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Appendice B: Proprietà fisico-chimiche dell’idrogeno e principali tecnologie di produzione

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Appendice B:

Proprietà fisico-chimiche dell’idrogeno e principali

tecnologie di produzione

B.1 Caratteristiche generali dell’idrogeno

L’idrogeno è noto da secoli, ma le sue caratteristiche cominciano ad emergere solo intorno al sedicesimo secolo quando Paracelso notò un gas infiammabile prodotto per reazione dall’acido solforico con il ferro. La sua scoperta, però, viene attribuita al chimico britannico Henry Cavendish nel 1766; nominato inizialmente “aria infiammabile” da Joseph Priestley, fu in seguito chiamato “idrogeno” dal chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier nel 1783.

L’idrogeno (dal greco “ύδωρ” (ùdor) e “γένος” (ghènos), “generatore di acqua”) è di gran lunga l’elemento più abbondante nell’universo, dal momento che molte stelle, la maggior parte, risultano esserne costituite in una percentuale pari anche al 75% della propria massa, così come dimostra l’analisi spettrale della luce che esse emettono. Con l'ossigeno ed il silicio è uno degli elementi più diffusi sulla crosta terrestre. Molto raro è l'idrogeno allo stato elementare sul nostro pianeta in quanto l'attrazione gravitazionale terrestre, minore di quella delle stelle e dei grandi pianeti, è insufficiente a trattenere molecole come quelle dell'idrogeno, 14,4 volte più leggere di quelle dell’aria. Si trova libero, però, nelle emanazioni vulcaniche, nelle sorgenti petrolifere, nelle fumarole e nell'atmosfera ad un'altezza superiore ai cento chilometri. Particolarmente abbondante è, invece, allo stato combinato: con l'ossigeno è presente nell'acqua di cui costituisce l'11,2% in peso; combinato con carbonio, ossigeno ed alcuni altri elementi è uno dei principali costituenti del mondo vegetale ed animale, l'organismo umano ne contiene circa il 10% del suo peso. Nel solo campo della chimica organica sono noti milioni di composti contenenti idrogeno che vanno dal metano, alle gigantesche proteine dei carboidrati, contenenti un enorme numero di atomi di idrogeno.

L’idrogeno appartiene al primo gruppo della tavola periodica, è un gas molto reattivo, insapore, inodore, incolore.

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numero di massa 1, mentre quello di massa 2, il deuterio, è presente in misura di circa 1 parte su 5900. Inoltre, è il più semplice di tutti gli elementi e il suo atomo si può visualizzare come un denso nucleo centrale con un solo elettrone orbitante in una “nuvola di probabilità”. Di seguito si riporta l’immagine di una molecola di idrogeno:

Molecola di idrogeno

Le molecole di idrogeno sono biatomiche: nel caso che entrambi i protoni abbiano spin dello stesso segno ci si riferisce a ortoidrogeno, altrimenti a paraidrogeno, quando gli spin sono opposti. Oltre il 75% dell’idrogeno a temperatura ambiente è costituito da ortoidrogeno. Questa particolarità acquista importanza alle basse temperature poiché l’ortoidrogeno diviene instabile e si trasforma in paraidrogeno liberando calore. Ciò può complicare alcuni processi, quali ad esempio la liquefazione (fu liquefatto per la prima volta da Dewar nel 1898). L’idrogeno non è di per se un gas nocivo, ma può divenirlo per sottrazione dell’ossigeno. È un elemento poco denso, come si constata dalla tabella seguente:

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Densità dei combustibili liquidi e gassosi

La differenza di volume fra l’idrogeno gassoso e quello liquido può essere misurata con il rapporto di espansione fra il volume in cui viene conservato l’idrogeno e quello dello stesso a temperatura e pressione ambiente. Il rapporto di espansione per l’idrogeno liquido è 1/848.

Rapporto di espansione dell’idrogeno

Comunque, anche allo stato liquido l’idrogeno non è molto denso: un metro cubo di acqua contiene 111 Kg di idrogeno, mentre un metro cubo di idrogeno liquido ne contiene solo 71 Kg. Per questo l’acqua ha un fattore di impacchettamento superiore, grazie alla sua particolare struttura molecolare.

L’idrogeno è un vettore energetico ideale in termini di riduzione dello smog. Non contiene carbonio, né zolfo, e per questo non dà origine a CO, CO2, SO2. Consente

una combustione più povera, riducendo quindi la temperatura e di conseguenza la produzione di NOx. Inoltre, non essendo tossico, non crea problemi se scaricato

incombusto. A tal proposito l’uso dell’idrogeno nel settore dei trasporti negli USA potrebbe ridurre le emissioni di CO del 70%, del 41% quelle di NOx, del 38% quelle

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Esistono storicamente diverse realizzazioni pratiche di mezzi ad idrogeno: fu per lungo tempo utilizzato per il gonfiamento degli aerostati, fino al momento in cui, a causa della sua infiammabilità, originò gravissimi incidenti e, quindi, fu sostituito dall’elio; nel 1957 negli USA fu costruito un bombardiere

B-57 e nel 1988 in URSS un Tupolev 154, entrambi alimentati ad idrogeno liquido. L’Ansaldo nel 1996 presentò per il progetto Euro Quebec un battello alimentato ad idrogeno (basato sulla tecnologia delle fuel cell) tuttora in servizio sul Lago Maggiore. Attualmente un notevole impiego dell’idrogeno viene effettuato nei programmi spaziali della NASA: da una parte viene combinato allo stato liquido con ossigeno per ottenere il combustibile necessario per lo space shuttle ed altri razzi, dall’altra viene utilizzato per alimentare le fuel cell di bordo che producono gran parte dell’energia elettrica richiesta. A proposito di queste ultime, si noti che l'unico materiale di scarico è acqua pura, utilizzata dall'equipaggio per dissetarsi. Questo uso estensivo dell’idrogeno nelle missioni spaziali, dove la problematica della minimizzazione del peso è cruciale, è fondamentalmente dovuta al suo alto rapporto energia immagazzinata, peso. Si confrontino i dati riportati in tabella con quelli relativi ad una batteria al piombo il cui rapporto energia immagazzinata, peso è pari a 0.108 KJ/g.

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L’alto contenuto energetico dell’idrogeno fa si che la sua potenza esplosiva sia pari a circa 2.5 volte quella di un

generico idrocarburo: l’esplosione dell’idrogeno (vedi figura di fianco) è quindi assai più distruttiva, anche se la sua durata è

inversamente proporzionale all’energia liberata [27].

In conseguenza di ciò le fiamme liberate si estinguono prima di quelle degli idrocarburi.

D’altra parte, la densità di energia dell’idrogeno è scarsa (vedi tabella seguente); ad esempio, quella di una batteria al piombo è pari all’incirca a 324000 KJ/m3.

Densità di energia di vari combustibili

L’idrogeno è un gas infiammabile a temperatura standard in un vasto intervallo di concentrazioni in aria ed è esplosivo per concentrazioni che vanno dal 15 al 59%. Pertanto piccole fughe di idrogeno possono costituire pericolo di incendi o esplosioni.

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Range di infiammabilità di vari combustibili

La temperatura di autoignizione dell’idrogeno (585 °C) è relativamente alta (quelle del metano e della benzina sono, rispettivamente, di 540 °C e 230÷480 °C).

L'energia minima di ignizione per miscela stechiometrica è pari a 0.02 mJ, contro 0.29 mJ per il metano e 0.26 mJ per il propano.

L’idrogeno ha un alto numero di ottano (130, contro 125 del metano e circa 87 della benzina) e pertanto resiste bene nei motori a combustione interna al fenomeno della detonazione.

La velocità del fronte di fiamma nella combustione dell’idrogeno è pari a 2.65÷3.25 m/s, all’incirca un ordine di grandezza

più grande di quella del metano o della benzina.

Le fiamme dell’idrogeno sono di un colore blu pallido e sono quasi invisibili alla luce del giorno. La visibilità è migliorata dalla presenza di umidità o impurezze (quali lo zolfo).

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In caso di perdite di idrogeno da un foro, la concentrazione adatta alla sostentazione delle fiamme si ha solo nelle immediate vicinanze di quest’ultimo. Perciò quando un getto di idrogeno viene infiammato, la lunghezza della fiamma è inferiore a 500 diametri del foro (ad esempio un foro di 1 mm da luogo ad una fiamma di 0.5 m). Per molti aspetti le fiamme dell’idrogeno sono meno pericolose di quelle della benzina: l’idrogeno data la sua leggerezza tende ad andare verso l’alto e disperdersi, perciò le sue fiamme sono verticali e molto concentrate; quando un serbatoio di idrogeno si danneggia e prende fuoco le fiamme bruciano lontane dal veicolo e il suo interno non diviene molto caldo. Ben diverso è il comportamento della benzina, che diffonde le fiamme più estesamente nell’arco di secondi facendo salire la temperatura dell’intero veicolo drammaticamente.

L’idrogeno brucia con maggiore vigore (3÷6 cm/min contro 0.2÷0.9 cm/min), quindi per meno tempo. Inoltre la benzina, a differenza dell'idrogeno, genera fumo tossico.

Le caratteristiche generali dell’elemento idrogeno sono riassunte nella seguente tabella:

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Infine bisogna notare che l’esposizione costante all’idrogeno genera un fenomeno conosciuto come infragilimento da idrogeno. Questo può portare a rotture catastrofiche in materiali metallici e non metallici.

Cricca da infragilimento da idrogeno

I fattori che influenzano il fenomeno (comunque piuttosto complesso e argomento di numerosi studi e ricerche) [28] sono la concentrazione dell’idrogeno, la sua pressione, la temperatura, la purezza, il livello di tensione della struttura, la composizione del metallo, le dimensioni del grano, ecc..

B.2 Tecnologie di produzione dell’idrogeno

La questione fondamentale riguardo lo sviluppo di un’economia legata all’uso dell’idrogeno concerne la sua produzione, le cui tecnologie sono attualmente meno sviluppate di quelle di stoccaggio e di utilizzo. L’idrogeno infatti non è una fonte energetica, ma un vettore

energetico, proprio come l’elettricità. A differenza di quest’ultima offre, però, una più alta efficienza di stoccaggio.

L’idrogeno, inoltre, come combustibile offre molteplici possibilità di impiego (sia in campo stazionario che mobile).

Pur essendo molto abbondante esso è molto reattivo, e non trovandosi libero in natura deve essere estratto da altre molecole. Si può osservare che è relativamente semplice ottenere l’energia richiesta da molecole a più alto contenuto energetico,

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quali i combustibili fossili (reforming); maggiori quantitativi di energia sono richiesti, invece, per estrarlo da composti a minore contenuto energetico, come l’acqua.

Di seguito si riporta uno schema esemplificativo sulle tecniche di produzione dell’idrogeno.

Fonti e produzione dell’idrogeno

Le tecnologie di produzione dell’idrogeno più interessanti sono: • Elettrolisi dell’acqua.

• Reforming / Ossidazione parziale di idrocarburi. • Gassificazione del carbone.

• Gassificazione delle biomasse. • Energie rinnovabili.

• Nucleare ..

Bisogna subito chiarire, però, che la maggior parte dell’idrogeno commercializzato nel mondo trae origine da fonti fossili ed è prodotto principalmente come “co-prodotto” dell’industria chimica, in particolare dei processi di produzione del polivinile di cloruro (PVC) e di raffinazione del petrolio; di qui discende chiaramente che la metodologia più nota e diffusa per la produzione dell’idrogeno è il reforming di idrocarburi (principalmente metano). Questo metodo, che ad oggi risulta essere il più economico, purtroppo non risolve il problema delle emissioni di gas inquinanti e

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del consumo di combustibili fossili. L’idrogeno, d’altra parte, può essere estratto dall’acqua con il processo di elettrolisi, rinnovabile e non inquinante di per sè, ma richiede grossi quantitativi di energia elettrica: la convenienza o meno del processo dipende quindi dalla natura della sorgente di energia. Un modo per comparare l’effetto ambientale dei vari processi è quello di considerare la quantità di anidride carbonica emessa per 1000 Km percorsi da un autoveicolo alimentato ad idrogeno. I risultati dello studio (basati sull’uso di un prototipo Necar Daimler-Chrysler) dimostrano che l’impatto ambientale delle auto ad idrogeno dipende sensibilmente dal processo con cui questo è stato prodotto, come si evince di seguito:

Emissioni totali di biossido di carbonio per diversi metodi di produzione dell’idrogeno

Metodi alternativi di produzione dell’idrogeno contemplano la decomposizione termochimica dell’acqua, la fotoconversione, i processi fotobiologici, la produzione dalle biomasse ed altri processi industriali. Nonostante molti di questi si rivelino promettenti, sono ancora in uno stadio di sviluppo e possono fornire solo limitati quantitativi di idrogeno. Attualmente l’idrogeno (a parità di energia) costa da 3 a 15 volte più del gas naturale, e da 1.5 a 9 volte più della benzina, a seconda del metodo di produzione prescelto.

B.2.1 L’elettrolisi dell’acqua

L'idrogeno può essere ottenuto tramite l’elettrolisi dell'acqua. Questo processo fu applicato per la prima volta da Sir William Grove, nell’anno 1839.

L'elettrolisi sarebbe il metodo più comune per la produzione di idrogeno anche se incontra notevoli ostacoli per la quantità limitata di prodotto e per i costi, ancora

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troppo elevati, dovuti all'impiego di energia elettrica. L’elettrolisi è comunque un processo interessante poiché non consuma direttamente combustibili fossili, produce idrogeno molto puro, beneficia di fattori di produzione di scala. Inoltre, si può trarre vantaggio nell’accumulo elettrolitico dell’elettricità prodotta in abbondanza e a basso prezzo durante le ore notturne (sarebbe uno dei metodi più logici per evitare gli sprechi).

L'elettrolisi richiede il passaggio di corrente elettrica attraverso l'acqua. La corrente entra nella cella elettrolitica tramite il catodo, l’elettrodo caricato negativamente, attraversa l'acqua e va via attraverso l'anodo, l’elettrodo caricato positivamente. L'idrogeno e l'ossigeno così separati confluiscono rispettivamente verso il catodo e verso l'anodo.

La reazione fondamentale del processo è la seguente:

2 2 2 1 2 H OH + O con mol kJ Hr0 =242 ∆

Il tasso di produzione di idrogeno è legato alla densità di corrente (corrente elettrica diviso l’area di passaggio). In generale però maggiore è la densità di corrente, maggiore è il voltaggio richiesto e quindi il consumo di potenza a parità di idrogeno prodotto; tuttavia voltaggi maggiori consentono l’utilizzo di impianti di minori dimensioni, con conseguente riduzione dei costi capitali. Elemento chiave del processo è l’elettrolizzatore, costituito da una serie di celle elettrolitiche immerse in acqua resa conduttiva con l’aggiunta, ad esempio, di idrossido di potassio.

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Gli elettrolizzatori operano con un’efficienza del 65÷80% e densità di corrente di 2000 A/m2. Il voltaggio minimo perché si abbia il fenomeno di elettrolisi è pari a 1.23 Volt (25°C), ma con tale voltaggio è richiesto apporto esterno di calore perché la reazione proceda. Con 1.47 Volt non è richiesta alcuna fonte esterna di calore. Operare con elettrolizzatori a bassi voltaggi è conveniente economicamente, poiché l’aggiunta esterna di calore costa meno dell’elettricità. Attualmente si tende ad operare con voltaggi intorno a 1.85÷2.05V con rendimenti intorno al 72÷80%. La quantità minima di acqua d'alimentazione per un elettrolizzatore è 0.8 l/Nm3 di idrogeno anche se, in pratica, è richiesto circa 1 l/Nm3 di idrogeno. L'acqua di mare deve essere prima desalinizzata con un consumo di 40÷100 kWh/m3 di acqua (pari a circa 1% del calore di combustione dell’idrogeno).

Attualmente, solo il 4% della produzione mondiale di idrogeno avviene per elettrolisi dell'acqua e solo per soddisfare richieste limitate di idrogeno estremamente puro. Per ciò che concerne le possibili applicazioni future va rilevato che è un processo molto flessibile: è adattabile sia agli impianti di grossa taglia, sia a quelli di piccola taglia, è adeguato alla produzione di idrogeno on-site, si presta bene alla combinazione con il nucleare e con le energie rinnovabili.

Un altro metodo di produzione potrebbe essere costituito dalla termoelettrolisi: a 1000°C per ottenere 1 Nm3 di idrogeno sono necessari 2.4 Kwh, contro 3.7 Kwh/m3 (32.9 KWh/Kg di H2 a 1.23V)

con gli elettrolizzatori a temperatura ambiente (il guadagno in termini di catena energetica è legato al fatto che l’energia termica, non essendo stata sottoposta alla conversione termodinamica, subisce, nel complesso, un minor numero di trasformazioni dell’energia elettrica). Questa tecnologia offre l’opportunità di ridurre il consumo di elettricità al 35% di quella utilizzata dagli attuali elettrolizzatori in commercio. Questa notevole riduzione dei costi, e l’elevata efficienza di conversione stimata (circa il 90%), consentirebbe all’elettrolisi di essere competitiva anche con lo steam reforming, che richiede notevoli investimenti strutturali.

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B.2.2 Steam reforming

Il reforming è un processo chimico secondo cui combustibili idrogenati reagiscono con vapore e ossigeno. Quando applicato a combustibili solidi prende il nome di gassificazione. La purezza dell’idrogeno risultante dipende dalla natura del combustibile e dal processo utilizzato, anche se la miscela di gas riformato contiene comunque una minima quantità di particelle di azoto, biossido di carbonio, monossido di carbonio, e combustibile non reagito. L’efficienza del processo si aggira fra il 65 ed il 75%. Il reforming produce tre tipi di inquinanti:

• il biossido di carbonio

• monossido di carbonio e combustibile che non ha reagito • prodotti della combustione, quali gli ossidi di azoto

In compenso la sua tecnologia di produzione è ampiamente provata, economica e non richiede grandi quantitativi di energia.

Reformer di medie dimensioni alimentato da gas naturale I potenziali combustibili utilizzabili nel processo sono:

• il metano; • il metanolo;

• la benzina o il gasolio;

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Tale metodo può essere applicato anche ad altri idrocarburi come l’etano e la nafta. Non possono essere utilizzati idrocarburi più pesanti perché essi potrebbero contenere impurità. Altri processi, invece, come l'ossidazione parziale, sono più efficienti con idrocarburi più pesanti. Con il reforming attualmente viene prodotto il 48% del fabbisogno mondiale di idrogeno (240 miliardi di metri cubi all’anno). Lo steam reforming del metano (SMR) è il processo più diffuso. Lo SMR prevede la reazione di metano e vapore in presenza di catalizzatori. Tale processo, su scala industriale, richiede una temperatura operativa di circa 800 °C ed una pressione di 2,5 MPa. La prima fase consiste nella decomposizione del metano in idrogeno e monossido di carbonio. Nella seconda fase, chiamata "shift reaction", il monossido di carbonio e l'acqua si trasformano in biossido di carbonio ed idrogeno. Il contenuto energetico dell'idrogeno prodotto è più elevato di quello del metano utilizzato, ma l'enorme quantità d'energia richiesta per il funzionamento degli impianti fa scendere l’efficienza di conversione circa il 65%. Tramite assorbimento o separazione con membrane, il biossido di carbonio è separato dalla miscela di gas, la quale viene ulteriormente purificata per rimuovere altri componenti. Il gas rimanente, formato per circa il 60% da parti combustibili, è utilizzato per alimentare il reformer. Questi ultimi processi su scala industriale avvengono alla temperatura di 200 °C o superiore, e richiedono l'impiego di calore per dare avvio al processo.

Il costo del gas naturale incide fortemente sul prezzo finale dell'idrogeno, secondo alcune analisi costituisce il 52%-68% del costo totale per impianti di grosse dimensioni, e circa del 40% per impianti di dimensioni minori.

I costi dello SMR sono notevolmente inferiori a quelli dell'elettrolisi e competitivi con quelli delle altre tecnologie, esso comporta inoltre un ridottissimo impatto ambientale.

La tecnologia SMR inoltre, è stata ampiamente sperimentata nella produzione combinata di vapore, ed energia elettrica tramite un sistema integrato di produzione. Dopo le prime installazioni negli Stati Uniti d’America ad opera di compagnie come la Mobil, la Texaco, la Air Products e centrali di grosse dimensioni come quelle sulla costa occidentale, questi impianti si stanno diffondendo anche in Europa, uno tra i più importanti è situato a Pernis, vicino Rotterdam.

Il funzionamento principale di tali sistemi è quello descritto in precedenza con la particolarità che il calore prodotto grazie alla alte temperature operative, viene opportunamente recuperato ed impiegato nelle fasi di preriscaldamento e

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desulfurizzazione del metano, riscaldamento dell’acqua e generazione di vapore. L’idrogeno prodotto è impiegato direttamente per la produzione di energia elettrica che verrà poi erogata dall’impianto stesso.

Tali sistemi integrati presentano numerosi vantaggi rispetto al caso di impianti separati per la produzione di idrogeno, vapore ed energia elettrica. Innanzitutto, consentono di realizzare risparmi già al livello di progettazione in quanto un unico progetto coinvolge tre strutture, successivamente proprio l’integrazione consente di risparmiare fino al 50% dei costi operativi e di ridurre notevolmente l’incidenza dei costi fissi all’aumentare della produzione; basta considerare il fatto che gli investimenti iniziali costituiscono il 60% dei costi per la costruzione di un impianto isolato per la produzione di energia. Un altro aspetto fondamentale riguarda l’impatto ambientale ridottissimo di tutta la tecnologia che comporta una riduzione del 50% delle emissioni di NOx mentre il CO prodotto dalle turbine a gas viene bruciato

all’interno del reforming stesso. In futuro, il funzionamento continuo ed il perfezionamento di questi impianti consentirà inoltre di migliorarne l’efficienza e l’affidabilità.

Altri sistemi basati sul processo di steam reforming del metano sono gli impianti coogenerativi a celle a combustibile.

B.2.3 Ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi

L'idrogeno può essere ottenuto dall'ossidazione parziale non catalitica di idrocarburi pesanti, come la nafta, ad una temperatura che varia tra 1300-1500° C.

L'efficienza complessiva di questo processo (50%) è minore di quella ottenuta dalla tecnologia SMR (65%-75%). L’ossidazione parziale, inoltre, necessita di ossigeno per il suo funzionamento. Nella pratica, però, venendo utilizzata l’aria atmosferica per reperire l’ossigeno necessario alla reazione, si ottiene dall’ossidazione parziale un flusso di idrogeno impuro fortemente contaminato dall’azoto. Nel caso si utilizzi del metano, l'efficienza di questo processo raggiunge solo il 70% di quella dello steam reforming.

L’ossidazione parziale, pur essendo un sistema rapido, consente di ottenere modeste quantità d’idrogeno ed, inoltre, è un processo esotermico e con un discreto tasso di emissioni di anidride carbonica.

I reformer per l'ossidazione parziale utilizzano in genere solo combustibili liquidi. Attualmente solo due compagnie, la Texaco e la Shell, hanno la disponibilità, a

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I costi per la produzione di idrogeno tramite combustibili pesanti sono sensibilmente più alti rispetto a quelli relativi l'utilizzo di gas di cokeria. Questo è dovuto alla necessità di sostenere i costi del trattamento e della rimozione delle impurità derivanti dal processo.

B.2.4 Gassificazione del carbone

in generale, il processo di gassificazione consiste nella parziale ossidazione, non catalitica, di una sostanza solida, o liquida, che ha l'obiettivo finale di produrre un combustibile gassoso, formato principalmente da idrogeno, ossido di carbonio e da idrocarburi leggeri come il metano.

Tramite la gassificazione, il carbone viene convertito, parzialmente o completamente, in elementi gassosi i quali, dopo essere stati purificati, vengono utilizzati come combustibili, o come materiali grezzi per processi chimici, o per la produzione di fertilizzanti.

Vengono usati principalmente tre metodi di gassificazione: fixed-bed (letto fisso), fluidized-bed (letto fluidificato) e entrained-bed (letto trascinato). Tutte le suddette metodologie prevedono l’impiego di vapore, ossigeno o aria. I gassificatori a letto fisso producono, a basse temperature (425-650 °C), un gas contenente prodotti "devolatilizzati" come metano, etano ed un flusso di idrocarburi liquidi contenente nafta, catrame, oli e fenolici. I gassificatori a letto trascinato producono gas ad alta temperatura (>1260 °C), che è essenzialmente privo di prodotti devolatilizzati e di idrocarburi liquidi; questo metodo, infatti, consente di ottenere un prodotto composto quasi interamente da idrogeno, monossido di carbonio e biossido di carbonio. I gassificatori a letto fluidificato, infine, agiscono a temperature medie (925-1040 °C) e producono pressappoco dei prodotti intermedi, nella composizione, rispetto alle due tecniche precedenti.

Generalmente le reazioni di gassificazione del carbone sono esotermiche, così al gassificatore vengono di solito abbinate delle caldaie per il riscaldamento dei rifiuti da smaltire. La temperatura e, quindi, la composizione del gas prodotto, dipendono dalla quantità dell'agente ossidante e del vapore, nonché dal tipo di reattore utilizzato nell'impianto di gassificazione.

I gassificatori producono delle sostanze inquinanti (principalmente ceneri, ossidi di zolfo e ossidi di azoto), che devono essere eliminate prima che entrino a far parte del gas prodotto; la loro quantità dipende sia dal gassificatore utilizzato sia dalla composizione del combustibile. Esistono due tipi di sistemi per la separazione delle

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impurità: sistemi a caldo e sistemi a freddo. La tecnologia di separazione a freddo è sfruttata commercialmente e sperimentata da diversi anni mentre i sistemi a caldo sono ancora in fase di sviluppo. La ripulitura dei gassificatori a letto trascinato, quelli più usati per la produzione di idrogeno, comporta una serie di operazioni in base alla diversa natura dei residui con una perdita di efficienza, affidabilità ed un aumento rilevante dei costi di questi sistemi.

Per questa tecnologia, il costo della materia impiegata raggiunge quasi il 25% del prezzo dell'idrogeno prodotto; costo del capitale, manutenzione dell'impianto e smaltimento dei rifiuti solidi, costituiscono altri costi da sostenere. Rispetto alle altre tecnologie quindi, sempre escludendo l'elettrolisi, i costi sono leggermente più elevati ed, allo stato attuale, non è ancora possibile realizzare delle particolari economie di scala.

Per questi motivi, la produzione di idrogeno mediante gassificazione del carbone diviene una tecnologia competitiva con quella dello SMR, solamente in quei posti in cui il costo del gas naturale è molto elevato (per esempio: Repubblica Popolare di Cina e Sud Africa). Proprio in quest’ottica, nel settembre del 2000 è stato siglato dall’ENEA e dal Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) della Repubblica Popolare di Cina, un Accordo Tecnico di collaborazione tecnico-scientifica per lo sviluppo congiunto della ricerca sull’idrogeno da carbone: come ben noto, nella Repubblica Popolare di Cina, i problemi associati all’inquinamento atmosferico delle città e, più in generale, all’ingente quantità di emissioni di CO2

legata all’uso massiccio del carbone, sono estremamente gravi ed urgenti; si prevede, infatti, che nel 2020 la Repubblica Popolare di Cina brucerà ben tre miliardi e mezzo di tonnellate di carbone all’anno, contribuendo a più di un quarto delle emissioni planetarie di anidride carbonica. Nel programma di cooperazione con l’ENEA, il carbone, in presenza di acqua, è trasformato in idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi

bruciato con emissioni zero, mentre la CO2 verrebbe "sequestrata" permanentemente

in forma liquida nelle profondità della terra, senza apprezzabili emissioni nell’atmosfera. Diventerebbe, quindi, possibile trasformare anche il carbone in un combustibile pulito e quasi ad "emissioni zero".

Inoltre, la presenza di numerose riserve in diverse parti del mondo, fa del carbone, il più accreditato sostituto del gas naturale e degli oli, come materia prima per la produzione di idrogeno, in attesa di una concreta evoluzione delle tecnologie legate alle fonti rinnovabili.

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B.2.5 Gassificazione e pirolisi delle biomasse

Come la gassificazione, anche la pirolisi, o distillazione secca, è un processo che per mezzo della decomposizione termica, spezza le molecole complesse delle sostanze organiche in elementi semplici, separati. Essa consiste nel riscaldare la sostanza a 900-1000 °C, in assenza di aria, in opportuni impianti, con ottenimento di sostanze volatili e di un residuo solido.

L'applicazione di calore alle biomasse (legno, grassi e rifiuti agricoli) produce numerosi differenti gas, tra cui l'idrogeno. La composizione dei gas dipende dal tipo di materiale, dalla presenza di ossigeno, dalla temperatura della reazione e da altri

parametri. La ricerca sull'idrogeno da biomasse è incentrata attualmente sull’utilizzo di materiale biologico, a medio potere calorifico. Quindi la gassificazione di questo tipo di biomasse, prevede l’impiego sia di materiale derivato dai rifiuti solidi urbani, sia di materiali specifici appositamente coltivati. I gassificatori di biomasse sono stati sviluppati utilizzando tecnologie di combustione fixed-bed, fluidized-bed, entrained-bed.

Le biomasse possono essere gassificate utilizzando metodi indiretti e diretti. La gassificazione indiretta, come avviene negli impianti della Battelle-Columbus Laboratoires and Future Energy Resource Corporation (BLC/FERCO), usa un vettore termico, come la sabbia, per trasferire calore dal bruciatore alla camera di gassificazione. Nella gassificazione diretta, invece, il calore alla camera è fornito dalla combustione di una parte delle biomasse. In generale, il costo dell'idrogeno prodotto tramite gassificazione indiretta è leggermente minore di quello dell'idrogeno ottenuto per tecnica diretta.

Un metodo alternativo di produzione dell'idrogeno da biomasse è la combinazione di pirolisi e processo di steam reforming. Tramite questo processo le biomasse vengono decomposte termicamente ad alte temperature (400-450 °C), in atmosfera inerte, per formare un "bio-olio" costituito da sostanze organiche ossigenate, per l’85%, e acqua, per il 15% . Il "bio-olio", quindi, viene sottoposto al processo usuale di steam

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reforming per la produzione di idrogeno. Alternativamente i componenti fenolici del "bio-olio" possono essere estratti con etil-acetato per ottenere come prodotto aggiuntivo delle resine fenoliche. Anche in questo caso i restanti componenti possono essere sottoposti allo steam reforming. In entrambe le tecniche, il gas prodotto viene purificato tramite un processo standard di assorbimento a pressione variabile. Anche i deflussi derivanti da altre tecnologie di trattamento delle biomasse possono costituire un interessante materiale per la produzione dell'idrogeno da “bio-olio”.

Questo sistema ha numerosi vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali: innanzitutto il "bio-olio" può essere trasportato più facilmente delle biomasse e, quindi, la pirolisi ed il reforming possono essere realizzati in luoghi diversi, con eventuale riduzione dei costi. Per esempio, una serie di pirolisi di piccole quantità di materiali, può avvenire dove esse sono disponibili ad un costo non elevato; successivamente, l'olio può essere agevolmente trasportato in un impianto di reforming, situato presso impianti di stoccaggio ed infrastrutture per la distribuzione. Il secondo vantaggio è, ovviamente, il notevole potenziale derivante dal recupero dei materiali derivati. Questo è stato dimostrato con l'utilizzo di un reattore a letto fluidificato, con del nichel come catalizzatore, sviluppato per il trattamento di gas naturale e nafta, con cui è stato possibile ottenere sostanze composte ad alto contenuto di idrogeno.

Questo processo potenzialmente può divenire una delle tecnologie di produzione meno costose, ma è ancora ai primi stadi della ricerca. Bisogna, inoltre, notare il potenziale vantaggio ambientale dell'utilizzo delle biomasse come fonte per l’idrogeno: il biossido di carbonio, emesso nella conversione delle biomasse, non contribuisce ad aumentare la quantità totale di questo gas nell'atmosfera. Il biossido di carbonio è consumato dalle biomasse durante la crescita e solo la stessa quantità viene restituita all'aria durante il processo di conversione. Purtroppo, però, il contenuto d'idrogeno delle biomasse è molto basso, rispetto a quello del gas naturale. Per questa ragione i costi sono ancora molto elevati e ciò non consente a questi sistemi di essere competitivi con altre tecnologie come, ad esempio, il reforming del metano.

B.2.6 Metodi basati su fonti rinnovabili

Oltre ai metodi analizzati nei paragrafi precedenti, la ricerca nell’ambito della produzione dell’idrogeno, si sta indirizzando su nuovi sistemi che vadano oltre le

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problemi legati all’impatto ambientale: tra questi ricordiamo le tecnologie fotobiologiche e quelle fotoelettrochimiche, nonché le centrali fotovoltaiche ad idrogeno.

Tecnologie fotobiologiche

I processi di produzione fotobiologici riguardano la generazione dell'idrogeno da sistemi biologici, che usano generalmente la luce solare. Alcune alghe e batteri sono in grado di produrre idrogeno sotto specifiche condizioni. I pigmenti delle alghe assorbono l'energia solare e gli enzimi nella cellula agiscono da catalizzatori per scindere l'acqua nei suoi componenti di idrogeno e ossigeno.

La ricerca sta analizzando i meccanismi dettagliati di questi sistemi biologici. In ogni caso, si è ai primi stadi ed il livello di efficienza di conversione in energia (rapporto tra l'ammontare di energia prodotta dall'idrogeno e l'entità della luce solare impiegata) è basso, circa il 5%. Per la produzione di idrogeno su larga scala, questi processi richiedono efficienza più elevata e riduzione dei costi.

La ricerca è incentrata su due approcci: sistemi "whole-cell", che coinvolgono batteri, e sistemi "cell-free", che utilizzano solo gli enzimi che producono l'idrogeno. I sistemi "whole-cell" hanno potenziale per la produzione a breve termine con efficienza di conversione dal 5% al 10%, mentre i sistemi "cell-free" si prospettano come tecnologie di produzione a lungo termine che possono raggiungere un'efficienza di circa il 25%.

Oltre ai problemi relativi alla bassa efficienza di conversione, l’azione di quasi tutti gli enzimi che elaborano l'idrogeno, è notevolmente rallentata dalla presenza dell'ossigeno prodotto dalla scissione dell'acqua. C'è, inoltre, il problema del mantenimento in vita dei sistemi produttivi per periodi prolungati che consentano di ottenere maggiore stabilità di produzione. Esistono numerose attività di ricerca che hanno lo scopo di adeguare i sistemi di produzione fotobiologica a tali difficoltà, ma i tempi necessari per risultati di una certa valenza, saranno molto lunghi.

Tecnologie fotoelettrochimiche

La fotoconversione è un processo con cui l’energia elettrica necessaria a decomporre l’acqua viene direttamente fornita dal sole. Non potendo l’acqua assorbire direttamente le radiazioni solari, essendo trasparente alle lunghezze d’onda richieste, i sistemi fotoelettrochimici utilizzano degli elettrodi semiconduttori, o dei metalli

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complessi disciolti, per convertire energia ottica in energia chimica. La tecnica più diffusa utilizza celle solari costituite da fotoelettrodi immersi in acqua e separati da una membrana, che consente la diffusione degli ioni, ma impedisce il rimescolamento dei gas. Il catodo e l’anodo sono costituiti da materiale semiconduttore, rispettivamente di tipo “p” e di tipo “n”. Come tutti i processi solari la fotoconversione è conveniente solo laddove l’esposizione solare sia prolungata ed abbondante. L’efficienza massima del sistema ad oggi è comunque bassa e si aggira fra l’8 ed il 12%.

La ricerca attualmente si sta occupando di migliorare l'efficienza di conversione energetica di tali celle, della loro durata e della riduzione dei costi; a tale scopo vi sono progetti per l’identificazione di nuovi materiali semiconduttori ad alta efficienza e stabilità: attualmente il materiale con la più alta efficienza è un composto conosciuto come fosfuro di indio tipo-p. Il fotoelettrodo più stabile è, invece, il biossido di titanio, il quale, però, ha un'efficienza di conversione minore dell'1%. La ricerca sta puntando, inoltre, alla scoperta di nuovi metodi per ridurre la corrosione: uno dei più promettenti è l'uso di un materiale protettivo ultra-sottile applicato sulla superficie dell'elettrodo.

Per quanto concerne i sistemi fotoelettrochimici basati sui metalli complessi disciolti, la ricerca si sta occupando di individuare dei catalizzatori che possano dissociare più

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efficientemente l'acqua; questo metodo è, comunque, attualmente meno avanzato dei processi con semiconduttore, anche se offre buone prospettive per evitare il problema della corrosione.

Centrali fotovoltaiche ad idrogeno

Le centrali fotovoltaiche ad idrogeno non sono altro che impianti solari tradizionali con l’aggiunta di un sistema di produzione elettrolitica e di stoccaggio dell’idrogeno, che funge da tampone rispetto alla variabilità del carico elettrico.

Normalmente l'energia solare, che cade sui pannelli fotovoltaici, viene trasformata in energia elettrica in tempo reale. In questi impianti, invece, durante le ore di buona insolazione, una parte dell'energia elettrica viene inviata direttamente ad alimentare il carico, mentre la parte eccedente le necessità istantanee dell'utenza viene trasformata in energia chimica sotto forma di idrogeno (attraverso elettrolisi) ed immagazzinata nel serbatoio di accumulo; durante le ore di buio e nei giorni di scarsa insolazione, l'energia chimica dell'idrogeno viene ritrasformata in elettricità attraverso celle a combustibile ed inviata a soddisfare le esigenze del carico. La possibilità di immagazzinare energia solare per lunghi periodi e di usarla in differita, consente di garantire la continuità temporale dell'alimentazione dell'utenza, portando la centrale fotovoltaica ad idrogeno sullo stesso piano delle centrali a combustibili fossili. Le centrali a idrogeno fotovoltaico possono, quindi, rappresentare un’ottima soluzione tecnica per superare il ruolo marginale in cui ilfotovoltaico si viene a trovare a causa della intermittenza della generazione di energia. Inoltre, i costi aggiunti al kWh fotovoltaico dalla produzione ed accumulo dell'idrogeno possono essere mantenuti entro limiti accettabili. Gli studi relativi a questo tipo di centrale sono ormai numerosi, il che fa ben sperare in una prossima effettiva realizzazione, con costi accessibili, di tali tecnologie il cui pregio principale è senz'altro l'impatto ambientale praticamente nullo. Per il momento si prevede la loro diffusione nel mercato attraverso l’applicazione di impianti di dimensioni modeste, utilizzati principalmente per alimentare utenze situate in zone lontane dalla rete centrale (isole, montagne, basi militari ecc.). Ovviamente, nel lungo termine lo sviluppo di tali sistemi sarà fortemente condizionato dal perfezionamento dell’intera tecnologia ausiliaria, e dalla riduzione dei costi, possibili solo con l’aumento della taglia degli impianti e con l’operatività non ad intermittenza.

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A supporto delle ragionevoli speranze riguardanti tali impianti, si ricorda che uno dei primi paesi che ha creduto, sin dagli anni 1980, al potenziale di sfruttamento dell’energia solare con un sistema di accumulo è stata l’Arabia Saudita. Risale, infatti, ai primi anni 1990 la costruzione della prima centrale solare ad idrogeno in questo paese. Anche se nella prima fase di attuazione si sono verificati dei problemi, la centrale è attualmente funzionante; con una potenza di 350 kW ed una capacità di produzione di 463 m3 di idrogeno al giorno, è in grado di fornire energia elettrica al cosiddetto "Solar Village", presso Riyadh, costituito da un agglomerato di zone rurali con circa 4000 abitanti.

Nucleare

L’idrogeno può essere prodotto attraverso processi termoelettrolitici, o a steam reforming, integrati in sistemi nucleari: un esempio in questo senso sono gli impianti con reattori HTR.

Figura

Tabella comparativa dei calori di combustione dei vari combustibili

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