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Ben venga la fine dell oscuramento, anche se, lo ammetto, dopo le prime volte, ho evitato di perdere tempo a seguire il blog della Sánchez.

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Cuba in movimento

Novità a Cuba. La prima è che è stato finalmente sbloccato il blog della famosa Yoani Sánchez , Generación Y

. Non posso che rallegrarmi, era un divieto assolutamente ridicolo: Yoani si limitava a ripetere i commenti che il 90% dei cubani fanno quando si incontrano, e le notizie di “Radio Bemba” (la trasmissione informale e rapidissima delle notizie a voce, ribattezzata oggi scherzosamente CubanLeaks

), insomma nulla di pericoloso per il regime, e anche abbastanza noioso, per chi conosce Cuba da dentro, e riceve più articolate informazioni dirette. Anche quando affronta temi politici

(ultimamente ha chiesto di ricevere informazioni sulla rivolta popolare in corso in Egitto, di cui la stampa ufficiale ha parlato pochissimo), riflette uno stato d’animo diffuso nella popolazione anche non politicizzata, che è avida di notizie non stereotipate. Ricordo l’ansia con cui nel 1994 a chi veniva dal Messico o dall’’Europa i cubani chiedevano notizie sul movimento zapatista, di cui i media ufficiali non parlavano o che facevano commentare al presidente del Messico….

Ben venga la fine dell’oscuramento, anche se, lo ammetto, dopo le prime volte, ho evitato di perdere tempo a seguire il blog della Sánchez.

Yaoni nel primo commento ha dichiarato che teme che la fine del blocco possa essere il frutto di un “incidente tecnologico” e che possa essere rettificato, ma ha anche preso in esame l’ipotesi che “i poliziotti cibernetici si siano resi conto che bloccare un sito serve solo a renderlo più attraente per gli utenti di internet e hanno scelto di mostrare il frutto proibito così demonizzato negli ultimi mesi”. Credo che sia l’ipotesi più probabile, tanto più nella prospettiva dell’inizio dei lavori per congiungere Cuba alla rete continentale con un cavo che dal Venezuela dovrebbe arrivare nell’isola passando per Giamaica. Una misura indispensabile se ci si vuole aprire a investitori stranieri, e per migliorare l’immagine del regime, ma che farebbe cadere ogni pretesto per mantenere le misure che rendono difficile il collegamento a Internet per i comuni mortali.

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L’altra novità, già segnalata in Cuba, uno sguardo sulle riforme, è la ripresa del dibattito, ai margini più che dentro il congresso. A volte con toni aspri. Ne ho preannunciato una selezione, ma non è facile scegliere, e presentare i testi (non sempre basta tradurre).

Tanto più che in questo mese il mio tempo disponibile si è ridotto per varie vicende personali, compreso il furto di un personal computer con una parte importante dei miei archivi e indirizzi; sto per giunta preparando per marzo un viaggio abbastanza lungo in Venezuela.

Ho accennato ai toni, che possono essere irritanti. A volte il lungo stagnare della situazione senza novità significative ha portato a irrigidimenti e a toni aspri nei commenti all’immobilismo del regime. Penso ad esempio a un testo di Haroldo Dilla Alfonso sulla cosiddetta “esportazione di servizi”, che in realtà è un’esportazione di uomini, annunciata dalla ministra del lavoro, che lo presenta come un piano per “riqualificare i lavoratori licenziati” con l’obiettivo di esportarli. Se avanzano qui, si possono mandare in altri paesi: tecnicamente è una “esportazione di servizi” e così si prendono due piccioni con una fava: si affronta la disoccupazione e la scarsità di moneta forte.

Ho esitato a lungo nel riportarlo, per il tono con cui liquida e mette insieme esperienze molto diverse: “Decine di migliaia di lavoratori e tecnici cubani hanno prestato servizi lavorativi in altri paesi del continente, in Africa e in Europa dell’Est, alcuni avvolti nel manto consacrato del cosiddetto internazionalismo, altri attraverso più prosaici contratti di lavoro”. L’esperienza più recente è quella dell’invio di decine di migliaia di esperti in Venezuela, per i quali Cuba riceve, secondo stime ufficiali 6 miliardi di dollari all’anno, in genere “riconosciuti per le loro alte qualità umane e professionali, cosa che è meritevole di lode”. Ma che sono pagati molto meno di quello che riceve lo Stato cubano per il loro lavoro…

Comunque ho deciso di riportarlo integralmente in appendice. Chi ha conosciuto in passato Dilla, che non era certo un dissidente, sarà stupito per certi argomenti, ma avrà un elemento in più per capire i mutamenti provocati dal lungo logoramento del sistema.

Ho scelto invece di tradurre e riportare integralmente un articolo documentatissimo sull’economia cubana di Oscar Espinosa Chepe, anche se è formalmente un oppositore (processato e condannato, ha scontato la sua pena e vive a Cuba). L’ho sempre letto con interesse, per le sue critiche puntuali e non ideologiche ma fattuali.

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Per giunta, durante  più di una decina di anni di attività a Cuba in concrete iniziative di

solidarietà avevo verificato io stesso l’assoluta inattendibilità delle statistiche ufficiali, impostate secondo i consigli degli esperti statistici dell’URSS, che fin dal 1926 avevano sistematicamente alterato i dati reali (con i risultati finali che abbiamo visto…). Avevo soprattutto verificato come nelle statistiche nazionali e in quelle provinciali i dati sulla mortalità infantile, la speranza di vita, ecc. erano sempre entusiasmanti, mentre nelle riunioni di medici, infermiere, brigatiste sanitarie, a livello di singola municipalità, si discuteva invece francamente su dati ben diversi, che

riflettevano le difficoltà reali dell’isola, e non l’ottimismo artificiale dei burocrati. Ne avevo anche scritto – con cautela -   in diversi saggi contenuti ora nell’Archivio del sito, e ne avevo discusso con almeno due ambasciatori e diversi dirigenti cubani.

Può essere che qualcuno si rifiuti di leggere questo articolo perché scritto da un cosiddetto gus ano.Peggio per lui. Leggendolo con attenzione e senza pregiudizi, ci si può invece domandare perché uomini come Oscar Espinosa Chepe non sono stati utilizzati e sono stati spinti all’opposizione… (a.m. 10/2/11)

L’ECONOMIA CUBANA NEL 2010

Oscar Espinosa Chepe

[L’Avana, 14 gennaio 2011 – www.cubanet.org]

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1. “Panorama economico-sociale. Cuba 2010” è il titolo del Rapporto preliminare dell’Ufficio Nazionale di Statistiche [Oficina Nacional de Estadística – One] sull’andamento dell’economia cubana, pubblicato il 5 gennaio.

Il documento fornisce dati sull’economia e la dinamica demografica, per effettuare un bilancio complessivo. Tra gli elementi non contemplati ci sono i risultati della zafra saccarifera [raccolto della canna da zucchero] 2009-2010 e produzioni vitali, ad esempio quella del nichel, del petrolio e del gas. Non compaiono neanche i dati completi della bilancia dei pagamenti, gli investimenti realizzati, l’ammontare del debito estero e il denaro circolante, tra altri importanti indicatori. Occorrerà attendere la pubblicazione dell’“Annuario statistico 2010” per avere un panorama più completo di quanto avvenuto nell’anno.

Peraltro, nelle cifre fornite dall’One si nota qualche divergenza con quelle presentate dal ministro dell’Economia e della Pianificazione, Marino Murillo, nella seduta dell’Assemblea nazionale del Potere popolare [parlamento] tenutasi a dicembre. Se ne può avere un esempio per quanto riguarda i dati sulla produttività del lavoro e il salario medio mensile nel 2010 [v.

oltre].

La One ha annunciato che l’aumento del Pil lo scorso anno è stato del 2,1%, molto al di sotto del livello raggiunto dall’America latina e dall’area dei Caraibi. Secondo il Cepal [ Comisi ón Económica para América Latina,

Commissione economica per l’America latina

], nel Bilancio preliminare del 2010, il Pil della regione è aumentato del 6,0%, con una crescita del 4,8% per abitante. Ad eccezione del Venezuela e di Haiti, tutti i paesi sono cresciuti,

rimontando gli effetti della crisi. Spicca l’andamento positivo delle economie di: Paraguay, Perù, Brasile, Argentina, Costarica, Messico e Cile. Il calo del Pil venezuelano si è ripetuto per il secondo anno consecutivo, ed è stato accompagnato da un’inflazione stimata al 26,9% alla fine di dicembre, la più alta dell’America latina e forse del mondo, che ha provocato, ancora una volta, la decurtazione del salario medio reale, questa volta del 21,2%, in concordanza con le stime preliminari dell’organizzazione regionale sopra citata.

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L’annunciato incremento cubano del 2,1% è superiore alla stima Cepal dell’1,9%, anche se entrambi gli indicatori sembrano sopravvalutati. Il settore agricolo e pastorizio, stando all’One, ha avuto un calo del 2,8% rispetto al 2009, cosa difficilmente comprensibile dal momento che nel I semestre 2010 – il momento di maggiore produzione agricola – il volume ottenuto è sceso del 7,5% - senza considerare la riduzione significativa del raccolto di canna da zucchero – il che rende improbabile un recupero così grande nel II semestre. Il volume della produzione di canna da zucchero non è stato reso noto, ma ambienti ufficiali hanno detto che la scorsa zafra è stata la peggiore in più di cento anni, e il rendimento è arrivato a 27 tonnellate per ettaro rispetto alle 34,3 tonnellate/ettaro raggiunte nel raccolto 2008-2009; un fatto che rafforza la tesi che la decrescita nel settore agricolo e pastorizio sia stata superiore al 2,8% ufficialmente ammesso.

Nella produzione di beni, la pesca è scesa del 4,2% e l’industria manifatturiera, inclusa quella saccarifera, pur se sembra aver conosciuto un recupero rispetto al cattivo andamento del I semestre, ha raggiunto una ben magra crescita dello 0,9%. I settori classificati come “Servizi basilari” sono diminuiti complessivamente del 3,1%, con un calo dell’erogazione di elettricità, gas e acqua dello 0,8% e dell’edilizia del 12,2%, un settore quest’ultimo in cui si è avuto un calo del 7,7% delle abitazioni completate, rispetto all’anno precedente, essendo state finite solo 32.400 unità abitative, con conseguente aggravamento della crisi degli alloggi. Sugli

investimenti, praticamente non si forniscono dati nel rapporto dell’One, anche se nella scorsa seduta dell’Assemblea nazionale si è puntualizzato che il piano è rimasto incompiuto per il 23,6%, con il conseguente approfondirsi del processo di de-capitalizzazione in atto dagli inizi degli anni Novanta. Nella costruzione e montaggio, per l’aspetto investimenti, l’One ammette una riduzione del 15,1%.

Per quanto riguarda trasporto, immagazzinamento e comunicazioni, si indica un aumento del 2,8%, probabilmente dovuto allo sviluppo della comunicazione digitale, perché il trasporto di passeggeri e merci ha presentato invece gravi problemi, per mancanza di pezzi di ricambio e pneumatici. Nel suo resoconto, il ministro ha indicato come nella città dell’Avana il piano del trasporto passeggeri sia rimasto incompiuto per l’8,8%, e si constata il crescente

deterioramento dell’attività, con un alto indice di omnibus fermi per mancanza di materiali.

Come in anni precedenti, si cerca di giustificare l’incremento del Pil con presunte crescite ottenute in altri servizi; nel 2010 esso si situa al 4,0%, con punte significative, difficili da

sostenere, nell’istruzione (4,5%), nella sanità pubblica e nell’assistenza sociale (5,7%), oltre a cultura e sport (7,8%). Questi aumenti risultano inspiegabili, tenendo conto degli evidenti arretramenti nel 2010 e del calo di qualità dell’istruzione evidenziato dalla quantità di sospesi all’esame di accesso alle università e alle prove di ortografia, tra l’altro, così come

dell’abbassamento dei livelli di iscrizione in tutti i gradi di insegnamento – dalle elementari alle superiori – e della soppressione della scuola secondaria obbligatoria in campagna. Per quanto riguarda la sanità pubblica, si è ammessa ufficialmente la carenza di farmaci per gran parte

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dell’anno, e si nota la crescente precarietà del servizio fornito. Proprio all’inizio del 2010, si sono verificate decine di decessi all’Ospedale psichiatrico nazionale “a causa di deficienze connesse alla mancata adozione di opportune misure”, per riprendere la nota ufficiale. Né si può sorvolare sulla riduzione del 17%, rispetto al 2009, dell’assegnazione di fondi per spese di assistenza sociale.

Meno comprensibile risulta l’impressionante crescita comunicata per quanto riguarda cultura e sport, a meno che i continui insuccessi sportivi e la diserzione massiccia degli atleti nel 2010 non si trasformino nella metodologia seguita dalle statistiche cubane. Neanche la cultura può essere cresciuta tanto, giacché i fondi stanziati sono scesi del 4,5%.

Nella sfera del commercio e riparazione di effetti personali si annuncia un aumento dell’1,8%, difficile da accettare tenendo conto che per tutto il 2010 ha continuato a mancare

l’approvvigionamento di prodotti basilari, sia in moneta convertibile sia in pesos, senza

escludere l’offerta sul mercato nero. Hanno scarseggiato prodotti essenziali come lo zucchero, i fagioli, il latte in polvere e le medicine, mentre i prodotti per l’igiene e la cura personale sono scomparsi per lunghi periodi (sapone, deodorante, dentifricio). A volte è stato difficile procurarsi zucchero e caffè anche in peso cubano convertibile (Cuc). Anche per le riparazioni di effetti personali ci sono stati seri problemi, tanto che lo stesso governo lo ha ammesso. Il ministro Murillo ne ha parlato all’Assemblea nazionale, spiegando che la cosa dipende dalla mancanza di pezzi di ricambio e promettendo che ci saranno soluzioni nei prossimi mesi. Tra le

attrezzature irreparabilmente rotte se ne trovano grandi quantità di provenienza cinese,

distribuite durante la “rivoluzione energetica”. [La “rivoluzione energetica” era stata lanciata da Fidel nel 2005, e difesa in un lunghissimo discorso nell’Aula Magna della Università dell’ Avana, il 17 novembre 2005, in cui interrogava studenti e ministri per vedere se sapevano quanto consumava il loro frigorifero. In quella campagna furono importate e distribuite pentole elettriche e altri utensili cinesi e furono lanciati minicentrali, in pratica solo dei medi generatori di

elettricità, di cui era dubbio l’effetto sul risparmio a.m.].

Peraltro, la crescita del 2,1% del Pil è discutibile, visto che il consumo elettrico continua vertiginosamente a ridursi. Certo si possono ottenere risparmi e l’economia può crescere in certa misura, ma non nella percentuale presumibilmente registrata negli ultimi anni. Ora si dà notizia che nel 2010 il consumo del settore statale, in cui si realizzano la maggior parte della produzione e dei servizi, è tornato a scendere del 6,7%. La generazione lorda di elettricità ha raggiunto 17.573,6 gigawatts/ora, con un calo dello 0,8% rispetto al 2009. Le dispersioni di elettricità sono aumentate del 10,2% e, nel 2010, hanno rappresentato il 15,9% dell’energia

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prodotta, il che sta ad indicare una diminuita efficienza.

2. Un ulteriore elemento che rende implausibile l’aumento del 2,1% del Pil nel 2010 è che le importazioni di beni sono diminuire ulteriormente. Nel 2009 erano scese del 37,0% rispetto all’anno precedente. Nel 2010 il decremento è stato del 4,6%, ma se si considera che il valore unitario delle importazioni è aumentato di un 55,5% secondo calcoli ufficiali, in termini di volume si sono ridotte di circa il 35,9%, il che spiega gli arresti produttivi per tutto il 2010 a causa della carenza di materiali vitali. Questo ha anche contribuito al deteriorarsi delle attività commerciali e alla scarsezza di beni alimentari, medicinali e generi di largo consumo.

Nel 2010 le esportazioni di beni sono aumentate del 28,8%, stando all’One, fondamentalmente per l’incremento dei prezzi del nichel e delle limitate quantità di zucchero destinate alla Cina. I beni alimentari, a partire dal giugno 2010, hanno conosciuto uno straordinario aumento dei prezzi sul mercato internazionale, specialmente lo zucchero, il prodotto leader di questa tendenza. Nel dicembre ha superato i 30 centesimi/libbra e alla fine dell’anno è arrivato a un indice di 398,4, prendendo come media i prezzi del periodo 2002-2004, secondo l’analisi della Fao.

Da anni lo zucchero mantiene alte quotazioni, diventando uno dei prodotti di maggior valore su scala mondiale. L’industria saccarifera produce, inoltre, altri derivati appetibili, quali l’etanolo, mangimi per il bestiame, lieviti, resine, materiale da costruzione e altro. Genera anche rilevanti quantità di energia elettrica oltre quella che consuma, destinate al sistema elettro-energetico, con significativi vantaggi finanziari. Se Cuba avesse conservato la sua industria saccarifera, anche se ai modesti livelli produttivi di circa 5 milioni di tonnellate annue, la situazione economica non sarebbe così preoccupante. Lo smantellamento di questa industria è stato l’errore più grave commesso nell’isola.

Il commercio estero, nel suo complesso, riflette un saldo commerciale di beni e servizi positivo, di 3,6 mila milioni di pesos, con un aumento del 92,8%, spiegabile – oltre che per l’incremento delle esportazioni – con la riduzione dell’importazione di beni che sta colpendo in modo

straordinario il funzionamento del paese. Certo, il fattore determinante è stato l’aumento della massiccia esportazione di specialisti, soprattutto in Venezuela, continuando così a rafforzare la dipendenza economica da quel paese, con tutta l’incertezza che questo determina.

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Deve avere inoltre contribuito in forma modesta il 5,5% di incremento degli introiti da turismo in pesos convertibili, su cui hanno inciso le visite di membri della comunità cubana residenti all’estero, trasformatisi nella seconda fonte di turismo dopo il Canada.

I dati ufficiali non mostrano l’ammontare preoccupante del debito estero, stimato in 19,8 mila milioni di dollari US nel 2010 dall’Economist – senza considerare quello contratto con gli ex paesi socialisti – con un servizio sul debito di circa 2 mila milioni, di cui 796 milioni

corrispondono al pagamento degli interessi. Il governo ha informato senza sufficienti

precisazioni che sta rinegoziando il debito e che ha raggiunto alcuni accordi per effettuare i pagamenti con proroga al 2015. Molti creditori pensano che i problemi sussistano, a

prescindere da qualche accordo e qualche rinvio del pagamento del debito, incluso il “ corralito

” imposto nel 2008.

L’arrivo di turisti è stato di 2,5 milioni, con una crescita del 2,9%, stando ai dati One, cui debbono aver contribuito in maniera decisiva le visite di persone provenienti dalla comunità cubana all’estero, soprattutto dagli Stati Uniti. Le entrate lorde hanno raggiunto i 2,2 mila milioni di pesos convertibili, con una crescita del 5,5%,. Naturalmente, come al solito, non si forniscono informazioni sulle entrate nette. Dati i bassi livelli produttivi cubani, l’importazione di articoli destinati al turismo deve essere aumentata, per cui il settore non funge da locomotiva per la ripresa economica ma comporta, viceversa, enormi acquisti all’estero di prodotti che potrebbero perfettamente prodursi internamente. In pratica, si avvantaggiano gli agricoltori nordamericani e i produttori di altri luoghi.

Richiama l’attenzione la riduzione del 15,9% del saggio di occupazione internazionale nel turismo, riferita dall’One. Lo scorso hanno ha raggiunto soltanto il 50,3% rispetto al 59,8% del 2009. Questo potrebbe spiegarsi con l’incidenza crescente degli arrivi di cubani residenti all’estero che alloggiano nelle abitazioni dei familiari, senza utilizzare le disponibilità

alberghiere; potrebbe avere inciso anche l’aumento delle crociere di turisti che pernottano nelle imbarcazioni.

3. Le statistiche One insistono su indici di prezzi al consumo (Ipc) privi di qualsiasi validità, con

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un incremento del solo 1,4% nel 2010, chiarendo che si tratta di mercati in pesos cubani. Non è chiaro se si sa contemplata l’incontestabile realtà del mercato nero.

A Cuba esiste una gamma di mercati cui il cittadino deve ricorrere non avendo altra scelta, mercati che vanno dalla vendita in pesos convertibili (Cuc) di molti articoli che è pressoché impossibile acquistare altrove, fino al mercato nero, passando per la vendita statale e i mercati di scambio offerta/domanda consentiti. È comunque difficile sostenere che si sia avuto un aumento dell’1,4% del Ipc, se i prezzi dei combustibili sono aumentati tra il 14% e il 18% e se, fino a settembre, i prezzi sul mercato agricolo e pastorizio hanno conosciuto un aumento medio del 4,5%, sempre secondo l’One; con un ulteriore aggravio per molti articoli, ad esempio i fagioli, arrivati a costare fino a 20 pesos/libbra, o il riso, che ha oscillato sul mercato nero tra i 5-6 pesos/libbra, superando in certe zone del paese i 10 pesos/libbra.

Analogamente, sembra che l’One dimentichi l’aumento di prezzi per la vendita razionata di sigari, passati da 2-2,50 pesos/scatola a 7-7,60 ciascuna sul mercato libero, al pari dei piselli, passati da 16 centesimi/libbra a 3.50 pesos. I prezzi sono esplosi anche sul mercato nero, dove il latte in polvere, venduto poco tempo fa a 20-25 pesos/libbra, costa ora, quando lo si trova, non meno di 35 pesos.

L’Ipc reale, nel 2010 come negli anni precedenti, potrebbe essere superiore al tasso di interesse pagato dalla banca cubana per i depositi di risparmi a scadenza, sia in moneta nazionale (Mn), sia in Cuc e in dollari Us. L’interesse annuo massimo pagato dai fondi in Mn è del 7% a 36 mesi. Con la stessa scadenza, gli interessi per depositi in Cuc e in dollari Us sono del 4,50 e dell’1,75, rispettivamente. Quanto ai conti correnti, gli interessi non superano lo 0,50% annuo, in qualsiasi moneta. Il fatto che gli interessi bancari possano essere inferiori all’inflazione reale non può non causare il continuo deprezzamento dei risparmi.

L’assenza di credibilità si ripropone per quanto riguarda l’indice di disoccupazione indicato dall’One, l’1,6%, inferiore all’1,7% del 2009, irrealistici entrambi, naturalmente. È sufficiente farsi un giro in qualsiasi villaggio o città per osservare quanta gente in età lavorativa se ne stia a spasso senza fare nulla a qualsiasi ora, cosa che fa a pezzi quegli assurdi indicatori.

Il salario medio mensile è arrivato a 436 pesos nel 2010 – secondo l’One -, pari a 17,44 Cuc o a 21,80 dollari ai tassi ufficiali, con un incremento dell’1,6% rispetto al 2009. Questo significa che il reale potere d’acquisto del salario continua a diminuire, tenendo conto dell’incremento dell’Icp intervenuto nel 2010. Anche l’affermazione del ministro Murillo, secondo cui l’aumento della

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produttività del lavoro si sarebbe avvicinato alla crescita del salario medio, potrebbe non essere certa. Il Pil per lavoratore occupato è stato di 9.339 pesos, con un incremento del 2,1%,

secondo il calcolo effettuato in base al Pil a prezzi costanti del 1997. Tuttavia se, come abbiamo segnalato sopra, questo indicatore è poco sostenibile, potrebbe non essere esatto anche

l’incremento dell’efficienza produttiva attestato da questi dati, con il protrarsi quindi della tendenza a una crescita del salario medio superiore alla produttività del lavoro.

Per quanto riguarda l’esercizio del bilancio 2010, si osserva una riduzione del passivo stimato in 549,4 milioni di pesos. Se si conferma il passivo di 2,46 miliardi di pesos nel 2010,

rappresenterebbe il 3,8% del Pil annunciato rispetto al 4,8% dell’anno precedente.

Chiaramente, i dati vanno presi con prudenza, vista la mancanza di credibilità del Pil cubano.

Ad ogni modo, il passivo deve essersi ridotto, in seguito ai drastici tagli nelle spese sociali, ad esempio la riduzione dei sussidi per gli articoli venduti nel sistema di razionamento, quella dell’assistenza sociale e la soppressione della costosa scuola secondaria in campagna, tra l’altro. Per il 2011, la politica di risparmio si radicalizzerà, con il licenziamento massiccio di lavoratori e la riduzione delle sovvenzioni per generi alimentari e servizi quali l’elettricità. Anche se, dal punto di vista economico, le misure di aggiustamento potrebbero arrecare dei vantaggi, sicuramente, se non si verificano compensazioni per i settori più deboli della popolazione e un’applicazione graduale delle misure stesse, potrebbero crearsi delicate tensioni sociali e politiche.

I dati forniti dall’One in materia di demografia indicano che nel 2010 la popolazione ha

continuato a diminuire in valori assoluti, con meno nascite e più decessi. Se ne può dedurre che si protrae il processo di invecchiamento, con le sfide che questo comporta per un paese con così basse possibilità di effettuare investimenti per soddisfare le esigenze generali derivanti dall’aumento delle persone della terza età; questa situazione è aggravata dai bassi livelli di produttività del lavoro. La popolazione economicamente attiva è scesa a 11.600 persone.

Poiché in molti dei dati dell’One si nota la stessa assenza di sostenibilità degli anni precedenti, non deve stupire che gli organismi internazionali dediti alle questioni economiche continuino ad accogliere con riserve le informazioni fornite da istituzioni cubane. Nell’Indice dello Sviluppo umano 2010 pubblicato dal Pnud [il Programma dell’Onu per lo Sviluppo] Cuba non compare nell’elenco dei paesi, ma in un gruppo classificato “Altri paesi e territori”, senza dati economici e insieme a nazioni fallimentari come la Somalia, la Corea del Nord, l’Eritrea, isole ed altri paesi piccolissimi.

Il presidente Raúl Castro, nella seduta dell’Assemblea nazionale tenutasi a dicembre, si è pronunciato contro le imprecisioni, le menzogne e gli inganni. Ha invitato a “mettere sul tavolo

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tutta l’informazione e gli argomenti che sorreggono ogni decisione e, al tempo stesso, ad eliminare l’eccesso di segretezza”. Ha detto che “le informazioni inesatte possono portare a decisioni sbagliate,  con ripercussioni più o meno grandi per la nazione”. Per estendere questa analisi, si potrebbero aggiungere che indici infondati, ad esempio sullo sviluppo economico, la disoccupazione e i tassi di inflazione ridicoli, tra gli altri dati privi di credibilità, screditano nazionalmente e internazionalmente i governi che li forniscono.

Le prospettive economiche per il 2011 sono incerte. Nel Piano dell’Economia si è stabilita una crescita del 3,1%. Questo dipenderà dalle decisioni che si adotteranno circa il raggiungimento delle riforme economiche da adottare quest’anno. Se si cerca soltanto di attualizzare un modello assolutamente fallito con misure parziali, secondo l’impostazione dei “Lineamenti Economici e Sociali” per il VI Congresso del Partito comunista cubano, non ci saranno

soluzioni. Si sarà persa irrimediabilmente l’ultima occasione, e Cuba potrebbe precipitare nel marasma.

(Traduzione di Titti Pierini 10/1/11)

Appendice

CUBA: ¿EXPORTAR GENTE O SERVICIOS PROFESIONALES?

Haroldo Dilla Alfonso

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HAVANA TIMES, 5 enero — Hace ya algunas semanas conocimos, a través de la ministra del trabajo cubana, un plan para recalificar a los trabajadores despedidos con el objetivo de

exportarlos. La idea es sencilla: si sobran acá se pueden exportar a otros países –técnicamente esto se llama una “exportación de servicios profesionales”-y con ello se resuelven dos

problemas: el desempleo y la escasez crónica de moneda fuerte. Ante todo debo decir que aunque exportar personas ha sido un buen negocio para el gobierno cubano desde los 60s (exportar descontentos potenciales y ganar tributarios) a largo plazo toda política basada en exportar fuerza de trabajo es un fracaso, pues no hace otra cosa que exportar el capital más valioso de una sociedad: su gente. Balancea el presente, pero embarga el futuro.

Pero no creo que la ministra ande haciendo cálculos complicados. La ministra no hace otra cosa que reflejar los apuros de los dirigentes cubanos ante los efectos depredadores que tendrá sobre la sociedad el despido de cientos de miles de trabajadores. Y obviamente, su imprescindible efecto político. Un contexto en que la idea de colocar a una parte de ese excedente laboral allende los mares suena a música celestial.

No es la primera vez que sucede. Decenas de miles de trabajadores y técnicos cubanos han dado sus servicios laborales en otros países del continente, Africa y Europa del Este, unos envueltos en el manto consagrado del llamado internacionalismo y otros mediante más prosaicos contratos laborales. La experiencia más reciente ha sido el envío de decenas de miles de profesionales a Venezuela y otros países del ALBA, por lo que Cuba recibe, según cifras oficiales, unos 6 mil millones de dólares anuales.

En todos los casos los trabajadores cubanos han dejado sus energías e inteligencias en otros lugares, y regularmente son reconocidos por sus altas cualidades humanas y profesionales, lo cual es digno de destacar. Obviamente, lo declarado no es fruto de la imaginación de la

ministra, que, si la tiene, sabe que debe guardarla muy bien pues en Cuba los ministros con imaginación duran poco tiempo. Ello aparece explícitamente en los Lineamientos de la Política Económica y Social, en la sección de Comercio Exterior, y llama al establecimiento de una estrategia para la exportación de servicios profesionales, en asociación con el capital

extranjero, incluyendo “el envío de fuerza de trabajo individual” aunque de forma no priorizada.

Pero aparece de manera implícita en muchos otros artículos y secciones, como si fuera ese pariente maldito en quien todos piensan pero a quien nadie menciona. La ministra por tanto, está apegada a los Lineamientos. Y quien lo está, no tiene más remedio que ser tan liviano y chapucero como ellos. El asunto es muy complejo por varias razones. Yo sólo quiero

detenerme en dos.

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Competitividad y ética

La primera es de orden práctico y se refiere a la pregunta de si la fuerza de trabajo

–básicamente la profesional-es lo suficientemente competitiva como para abrirse paso en el complejo y exigente mercado mundial. Yo no lo creo. Cuba posee una fuerza de trabajo muy calificada para programar su desarrollo nacional, y eventualmente existen carreras en que los profesionales cubanos son muy estimados, como es el caso de la medicina cuyo personal suma a sus cualidades técnicas sus condiciones de una ética no comercial. Pero ello no los hace competitivos como para invadir por decenas de miles los mercados más sofisticados que pudieran pagar por el servicio. Los dirigentes cubanos –y sus académicos

subsidiarios-confunden la necesidad con la virtud -la coyuntura con la vida-cuando creen que Cuba es una exportadora de servicios profesionales de primer orden, porque exporta médicos a Venezuela o a Bolivia. En esos lugares los cubanos operan en nichos protegidos al margen del mercado mundial de fuerza de trabajo, pues son contratados por razones políticas. No conozco las interioridades de la sociedad venezolana, pero sospecho que sin el compromiso de Chávez con el gobierno cubano y su megalomanía continental, lo que hacen los médicos

cubanos pudieran hacerlo (al menos fundamentalmente) los médicos venezolanos con mejores pagas, lo que implicaría significativos ahorros para el estado venezolano. En consecuencia, desaparecidas las circunstancias políticas, Cuba se verá obligada a seguir exportando fuerza de trabajo a quien no puede pagar.

El otro cuestionamiento es ético. Los cubanos que van a Venezuela o a cualquier otro lugar, van en condiciones sociales y de sujeción legal ominosas. Realmente cobran muy poco de lo que el gobierno venezolano paga, viven en condiciones desfavorables, les quitan el pasaporte, si deciden quedarse en Venezuela o salir para un tercer país reciben un castigo de separación por muchos años de sus familiares, entre otras aberraciones reñidas con los pactos

internacionales sobre derechos humanos, de los que el gobierno cubano es signatario. Cuba carece de un sistema migratorio libre. Los profesionales emigrados son peones del estado y sus familiares son rehenes en manos de ese mismo estado.

Reforma migratorio cubano

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Con toda seguridad, si en Cuba existiera un régimen migratorio justo, los profesionales y trabajadores cubanos optarían por encontrar esos empleos por su propia cuenta, y residir o no en el país según dicte su propia conveniencia, según es usual en el resto del mundo. O

pudieran ser partes de contratos estatales, pero reclamarían mejores condiciones salariales y de trabajo. Pero Cuba posee un régimen migratorio abusivo y expoliador que le permite tratar a sus trabajadores migrantes como siervos de la gleba. Y por eso la exportación cubana de

“servicios profesionales” que tan golosamente proclama la ministra, difícilmente funcionaría sin el sistema político autoritario y opresivo que hay en el país. Sin lugar a dudas Cuba posee en su stock de recursos humanos calificados –y aquí incluyo los significativos aportes que pudiera hacer la diáspora- el principal activo para su desarrollo. Pero como todo activo, éste requiere de políticas de preservación y reproducción que hoy no existen. Y por eso, la sociedad cubana continúa indigestándose con sus propios avances. Obviamente que la solución de este

problema no está en los Lineamientos, esa lista de supermercado, mezquina e incompleta, donde lo que falta es más elocuente que lo que está. No será echando manos a estas

estratagemas francamente precapitalistas como la nación podrá mirar con optimismo al futuro.

Mucho menos exportando gente en una sociedad que, por lo demás, tiene una bajísima tasa de natalidad. De lo que se trata es de una política de incentivo y protección a la pequeña y

mediana empresa, de la desestatización (sea privatizando o socializando por la vía

cooperativa) de esas inmensas franjas de economía improductiva que hoy están en manos de una burocracia gris y agotada, de establecer medios efectivos de cogestión de los trabajadores en las empresas, entre otras medidas que ayuden justamente a retener esa fuerza de trabajo para que encuentren más atractivo residir y trabajar en el país en que naciero

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