il Covid ha poi dissi- pato.
Gerardo Petta cedenti la pandemia (1° sem. 2010
- 1° sem. 2019), vale a dire a partire dall’irruzione della Cina sul mercato dell’arte internazionale.
La ripresa si rivela tranquillizzante dal momento che si basa su un nume- ro record di transazioni: nell’arco di 6 mesi sono state aggiudicate 288.500
opere, in percentuale il 5% in più ri- spetto allo stesso periodo del 2019, visto che il 2020 è da cancellare. L’au- mento più sensibile (almeno il 13%) si è evidenziato nel settore delle opere più accessibili (tra mille e ventimila dollari), ma in generale l’intensità della domanda è stata confermata dalla percentuale di “invenduto”, de- cisamente inferiore ai valori abituali.
Il settore che più ha resistito alla crisi è quello dell’arte contempo- ranea, grazie a una strategia d’of- ferta sempre più variegata, più abbordabile, orientata in particola- re verso i comparti della fotografia e delle stampe, che si prestano in modo particolare alle vendite on line.
“Dopo il panico del marzo 2020, il blocco immediato delle vendite pubbliche e la successiva attivazione delle transazioni digitali per cercare di controbilanciare la forzata chiu- sura delle gallerie e delle case d’asta, il mercato dell’arte contemporanea, comprendente dipinti, sculture, in- stallazioni, disegni, fotografie, stam- pe e video d’artisti ‘del nostro tempo’, vale a dire nati dopo il 1945, aveva re- gistrato una flessione del 34% - pre- cisa Ehrmann, Ceo di ARTPRICE - ma la ripresa che ne è seguita nei primi sei mesi di quest’anno sta portando verso un record storico tanto in ri- sultati d’affari quanto in numero di vendite”.
In effetti, sono senza precedenti i 2,7 miliardi di dollari prodotti dall’esitazione di oltre 100mila opere firmate da 34.600 artisti contemporanei.
Quali le ragioni di questo inaspettato exploit?
In primo luogo, i ripetuti, strepito- si prezzi ottenuti da giovanissimi artisti, ma soprattutto l’eclatante debutto degli NFT, autentici ciclo- ni piombati sul mercato come dei veri e propri oggetti misteriosi. Non sono infatti opere d’arte, ma at- testati crittografici, unici e non riproducibili, “contenuti” in una blockchain, struttura dati condi- visa e “immutabile”. In ultima ana- lisi sono certificati di autenticità di un’opera, un video, un file di testo o un file musicale. Almeno al momento attuale non rappresentano una gran- de innovazione artistica, costituisco- no piuttosto un nuovo segmento di mercato.
L’esordio ha fatto un gran rumore. E non poteva essere altrimenti dal mo- mento che The first 500 days (2021) di Beeple, un artista praticamente sco- nosciuto sul palcoscenico mondiale dell’arte (nessuna galleria, nessuna mostra e nessun risultato d’asta), ma con un bagaglio di alcuni milioni di follower su Instagram e il supporto di Christie’s, è stato acquistato per 69 milioni di dollari , quando il suo prezzo iniziale era di appena 100 dol- lari ,da Vignesh Sundaresan, giovane imprenditore indiano attivo a Singa- pore, conosciuto anche come Meta- Kovan.
Non è stato un episodio isolato, altri NFT, dopo questo esito stratosferico offerti all’asta da Sotheby’s e Phil- lips, hanno quotato cifre impensa- bili. Sono risultati che riflettono il desiderio di stravolgere l’ordine pre- stabilito. Sempre secondo Artprice,
“oggi come oggi coesistono due mercati dell’arte: uno organico, l’altro rivoluzionario. Il primo è tradizionale e tiene conto della storia dell’arte, con i suoi codici, i suoi mu- sei, le sue gallerie, le sue fiere, le sue biennali, mentre il secondo rispec- chia un mondo che sta attraversan- do una profonda riorganizzazione, che contesta la “storia ufficiale” con movimenti quali #metoo e #blackli-
vesmatter ed è chiaramente orienta- to verso le numerose sfide future in ambito politico, climatico, sanitario e tecnologico”.
E anche se la distinzione tra “vecchio”
e “nuovo” mercato dell’arte appare soltanto teorica, i collezionisti sem- brano avere fretta di investire in ciò che si potrebbe definire il “Mercato dell’arte 2.0” (ma questo vorrebbe dire fare a meno delle gallerie), molti artisti sono intenzionati a beneficia- re della trasformazione digitale del mercato dell’arte, e le case d’asta mo- strano impazienza di poter recitare la parte di protagoniste di questo pro- cesso “rivoluzionario”.
Tra tutte, si è messa in evidenza Chri- stie’s che, come sottolinea Guillaume Cerutti, Chief Executive Officer, gra- zie al fatto di essersi abilmente adat- tata alla critica situazione che si è venuta a creare a seguito della pande- mia, per il primo semestre denuncia un totale complessivo di 3,5 miliardi di dollari, il secondo miglior risultato degli ultimi sei anni.
La società ha aggiudicato 7 dei lavori più costosi del semestre, da Femme assise près d’une fenêtre di Picasso, blue chip venduta in maggio a New
York per 103 milioni di dollari a War- rior di Basquiat acquistato per 41,9 milioni di dollari via livestream da un operatore di Hong Kong. Anche la sede italiana ha raggiunto risultati soddisfacenti.
A gennaio sono stati lanciati sulla piattaforma online italiana due nuo- vi formati di asta. Celebrando lo stile senza tempo e il glamour del design italiano, Jewels & Watches Online: La Dolce Vita ha totalizzato €1.260.875, raggiungendo il 159% della stima pre-asta, mentre Mapping Modern and Contemporary Art ha stabilito un nuovo record per Bomba di Pino Pascali. Il successo di questa mani- festazione si è ripetuto in aprile con la vendita online REBORN: Modern and Contemporary che ha realizzato eccezionali performance, vendendo il 95% dei lotti ed il 100% del valore pre-asta. E a novembre è program- mata l’asta 20th/21st Century Art: Mi- lan Sale, un incanto dal vivo abbinato a una vendita online.
Nell’ambito delle aste internazio- nali di Christie’s sono state vendu- te numerose opere d’arte italiane.
Tra tutte, il raro Concetto Spaziale bianco di Lucio Fontana, aggiudicato a Londra a giugno per £ 2.9 milioni da una stima iniziale di £1.4 milioni.
Come tendenza generale va sot- tolineata la formidabile apertura del mercato verso Est. Se Christie’s comunica che gli acquirenti asiatici hanno contribuito per il 39% alle sue vendite, anche Sotheby’s, Phillips, Poly et China Guardian, hanno rea- lizzato a Hong Kong brillantissime quotazioni e non soltanto per artisti occidentali noti, quali Jean Michel Basquiat o Richard Prince. La vecchia colonia britannica, ormai seconda piazza del mercato si avvia a diventa- re il nuovo hub dell’arte contempora- nea, faccia a faccia con New York.
Warrior (1982) di Jean Michel Basquiat - Courtesy of Christie’s
Femme assise près d’une fenêtre (1932) di Pablo Picasso - Courtesy of Christie’s
The first 500 days (2021) di Beeple - Courtesy of Christie’s
4 DOSSIER
Mercoledì 3 novembre 2021Si cercano polemiche o soluzioni?
Donne, strutture e mediatici vespai
di Alessandro Sandrini
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (...)
È sintomo di vecchiaia il riaffiorare di antichi ricordi, ed essi riemer- gono più vivi quando certi odierni vespai vengono amplificati dai vari social media.
È il caso del vespaio voluto e scatena- to da un’intervista di Alessandro Barbero a margine della presen- tazione di una serie di lezioni su alcune donne nella storia come Caterina di Russia, Madre Teresa di Calcutta e Nilde Iotti.
Alla domanda dell’intervistatrice sul perché “le donne faticano tanto non solo ad arrivare al potere, ma anche ad avere pari retribuzione o a fare carriera”, Barbero risponde da storico: “Di fronte all’enorme cam- biamento di costumi degli ultimi cin- quant’anni, viene da chiedersi come mai non si sia più avanti in questa direzione”. Qui Barbero prende sas- so e fionda, mira e centra in pieno il nido di vespe: “Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena chiedersi se non ci siano diffe- renze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più dif- ficile avere successo in certi campi.
È possibile che in media, le donne manchino di quella aggressività, spavalderia e sicurezza di sé che aiu- tano ad affermarsi? Credo sia inte- ressante rispondere a questa doman- da. Non ci si deve scandalizzare per questa ipotesi, nella vita quotidiana
si rimarcano spesso differenze fra i sessi. E c’è chi dice: «Se più donne fa- cessero politica, la politica sarebbe migliore». Ecco, secondo me, proprio per questa diversità fra i due generi”.
E aggiunge che se la colpa è la resi- stenza degli uomini “è solo questio- ne di tempo, ancora qualche gene- razione consapevole e la situazione cambierà”. Apriti cielo!
Ancora una volta quegli untori vi- rali che sono i social network han- no gettato benzina sul fuoco e, con nostrana espressione giornalistica, infiamma la polemica.
Conoscendo Barbero varrebbe la pena riflettere sulle sue domande, che non sono affermazioni (!). Ma si sa, post e cinguettii non aiutano a porsi domande, tanto meno a ri- flettere.
Lasciamo stare le ruffianate di un noto giornalista che da oltreoceano dice di temere da Barbero “interven- ti sulla razza”, e la cialtroneria di un politico in auge che lo definisce come uno “storico capace che dice castronerie di proporzioni cosmiche senza vergognarsene”, domandosi pure “cosa stia accadendo agli intel- lettuali in questo paese. Sembrano diventati tutti Cacciari”. Peccato che il mio collega preside del Mamiani vi abbia preso servizio troppo tardi.
La suscettibilità delle donne su que- sto tema è nota, e comprensibile.
Ma spesso succede che non si com- prenda il senso del discorso. È vero, si tratta di una generalizzazione, e più che di “differenze strutturali tra
i sessi bisogna soffermarsi sulle di- versità sociali e culturali”, consiglia una sottosegretaria. Un’altra parla di “provocazioni”, e “quando que- ste travalicano i limiti della dignità delle persone e, in particolare delle donne, allora diventano inaccetta- bili”, auspicando che “certi dirigenti e accademici misogini e ancorati a una visione patriarcale delle aziende e della società” vadano “pensionati per far spazio ad una reale parità sa- lariale e lavorativa”.
Gaia Tortora del TgLa7 dà ironica- mente ragione a Barbero: “Le dif- ferenze strutturali ci sono. È scien- tificamente provato. Ma sono nei neuroni. Voleva solo dimostrarlo”.
Come dargli dell’imbecille. Altre notano una “gara a chi la spara più grossa”, e Maria Cafagna chiosa con malinconia: “Niente, abbiamo perso pure Barbero”. Perché? A chi appar- teneva?
In epoca d’indolenti conformismi e di paranoici anticonformismi, a Barbero dobbiamo riconoscere il co- raggio di dire quello che pensa, con garbo e, da accademico, con il soste- gno di dati storici. Sull’argomento
“Donne nella storia” Barbero ha fat- to alcune lezioni online e in presen- za, senza mai suscitare polemiche, ma anzi, guadagnandosi l’apprezza- mento di molti.
Il fatto è che un argomento così drammatico avrebbe bisogno di tempi e luoghi diversi, e di un pubblico preparato, non quello che cinguetta e sentenzia su tut- to.
Riprendo la fionda: che ci siano dif- ferenze strutturali è indubbio, pur in questi tempi dove generi e sessi
sono alquanto osmotici e sfumati.
Questo non è contro le donne.
Non c’è bisogno di aver studiato antropologia per comprendere che molte sovrastrutture culturali conti- nuino ad infettare la struttura dell’u- manità, in quasi tutte le epoche, in quasi tutte le parti del mondo.
Per quanto ci riguarda il modello di sviluppo del mondo occidentale non aiuta né le donne a uscire dal ghetto di sante o puttane, né i ma- schi da quello degli uomini che non devono chiedere mai. Basta guarda- re la pubblicità: anche le donne che paiono aver raggiunto posizioni di alto livello, finiscono per mostrare gambe lunghissime appena fasciate da minigonne ascellari. E gli uomi- ni? Sempre forti, volitivi e, come dice Barbero, spavaldi e aggressivi.
Ad essere sbagliato è il sistema so- ciale e culturale che ha la spavalde- ria e l’aggressività come valori per affermarsi, e questo non può che avere riflessi dal punto di vista strut- turale. Tutti noi, donne e uomini, subiamo un continuo e sottile la- vaggio del cervello, fin da piccoli, con bambole e pistole, per esempio.
Tutti noi sappiamo quanto sia diffi- cile uscire da queste sovrastrutture e quanto le donne debbano faticare ogni giorno per avere successo senza essere spavalde, aggressive e sicure di sé come gli uomini.
Nelle domande di Barbero io leggo invece un’amara considerazione sul- lo stato delle cose e, nella mediati- ca levata di scudi di molti, la solita imbarazzante strumentalizzazione di chi fa del vittimismo, renden- dolo, di fatto, un tratto del caratte- re femminile. L’onorevole Concia vede nell’assassino di Elena Casa- nova, straziata dall’ex compagno,
“un esempio di uomini spavaldi che in modo arrogante ha avvisato tut- ti che avrebbe ucciso questa donna.
E lo ha fatto senza che nessuno lo abbia fermato. Spavaldo lui, spaval- do chi non lo ha fermato?”. Ma che c’entra?
È vero. Come io con il bussolotto delle vespe, anche Barbero poteva evitare.
Così la pensa Natalia Aspesi, “ma protestare è l’ennesima perdita di tempo. A me fa piacere non esse- re aggressiva - continua la Aspesi sull’Huffpost - non lo ritengo un in- sulto: non so se in quanto donna o in quanto persona educata”. “È vero che siamo diversi. E menomale. Basta os- servare il comportamento dei bambi- ni attorno ai tre anni per rendersene conto. Non so dirle perché ma i ma- schietti giocano alla lotta, mentre le bimbe alla stessa età sembrano più grandi. Li muove un istinto dif- ferente, di cui non hanno coscienza.
Non so cosa volesse dire Barbero con
‘differenze strutturali’, ma è certo che uomo e donna non sono diversi soltanto dal punto di vista biologico.
Purtroppo, le donne hanno la strana abitudine di pensare che se qualcuno dice loro che sono diverse dagli uo- mini stia sottintendendo che questi siano migliori di loro. È un vittimi- smo che non riesco a comprendere…
Le donne dovrebbero chiedersi cosa fanno come educatrici e cosa fanno in politica”.
Alla fine dell’anno scorso su queste pagine avevamo salutato l’avvento di Kamala Harris come una nuova opportunità per il mondo. Le donne afghane che non vogliono obbedire sono ancora lì che aspettano.
Lo storico Alessandro Barbero al Festival del Medioevo 2017 ph Daniela Querci
Nilde Jotti, la prima donna in Italia a ricoprire il ruolo di presidente della Camera dei deputati, incarico che ricoprì per quasi 13 anni
Ritratto di Caterina II di Russia, realizzato da V.Eriksen (1766-7, Statens Museum for Kunst, Denmark).
Fu imperatrice di Russia dal 1762 alla morte. Kamala Harris
Mercoledì 3 novembre 2021
DOSSIER 5
L’emigrazione, il rapporto con le proprie origini, la cultura. Intervista allo scrittore svizzero tedesco Pedro Lenz
“Ho imparato l’italiano nei cantieri, da ragazzo”
di Romeo Ricci
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA (...)
Pedro Lenz è svizzero tedesco, vive a Olten, e in svizzero tedesco scrive:
come se parlasse, a dire il vero, per- ché i suoi romanzi sono racconti orali messi su carta, storie che della narra- zione parlata hanno ritmo e musicali- tà. Ma se la cava anche con l’italiano, imparato da giovane muratore grazie alla presenza di tanti colleghi arriva- ti dall’Italia, negli anni 80. Con una facilitazione: le origini spagnole della madre, che spiegano il suo nome.
Primitivo è il suo nuovo romanzo, che arriva dopo il grande successo dei pluripremiati In porta c’ero io! e La bella Fanny. È appena uscito in lin- gua italiana, per le edizioni Gabriele Capelli (Mendrisio), con la brillante traduzione di Amalia Urbano. Il let- tore si trova davanti a una storia di formazione, ambientata a Langen- thal nel Canton Berna, proprio negli anni 80: profonda, toccante, spesso divertente. L’intensità della ricerca di identità e di senso del protagonista, il giovane Charly, si unisce a una capace ironia, un’osservazione originale del mondo che l’autore mostra attraverso lo sguardo di un diciassettenne.
Quanto c’è della tua vita nella vi- cenda di Charly? Anche la madre del protagonista del romanzo è spagnola; anche lui ha interrotto gli studi preferendo il lavoro, cer- ca di capire, di emanciparsi attra- verso la cultura e le letture.
“In questo romanzo c’è moltissimo della mia storia personale, come in tutti i miei libri: sono romanzi, con- tengono parti di fantasia natural- mente, ma io non sono uno scrittore che inventa le sue storie, mi baso sul- la mia esperienza. Anche io, proprio come Charly, ho deciso di lasciare la scuola per fare l’apprendista mura- tore. Come lui volevo far parte della
classe lavoratrice, stare tra gli operai.
E poi c’è Primitivo, che è il titolo del libro ma anche il nome del collega an- ziano che Charly incontra in cantiere e che diventa un punto di riferimento fondamentale per lui, da cui impara- re una visione del mondo, valori, il modo di pensare. In un certo senso, il vero protagonista è proprio il vecchio Primitivo, perché influenza molto il ragazzo, insegnandogli a capire la complessità delle cose. E anch’io ho avuto un collega anziano, quando ero apprendista, un immigrato spagnolo che aveva fatto la guerra civile in Spa- gna e poi viaggiato e lavorato in molti paesi, per finire in Svizzera. Erava- mo amici, mi raccontava la sua vita, le sue idee. Purtroppo è finito come nel romanzo: è morto sul lavoro, era il 1982”.
In Primitivo emergono molti temi, Charly si confronta con la vastità dell’esistenza e col desiderio di prendere posizione, schierarsi. Al centro però c’è sempre il cantiere.
“Ho sempre voluto scrivere una sto- ria sul lavoro, su quello delle persone normali, umili. Per me fare il murato- re è stata un’esperienza intensa, mol- to formativa. In quegli anni i cantieri erano un ambiente carico di vissuti, dal punto di vista umano uno spazio in cui osservare e crescere. C’erano colleghi che venivano da paesi di tutto il mondo e ogni giorno ave- vo da imparare: a comunicare con gli altri, a difendermi o difendere, a capire le diversità, ad apprez- zare l’intelligenza e la generosità quando si presentavano. Il lavoro è il luogo che Charly sceglie come spa- zio in cui misurarsi e trovare i riferi- menti per diventare grande. Ma dal cantiere e dalle sue esperienze poi nascono gli spunti per tutti gli al- tri temi del libro: l’emigrazione, il rapporto con le proprie origini, l’a- more, l’amicizia, la cultura come strumento di emancipazione”.
Quando Primitivo resta ucciso in cantiere, per Charly cambia tutto:
la morte dell’amico sembra coin- cidere con un passaggio verso l’età adulta e la necessità, forse inevi- tabile, di fare qualche compro- messo.
“La storia si svolge nell’arco di poco tempo, meno di quindici giorni. Ep- pure, Charly vive esperienze che lo rendono adulto, in poco tempo si tro- va a crescere. Resta sempre nella sua città, ma è come se facesse un viaggio.
E Primitivo, quando muore, non gli lascia solo insegnamenti preziosi: gli lascia anche un’eredità inaspettata, e scomoda, che porta il ragazzo a sco- prire vecchie storie legate al nazismo, personaggi importanti e, alla fine, a dover fare una scelta. Primitivo è a tutti gli effetti una storia di formazio- ne, quella che in inglese viene defini- ta ‘coming of age’: il racconto di una crescita. E come sempre, è qualcosa di fondamentale per chi la vive”.
Come negli altri tuoi romanzi, an- che qui la scrittura ha forti richia- mi orali: leggendo si ha quasi l’im- pressione di ascoltare. Da dove nasce questa scelta?
“Dal desiderio di immediatezza. È una scelta stilistica precisa: voglio comunicare col lettore nel modo più immediato possibile. Per questo uti- lizzo anche l’io narrante: il romanzo è narrato in prima persona dal prota- gonista. Perché voglio che lui si faccia conoscere attraverso il suo modo di esprimersi.
Quando scrivo, ho l’abitudine di ri- leggere a voce alta, voglio sentire se il racconto funziona come una storia raccontata dal vivo, se il suono ha una sua completezza. La stessa cosa che faccio quando mi presento al pubbli- co, in occasione delle presentazioni che sono delle vere e proprie perfor- mance di lettura: faccio parlare il li- bro attraverso la mia voce. E poi mi preme scrivere nella lingua che parlo tutti i giorni, che si parla per strada, tra le persone che si incontrano al bar o quando vanno a comprare il pane. I miei romanzi non sono facili da tra- durre, bisogna rendere la colloquiali- tà e l’oralità della narrazione. In que- sto senso devo dire che la traduttrice di Primitivo, Amalia Urbano, ha fatto un grande lavoro”.
L’emigrazione italiana in Svizzera. Un passato difficile e un futuro da costruire insieme
Dalla fine dell’Ottocento a oggi cinque milioni di italiani sono emigrati in Sviz- zera. Attualmente sono 660 mila quelli che vi risiedono stabilmente e un terzo di questi possiede la doppia cittadinanza. In più ogni giorno 60 mila frontalieri varcano il confine della Penisola per andare a lavorare per la mag- gior parte nel Canton Ticino e in parte nel Canton Grigioni. A fare il punto sull’emigrazione italiana in Svizzera c’è una nuova ricerca del Centro Studi e ricerche Idos che ha realizzato, per la rivista “Dialoghi Mediterranei”, il saggio intitolato “Gli italiani in Svizzera, prima precari e poi inseriti”. Lo studio, pubblicato online il 1° novembre e commissionato in vista della sessione euro- pea del CGIE (Consiglio Generale Italiani all’Estero) che si è svolta a Basilea dal 28 al 30 ottobre, è firmato da Franco Pittau, fondatore di Idos, Giuseppe Bea, già responsabile degli uffici all’estero del Patronato della CNA, e la ricercatri- ce Alessia Montuori, attualmente operatrice sociale in Svizzera e già segretaria dell’Associazione “Senza Confine”, mentre delle conclusioni si è occupato il se- gretario del Consiglio generale degli italiani all’estero Michele Schiavone, da tempo residente in Svizzera.
La ricerca riflette sulla “italianità all’estero”: che cos’è, quali siano i legami tra il Belpaese, i suoi emigrati e i loro discendenti.
Rispetto a Paesi come gli Stati Uniti, quelli latinoamericani o, in Europa, la Francia, i percorsi di integrazione per gli italiani in Svizzera si sono dischiusi tardivamente, dopo gli anni 60. Secondo gli autori della ricerca, sarà il futuro a mostrare in quale misura la presenza italiana, ampliando gli spazi del suo pro- tagonismo, riuscirà a fondersi con la peculiarità svizzera. Schiavone evidenzia come questo processo sia già in atto, poiché gli italiani sono sempre più presen- ti in campo parlamentare (federale e cantonale), amministrativo, professionale e imprenditoriale, il che lascia ben sperare.
Come si legge nello studio i flussi migratori degli italiani verso la Confedera-
zione furono molto elevati dopo la Seconda guerra mondiale. Nel decennio 1946-55 si trattò del 26% degli espatri totali e di quasi il 50% degli espatri in Europa.
Nel decennio 1956-64 circa un terzo sugli espatri totali e il 40% sugli espatri continentali riguardarono la Confederazione. Poi il ruolo di primo Paese di arrivo degli italiani passò alla Germania, pur continuando a rimanere la Svizzera una delle principali destinazioni della nuova emigrazione. Fino al 1964, anno della firma del secondo accordo bilaterale sul collocamento della manodopera, la situazione degli italiani fu segnata da una estrema precarietà e da un cumulo di restrizioni. Gli italiani erano considerati non solo stranieri ma anche “estranei” per effetto di una storica “anti-italianità”, già evidenziata, fin dall’inizio dei flussi, dalle rivolte popo- lari contro gli italiani, scoppiate a Berna e a Zurigo (rispettivamente nel 1893 e nel 1896).
L’accordo del 1964 costituì la base per dare inizio all’inserimento stabile degli italiani, facilitando l’arrivo dei loro familiari. Ma il cammino fu difficile e fu anche messo in forse dal referendum promosso da James Schwarzenbach nel 1970, che esprimeva la ricorrente paura degli svizzeri di essere sopraffatti dagli stranieri (il cosiddetto “inforestieramento”). Questa paura si è manifestata ancora una volta nel 2014, anno in cui un altro referendum (questa volta convalidato dai votanti) intese ridurre rigidamente l’afflusso degli immigrati. Rimane sempre lo stesso il dilemma di fondo: da un lato, lo straordinario benessere svizzero non sarebbe stato possibile senza una elevata presenza straniera; dall’altro, questa presenza è vista socialmente come un disturbo di molti autoctoni.
Nel dopoguerra vi furono le partenze irregolari e le permanenze non autorizzate degli italiani, la tragedia dei figli nascosti in casa per paura che fossero denunciati alla polizia o parcheggiati presso qualche istituto al confine, l’inserimento nei lavori più umili e il connesso disprezzo per questa manovalanza dalle tradizioni diverse e le umiliazioni e deprivazioni che conseguirono nella vita quotidiana. Non mancò l’accanimento della polizia con i suoi controlli, che portò ad aprire migliaia di fascicoli intestati agli italiani perché spesso ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico, specialmente se militanti politici e sindacali. In tale contesto fu di grande aiuto l’associazionismo: dalle Missioni cattoliche italiane alle Acli, dalle Colonie libere ai Patronati e ad altre forme associative. La condizione degli italiani era destinata a migliorare ulteriormente perché la tutela, assicurata dalla contrattazione bilaterale (avviata subito dopo il conflitto mondiale da Eugenio Reale arrivato come esule e poi nominato ambasciatore a Berna), fu completata dall’adesione della Svizzera alla normativa Ue sulla libera circolazione dei lavoratori, un istituto giuridico che, entrato in vigore nel 1968 e poi successivamente perfezionato, ha restituito dignità anche ai lavoratori italiani.
Pedro Lenz-PH Pascal Lauener
Monumento dello scultore ticinese Vincenzo Vela agli operai - in maggio- ranza italiani - caduti durante la costruzione della galleria del San Gottardo.
Ph Markus Schweiß
6 MONDO
Mercoledì 3 novembre 2021Il Vertice di Roma
Il G20, tra assenze e impegni “vaghi”
di Paola Fuso
La notizia più importante della setti- mana è senza dubbio il Vertice G20 che si è tenuto a Roma sabato 30 e domeni- ca 31 ottobre.
Cosa è Il G20
Il G20 è il foro internazionale che riuni- sce le principali economie del mondo. I Paesi che ne fanno parte rappresentano più del 80% del PIL mondiale, il 75%
del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta.
Si tiene ogni anno dal 1999 (anno della crisi finanziaria asiatica) e dal 2008, su volere del Presidente americano Bush, prevede lo svolgimento di un Vertice fi- nale, con la partecipazione dei Capi di Stato e di Governo.
Oltre al Vertice, durante l’anno di Pre- sidenza si svolgono ministeriali, incon- tri degli Sherpa (incaricati di svolgere i negoziati e facilitare il consenso fra i Leader), riunioni di gruppi di lavoro ed
eventi speciali.
Ne fanno parte Argentina, Australia, Brasile, Gran Bretagna, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Russia, Su- dafrica, Arabia saudita, Corea del Sud, Turchia, Stati Uniti e l’Unione Europea.
La Spagna viene invitata come ospite permanente ogni anno. Inoltre, ven- gono invitati i leader delle principali organizzazioni internazionali, come le Nazioni unite e il Fondo Monetario In- ternazionale.
Ma di questo summit più che le presenze, sono pesate le “assenze”.
All’EUR mancava il presidente Rus- so Vladimir Putin e il Presidente cinese Xi Jinping (che si è mostrato solo in video), assente pure il nuovo premier giapponese Fumio Kishida e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador.
Certamente la paura della diffu- sione del virus ha avuto la sua par-
te nella decisione di alcuni leader di non partecipare al G20, ma ci si chiede se è il summit ad aver perso attrattiva.
La riflessione sorge naturale alla luce di una serie di circostanze: la prima è che vi è un maggiore antagonismo di alcuni Paesi nei confronti USA.
D’altro canto, quando il G20 è stato im- maginato, nel 1999, il mondo era domi- nato dagli USA senza grandi scossoni, la Cina non era che l’ombra della poten- za che è oggi e la Russia non era ancora il regno di Putin.
La seconda motivazione della perdi- ta di appeal del G20 è nel declino dei BRICS.
Per BRICS si intendono il Brasile, Rus- sia, India, Cina e Sudafrica, accomu- nati secondo quanto stabilito dal G20 dall’impegno di costruire un sistema commerciale globale attraverso accordi bilaterali che non siano basati esclusi- vamente sul petrodollaro.
Ora, come raccontato dalle pagine di questo giornale, molte di queste poten- ze sono tra di loro antagoniste (basti pensare alla situazione tra Cina e India) o comunque non in ascesa come sem- brava anni fa.
Quindi il G20 non sarebbe più un’occa- sione per questi Paesi per mostrarsi al mondo e farsi conoscere.
Infine, nel mondo post-Covid ci si vede ormai solo se strettamente ne- cessario. Muoversi oggi, al di là delle questioni interne, vuol dire rischiare.
Soprattuto perché i vaccini cinesi e il russo Sputnik non sono paragonabili a quelli occidentali.
I temi del G20 di Roma
I principali temi sull’agenda del G20 sono stati la pandemia, il clima e la tas- sazione delle multinazionali.
Tuttavia, per la prima è indubbio che la cooperazione è molto difficile da otte- nersi, anzi c’è soprattuto competizio- ne riguardo ai vaccini e non solo tra le principali potenze.
Per quanto riguarda il clima l’obiet- tivo del G20 attuale è stato quello di
convincere i partecipanti ad accet- tare che il surriscaldamento globale deve fermarsi e che entro la metà del secolo le emissioni di carbonio dovranno essere azzerate in tutti i Paesi del G20.
In particolare, le potenze si sono im- pegnate a limitare l’incremento della temperatura globale a 1,5 gradi, così come previsto dagli accordi di Parigi, ma il problema è che non vi è alcun riferimento al 2050 come anno preciso indicato in precedenza come termine entro il quale portare a zero le emissio- ni di gas serra, ma alla vaga espressione
“metà secolo”.
Nonostante l’ottimismo di Draghi, la difficile trattativa testimonia la difficol- tà di trovare un compromesso tra l’Oc- cidente e le potenze asiatiche sul taglio delle emissioni e sulla lotta al cambia- mento climatico. Tra l’altro l’India ha già detto di non poter accettare dette misure, così come la Cina.
Ne discende che un summit sul clima che prevede multilateralità nell’azione e unanime consenso, nasce già azzop- pato... A questo punto occorre aspet- tare il vertice Cop26, che si terrà a Glasgow, per capire se e come l’in- tesa potrà svilupparsi e dove la sua controversa politica sull’Amazzonia sarà nel mirino.
Altro tema importante è il via libera all’accordo sulla minimum tax.
I membri del G20 si impegneranno ad attuare questa nuova imposizione per le multinazionali entro poco più di due anni. La misura concordata prevede per le multinazionali un’aliquota minima del 15% e imporrebbe loro di pagare le tasse nei Paesi in cui operano. L’intesa stabilisce, poi, la riallocazione dei diritti di tassazione delle imprese multinazio- nali più grandi e profittevoli. Il 25% dei profitti (eccedenti il 10% dei ricavi) vie- ne allocato nelle giurisdizioni di mer- cato in cui tali imprese superano una soglia di ricavi rilevanti. Ora aldilà dei problemi applicativi, occorre chiedersi quali realtà ne verranno danneggiate.
E in tal caso, ad oggi, sono le piccole e medie imprese che non delocalizzano, a doverne presumibilmente sopportare il peso maggiore.
G20 courtesy of Casa Rosada
Mercoledì 3 novembre 2021
MERCATO DEL LAVORO 7
Con i suoi 60 000 membri, Syna e l a c a d n i s a z r o f a d n o c e s a l è
svizzera.
Siamo un’organizzazione inter- professionale indipendente da ogni partito politico, attiva sul piano nazionale nelle branche e nei mestieri dell’artigianato, dell’industria e dei servizi.
Democrazia, etica sociale cri- stiana e leale partenariato so- ciale sono la base della nostra attività.
Da Syna chiunque è benvenuto.
Syna nelle tue vicinanze
Il mio lavoro e io. Intervista a Linda Rosenkranz
«Siamo nel flusso della parità»
Linda Rosenkranz è attualmente coinvolta nel sindacato Syna in ben tre modi: non solo lavora per la no- stra organizzazione mantello Travail.
Suisse (per chi non lo sapesse, si definisce organizzazione mantello quella che riunisce diverse associa- zioni autonome operanti nello stesso settore), ma è anche socio Syna. E in entrambe le funzioni ha rappresenta- to i nostri interessi alla sessione delle donne di Berna.
Linda, per quelli che ancora non ti conoscono: cosa fai esattamen-
te da Travail.Suisse?
“Sono la responsabile della comu- nicazione e dell’amministrazione.
Sono responsabile di tutte le questio- ni amministrative, dalla contabilità alla gestione dei beni immobili, alle questioni relative al personale. Sono anche responsabile della comunica- zione strategica di Travail.Suisse”.
Attualmente sei anche la nostra rappresentante alla sessione del- le donne di fine ottobre. Come ci sei arrivata?
“Travail.Suisse ha stilato una lista di
candidate insieme con le sue associa- zioni. Mi è stato chiesto di farne par- te. Ad essere onesta, inizialmente l’i- dea di una sessione di sole donne non mi convinceva: solo donne ammesse ad eleggere donne che poi avrebbe- ro discusso tra loro su questioni di uguaglianza? Sono dell’opinione che finché solo le donne si occuperanno della parità di genere non arriveremo da nessuna parte! L’uguaglianza di genere riguarda tutti noi. Ma dopo alcune discussioni ho capito che dobbiamo sfruttare ogni possibilità.
Inoltre, non dobbiamo dimenticare
che siamo attualmente in un ‘flusso della parità di genere’. Già solo tra i media, la sessione delle donne susci- terà grande interesse. E questo ali- menterà ulteriormente la questione dell’uguaglianza di genere”.
Come si svolge una sessione di questo tipo?
“Dopo essere stata informata di es- sere stata scelta come una delle 200
‘parlamentarie’, ho ricevuto una lista di commissioni. Potevo sceglierne tre. Sono stata infine assegnata alla commissione per la parità del lavoro e delle rendite. In questa commissio- ne abbiamo già avuto due giornate di riunioni. Abbiamo discusso di ar- gomenti che riteniamo importanti e abbiamo definito delle richieste – le cosiddette mozioni”.
Per cosa ti sei battuta nella com- missione?
“Tre questioni mi stavano particolar- mente a cuore:
1. la parità salariale di donne e uo- mini. Ovviamente, come rap- presentante di Travail.Suisse e delle sue associazioni mi sta particolarmente a cuore che si ponga fine alla discriminazione salariale in Svizzera. Per questo, insieme a Syna abbiamo lanciato la piattaforma respect8-3.ch (ne ha riferito anche Syna Magazin);
2. i crediti di formazione e di accu- dimento anche per il 2° pilastro.
Nell’AVS esistono già: sono i ge- nitori (principalmente le madri) che lavorano a tempo parziale per occuparsi dei figli ricevono dei crediti. Questo meccanismo
va esteso anche all’LPP. Ho pre- sentato questa richiesta come relatrice alla sessione;
3. l’istituzione di un ufficio federa- le per la famiglia e la parità, un organismo diffuso già da tempo nella maggior parte dei Paesi eu- ropei.
Per concludere: perché hai aderi- to a Syna?
“Ritengo il sindacato uno dei mo- vimenti sociali più importanti. Da sempre, ma dal coronavirus più che mai. Per me è un dovere personale impegnarmi per una società basata sulla solidarietà. Inoltre, mia madre è cresciuta in una famiglia di ferro- vieri ed era ella stessa sindacalista.
Questo ha forgiato sia lei che me. Ho scelto Syna perché è un sindacato che rappresenta tutti i rami professio- nali. Inoltre, Syna vuole gettare dei ponti – negoziare, invece di sciopera- re subito. E questa filosofia mi piace”.
(Trovate l’intervista integrale e mag- giori informazioni sulla sessione delle donne nel nostro blog: syna.ch/
attualita)
Patricia Schoch Collaboratrice comunicazione,
Sessione delle donne 2021 La sessione delle donne è un’i- niziativa di alliance F e di al- tre organizzazioni femminili.
L’obiettivo di questo evento, che riunisce nel Parlamento federa- le 246 partecipanti delle quattro regioni linguistiche del Paese, sarà quello di discutere le misu- re da adottare per raggiungere la parità tra donne e uomini.
Alla fine delle due giornate, un catalogo di richieste è stato presentato ai membri dell’As- semblea federale.
Linda Rosenkranz
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Mercoledì 3 novembre 2021OSTEOPOROSI
Proteggiamo le nostre ossa.
La prevenzione conta
SCIENZA E SALUTE
di Giorgio Moreni
L’osteoporosi (dal latino porous bones,
“ossa porose”) è una malattia ossea dal decorso lento. È insidiosa, perché spes- so silente e asintomatica. Come spiega- no gli esperti della Lega svizzera contro il reumatismo, questa patologia «deter- mina il riassorbimento della sostanza ossea dell’intero scheletro e modifica la struttura delle ossa, che diventano porose, instabili e corrono il rischio di rompersi se sottoposte a carichi limitati o perfino senza alcuna ragione appa- rente». Il termine “osteoporosi” indica quindi una condizione di “maggiore fragilità ossea”. A livello globale, il pro- blema colpisce oltre 200 milioni di in- dividui, nello specifico circa il 6% degli uomini e il 21% delle donne di età com- presa tra 50 e 84 anni. In territorio el- vetico, riguarda oltre 400 mila persone,
soprattutto donne in età avanzata. In Italia ne soffrono circa 5 milioni di indi- vidui: l’80% sono donne in post-meno- pausa, mentre rispetto alla popolazione generale ne è colpito il 23% delle over 40 e il 14% degli uomini over 60.
PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE
Quali sono le principali cause? L’insor- genza della malattia allo stadio prima- rio può essere favorita sia dal normale processo di invecchiamento delle ossa, sia da una predisposizione ereditaria, ma le cause non sono ancora del tutto chiare. Si è osservato che contribuisco- no al suo sviluppo fattori come uno stile di vita caratterizzato da molta seden- tarietà e scarsa attività fisica, carenza di calcio, insufficienza di vitamina D e carenza di estrogeni nelle donne e di testosterone negli uomini. Può incidere
inoltre, in entrambi i sessi, un consumo eccessivo di alcol e nicotina. In Italia, di recente, è stato indetto un “(H) - Open Day” negli ospedali dedicato alla salu- te delle ossa. L’iniziativa, alla sua sesta edizione, è stata organizzata dalla Fon- dazione Onda, Osservatorio naziona- le sulla salute della donna e di genere, in occasione della Giornata mondiale dell’osteoporosi. Obiettivo è «sensibi- lizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione primaria, attraverso l’adozione di corretti stili di vita fin dal- la giovanissima età e un corretto introi- to di calcio e vitamina D, secondo un’a- limentazione equilibrata e adeguata», ha commentato Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda. E ha ag- giunto: «Nell’ambito della prevenzione gioca un ruolo strategico anche la dia- gnosi precoce per impedire il verificarsi delle fratture da fragilità che rappresen-
tano la complicanza più temibile e inva- lidante dell’osteoporosi».
LA DIETA ANTI-OSTEOPOROSI Una corretta alimentazione e uno stile di vita adeguato, con attività fisica re- golare sono le misure più importanti da adottare fin da bambini per prevenire l’osteoporosi. Lo ha ribadito il Policlini- co San Matteo di Pavia che, insieme a Onda, ha realizzato una guida di con- sigli redatta dagli specialisti di Reuma- tologia e del Servizio di Dietetica e Nu- trizione Clinica. L’assunzione di calcio è importante soprattutto durante l’infan- zia e l’adolescenza, la gravidanza, l’allat- tamento e tra i 18 e 30 anni. Il fabbiso- gno giornaliero di calcio per un adulto è stimabile in 800-1000 milligrammi.
Attraverso gli alimenti e l’acqua è ne- cessario assumere la giusta quantità di calcio, riducendo contemporaneamen-
te le perdite con le urine e limitando il consumo di proteine animali, sale, caf- fè, solfati. In una dieta anti-osteoporosi i cibi da preferire dovrebbero essere lat- te (meglio se scremato o parzialmente scremato) e derivati, frutta secca, soia e legumi, e ortaggi (rucola, prezzemolo, radicchio, broccoletti e foglie di rapa, biete, cicoria, cardi). La carne, invece, è povera di calcio, mentre il pesce è da prediligere perché ne contiene almeno il doppio. Da recenti studi è emerso che, nelle persone affette da osteoporo- si, la dieta mediterranea, ricca di frutta, verdura, cereali integrali, pesce e olio extravergine di oliva, è risultata in grado di ridurre la perdita di massa ossea. Va infine indicato che un’esposizione cor- retta ai raggi solari incrementa la pro- duzione e la disponibilità di vitamina D utile per il fissaggio del calcio alimenta- re alla massa ossea.
OSTEOPOROSI E MOVIMENTO
(Decalogo di Fedios – Federazione Italiana Osteoporosi e Malattie dello Scheletro) 1. Consultare il medico curante prima di cominciare qualsiasi programma di esercizio.
2. Intensificare gli esercizi con gradualità, senza sforzi eccessivi, ma regolarmente.
3. Le cause che più frequentemente portano all’interruzione del programma di rinforzo sono traumi e dolori, spesso conseguenza di una attività eccessiva, troppo intensa, o comunque errata. È quindi importante stabilire, in base alle condizioni fisiche di ciascuno, frequenza, intensità, durata e tipologia.
4. Un leggero fastidio muscolare il giorno dopo l’esercizio indica solo che è stato fatto più movimento del nor- male, perseverare. Tuttavia se il dolore persiste per più di un paio di giorni consultate il medico.
5. Attenzione a tutte le attività che potrebbero aumentare il rischio di cadere. I pazienti osteoporotici hanno un maggior rischio di frattura in caso di caduta.
6. Mantenete sempre una postura corretta per non sottoporre la colonna vertebrale a sforzi innaturali, che pos- sono essere dannosi. La schiena deve essere tenuta dritta, sia se si è seduti sia se si è in piedi. È opportuno evitare una eccessiva flessione in avanti, così come rotazioni improvvise del tronco, soprattutto in caso di una frattura vertebrale pregressa.
7. Fare precedere sempre una fase di riscaldamento alla seduta di esercizio. Il riscaldamento deve durare 10-15 minuti e consiste in esercizi di contrazione muscolare e movimenti articolari semplici, associati a una combina- zione di cammino, marcia e passo laterale.
8. Si dovranno scegliere sempre esercizi che prevedano movimenti lenti e controllati. Evitare invece esercizi ad alto impatto, con movimenti veloci, come saltare, correre, sollevare le ginocchia saltellando, che possono aumentare la compressione della colonna vertebrale e danneggiarla. Per lo stesso motivo evitare esercizi che comprendano flessione del tronco in avanti e rotazioni sul bacino, come toccare le punte dei piedi.
9. Attenzione al sollevamento dei pesi: non bisogna piegare la schiena, ma le gambe, cercando di mantenere quanto più possibile la colonna vertebrale diritta.
10. A completamento dell’esercizio ricordarsi sempre di dedicare 5-10 minuti a tecniche di rilassamento musco- lare, respirazione profonda, magari con sottofondo musicale.
IL BEST TEST, TECNICA INNOVATIVA
Il Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Trieste ha messo a punto un test per valutare in modo veloce e accurato la struttura dell’os- so e diagnosticare un eventua- le rischio frattura a causa della fragilità ossea. Si chiama BES TEST©, Bone Elastic Structure Test, ed è già sperimentato dal 2015 su 7000 pazienti, utile an- che per il monitoraggio di una strategia terapeutica, basato sui raggi X. Consiste in un esame diagnostico con un approccio innovativo, unico al mondo, che misura la qualità della struttura interna dell’osso. È un metodo completamente diverso da quel- lo della densitometria (MOC) che, invece, permette una va- lutazione radiografica di quan- to calcio contenga lo scheletro.
Il BES TEST© si basa su un software analogo a quelli che gli ingegneri utilizzano per testare la resistenza di parti in acciaio e, nello specifico, sulla simula- zione dell’applicazione di forze sulla “biopsia virtuale” dell’ar- chitettura ossea del paziente, ottenuta da immagini radio- grafiche. Il sistema analizza la radiografia che viene eseguita alla mano tramite un dispositi- vo portatile e determina lo stato dell’architettura dell’osso. Ha spiegato Francesca Cosmi, pro- fessoressa di Ingegneria all’Uni- versità di Trieste e ideatrice del progetto: «In un materiale così articolato il calo della massa os- sea non basta da solo a spiegare tutte le fratture osteoporotiche.
Da questa premessa è nato in me il desiderio di approfondire il problema della valutazione del rischio, studiando come la complessa struttura trabecolare influenzi la distribuzione delle forze nell’osso, per migliorare la conoscenza della situazione del paziente».