• Non ci sono risultati.

Capitolo 1

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 1"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

Acquisizione di bioimmagini

Uno degli strumenti da laboratorio più comuni è senza dubbio il microscopio. Esso nasce alla fine del 1600 in una bottega di artigiani olandesi. I primi modelli non suscitavano un grande interesse, si limitavano a mostrare il solito mondo di tutti i giorni appena un po’ più ingrandito. Sono occorsi molti anni prima che la messa a fuoco ed il taglio delle lenti fossero perfezionati. La microscopia ricevette un forte impulso grazie al lavoro di Hooke e di Leeuwenhoeck. Questo ultimo nel 1674 pubblicò le sue prime osservazioni su protozoi e batteri e da quel momento in poi il microscopio divenne uno strumento insostituibile in campo di ricerca scientifica.

Tre le apparecchiature oggi più utilizzate per l’osservazione e l’acquisizione di immagini biomediche ci sono il microscopio ottico, il microscopio elettronico, il microscopio confocale, il microscopio a fluorescenza.

Fig. 1.1

Microscopio da laboratorio

(2)

1.1 La microscopia a fluorescenza

La microscopia a fluorescenza è ampiamente usata per osservare le caratteristiche di specifiche biomolecole (proteine cellulari marcate, complessi antigene-anticorpo, cromosomi o singoli geni ) presenti nelle cellule di campioni biologici.

In generale le molecole di sostanza fluorescente assorbono luce ad una

certa lunghezza d’onda

λ

a e riemettono luce ad una lunghezza d’onda e

λ

maggiore rispetto a

λ

a; si ha cioè:

λ

e

>

λ

a

Consideriamo un fotone della radiazione luminosa incidente su una molecola fluorescente; il quanto di energia associato a tale fotone vale:

a

a

h

E

=

ν

Fig. 1.2

(3)

dove h è la costante di Planck, che vale circa 6,63⋅10−34

[

Joule⋅sec

]

e

ν

a è

la frequenza della radiazione luminosa incidente considerata; si ha:

a a c λ = ν

In questa espressione c è la velocità della luce nel vuoto, che vale circa

[

metri sec

]

10

3⋅ 8 . Si supponga che il fotone in questione ceda il suo quanto di energia Ea ad un elettrone di valenza che si trova in un certo livello energetico, cioè in un certo orbitale di un atomo della molecola fluorescente considerata. Tale elettrone assorbe l’energia

E

a del fotone e conseguentemente salta ad un livello energetico superiore: si dice che l’elettrone passa in uno stato eccitato. In generale un elettrone che si trova in uno stato eccitato è instabile, perciò tende a tornare nel suo stato

fondamentale (stabile) con minima energia; nel passaggio (transizione)

dallo stato eccitato allo stato fondamentale l’elettrone riemette l’energia

a

E

precedentemente assorbita sotto forma di radiazione luminosa (cioè di luce) e di calore. Per quanto riguarda la radiazione luminosa, l’elettrone emette un fotone al quale è associato il quanto di energia:

e e

h

E

=

ν

dove: e e

c

λ

=

ν

(4)

è la frequenza di tale radiazione, associata al fotone emesso. Questa emissione di luce da parte della molecola considerata rappresenta il fenomeno della fluorescenza.

Dato che una parte dell’energia

E

a della radiazione luminosa incidente sulla molecola in questione viene trasformata in calore, ai fotoni della luce emessa sono associati quanti di energia di valore inferiore rispetto a

quelli associati ai fotoni della luce incidente, cioè si ha

E

e

<

E

a; per le

relazioni precedenti, ciò comporta νe <νa: ne segue che la luce emessa

per fluorescenza dalla molecola ha una frequenza inferiore rispetto alla frequenza della luce su essa incidente. In termini di lunghezza d’onda si ha λe>λa, verificando che una molecola fluorescente emette luce ad una lunghezza d’onda superiore rispetto a quella della luce su essa incidente.

Fig. 1.3

Fenomeno della fluorescenza

(5)

Nei fenomeni di fluorescenza l’intensità dell'emissione luminosa è specifica per ogni sostanza e diminuisce nel tempo molto rapidamente, con una legge esponenziale analoga a quella del decadimento radioattivo: in pratica si può dire che la fluorescenza, a differenza della fosforescenza, cessa al cessare della causa di eccitazione. In generale la radiazione luminosa incidente su una molecola fluorescente, che in parte viene da essa assorbita, è chiamata luce di eccitazione.

1.2 Principio di funzionamento di un microscopio a

fluorescenza.

Innanzi tutto gli oggetti che vogliamo osservare (cellule, batteri, proteine) vengono ‘marcati’ con le molecole di una certa sostanza fluorescente e poi vengono illuminati con la luce di eccitazione. Questa luce viene

Fig. 1.4

Caratteristiche della riemissione ? ( nm )

(6)

ottenuta filtrando la radiazione generata della sorgente luminosa del microscopio utilizzato per mezzo di un opportuno filtro ottico, chiamato

filtro di eccitazione, che lascia passare solo le lunghezze d’onda (finora

indicate con

λ

a) che possono essere assorbite dalle molecole fluorescenti con le quali abbiamo marcato gli oggetti da osservare. Il filtro di eccitazione è un filtro ottico di barriera, cioè un passa banda con banda passante molto stretta centrata attorno alla lunghezza d’onda di

eccitazione (cioè di assorbimento)

λ

a delle molecole di sostanza

fluorescente.

Nelle figure 1.6 e 1.7 è riportato lo schema semplificato di un microscopio a fluorescenza di tipo dicroico.

Fig. 1.5

Sistema di filtri in un microscopio a

(7)

Figura 1. 7 Schema semplificato di un microscopio a fluorescenza di tipo dicroico.

La luce di eccitazione che, come abbiamo visto, è monocromatica a lunghezza d’onda λa, dopo essere stata deviata da uno specchio dicroico (divisore di fascio), passa attraverso le lenti che costituiscono

(8)

l’obiettivo del microscopio, le quali focalizzano tale luce verso il campione da osservare. Le molecole fluorescenti, una volta illuminate dalla luce di eccitazione, emettono una radiazione luminosa; l’intensità di tale radiazione è direttamente proporzionale sia alla densità di molecole fluorescenti, cioè al numero di tali molecole contenute nell’unità di volume di campione osservato, che all’intensità della luce di eccitazione stessa. La luce emessa per fluorescenza passa di nuovo attraverso l’obiettivo, il quale la focalizza verso il dispositivo di rivelazione luminosa; poi tale luce attraversa in sequenza lo specchio dicroico (questa volta senza essere deviata) ed un altro filtro ottico, chiamato filtro di

osservazione, che lascia passare solo le lunghezze d’onda (finora

indicate con

λ

e) emesse dalle molecole fluorescenti considerate. Anche il filtro di osservazione, come quello di eccitazione, è un filtro ottico di barriera, cioè un passa banda con banda passante molto stretta centrata

questa volta attorno alla lunghezza d’onda di emissione

λ

e delle

molecole di sostanza fluorescente.

La luce che esce da questo secondo filtro è monocromatica a lunghezza d’onda λe e raggiunge il rivelatore luminoso, che può essere un oculare oppure una videocamera; tale rivelatore permette all’operatore di osservare l’immagine di microscopia a fluorescenza del campione osservato, nella quale sono visibili gli oggetti che erano stati marcati con le molecole fluorescenti in questione. In tale immagine gli oggetti marcati appaiono luminosi su uno sfondo scuro, perché i punti dello sfondo, non essendo stati marcati, non emettono luce per fluorescenza ed anche se riflettono una parte della luce di eccitazione, le lunghezze d’onda relative a questa luce riflessa sono in generale diverse da λe, perciò vengono

(9)

bloccate dal filtro di osservazione. La videocamera del rivelatore può contenere un sensore CCD: esso converte la radiazione luminosa che esce dal filtro di osservazione in un segnale elettrico di intensità ad essa proporzionale. Successivamente questo segnale elettrico viene digitalizzato e inviato ad un computer, che provvede a ricostruire l'immagine di microscopia a fluorescenza del campione osservato su un monitor ed eventualmente a compiere elaborazioni successive di tale immagine. Si nota che se il microscopio utilizzato non è di tipo confocale, nell’immagine ottenuta si vedono tutti gli oggetti marcati, presenti nell’intero spessore del campione osservato.

Normalmente le sostanze fluorescenti sono chiamate fluorocromi o sonde biologiche; nella figura 1.8 sono riportati alcuni fluorocromi di uso comune e per ciascuno di essi è indicata sia la lunghezza d’onda di eccitazione (λa) che quella di emissione (λe).

Figura 1.8 Lunghezze d’onda (nm) di eccitazione (λa) e di emissione (λe) di alcuni

(10)

Figura 1. 9 Struttura del fluorocromo ‘Texas Red’

Si nota come tutte le lunghezze d’onda relative ai fluorocromi appartengano alla banda della luce visibile e per ognuno di essi vale la disuguaglianza λe >λa. Tra i più comuni marcatori fluorescenti

ricordiamo la fluoresceina (FITC), che emette luce verde quando viene eccitata con luce blu e la rodamina, che emette luce rossa quando viene eccitata con luce giallo-verde. Esistono anche fluorocromi che vengono eccitati con radiazioni elettromagnetiche nella banda dell’ultravioletto (UV), cioè aventi lunghezze d’onda λa <400nm ; dopo aver assorbito tali radiazioni questi fluorocromi emettono luce blu.

Non sempre è possibile marcare gli oggetti che vogliamo osservare, che nel caso specifico possono essere proteine, cellule o anche singole biomolecole, legandoli direttamente alle molecole di sostanza fluorescente. In questi casi una tecnica molto utilizzata sfrutta molecole

(11)

selettivamente alle molecole delle strutture da osservare. Un importante

metodo per l’osservazione di cellule specifiche consiste infatti nell’ innestare molecole di sostanza fluorescente a specifici anticorpi, che

a loro volta si legano molto selettivamente a determinate macromolecole (chiamate antigeni ) presenti nelle strutture biologiche su cui si sta indagando.

A seconda della sostanza fluorescente utilizzata per marcare gli oggetti da osservare, nel microscopio vengono inseriti, grazie ad opportuni alloggiamenti, un filtro di eccitazione ed un filtro di osservazione specifici per tale sostanza, cioè aventi bande passanti opportunamente strette, centrate attorno a

λ

a e a

λ

e rispettivamente. Anche lo specchio dicroico deve essere specifico per la particolare sostanza fluorescente utilizzata, perché deve deviare (cioè riflettere) solo i raggi luminosi di eccitazione, che hanno una lunghezza d’onda circa uguale a

λ

a, mentre deve lasciar passare (cioè trasmettere) i raggi di luce emessi per fluorescenza dai fluorocromi illuminati all’interno del campione osservato; infatti tali raggi, che hanno una lunghezza d’onda circa uguale a

λ

e, non devono essere deviati dallo specchio dicroico impiegato ma devono raggiungere il punto di osservazione.

(12)

1.3 Rappresentazione delle immagini

Dal punto di vista tecnico, i metodi con cui le immagini vengono rappresentate sono molteplici. In Matlab, e più in generale nella maggioranza delle applicazioni, una immagine di fatto consiste in un vettore multidimensionale di dati a cui può essere eventualmente associata una mappa di colori (‘colormap’, anch’ essa un vettore) .

Tre tipologie base di rappresentazione sono:

- immagini indicizzate;

- immagini RGB ( anche dette ‘trucolor’);

- immagini ad intensità (anche dette ‘a scala’ o ‘a livelli di grigio’);

1.3.1 Immagini indicizzate

Una immagine indicizzata consiste in una matrice di dati bidimensionale a cui è associata una seconda matrice di dimensioni (n x 3) costituente la relativa mappa di colori. Ogni riga di questa ultima specifica infatti il livello di rosso, verde e blu corrispondente ad un singolo colore ( n colori in tutto). Il colore di ciascun pixel è determinato secondo la tecnica della

‘mappatura diretta’ : nella matrice sono indicati punto per punto gli indici (

da qui il nome ) che puntano alla corrispondente tripletta nella mappa dei colori.

La seguente figura illustra la struttura di una immagine indicizzata. Tipicamente i pixel nell’immagine sono rappresentati da interi, che costituiscono i puntatori (indici) al rispettivo valore di colore.

(13)

Figura 1. 10 Struttura di una immagine indicizzata

La relazione tra i valori della matrice che costituisce l’immagine e quelli della mappa dipende da come l’immagine stessa è codificata. La differenza sta nell’eventuale presenza di un piccolo offset che trasla tutti i riferimenti. La codifica per la mappa è in genere di tipo in virgola mobile (classe ‘double’, doppia precisione) per cui i valori sono compresi tra la tripletta [ 0 0 0 ] corrispondente al nero , e [ 1 1 1 ] corrispondente al bianco. Ad esempio la tripletta [ 1 0 0 ] corrisponde al colore rosso.

(14)

Figura 1. 11 Struttura di una immagine RGB

1.3.2 Immagini RGB

Una immagine di tipo RGB, spesso indicata come ‘truecolor’ (‘colori

veri’), è memorizzata secondo un vettore multidimensionale di dimensioni

( M x N x 3) , dove M ed N indicano le dimensioni dell’ immagine stessa, mentre la terza dimensione indica che si ha una matrice di dati rispettivamente per il colore rosso (R), per il verde (G) e per il blu (B). Il colore di ciascun pixel è determinato dalla combinazione dei tre livelli di colore memorizzati nei tre piani.

Tipicamente il formato con cui vengono rappresentate le immagini di questo tipo è di 24 bit: ciò significa avere 8 bit per ciascuno dei tre colori

e quindi

2

24 (16 milioni) colori possibili.

La precisione con cui una immagine reale viene riprodotta ha suggerito il nome di ‘immagine a colori veri ’ (‘truecolor image’) .

(15)

La figura precedente illustra la codifica di una immagine RGB di classe ‘double’.

Come nel caso dell’ esempio precedente, in una immagine di tipo RGB di classe ‘double’, ogni componente di colore ha valore che varia tra zero ed uno; ne segue che un pixel cui è associata la tripletta [ 0 0 0 ] per ciascuna componente è visualizzato come nero.

Si intuisce che in questo modo non viene utilizzata nessuna mappa di colori, ma come conseguenza si ha sicuramente una maggior pesantezza in fase di memorizzazione ed elaborazione.

(16)

Una immagine a livelli di grigio è un vettore bidimensionale di dati i cui valori rappresentano le rispettive intensità all’interno di un range fissato. La loro memorizzazione tipicamente avviene in una unica matrice, e la corrispondenza è diretta elemento – pixel. Tipicamente non viene associata nessuna palette di colori. All’interno della piattaforma Matlab la rappresentazione è simile a quella adottata per le immagini indicizzate, come appare chiaro in figura (immagine di classe ‘double’):

Fig. 1.12

Struttura di una immagine a livelli di grigio

(17)

1.4 Descrizione della funzione sviluppata

1.4.1 Motivazioni

L’ intenzione di sviluppare la funzione che affianca questo lavoro di tesi è nato dall’ esigenza di riuscire ad avere uno strumento che consentisse in modo semplice e veloce la ripetizione di tutta una serie di procedure ed elaborazioni sulle immagini a disposizione. Ne è nata una serie di routine tra loro interconnesse che portano l’utente dalla selezione dell’ immagine alla sua segmentazione, al conteggio dei pattern in essa identificati, alla costruzione finale di un modello del processo evolutivo, attraverso il complesso dei dati così raccolti.

Lo sviluppo in ambiente Matlab (versione 6) è giustificato dall’ ampio uso che di questa applicazione si fa all‘interno del laboratorio di Risonanza Magnetica dell’Istituto di Fisiologia Clinica, CNR Pisa, nei cui laboratori il presente lavoro di tesi è stato elaborato.

1.4.2 Avvio

Dopo aver avviato l’esecuzione del programma Matlab ed una volta caricato il complesso di funzioni che costituiscono l’applicazione nella directory di lavoro corrente, si seleziona ‘Main’ e la si lancia semplicemente premendo il tasto F5.

(18)

Vengono presentate le operazioni che l’applicazione consente e presentato un campo note in cui verranno riportati dati salienti come descritto in seguito.

1.4.3 Selezione ed apertura immagini

L’ utente viene invitato a selezionare una delle immagini presenti nel suo database. Alla pressione del relativo tasto, evidenziato dal testo in rosso, viene visualizzato il percorso di selezione come in figura 1.14.

Figura 1.13

(19)

Una volta selezionata l’immagine, il programma determina automaticamente se la rappresentazione è per livelli di grigio o a colori di tipo RGB. In questa seconda eventualità, la visualizzazione è del tipo di figura:

Figura 1.14

Finestra di selezione

Figura 1.15

Visualizzazione di una immagine di tipo RGB

(20)

consentite c’è la visualizzazione di ogni singolo canale e la visualizzazione a coppie. Ciò può essere particolarmente utile in quelle applicazioni in cui l’informazione è espressa da particolari configurazioni cromatiche. Di seguito sono riportate le visualizzazioni del canale rosso e del canale blu in livelli di grigio relativi all’esempio.

Figura 1.16

(21)

Nel caso in cui l’immagine selezionata sia già espressa in livelli di grigio, la routine presenta due visualizzazioni :

- la prima in originale, eventualmente ridotta nelle dimensioni per consentire un facile caricamento e visualizzazione;

- la seconda con i bordi modificati in base al criterio indicato di seguito.

Spesso le immagini raccolte (ad esempio da microscopio) presentano irregolarità di illuminazione o di focheggiatura proprio lungo i confini; al fine di ridurre l’impatto che queste irregolarità possono introdurre nell’ elaborazione, si è deciso di sostituire il bordo con il livello di grigio

Figura 1.17

(22)

maggiormente ivi presente, determinato attraverso una scansione dell’ intera immagine. Come esempio sono riportate le figure 6 e 7.

Attraverso un apposito tasto è possibile visualizzare l’ istogramma dei

livelli di grigio (vedi figura 1.20) oppure riavviare completamente l’ elaborazione.

Figure 1.18 e 1.19

Rappresentazione di una immagine in livelli di grigio in originale (1.18) e con bordi modificati (1.19)

Figura 1.20

Esempio di istogramma di livelli di grigio

(23)

E’ anche possibile visualizzare una versione dell’immagine a bordi modificati maggiormente contrastata (tasto ‘Contrasta’ in figura 1.19). Per facilitare l’utente nella identificazione dei vari oggetti a video, nel campo ‘Note’ viene visualizzato il nome dell’ ultima immagine aperta, mentre ogni figura riporta nel titolo il relativo riferimento. (Figure 1.20,1.21,1.22)

In questo momento divengono attivi anche i tasti relativi alla procedura di segmentazione (in precedenza erano visualizzati ma inattivi) . Le scelte possibili sono:

- Segmentazione con soglia - Segmentazione con gradiente

- Segmentazione secondo approccio ‘Region Growing’

Si rimanda al capitolo successivo per la relativa descrizione. Figure 1.21 e 1.22 Indicazione del nome del file

Figura

Figura 1. 7   Schema semplificato di un microscopio a fluorescenza di tipo dicroico.
Figura 1.8  Lunghezze d’onda  (nm)  di eccitazione ( λ a ) e di emissione ( λ e ) di alcuni
Figura 1. 9   Struttura del fluorocromo ‘Texas Red’
Figura 1. 10   Struttura di una immagine indicizzata
+2

Riferimenti

Documenti correlati

1) Bilancio al top dell’atmosfera: richiede l’analisi della radiazione solare (in parte già vista), dell’albedo e della radiazione emessa dalla terra, come se stessi guardando

Si tratta di un bilancio puramente radiativo, ricavabile da misure da satellite. Il satellite vede il sistema terra + atmosfera complessivamente ed è in grado di valutare la

La risoluzione energetica è definita come la FWHM della distribuzione energetica per un segnale monocromatico di un certo tipo di radiazione.. Caratteristiche

Dunque solo una parte della circonferenza contribuisce alla curvatura della traiettoria.La valutazione del campo magnetico dei dipoli deve essere fatta tenendo conto di questo

I dati tipici del sito ( e ) unitamente a quelli relativi alla geometria solare nelle diverse ore del giorno e nei diversi mesi dell’anno, possono quindi essere

Consideriamo una particella non relativistica di massa m, carica z ed energia cinetica E che si muove in un materiale di numero atomico Z e di densità N atomi/cm 3 : essa

Nell’effetto fotoelettrico e nella produzione di coppie il fotone si annichila, e sia l’elettrone che la coppia elettrone-positrone hanno un range limitato e cedono quindi

Da quanto visto precedentemente, la sezione d’urto totale (cioè la somma delle diverse sezioni d’urto elencate) per basse energie del neutrone si può esprimere con la