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Piero Ragone Episodio 2

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Academic year: 2022

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Piero Ragone

Abigail Rain

Episodio 2

L'INFERNO

PUO'

ATTENDERE

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“Tutti vivono in un mondo in cui è reale ciò che vedono.

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NELL’EPISODIO PRECEDENTE:

Sono Abigail Rain, un esorcista al servizio dei nebula, una società segreta che lavora per garantire l’equilibrio tra forze angeliche e demoniache sulla Terra.

Tutto filava liscio, tra esorcismi e sbronze, finché la mia Jean non ha bussato alla mia porta. Non volevo crederci ma, a quanto pare, un demone ha deciso di fare jogging nel suo corpo e ora, con il supporto del mio A-Team (che sta per Abi-Team) composto da Zac, Miwa e Dongri, devo liberarla prima che sia tardi.

Cosa abbiamo scoperto sull’entità che la possiede?

Che il bamboccio sta usando Jean per arrivare a me, che sembra immune ad ogni esorcismo e che forse non è affatto un demone.

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- Sai cosa distingue il bene dal male?

Il senso dell’umorismo.

Il primo pensiero che si fa largo tra gli strati di si- lenzio e buio è che la mia anima deve trovarsi dal lato sbagliato della pelle perché posso vedermi, disteso e inanimato, al centro del bunker del don che ora sem- bra una sala concerto dopo tre giorni di rave party, eppure non riesco a muovermi, come se il tipo disteso tra i detriti non fossi io ma la sagoma piatta di un Abi Rain finito per caso in uno di quei videogame da bar degli anni Ottanta con grafica base ad otto bit.

Il soffitto è solcato da fratture multiple, le anticaglie che il don collezionava sono sparse sul pavimento o con- ficcate nelle mura. Ci sono tracce di lotta estrema, una scia rappresa del sangue della mia Jean segna la stanza dalla parete fino al centro della volta.

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Quando l’anima è al di fuori del corpo, anche quel- lo che tocchi sembra privo di superficie, solo linee di contorno, bianche e flessibili, nelle quali puoi affon- darci la mano.

Se fossi stato inghiottito dal vortice nero che ave- vo aperto per spedirci dentro lo stronzo che possiede Jean, a quest’ora dovrei essere in una suite presiden- ziale presso il residence Inferno, incastrato nel loop di tutti i guai che ho combinato e non in una dimensione a metà strada tra l’inconscio e l’Io.

Per noi del club, questo spazio intermedio tra i due mondi è l’Helgaror o “bivio”, l’intercapedine spa- zio-tempo delle scelte. Ogni vanian che si rispetti sa che l’accesso al piano mediano è un atto consa- pevole, e io non avevo forza a sufficienza per oltre- passare la soglia senza rischiare un crash, non dopo lo scontro al vertice con il qliphoth che sta facendo merenda nel corpo di Jean.

Il bivio è la camera di mezzo tra le due facciate dell’esistenza universale, vita e morte, visibile e in- visibile, redenzione o dannazione. Voi lo chiamate

“purgatorio”, “crepuscolo”, “soglia”, noi lo chiamia- mo Helgaror, l’anticamera dell’oltre, il casello che precede l’autostrada per l’inferno celebrata da Bon Scott in Highway to hell degli AC/DC.

Quando un qliphoth ci fa secchi e il cuore si disin- nesca, ci rifugiamo al bivio per ricucire lo strappo nei minuti di recupero. Un decano in gamba può vantare almeno una sutura in tutta la carriera. Le mie finora

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sono tre. Nel nostro gergo, la sutura è il procedimen- to con cui ripari la lacerazione tra corpo e anima. Nel tempo lineare, l’anima impiega ventidue secondi per evacuare il corpo; al bivio, quei ventidue secondi sono un’eternità. Mentre nel mondo fisico ti hanno già dato per spacciato, nell’orizzonte eterno hai tutto il tempo necessario per ricucire l’anima al vessel, ripristinando le funzioni base della convivenza anima-corpo.

Ma c’è un prezzo da pagare: dopo il primo giro di prova nella camera di mezzo, sviluppi una certa dipen- denza dall’antimateria, un’urgenza periodica di ricre- are il vuoto dentro, quel senso di altrove e di leggera ebbrezza che ha il sapore di un mondo misto. Diventi un cybertossico a caccia di metaspazi da esplorare, uno svago in apparenza lecito, con gli stessi effetti di una dream machine ma, in questo caso, lo sballo deriva da un mini buco nero nell’anima che alimenti a colpi di raggi gamma. Una volta che cominci non hai scampo.

Tra i nebula c’è un giro clandestino di pastiglie ioniz- zanti di Maghilegon, il doping dello spirito, un integra- tore a base di radiazioni ad alta frequenza. Se ti becca- no con del Maghilegon addosso, il vertice dei nebula ti impala senza riunire il gran consiglio perché l’abuso di compresse antimateria comporta danni irreversibili, e uno di questi è diventare un rinnegato della luce.

“Eppure, qualcosa non torna”, continuo a ripeter- mi, perché l’accesso è un passo volontario e io non sono così incauto da spingermi una spanna oltre il

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mio corpo mentre mi batto con un exodus che ha dimostrato di saperci fare. Soltanto gli angeli hanno il potere di condurti al bivio senza il tuo consenso, ma Abi Rain non ha contatti attivi tra i pennuti. Per i comuni mortali è trance, estasi religiosa o rapimento estatico, per un nebula è l’ufficio intermedio nel qua- le i sephiroth ti trascinano per ordine superiore o per renderti partecipe di una rivelazione.

Un milione di pensieri fluttuano nella mia mente come bolle di Big Babol al sapore di plasma, poi avverto un paio di colpi secchi sulla guancia, forti quanto basta per svegliarmi da quel sogno a metà. È Miwa che mi schiaffeggia, sempre allo stesso punto, mentre riemergo dall’ovattato regno di Oz al quale mi ero abituato.

Dal buio alla luce, riapro gli occhi con sbiadita len- tezza, accompagnato da uno strascico di nostalgia per quello stato extracorporeo sdolcinato e ondivago. Nella bocca c’è il sapore sintetico di chi è felice di essere anco- ra vivo e c’è rimasto male perché non è più morto.

Quando i pixel compongono l’immagine, ricono- sco i contorni esotici del volto di Miwa che emergo- no da un mondo sfuocato nei tratti salienti, mentre io devo apparirle insulso come il Piccolo Mugnaio Bianco del Mulino Bianco.

«Abi… Riesci a sentirmi?»

«Miwa…» stropiccio la voce tra tessuti di gola riarsa.

«…Lanciami i componenti.»

Anche quando è al tappeto, Abi è sempre Abi.

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«Ok,» sospira con due semicrome di sollievo, «ma ti- rati su, adesso.»

La testa riecheggia di un vuoto ibrido che pulsa attra- verso le orecchie, gli occhi e le narici. Sono sul pianeta Terra, questo è certo, sono cosciente e sono ancora vivo ma non ho il controllo di ogni periferica. Mi scuoto dal torpore e riemergo dai detriti, impolverato come una bottiglia di rum dopo cent’anni trascorsi nella stiva di un vascello. Faccio un po’ di stretching di routine, dopo quella full immersion di vuoto e antimateria, dovrei es- sere ridotto uno straccio e invece non ho nessun dolore postumo, niente cerchi alla testa e niente ossa a brandel- li come i pezzi confusi di un puzzle.

Rovisto tra le macerie alla ricerca degli appunti che Zac mi aveva inviato, della mia Cybergun e di una bot- tiglia che contenga liquidi ingeribili ma niente, i fogli sparsi sono frammenti in fiamme e, ancor più grave, tutte le fiasche sono infrante o a secco.

«Abi, fermati un momento. Devo parlarti.»

«Ti ascolto in movimento» rispondo continuando a cercare senza mai guardarla, la mia specialità.

«Jean è in una clinica.»

«Quale clinica? Ce ne sono tante nei dintorni» indago ostentando noncuranza.

«L’hanno portata via un’ora fa.»

«Un’ora? Da quanto sono qui? E perché hanno portato via solo lei? Cos’è, nessuno si è accorto che ero legger- mente morto?»

«Ho fatto in modo che non ti trovassero.»

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«Bella stronzata, Miwa.»

«Devo aggiornarti anche su Dongri, e non ti piacerà.»

«Non deve piacermi» replico fulminando l’etere con il sibilo ad alta frequenza di un beta clock.

«Non abbiamo sue notizie da un po’. Non riuscia- mo a metterci in contatto con lui. Zac sta provando a localizzarlo.»

Una nube di silenzio mi avvolge, modellando sago- me di intrighi inestricabili. Tutti i nebula hanno una mini micro GSM sottopelle per farsi tracciare in caso di pericolo, tutti tranne quelli vecchio stampo come il vecchio Dongri e Abi Rain.

«A meno che non si faccia vivo lui stesso, direi che ci siamo giocati il don.»

Ho un moto di frustrazione compressa per la ricerca che va a vuoto, poi guardo Miwa per un istante dilatato in tanti piccoli yoctosecondi.

«Scopri dov’è Jean e aggiornami sul don. Io ho una faccenda da sbrigare con Nimrod.»

«Perché lui?»

Increspo le labbra prima di riavvolgere lo sguardo e spingerlo oltre il perimetro visivo dei suoi occhi.

«Devo tirargli fuori un paio di promesse.»

«Abi, non è la scelta giusta.»

«Ho mai fatto quella giusta?»

«Non puoi permetterti altri errori. Possibile che non te ne renda conto? Quando c’è di mezzo Jean, non sei l’Abi che conosco.»

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L’obiezione merita una postilla e finalmente assumo una postura paziente. Si tratta di Miwa, dopotutto.

«Quel qliphoth sta usando Jean per arrivare a me.

Non vuole miss-specchio-nel-ruscello, vuole Abi.» Il mio tono è denso di note gutturali. «Qui non si trat- ta di equilibrio, di parare il sedere alla Terra o di tutte quelle stronzate da fan club dell’equilibrio. È un problema tra me e chiunque-egli-sia.»

«Come puoi esserne certo?»

«Mi ha chiesto se ricordassi qualcosa di lui, eppu- re non credo di averlo incontrato prima. Conosco la biografia di tutti gli ombronauti che ho esorcizzato e lui non è nella mia rubrica. E poi…»

«E poi?»

La sfioro col mio sguardo introspettivo.

«…Ho la sensazione che la sua presenza nel corpo di Jean sia un affare che fa gola ai chiappebianche dei piani alti, e non mi riferisco solo ai vertici dell’ombra. C’è in ballo qualcosa di grosso, qualcosa che va oltre me, Jean e il mondo nebula. Per questo devo agire per conto mio.»

«I nebula ti faranno fuori, stavolta…» Affina lo sguar- do come se avesse appena finito di vedere l’ultima pun- tata de L’Uomo Tigre.

«…O lo farà quel demone. In un modo o nell’al- tro, io sono fottuto. Mi hanno bruciato, Miwa. Non resterò primo vanian a lungo. E allora, tanto vale provarci. Obiezioni?»

«Non spetta a me giudicare, Abi, ma…»

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Sguardo teso, approccio diretto, mi avvicino quel tan- to che basta da farle credere che stia per baciarla, final- mente. L’odore di torta degli angeli sulla sua pelle color Nesquik non mi convince, conosco bene le ghiandole apocrine di Miwa. Socchiude gli occhi, incerta se la- sciar vibrare quel quantum di ormoni sollecitati dalla distanza ridotta, ma non sono tipo che tradisce Jean, mi conoscete. Dovevo recuperare la Cybergun che le spun- tava alle spalle, tutto qui. Controllo il caricatore, poi parcheggio la Colt nel cinturino, al centro delle terga.

Miwa riapre gli occhi e sorride enigmatica tra il ki- tsch e il dadaista con un’espressione che non è sua, poi replica in un tono da call center: «Custodire il Kae-e-vanrash non fa di te una vittima ma un pezzo raro della scacchiera, Abi.»

Ecco l’indizio che aspettavo e che ora incastro dove il mosaico degli eventi aveva lacune da colmare. Quell’“A- bi” finale è un espediente per fottermi, mi gioco la col- lection di Berserk.

«Già…» mormoro dubbioso con una tripla “a” in coda all’avverbio. E brava Miwa, o chiunque sia. Mi avvicino con passo Marlowe, circospetto e felpato, poi do il via alla recita.

«Voglio raccontarti una storia: c’era una volta un mondo che, da lassù, appariva proprio come una scac- chiera. Tutto era semplice, la partita si giocava tra bianchi e neri, buoni e cattivi. Poi entra in scena que- sta pedina che non ha colore, un rompipalle squattri- nato che punta tutte le fish sull’equilibrio. E ora i miei

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lettori si domandano: cos’è giusto fare? Darsi in pasto ai neri per salvare la regina dei bianchi o farsi usare dai bianchi per dare scacco ai neri, sacrificando però la regina dei bianchi?»

«Cosa stai cercando di dirmi?»

La afferro, fulmineo e improvviso, per schiacciarla contro la parete, assicurandomi che non abbia vie di fuga dalla presa ezekiel che ho imparato su youtube.

«Che diavolo ti prende?»

«Chi sei e cosa ne hai fatto di Miwa» chiedo senza punti interrogativi.

« Abi! Sei forse impazzito?»

«Quando Dongri mi ha parlato del Kae-e-vanrash c’e- ravamo solo io, lui, Jean e il qliphoth. Miwa non sa una minchia della chiave perduta. È materia per arcani e primo vanian. Quindi tu sei…?» protendo un orecchio in attesa di una risposta che non credo arriverà.

«Abi, aspetta un attimo…»

Le punto nell’occhio il fascio di luce violacea della torcia tascabile da 9 cm a raggi Uv, un congegno in do- tazione ai nebula che rivela i riflessi reconditi dell’iride.

«Indaco» sospiro trionfante come quando i miei ami- ci mi lasciano il posto a capotavola. «Sei un sephiroth, ecco chi sei, un fottutissimo angelo.»

Lei si acquieta, morbida come un soufflé appena sfor- nato, compiacendosi della sua vera identità.

«In questa storia c’era tanfo di angelo sin dall’ini- zio» dico addomesticando l’istinto killer con occhi colmi di sopportazione.

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«Allora non sei stupido come dicono» esordisce trasfor- mando la voce di Miwa in un tono da Buondì Motta.

Ho sentito bene? Mi ha dato dello stupido nella mia serie?

«Occhio a come parli, passerotto, se non vuoi ritrovar- ti sulla Luna a mapparle il lato oscuro.»

«Eppure non ti sei accorto di nulla.»

«Dici? Vediamo: eri tu, all’ingresso della libreria…»

proseguo col sorrisetto alla Errol Flynn, allentando la presa. «…Mi hai puntato il ferro alla schiena e mi hai detto di non intromettermi nell’affare “Jean”…»

Rinfodero la torcia in una delle mie tasche come Django fa con la colt.

«Come dite voi umani: bingo!» Simula un flash apren- do di scatto le dita della mano.

«…E poco fa hai salvato le mie chiappe da nebula spe- dendomi al bivio. Non puoi che essere stato tu, altri- menti non sarei qui. Mi hai risvegliato dopo aver fatto portare via Jean, e hai risanato le mie ferite. Un bel po’

di ferite, a quanto vedo» dico guardandomi il petto at- traverso il collo della maglia.

«Libero di crederci, se ti aiuta a star meglio.»

«Devo forse pensare che un angelo ha una cotta per me?

Senza offesa, confettino, ma a me piace quella roba spinta da pornhub, e tu non mi sembri tipo da frusta in mano.»

Mi squadra senza increspature.

«Ti diverti a provocarmi perché sai che non potrei farti del male.»

«No, diciamo che mi diverte e basta. Da quanto tem- po hai preso posto dentro Miwa?»

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«Da un po’.»

«Lo sai che ti rispedirò comunque a fare picnic nel giardino dell’eden?»

«Io non credo. La mia presenza qui non è un proble- ma per voi del club.»

«Secondo le regole dell’ombra e della luce…» non ri- esco a concludere l’Abi-pensiero perché il pennuto mi interrompe sullo slancio.

«“Secondo le regole dell’ombra e della luce” vuol dire che se lui è qui, anche io devo essere… qui, dove mi trovo ora.»

«Lui chi?» Ci riprovo assottigliando la vista, magari si degna di rispondere.

«Questo dovrai scoprirlo da te.»

E ti pareva…

È il momento di mollare la presa, tutto sommato non è aggressivo. Gli angeli evitano il combattimento, quando possono. Li riconosci dall’odore limpido di aria di montagna, penetrante e terso, una divina sniffata di ossigeno puro raccolto ad ottomila metri di altezza.

«Abbiamo cercato di tenerti lontano da Jean, per il bene di entrambi. Ma non è andata come speravamo:

hai scelto la strada più difficile e dolorosa…»

«Marchio di fabbrica, dovresti saperlo.»

«…E ora c’è un solo modo per uscirne.»

La guardo negli occhi, perdendomi nei labirinti dei riflessi di colori che non saprei descrivere.

«E qual è?»

«Lo sai, testone.»

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Sì ok, so bene a cosa si riferisce ma volevo fingere di non sapere, una volta tanto.

«Ti do una dritta, Pollon: punta l’aureola su Abigail Rain che esorcizza Jean de Saint-Martens, magari alla fine dell’episodio ti ritrovi con un malloppo che ti con- sente di comprarti un posto tra i serafini, ammesso che tu non lo sia già» declamo teatrale e greve, portando il petto ad un’ampiezza eroica.

«Ti sconsiglio di provarci, Abi. Le conseguenze sareb- bero disastrose per te.»

«E da quando questa è una novità?»

«Da quando in gioco non c’è soltanto la tua vita.»

Respiro tre volte a vuoto, denso e rumoroso come un toro appena spedito nella corrida, devo fingere di avere ogni cosa a portata di mano.

«Non cancellerò la memoria di Jean.»

«Lo farai, perché non hai altra scelta.»

«C’è sempre una scelta. Libero arbitrio, tesoro, e quelli come te dovrebbero esserne i garanti.»

«Non quando il prezzo è così alto.»

«Fammi capire: a voi e al padrone del luna park frega qualcosa se riscrivo il finale per Abi e Jean?»

«A noi interessa il tuo finale, Abigail Rain.»

«Non sei migliore di quei figli di puttana che mi di- verto a sbudellare.»

«Dovresti avere più rispetto per un vigilante.»

«Tu non sei un vigilante, faccia da fariseo. Se quel qli- photh è il pezzo grosso che credo, allora provieni dai piani superiori. Si chiama equilibrio, sorella. E forse do-

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vresti essere tu ad avere rispetto per chi fa da bodyguard al fondoschiena del pianeta, mentre voi prendete il Sole in perizoma su una nuvoletta.»

Sorride alle mie frasi da mandriano spavaldo, ma so che non hanno effetto su un sephiroth di questo cali- bro. Comincia a girarmi attorno come farebbe lo squalo di Spielberg, senza attaccare, solo per spaventarmi. Pic- coli cerchi concentrici e io lì, nel mezzo.

«Faccia da fariseo…» contempla in una porzione di vuoto ritagliata su misura dal contesto.

«Niente di biblico, Bollicina, è solo il mio personale adattamento di “faccia da calamaro”.»

«Apprezzo la citazione degli Snorky, davvero, ma questo non cambia la natura delle cose: dovrai rinunciare a Jean.»

«Se tu e quel demone mi chiedete di compiere la stessa scelta, dov’è la differenza? Perché io non ho capito, Jean non ha capito e sono sicuro che anche gli amici che ci leggono non hanno capito.»

L’angelo ride come se avessi raccontato una delle mie storielle sconce da mezzanotte al pub.

«Ma non è stato lui a compiere questa scelta.»

«Lo stronzo ha detto il contrario.»

«I demoni mentono, Abi.»

«Non è quello che ho sentito dire in giro.»

«Siamo noi che abbiamo offerto a Jean la possibilità di salvarti, e lei ha detto “sì”. Anche Miwa ha acconsentito a lasciarmi entrare, un paio di ore fa. Noi non forziamo il libero arbitrio. Offriamo alcune possibilità. E Jean ha deciso per sé. Non puoi alterare il suo destino.»

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«Ma posso cambiare il mio.»

Sarà anche un sephi di classe ma, in quanto a frasi ad effetto, tra me e lui-lei non c’è partita.

«Quella di Jean è stata una scelta d’amore. Sei for- tunato ad avere qualcuno che si sacrifichi per te, non capita tutti i giorni a voi umani.»

In altre circostanze, queste parole avrebbero trasfor- mato i miei occhi in due cuoricini luccicanti come ad uno degli ultras di Kiss me Licia, ma non è il momento per sospiri da principianti.

«E allora dimmi: se tutta la storia luccica di questo amore fantastico, perché hai proposto a Jean di ri- nunciare a me?»

«Perché era questa la scelta d’amore.»

«Quando?»

«Poche ore prima di quella volta al muretto.»

«Figlio di…» devo resistere alla tentazione di piantarle una pallottola nel terzo occhio. «Avrei dovuto immaginarlo…»

Fingo un momento di vacuo sconforto, alla ricerca di un rimedio sospeso tra il suolo e l’aria, poi ne ho le sca- tole piene di prequel verbali e parto con un destro ful- mineo ma la stronza svanisce e, in un attimo, riappare alle mie spalle. Il mio pugno si infrange sulla parete, un impatto che a momenti mi sbriciola una mano.

«Accetta la realtà, Abi.»

Il dolore alle nocche mi costringe ad una pausa, curvo e agonizzante. Occhi rossi e denti serrati per cercare di contenere le parole oscene che pronuncio in un rigurgito forzato.

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Da questo momento ci accompagna En El Aire dei Downset, malinconica all’inizio, sgraziata dopo, che la regia può mandare in sottofondo.

«Quale realtà?» le urlo contro. «Io sono Abigail Rain, il protagonista di una storia che qualcuno ha inventato. Sono un prodotto della fantasia, e nella fantasia tutto è possibile.»

«È qui che sbagli, Abi» urla anche lui o lei.

«È l’autore che decide, angelo gonfiabile.»

«Ma l’ha già fatto. Chi credi che abbia allestito gli studios di questa commedia, e con l’aiuto di chi? Non sto barando.

Sono tutti d’accordo con noi. Soprattutto l’autore.»

«Cazzate. Lui non mi avrebbe mai fatto questo.

Doveva essere una favola. Magari in chiave moderna, nata dalla crisalide pulp di un mondo nerd che non fa più notizia, con note dark e cyberpunk, un po’ di Bionic Jive e Factory 81 sparsi qua e là, e tutta quella spacconeria che fa di me un mito per questa genera- zione. Ma è pur sempre una favola. È la ragione per cui mi ha creato.»

«Nelle intenzioni iniziali era così, forse. Ma poi la tra- ma ha subìto una svolta imprevista. È stato un colpo di scena da maestro, e ora il tuo autore non vuole più sa- perne di lieto fine. Possibile che tu non ci sia arrivato?»

«Ma era la nostra favola…»

«Questa non è una favola, Abi. Se lo fosse, ora saresti con la tua Jean.»

«E che minchia di storia è, allora?»

«Una storia vera.»

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«Balle.»

«Qualcun altro ha già vissuto quello che stai viven- do adesso, mio caro. Siamo noi che abbiamo chiesto di narrarla. Le vicende di cui sei protagonista saranno utili un giorno a una moltitudine di gente, e forse gioveran- no all’intera umanità. Dipende da te, ora. È per questo che è nato Abigail Rain.»

«Vuoi dire che l’autore di questa storia aveva una Miwa, un Dongri e la sua Jean? E tutti quegli esorci- smi, l’ossessione per la Desperados e quel demone da fantacalcio, e poi… tu?»

«Beh, alcuni sono espedienti letterari per far quadra- re la trama ma… sì. È andata così anche per lui. E sì, ha incontrato me.»

La sua voce sembra rigonfia dell’eco di una chiesa go- tica, eppure la stanza è piccola, claustrofobica e senza ritorni in cuffia.

«Mi stai dicendo che il mio autore ha amato qualcuno come io amo Jean? – che poi non è amore, il mio, è un sentimento intenso, d’accordo, un legame affettivo di un certo peso ma nulla più.»

Il volto del sephiroth si rabbuia come se un’improvvi- sa eclissi avesse cancellato i tratti angelici di una parte dei mondi di luce.

«Più di quanto tu possa immaginare…»

Quei puntini di sospensione non annunciano nulla di buono.

«Allora dimmi se la sua Jean è ancora viva.»

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Distoglie lo sguardo da me, mentre i suoi occhi si ve- lano di luce lunare.

«Voglio sapere com’è andata» incalzo col più falso de- gli Abi-sorrisi.

«Sei qui per raccontarcelo.»

«Dimmi come diavolo è finita!» insisto urlando, per- ché comincio ad averne abbastanza di questa suspense.

«Non è finita, testone. Questo è solo l’inizio.»

Va bene, ok, meglio desistere dal battere questo sentie- ro, ho capito che non ho speranza.

«Se Jean ha deciso di sacrificare il suo passato, allora è tutto vero: è stata lei a procurarsi da sola quel marchio.»

«Ritenta, ci sei quasi.»

«Nimrod…»

«Sprechi il tuo tempo. Se scegli questa strada, dovrai cavartela da solo. Ma se vorrai, saremo al tuo fianco.»

Sguaino l’indice dell’esorcista per un’ultima minaccia che enuncio con tono profano: «Prepara il fondoschie- na per il nostro prossimo incontro, scarto dell’eden, ti trascinerò al bivio, ti farò imparare a memoria tutto il De mysteriis Dom Sathanas dei Mayhem e, quando avrò finito con te, nessuno noterà la differenza tra la tua voce e quella di Attila Csihar.»

Ignora la minaccia, compassionevole, contemplando una luce sottile che filtra dal finestrino orizzontale che perimetra un lato della panic room.

«Onora la scelta che ti ha reso libero, Abigail Rain.»

«Libero per cosa?»

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Mi guarda con un velo acido che adombra il volto.

«Per cercarla ancora.»

Chiude il dialogo con questa parole, lasciando che le ultime sillabe si perdano in uno spazio diafano colmo di riverbero da canti liturgici e, in un attimo, il pennuto si dissolve nel nulla, portandosi via anche il corpo di Miwa e ogni speranza che lasciate, oh voi ch’entrate.

Ditemi voi se questa non è sfiga: ne La Storia Infi- nita, il mio collega Atreiu deve soltanto indurre il suo lettore a urlare un nome da una finestra in una soffitta, nient’altro che un fottuto nome da strillare al cielo. E io, invece? Per salvare una favola che inferno e paradiso hanno dannato dal principio, dovrei convincere il mio autore a cambiare un finale già scritto.

Niente male come intreccio: un angelo in Miwa e un demone in Jean… Se la cosa non mi coinvolgesse da vi- cino, ne avrei già fatto l’inizio di una barzelletta spinta ma temo che dovrò essere un po’ meno Abi, stavolta, e analizzare i dettagli in sequenza.

Angeli o demoni, con me non l’hanno vinta, no. Ho delle faccende da sbrigare, quaggiù, prima che l’ultimo Sole prolunghi la mia ombra all’infinito.

Potete giurarci che non è finita.

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