1.1 IL GENERE SALVIA
1.1.1 Aspetti botanici e biologici
La salvia, insieme a rosmarino, timo, menta, basilico, pungitopo, iperico, elicriso e molte altre specie, appartiene al gruppo delle piante aromatiche e medicinali (complessivamente indicate, con terminologia inglese, MAPs - Medicinal and Aromatic Plants).
Il recente interesse che si è sviluppato intorno a questi MAPs, è rappresentato dalle svariate potenzialità di utilizzo offerte da queste specie in campo alimentare, farmaceutico, medico ed ornamentale. In ambito farmaceutico, i metaboliti naturali prodotti da queste piante costituiscono una valida alternativa all’utilizzo di prodotti di sintesi, incrementando la produzione ed il commercio di formulati semiartigianali impiegabili per la salute umana; mentre in ambito agronomico possono essere impiegati come antiparassitari.
Questo ha portato ad un incremento della produzione di queste piante sia in fatto di superficie coltivabile sia in fatto d’investimenti finanziari.
Inoltre, sono impiegate come piante condimentarie, piante da profumo e piante ornamentali.
Un aspetto importante è che queste piante spesso sono coltivate in aree marginali, in terreni di collina, in consociazione con piante arboree (ad esempio negli interfilari degli uliveti, molto diffusi nell’entroterra ligure) favorendo così il recupero di aree rurali; questo grazie alla loro rusticità, ridotte esigenze idrico-nutrizionali e ridotta manodopera (impiego di protocolli di coltivazione semplici e possibilità di meccanizzazione).
Pertanto le piante aromatiche rivestono un forte interesse commerciale ed innovativo, per la possibilità di introdurre nuovo germoplasma o nuovi prodotti.
Il genere salvia include più di 900 specie presenti in tutto il mondo, è uno dei maggiori generi della famiglia Lamiaceae (tribù Mentheae) e presenta specie in tutti i continenti eccetto l'Australia (Clebsch, 1997; Sytsma e Walker, 2003). In particolare nelle regioni tropicali e temperate, i maggiori centri di sviluppo del genere Salvia sono il bacino del mediterraneo, l’Asia centrale, la California, l’America centrale, in particolare gli altopiani del Messico e delle Ande del Sud America. Il nome Salvia deriva dal latino salvare, con riferimento alle ben note proprietà terapeutiche delle specie, in particolare la Salvia officinalis, largamente usata e coltivata fin dall’antichità per uso alimentare, erboristico, cosmetico e farmaceutico.
La maggior parte di esse sono piante erbacee o arbustive, annuali, bienni o perenni. Esiste, inoltre, una grande variabilità per quanto riguarda l’altezza della pianta, le dimensioni delle foglie, la forma ed il colore di foglie e fiori. Si può andare da piante di piccola taglia (S. juriscii) o portamento quasi strisciante (S. sinaloensis) ad arbusti alti fino a 5 m (S. sessei).
Le foglie possono essere lunghe da 1-2 cm (S. chamaedryoides) fino a 30 cm (S. aethiopis); anche la forma della foglia varia moltissimo può essere triangolare, ovale, ellittica, lineare, lirata o pennata; il margine della foglia può essere intero, dentato, seghettato o profondamente inciso fino ad avere foglie composte (S. columbariae); il colore della foglia può andare dal verde chiaro o scuro fino ad assumere sfumature di azzurro, grigiastro, bianco, rossastro e bronzeo; una differente colorazione delle foglie può dipendere da una diversa pigmentazione (variabile anche in funzione della stagione, come in S. sinaloensis), ma anche dalla presenza di accentuata pubescenza o cerosità, percepibile al tatto; talvolta hanno fogliame variegato (S. greggii cv. Caramba).
I caratteri botanici del genere Salvia comuni alla famiglia a cui appartiene sono: le foglie con disposizione opposta ai nodi, gli internodi a sezione quadrangolare, che presentano talvolta costolature agli angoli, il fiore bilabiato, gli organi di disseminazione rappresentati da 4 acheni per ciascun fiore (tatrachenio) ed ovario libero, quadripartito.
Un carattere distintivo del genere rispetto agli altri generi della famiglia è la presenza di due soli stami (4 negli altri generi) e per le antere che hanno una caratteristica forma a bilanciere, struttura che favorisce il trasferimento del polline da un fiore ad un altro da parte degli insetti pronubi, grandemente attirati da queste piante. La fioritura è in verticillastri di 2 o più fiori in spighe o racemi. Vi sono brattee membranose a volte più lunghe del calice e bratteole più piccole e colorate.
S. canariensis S. microphylla S. corrugata S. leucantha S. repens S. argentea S. aethiopis S. juriscii S. miniata S. chamaedryoides S. juriscii S. roemeriana
Fig. 1 – Forme, colori e dimensioni delle foglie in specie di Salvia (Foto C. Cervelli)
I calici possono essere campanulati, ovoidali o tubulari, più o meno distintamente bilabiati, quasi sempre ricchi di peli. I due labbri della corolla hanno uno sviluppo relativamente differente, può essere più grande il superiore, come nel caso delle salvie del mediterraneo o più grande il labbro inferiore come nel caso delle salvie messicane. Inoltre possono avere una forma diversa: il labbro superiore può essere falcato o diritto, mentre quello inferiore concavo o diritto o disposto a 90° col tubo corollino.
Molto variabili sono le dimensioni del fiore: pochi mm nella S. tilifolia, fino a 8 cm nella S. patens cv. Guanaiuto. I colori della corolla possono variare con molte tonalità del rosa, dell’arancio, del rosso, del blu, del viola, con fiori anche bianchi, gialli, (in poche specie), bicolori o multicolori o con disegni particolari, soprattutto sul labbro inferiore.
Il raggruppamento di fiori in vistose e grandi infiorescenze (in rapporto alla taglia) rendono le fioriture delle salvie particolarmente attraenti. Particolarmente affascinante l’effetto cromatico in S.
sclarea cv. Turkestanica, con grandi brattee fiorali di colore rosa vivo, o in S. leucantha, con calici
di colore viola-porpora, o in S. horminium, con brattee terminali al fusto vistosamente colorate in rosa o viola.
La fioritura, secondo le specie, può avvenire nel periodo caldo (per le specie dei climi temperati) od in autunno-inverno (per la maggior parte delle specie di origine tropicale, come le salvie messicane). Ad esempio alcune salvie messicane come Salvia gesneriflora, Salvia iofìdantha e
Salvia wagneriana fioriscono con fotoperiodo di giorno corto che si riscontra nei mesi invernali
(Armitage, A.M. and Laushman, J.M. 1989).
In molte specie la fioritura è prolungata e, nelle specie tropicali può andare dalla primavera all’autunno inoltrato. Inoltre la variabilità nel periodo di fioritura è legata alle esigenze climatiche della specie stessa. Infatti molte specie preferiscono i climi freddi perché richiedono un periodo di freddo per fiorire.
Molto variabile risulta, anche, la resistenza al freddo (alcune specie sopravvivono a temperature inferiori di -18°C) ed all’aridità (anche se un apporto idrico in estate è favorevole anche per le specie più tolleranti al secco).
1.1.2 Aspetti propagativi
Per le specie a ciclo annuale la durata di vita è di pochi mesi, la propagazione è fatta per semina, in seminiere forate alveolate, con terriccio soffice e sabbioso oppure in una miscela con metà terra da giardino, un quarto torba ed un quarto sabbia. All’occorrenza possono essere aggiunti dei bulk agents, che servono a creare il gusto rapporto di consistenza, come: pezzi di corteccia di pino o pula di riso o cocco.
I semi di salvia, generalmente, necessitano di luce per germinare, per cui le seminiere vengono lasciate scoperte, facendo attenzione ad evitare l’eccessiva disidratazione del terreno, un’alternativa sarebbe ricoprire lo strato superiore delle seminiere con vermiculite che trattiene l’umidità, ma allo stesso tempo permette la circolazione dall’aria. Le seminiere vengono poste a germinare sotto tunnel con alta umidità relativa e ricambio d’aria, dopo circa 15 giorni (in base alla specie) le piante saranno radicate. È importante garantire durante il periodo di germinazione e crescita delle piantine
S. gesneriflora
S. coccinea ‘Brenthurst’
S. involucrata
S. madrensis S. greggii ‘Alba’
S. roemeriana
S. greggii ‘Peach’
S. iodantha
S. viscosa
Fig. 2 – Forme e colori dei fiori in specie di Salvia (bianco e tonalità gialle, rose, rosa) (Foto C. Cervelli)
una temperatura media di 20-23°C, con una temperatura dell’aria di circa 13°C, durante la notte è possibile mantenere calda la seminiera coprendola con materiale di copertura oppure, in serre, con banali riscaldati con serpentina elettrica o con tubi di acqua calda.
Il trapianto in vaso con terriccio organico, ma comunque sciolto e sabbioso verrà fatto quando le piante saranno un po’ irrobustite. Le salvie, in genere, sembrano essere tolleranti ai disturbi radicali che accorrono durante il trapianto; a tal punto da richiedere meno cure in post-trapianto rispetto ad altre piante. In questa fase le piante hanno bisogno di ricircolo d’aria e luce, per cui se si fa una semina fitta e buona pratica diradarle e potarle, affinché abbiano un portamento eretto e un buon palco di steli forti. In primavera queste potranno essere trasferite a dimora in piena terra o in substrato che rispetti le varie esigenze.
Per le specie a ciclo biennale, la coltivazione è la stessa, ma le semine si faranno verso giugno-luglio, in modo che queste abbiano il tempo per affrancare un buon apparato radicale ed in genere una folta rosetta di foglie basali durante l’autunno in modo da accumulare energie per accrescere lo stelo nella primavera seguente. Queste dovranno essere riseminate ogni anno, anche perché i semi di molte specie biennali hanno bisogno di un periodo di vernalizzazione per superare la dormienza e germinare, questo può essere fatto anche artificialmente lasciando riposare i semi per un periodo in una cella refrigerata, prima di trasferirli nelle normali condizioni di germinazione.
Le specie perenni e suffruticose (caratteristiche intermedie fra l’erbacea perenne e l’arbusto) vengono propagate per seme, ma con semina più profonda perché potrebbero passare più anni prima del trapianto. Il terriccio sarà più ricco con concime organico o vermicomposta.
Le piantine verranno diradate se troppo fitte e trapiantate singolarmente in vasetti con terriccio ancora più ricco, poiché si tratta di piante avide di nutrimento.
Da qui, con piante solide e con un buon apparato radicale si possono trasferire in piena terra o in vasi più grossi; è da evitare accumulo di umidità e ristagni d’acqua che causano muffe e marcescenza. Le annaffiature saranno regolari per le salvie annuali e biannuali, soprattutto nel periodo estivo e nei periodi aridi o più secchi, mentre saranno abbondanti per le perenni e suffruticose, perché hanno radici carnose.
Il genere Salvia può essere moltiplicato, anche per talea, anzi per alcune specie è la forma prevalente soprattutto nelle specie perenni e suffruticose, dove la talea permette di evitare l’incorrere in ibridi e di preservare le caratteristiche della specie, cosa che con la semina non è possibile. Nella talea, la porzione di fusto asportata dalla pianta madre, tende a ricostituire i tessuti mancanti (le radici) in prossimità della zona di taglio. Numerosi fattori influiscono sulla formazione di nuove radici e sono correlati alla pianta madre, al tipo di talea, alla stagione di prelievo e all’ambiente di radicazione.
Nel genere Salvia l’attitudine alla radicazione non costituisce un problema, poiché e dotata di buona, se non ottima radicazione (Tab.1).
Tab. 1 – Effetto della specie sulla radicazione
Specie Radicazione massima
ottenuta (%) S. blepharophylla 82,2 S. canariensis 70,0 S. chamaedryoides 88,8 S. corrugata 99,0 S. discolor 92,5 S. dolomitica 98,7 S. dorisiana 95,8 S. elegans 100,0
S. grandiflora “bianco compatta” 96,0
S. grandiflora “bianco” 98,0 S. grandiflora “viola” 50,0 S. greggii “fuschsia” 96,0 S. iodantha 96,7 S. leucantha 100,0 S. namaensis 100,0 S. sinaloensis 96,2
In Salvia, in genere, l’effetto dovuto allo stadio fisiologico non è rilevante; si possono infatti prelevare talee anche durante l’antesi, asportando il fiore o le gemme a fiore, ottenendo comunque alti livelli di radicazione. L’asportazione della gemma apicale non influenza la radicazione, ma determina un ritardo nello sviluppo vegetativo rispetto a talee dotate di gemma apicale. Esiste una differente potenzialità rizogena tra talee prelevate nelle diverse posizioni del fusto a causa della diversa composizione chimica e bilancio ormonale; tuttavia prove su alcune specie di Salvia evidenziano che non sembra esserci una rilevante differenza di radicazione tra parti apicali e parti mediane del ramo (Tab. 2).
Tab. 2 – Effetto della posizione sul ramo sulla radicazione di 4 specie.
Specie Talee apicali Talee mediane
Prove ormonali al fine di incrementare la capacità rizogena delle talee di alcune specie di salvie hanno evidenziato che, somministrazioni in polvere di NAA, non hanno dato alcuna differenza significativa rispetto a talee non trattate. Tuttavia studi condotti da Arslan et al. (1995) su S.
officinalis con IBA alla concentrazione di 100 ppm portava ad una radicazione maggiore rispetto al
controllo non trattato. Tali risultati sono stati successivamente confermati da Ayanoglu et al. 2000 che completano i dati precedenti indicando che tale ormone (l’IBA alla medesima concentrazione) stimola, su questa specie, oltre a una maggiore radicazione (78,75%), anche un numero maggiore di radici per talea (22,35) e una maggiore lunghezza delle stesse (10,66 cm). In generale le talee che vengono prelevate devono presentare almeno 2 nodi (l’ideale 4-5 nodi) ed una lnghezza variabile dai 5 ai 10 cm, secondo la lunghezza dell’internodo, recidendo in modo netto e trasversale la base della talea.
Nel genere Salvia il prelievo delle talee è possibile tutto l’anno, ma la percentuale di radicazione può essere variabile. Per alcune specie la radicazione è ottima in qualsiasi periodo dell’anno (ad in es. S. elegans si ha, quasi, sempre il 100% di radicazione), mentre in altre (ad es. S. namaensis, S.
discolor, S. officinalis grandiflora) si possono ottenere risultati altalenanti a seconda del periodo di
prelievo. Secondo Arslan et al., 1995 in S. officinalis il periodo di maggio e giugno è il più idoneo per ottenere un’elevata rizogenesi delle talee.
Dopo il prelievo, le talee vengono poste a radicare in serra a condizioni di umidità elevata (almeno sopra l’80%) per ridurre il più possibile la traspirazione fogliare; per ottenere tale risultato solitamente si impiega l’impianto di nebulizzazione dell’acqua in forma di pioggia fine (mist). In alcune specie di Salvia con tomentosità fogliare, l’impiego del mist può portare a una maggiore suscettibilità ad attacchi di patogeni fungini (ad es. Botrytis) soprattutto in estate quando le spruzzature devono essere frequenti. Per ovviare a tale inconveniente si riduce l’esposizione al mist per i primi 2 giorni dal prelievo e successivamente si trasferiscono le talee sotto tunnel costituito da film plastico a tenuta ermetica (poggiato su un letto di perlite inumidita al fine di mantenere comunque all’interno dell’ambiente un idoneo microclima). Tuttavia quest’ultimo sistema è improponibile nel periodo estivo a causa dell’eccesivo l’innalzamento della temperatura sotto la copertura plastica. Per ottenere una buona radicazione delle talee è necessario che ci siano almeno
S. dorisiana 90,1 85,0
S. elegans 100,0 100,0
2°C in più rispetto alla temperatura dell’aria, per cui nel periodo autunno-invernale è opportuno dotare il bancale di riscaldamento basale, ciò stimola l’emissione delle radici dalla base della talea. Il substrato utilizzato per la coltivazione sotto mist deve avere un ottimo drenaggio dell’acqua, evitare quindi la saturazione del mezzo, creando un ambiente asfittico e favorevole ai funghi. Per favorire il drenaggio si utilizza la perlite miscelata a torba solitamente in rapporto 50:50, 40:60 o 30:70 v/v, anche se sabbia e vermiculite forniscono buoni risultati.
Le talee possono essere piantate direttamente su bancale o in contenitori alveolari (il diametro dei fori deve essere di almeno 3 cm) contenenti il substrato di radicazione; quest’ultimo sistema sembra essere migliore in quanto il trapianto delle talee, una volta avvenuta la radicazione, comporta un minore stress e minori danni alle radici delle talee. Mediamente la radicazione può avvenire dai 10 ai 30 giorni nelle specie e nei periodi ottimali, ma si può protrarre fino a 60 giorni in altre condizioni o per specie ostiche.
Per quanto riguarda la divisione per cespi, questa tecnica di moltiplicazione è utilizzata solo per il giardinaggio amatoriale, in quanto si può ottenere solo un ristretto numero di nuove piante. Un aspetto positivo di questa pratica è che le piante hanno già sviluppato tutti i loro organi ed hanno una struttura vegetativa e una prontezza di fioritura migliore rispetto sia alle piante provenienti da talea che da seme. La divisione per cespi viene fatta per quelle salvie ad andamento cespuglioso, con molti steli, come la S. jurisci, la s. nemorosa, la S. blepharophylla. Solitamente la divisione del cespo si esegue in autunno o ad inizio primavera.
A parte S. leucantha e S. nemorosa, che si moltiplicano per talea, tutte le altre salvie più conosciute si propagano per seme.
1.1.3. Aspetti ornamentali
Visto il vasto areale di diffusione e le situazioni climatiche differenti è possibile utilizzare questo genere per soluzioni ornamentali in ogni tipo di giardino da quelli rocciosi a quelli sabbiosi. Tra le salvie più utilizzate per l’arredo ornamentale ci sono la ben nota S. splendens, dal tipico colore scarlatto cui si sono aggiunti, negli ultimi anni, altre colorazioni quali il violetto, il rosso porpora, il bianco, il rosa salmone e anche bicolori.
Poi c’è la S. farinacea, usata per aiole e bordure, con fiori ed infiorescenze di colore viola o bianco o combinazione dei due colori; S. patens, anch’essa da bordura con fiori di colore azzurro intenso e con fiori di grosse dimensioni; S. nemorosa, con i suoi due ibridi S. x sylvestris e S. x superba, è usata per alte bordure o gruppi focali in giardino; S. coccinea con i sui fiori di colore rosso scarlatto, ma anche rosa o bianchi nelle sue varietà e S. leucantha, specie da giardino di rilevanti dimensioni, utilizzabile anche come fiore reciso.
Tra le salvie arbustive di grandi potenzialità ornamentali possiamo citare il gruppo di S. greggii – S.
microphylla (di origine messicana), incluso l’ibrido interspecifico S. x jamensis; esso comprende
numerose varietà di taglia contenuta (40-50 cm di altezza), molto fiorifere, che presentano una notevole gamma di colori (dal bianco, al giallo, al rosa, al rosso, al porpora, all’arancio) con fiori anche bicolori.
Altre specie di taglia contenuta e di effetto ornamentale sono S. blepharophylla, con fiori rosso scarlatto, S. chamaedryoides, con fiori viola o azzurri, S. buchanani, con fiori porpora, S. ianthina, con grossi fiori blu - violacei, S. corrugata, con fiori di colore blu elettrico.
Salvie con fioriture vistose, ma di taglia maggiore sono: S. involucrata, con fiori rosa, S. jodantha, con fiori porpora, S. canariensis, con fiori di colore malva scuro, S. madrensis, con grosse infiorescenze gialle, S. guaranitica, con grossi fiori blu-violacei, S. confertiflora, con lunghe e sottili infiorescenze rosse, S. cinnabarina, dalla corolla rossa, S. semiatrata, dai fiori bicolori, S.
gesneriflora e S. haenkei, con grandi fiori rossi. Interessanti sono anche alcune specie con fogliame
1.2 Cenni generali sulla germinazione
Per germinazione si intende quel processo in cui il seme si risveglia da una fase di quescienza e l’embrione incomincia a svilupparsi fino a formare una nuova plantula.
La germinazione include due fasi principali: la prima fase riguarda l’interno del seme con una serie di meccanismi enzimatici che favoriscono la scissione delle sostanze di riserva per renderle più semplici ed assimilabili dalla plantula che si sviluppa. Una volta ripristinato il contenuto idrico, il metabolismo cellulare riprende a funzionare senza mostrare di aver subito alcun condizionamento. La seconda fase riguarda lo sviluppo della plantula fino alla sua completa autonomia; prevalgono in questa fase processi di sintesi in cui si ha una crescita rapida delle strutture che rendono il nuovo organismo perfettamente autotrofo.
In generale, il seme può essere considerato una piccola pianta (l’embrione) in stato quiescente, costretta all’interno di un involucro (il tegumento, che lo protegge dagli agenti esterni), il quale contiene sostanze di riserva (l’endosperma, che garantisce l’energia necessaria per interrompere lo stato di quiescenza). I semi delle salvie hanno scarso endosperma e sono pertanto definiti esalbuminosi; le riserve sono normalmente contenute nei cotiledoni dato che l’endosperma viene digerito dall’embrione durante il suo sviluppo.
Il seme può perdurare nelle condizioni di vita rallentata o sospesa fino a quanto non si presentano le condizioni favorevoli alla germinazione e questo stato può variare da pochi mesi ad alcuni anni. Nel
S. patens
S. repens
S. verticillata
S. guaranitica S. discolor
S. dolicantha
S. farinacea S. superba S. canariensis
S. forskaolii
Fig. 4 - Forme e colori dei fiori in specie di Salvia (tonalità del blu e del viola) (Foto C. Cervelli)
definire meglio queste condizioni dobbiamo fare una distinzione tra quiescenza e dormienza. Nel primo caso si tratta di una risposta del seme a condizioni esterne non favorevoli, mentre nel secondo caso esistono dei fattori interni di matura biochimica, meccanica o genetica per la quale in seme non germina anche se posto in condizioni ottimali.
Esistono quindi fattori esterni e fattori interni che condizionano la germinazione.
Fattori esterni - Tra i fattori esterni quello che riveste maggior importanza è la temperatura, in quanto fondamentale per i processi biochimici, che avvengono ad intervalli di temperatura ristretti. La temperatura di germinazione varia notevolmente in base alla specie ed al clima di distribuzione; alcune specie dei climi temperato-freddi, possono germinare con temperature di poco superiori a 0°C (Fagus sylvatica, Prunus avium, Tilia cordata, Viburnum lantana, etc.), mentre le piante degli ambienti desertici germinano a temperature elevate.
Le specie mediterranee quali eriche, cisti e gigli marini prediligono temperature costanti relativamente basse (15°C), che coincidono con la stagione umida dell’anno, cioè nel periodo ideale per la sopravvivenza dei semenzali. Le condizioni di temperature alternante (ad es. 20°C di giorno e 3°C di notte), tipiche dei periodi primaverili delle zone mediterranee, favoriscono la germinazione di molte specie, dopo l’eliminazione della dormienza (spesso questo si verifica grazie ad un’esposizione del seme ad un periodo di freddo che avviene in inverno). Temperature troppo elevate possono indurre una dormienza secondaria (termo dormienza) come nel caso di semi di molte rosacee, vari frassini, faggio, etc.
Considerata l’importanza del temperatura, sono stati condotti diversi studi sulla sua influenza nella capacità germinativa di svariate specie del genere Salvia d’interesse ornamentale e paesaggistico. Ad esempio Rules (1996) riporta alcune indicazioni generali su come svolgere test di germinazione su svariate specie ornamentali e medicinali; tra queste riporta S. coccinea, S. farinacea, S.
officinalis, S. patens, S. pratensis, S. sclarea, S. splendens, S. viridis. Per tutte indica una
temperatura costante di 20°C oppure un’alternanza tra i 20 e i 30°C.
Altri studi condotti da Macchia et al. nel 1988 su varie specie officinali (tra cui S. officinalis), indicano che la germinabilità presenta un andamento crescente all’aumentare della temperatura (con T° min. a 5°C in corrispondenza del quale non si ha germinazione e T° max tra 20 e 30°C in cui si germinazione ottimale). Risultati confermati da successivi studi condotti da Oberczian et al. (stesso anno) e Liu et al. (2006).
Labouriau et al. (1987) hanno studiato l’effetto della temperatura sulla germinazione di S.
hispanica. Le temperature cardinali si sono registrate tra 3,3 e 4,2 °C (quella minima) e tra 39,3 e
25,7°C (germinabilità superiore al 60%). Gli stessi autori riportano riferimenti circa la germinabilità massima raggiunta a 25°C in S. verticillata (52%).
Nyaradi-Szabady et al. (1992) hanno determinato la germinabilità di 3 specie native dell’Ungheria (S. aethiopis, S. nemorosa, S. verticillata). Il loro esperimento mirava a verificare l’influenza di diversi livelli costanti di temperatura (da 5°C a 40°C) rispetto a due alternanze (10-20°C oppure 20-30°C). I risultati ottenuti mostrano che sia le basse temperature (5°C) sia le alte (40°C), inibiscono la germinazione su tutte e tre le specie. Le temperature al di sotto di 15°C non consentono una germinabilità superiore al 50%.
In S. nemorosa la germinabilità è inferiore (non raggiunge il 75%) ed il picco massimo si tocca a 20°C; per questa specie c’è un effetto positivo dell’alternanza di temperatura con migliori risultati passando da 20 a 30°C. In S. verticillata la germinabilità massima si ha a 25°C con il 78% di germinabilità e l’alternanza di temperatura è migliore della temperatura costante solo passando da 10 a 20°C. Tipton (1992) riporta gli effetti della temperatura su semi di S. farinacea; la specie germina in un range di temperatura variabile tra i 21 e i 34°C con massima germinabilità in corrispondenza dei 25°C (96%).
Thanos et al. 1995 riportano l’effetto della temperatura costante in un range variabile da 5°C a 35°C su due specie: S. virgata e S. haematodes. I risultati mostrano che su entrambe le specie la temperatura ha un effetto molto marcato sulla germinabilità. In S. haematodes l’optimum di germinabilità (83,3%) si tocca in corrispondenza dei 20°C con un TMG di poco superiore a 4 giorni. In S. virgata il massimo di germinabilità (73,3%) è stato rilevato in corrispondenza di 15°C con un minore TMG (circa 6 giorni). Infine Meyer (2006) cita un effetto positivo sulla germinabilità dovuta all’alternanza di temperatura per S. apiana e S. mellifera.
Un secondo fattore importante nel processo germinativo è l’ossigeno; benché la maggior parte delle specie germinano normalmente con percentuali ridotte di ossigeno, un terreno umido rappresenta la condizione ideale per la germinazione, mentre se la quantità di acqua è troppo elevata, si determina una porosità del suolo, con conseguente diminuzione dell’ossigeno disponibile. Essendo poco solubile in acqua (e la solubilità di questo gas è inversamente proporzionale alla temperatura) è uno dei parametri più difficili da controllare.
Fattore correlato all’ossigeno è appunto l’acqua, questo è un elemento indispensabile per iniziare tutti i processi di germinazione.
La prima fase della germinazione, infatti, è contraddistinta dall’assorbimento ed accumulo di acqua nel seme (imbibizione) con un aumento delle sue dimensioni; il potenziale idrico di un seme quiescente è molto negativo e con l’assorbimento di acqua si determina un aumento del potenziale e quindi un’attenuazione della velocità (inizialmente molto rapida) di assorbimento. Quando il
potenziale idrico del terreno è intorno a -2MPa, per i semi della maggioranza delle specie, la germinazione è impossibile. I fabbisogni idrici del seme sono variabili da specie a specie e se il contenuto di acqua in peso fresco del seme è al di sotto del 40-60% la germinazione non può avvenire. Nelle condizioni naturali l’acqua del suolo non è tutta utilizzabile perché una parte è trattenuta dai colloidi; un aumento della pressione osmotica del suolo ostacola considerevolmente la germinazione (l’aggiunta di cloruro di sodio nell’acqua, per esempio, influisce negativamente sulla germinabilità). Tale aspetto è stato considerato da Yucel (2000) il quale riporta l’effetto del sale (NaCl) sulla germinazione di sei specie di Salvia (S. cryptantha, S. cyanescens, S. dichrontha, S.
tchihatcheffii, S. aethiopis, S. virgata); osservato che su tutte le specie la presenza del sale alla dose
dello 0,5% dimezza la germinazione (si passa da una media del 60,4% del controllo al 31,3% della tesi con NaCl allo 0,5%). Quando il potenziale idrico del suolo è molto basso a causa della concentrazione di elementi minerali solo poche specie (alofite) possono germinare.
Il priming, tecnica largamente impiegata in orticoltura, ha l’effetto di garantire elevata velocità e uniformità di germinazione dei semi; si può diversificare in cold-priming, che consiste nell’immergere il seme in una matrice in grado di evitare danni alla radichetta (matrice gelatinosa nel caso del fluid-drilling o matrice torbosa nel caso del plug-mix) oppure in osmo-priming che consiste nel mantenere il seme in una soluzione di sale inorganico o di sostanza organica, come il mannitolo o il glicole polietilenico (PEG) ad elevata pressione osmotica (5-15 bar) e temperature comprese tra 15 e 20°C, per periodo variabile da pochi giorni a qualche settimana. Il seme sottoposto a priming non si idrata completamente (solo fino al livello imposto dalla pressione osmotica della soluzione), ma recepisce ugualmente gli stimoli esterni che preparano il seme alla germinazione pur non avviandola in quanto limitata dalla scarsa imbibizione.
Studi effettuati su 3 cv di S. splendens (Carpenter, 1989) per verificare l’effetto di una soluzione osmotica ipertonica di PEG 8000 a -0.8 MPa per 10 giorni a 15°C dimostrano che tale soluzione incrementa la germinazione in tutti i casi. In prove di laboratorio i semi trattati con PEG 8000 e semi non trattati hanno germinazione simile a 20 e 25°C, ma semi trattati e posti a 10, 15, 30°C hanno una più alta germinabilità. A temperatura maggiore (35°C) i semi trattati con PEG 8000 hanno dato fino al 65% di germinazione mentre semi non trattati non sono germinati. Nel 2000 Jeong et al. hanno verificato l’effetto di sostanze chimiche e delle loro differenti concentrazioni sulla germinabilità di S. splendens. I risultati migliori in termini di germinabilità si sono ottenuti con -0.5 o -0.75 MPa PEG 8000 oppure con 50 o 100 mM di KH2PO4. Se si abbina la germinabilità alla velocità di germinazione (calcolata come T50 e TMG) allora i migliori risultati si sono ottenuti con 50 mM di KH2PO4 e -0.5 MPa PEG.
Non si ha germinazione se si utilizzavano soluzioni contenenti K3PO4 e NaOH. Il priming a 20°C è risultato migliore che a 15 e 25°C riducendo il TMG di 2,3 giorni rispetto ai semi non trattati. In assoluto il trattamento migliore (per germinabilità e velocità di germinazione è stato utilizzando -0.5 MPa PEG 8000 a 20°C.
Con temperature di 30 e 35°C e l’imbibizione in una miscela di -0.5 MPa PEG e 50 mM KH2PO4 i semi hanno dato una germinabilità inferiore ai semi non trattati.
Un ulteriore fattore che condiziona la germinazione è la luce. Vi sono semi (Pancratium maritimun,
Helychrisum italicum, Rosmarinus officinalis) in cui il buio favorisce la germinazione, mentre altri
sono favoriti dalla luce (Arburus unedo, Myrtus communis, Paulownia tomentosa). Nel genere
Salvia gli effetti della luce sono specie-specifici e, in talune specie, condizionati dal livello termico.
Nyaradi-Szabady (1992) studiando 3 specie (S. aethiopis, S. nemorosa e S. verticillata) riporta che per S. aethiopis non c’è un effetto significativo dell’illuminazione (95,7±0,4% al buio contro 96,1±0,4% alla luce).
In S. nemorosa la luce è favorevole (73,0±1,01% alla luce contro 64,0±1,01% al buio), mentre in S.
verticillata l’effetto della luce è sfavorevole (65,4±1,04% alla luce contro 56,7±1,04% al buio).
Secondo Zutic et al. (2008) l’influenza della luce sulla germinabilità di S. officinalis è correlata al livello di temperatura saggiato; sia a 20°C sia 30°C non si ha influenza della luce sulla germinabilità, ma a 25°C la germinazione sembra essere favorevole (63±5,9% contro 22±5,9% al buio).
Un fattore importante per l’ambiente mediterraneo è il fuoco, infatti la germinazione di molte specie è indotta dal fumo, dal calore o dalle soluzione acquose di cenere (che seguono le piogge) del fuoco di un incendio. Anche se i meccanismi eco-fisiologici che favoriscono la germinazione non si conoscono ancora bene. Alcune specie del genere Salvia (S. apiana, S. mellifera e S. carduacea) sono specie diffuse in un’area (California) con ricorrenti incendi e in natura necessitano del passaggio del fuoco perché sia stimolata la germinazione (Keeley, 1986, Capon et al., 1978, Keeley 1987).
Un altro fattore che si può considerare esterno è il tipo di disseminazione. I frutti carnosi intensamente colorati o lucidi sono spesso legati alla disseminazione tramite uccelli o piccoli mammiferi; semi con disseminazione zoocora presentano una dormienza complessa è necessitano del passaggio nel tratto digestivo di questi animali per superarla, oltre che assicurare la completa integrità del seme durante il passaggio nel tratto digestivo dell’animale. Esempi di piante con questa diffusione sono corbezzolo, i ginepri, il coriandolo, il mirto, etc.
Nel caso delle Lamiaceae la tipica unità di disseminazione che contraddistingue tutti i generi di questa famiglia è l’achenio, un frutto secco indeiscente che contiene un unico seme distinto dal pericarpo stesso, privo di strutture atte alla disseminazione anemocora.
Esso è riunito in gruppi di quattro frutti originando il cosiddetto “tetrachenio” derivante dall’ovario supero quadriloculare che a maturità è racchiuso dal calice persistente.
Un fattore scarsamente considerato è il pH, esso può variare in base alle condizioni di semina e influenza i processi germinativi; Shoemaker et al. (1990) riportano i risultati delle loro prove eseguite su S. splendens. L’esperimento ha messo a confronto 7 concentrazioni di pH (da 4.5 a 7.5 con intervalli di 0.5) in due ambienti di germinazione differenti: dischi di carta filtro e torba di sfagno miscelata a vermiculite (50% v/v) contenuti in capsule Petri.
I risultati mostrano che su carta filtro la germinabilità è fortemente influenzata dal pH; è nulla fino a livelli di pH 5.0 e poi aumenta progressivamente con l’incremento del pH raggiungendo il massimo (70%) a pH 7.0. Su torba e vermiculite c’è un effetto tampone per cui la germinabilità è già al 67% a pH 4.5 raggiungendo il massimo (83%) in corrispondenza di un pH pari a 6.5.
Parlando di germinazione dobbiamo tener presente un aspetto fondamentale per la riuscita di una buona resa in germinazione, la qualità del seme che può essere espressa attraverso alcuni parametri e rappresenta uno strumento utile al vivaista al fine di sapere le condizioni del materiale di cui dispone.
Il primo parametro da valutare è lo stadio fisiologico in cui si trova il seme al momento dell’analisi e ci aiuta a capire se il seme è pronto per essere conservato o deve essere ulteriormente deidratato. Il calcolo dell’umidità è eseguito tramite analizzatori di umidità o termobilance che contemporaneamente pesano e disidratano il campione.
Il secondo parametro da valutare è la purezza, che indica la quantità di seme puro che costituisce il lotto in esame: viene espressa come percentuale in peso del seme della specie in esame sul peso del campione totale (che comprende semi estranei e materiali inerti).
Il peso di 1000 semi di Salvia (semi puri) è molto variabile; test preliminari eseguiti da Yuknyavichene (1983) su 15 specie di Salvia dimostrano l’esistenza di un range di peso variabile tra 0,68 e 8,41 g per 1000 semi. Questo parametro è utile per calcolare, una volta note vitalità e capacità germinativa, il numero di semi da seminare per unità di superficie al fine di raggiungere il numero di piante finali desiderate.
Il terzo parametro da valutare è la vitalità del seme, rappresenta lo stato nel quale il seme presenta le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e biochimiche essenziali purché possa avvenire la germinazione. Per determinare la vitalità del seme si utilizzano varie tecniche tra cui la più usata è
la prova del tetrazolio, una prova colorimetrica che sfrutta tale sostanza incolore che imbibendo i tessuti, per opera di enzimi deidrogenasi, viene modificata in un composto rosso se il seme è vitale. Diversi autori riportano prove di vitalità su semi di Salvia: Belcher (1985) descrive il protocollo di impiego del test al tetrazolio per S. aurea. Kuo et al. (1996) hanno saggiato su 6 cv di S. splendens e 2 cv di S. farinacea con il test al tetrazolio. Dai semi pre-umidificati in acqua distillata per 18 ore sono stati prelevati gli embrioni che sono stati immersi in una soluzione allo 0,5% di tetrazolio e incubati al buio per 30 minuti a 37,5°C. Labouriau et al. (1987) hanno analizzato la vitalità di semi di S. hispanica con il test al tetrazolio; i semi sono stati recisi longitudinalmente e la parte tagliata è stata imbibita con una soluzione allo 0,5% di tetrazolio per 12 ore al buio. E’ stato verificato che c’è una drastica riduzione della vitalità passando da semi conservati 2 anni a semi di 4 anni di età (dal 69,7% si scende al 12,8%).
Il quarto parametro da valutare è la capacità germinativa o germinabilità espressa come percentuale di semi in grado di germinare in condizioni ottimali entro un periodo di tempo variabile da specie a specie e di produrre un semenzale normale in grado di sopravvivere (Piotto et al., 2001). E’ calcolata come rapporto percentuale fra il numero di semi germinati ed il numero totale di semi. Esprime la velocità con la quale i semi germinano. Solitamente è determinata attraverso due parametri: il TMG (Tempo Medio di Germinazione, ossia i giorni che mediamente impiegano i semi a germinare (T.M.G. = ∑(t x n)/∑n, dove n rappresenta il numero di semi germinati e t il tempo espresso in giorni dall’inizio della prova) ed il T50 (i giorni necessari per ottenere il 50% della capacità germinativa del lotto). Ovviamente minore è il TMG o il T50, maggiore sarà l’energia germinativa. La capacità germinativa è influenzata da vari fattori, tra i quali l’andamento stagionale, la maturità del seme al momento della raccolta, i danni fisiologici e meccanici arrecati al seme e la resistenza alla deidratazione.
Sulla base della resistenza alla deidratazione i semi possono essere classificati in due categorie principali: ortodossi e recalcitranti. I primi sono semi che resistono alla deidratazione (fino al 5%) senza subire danni e la cui longevità aumenta col diminuire della temperatura e del contenuto di umidità durante la fase di conservazione. Il secondo gruppo comprende quei semi che non tollerano la deidratazione rispetto al contenuto di umidità presente al momento della disseminazione e che non possono essere conservati a lungo perché tendono a germinare in tempi brevi (APAT, 2006). Recenti studi condotti da Meyer (2006) hanno accertato che il seme del genere Salvia è di tipo ortodosso e pertanto può mantenere la vitalità a lungo nel tempo. Zutic et al. (2008) riportano i risultati relativi alla senescenza di semi di S. officinalis cv “Moran” conservata a 6°C per un periodo di 15 anni; emerge che in questa specie è bassa in quanto si riesce ad avere una buona germinabilità (più del 70%) fino all’ottavo anno di età per poi decrescere fino al 35% nel quindicesimo anno.
Carpenter et al. (1995) riportano studi sull’effetto combinato di temperatura ed umidità durante un anno di conservazione su S. splendens cv. “Red Hot Sally”; ad ogni temperatura saggiata (5, 15, 25°C) la percentuale di germinazione decresce con l’aumentare del contenuto di umidità (nel range fra 11 e 75%) durante la conservazione. A parità di umidità di conservazione, l’incremento di temperatura (da 5 a 25°C) comporta un maggiore contenuto di umidità all’interno del seme.
Fattori interni – Fra i fattori interni, quello che riveste maggiore importanza è la dormienza, stato di riposo dovuto a cause fisiche e/o fisiologiche intrinseche, che impedisce la germinazione, anche in condizioni ambientali favorevoli. È una caratteristica controllata geneticamente che interagisce in vario modo con i fattori ambientali.
Fondamentalmente possiamo classificare i tipi di dormienza in due gruppi (come proposto da Nikolaeva nel 1969): una dormienza esogena dovuta alle strutture esterne del seme (endocarpo e tegumento) e una dormienza endogena, a carico dell’embrione. La dormienza del seme impone un ritardo temporale al processo di germinazione permettendo o un maggiore lasso di tempo per la disseminazione o evitando condizioni sfavorevoli per la germinazione. In S. columbariae e S.
mellifera (specie vicine botanicamente), per esempio, esiste una dormienza innata al momento della
dispersione dei semi che può essere superata dopo circa sei mesi di conservazione.
Le strutture esterne possono causare un impedimento fisico-meccanico alla germinazione ad esempio impermeabilità dei tegumenti seminali all’acqua, come nel caso di tegumenti duri di alcune famiglie quali Leguminose, Malvacee, Chenopodiacee, Convolvulacee e Solanacee.
Per diminuire la durezza di questi semi si possono fare dei trattamenti pre-germinativi con acido solforico a dosi e tempi diversi per ammorbidire i tegumenti e favorire l’assorbimento dell’acqua. Gli altri mezzi per ammorbidire i tegumenti sono: l’esposizione dei semi al gelo e disgelo in inverno oppure l’azione di microrganismi del terreno quali funghi che decompongono parte dei tegumenti seminali esterni. In generale l’azione di funghi inizia a temperature di 10°C e condizioni del terreno tiepido-umido.
Un altro impedimento alla germinazione è dato dalla resistenza dei tegumenti alla crescita dell’embrione. Ad esempio nei frutti indeiscenti come nell’olivo e nel Symphoricarpos, l’endocarpo è legnoso ed impedisce l’assorbimento dell’acqua dal micropilo. Un’altra causa della dormienza è attribuita alla diminuzione degli scambi gassosi causata dagli involucri più interni e membranosi o dallo strato comprendente la nucella o l’endosperma. Buoni risultati si sono ottenuti incidendo i tegumenti o l’embrione e facendo penetrare l’ossigeno o l’acqua e la luce per quei semi sensibili alla luce e temperatura.
La pratica utilizzata per ottenere la massima resa in plantule è detta scarificazione ed è attuata sottoponendo i semi a bagno in acqua calda o in soluzioni aggressive di acidi o basi forti (acido
solforico, idrossido di sodio), oppure attuando sui semi incisioni od abrasioni del tegumento. In tutti i casi si deve porre molta attenzione sia per l’integrità delle strutture seminali interne sia per la sicurezza degli operatori. Al fine di ottenere una germinazione simultanea, uno dei metodi più impiegati per aggredire l’integrità dei tegumenti delle leguminose in vivaio è l’immersione dei semi in acqua a temperature elevate per varie ore (anche più di 12). La fonte di calore deve essere allontanata prima di versare la semente e la massa, costituita da dieci parti di acqua per ogni parte di seme, si deve mescolare di tanto in tanto fino al raffreddamento. Una volta tolto dall’acqua, il seme va asciugato in ambiente ventilato, ma non esposto al sole, e seminato al più presto.
In alternativa si può ricorrere alla scarificazione chimica, con acidi o alcali, o meccanica con apposite macchine. La prima è sconsigliabile per i rischi derivati dalla manipolazione di sostanze corrosive, ma anche per la possibilità di nuocere ai semi che mostrano tegumenti più teneri, soprattutto quando i semi sono di dimensioni ridotte. La scarificazione meccanica con macchine azionate elettricamente è semplice ed efficace, ma quasi sconosciuta in Italia.
La scarificazione meccanica si esegue con apparecchi costituiti da un cilindro di metallo, rivestito internamente da carta vetrata o da una serie di alette centrali che, girando ad alta velocità, scagliano i semi contro la parete e intaccano i tegumenti, ma raramente danneggiano l’embrione. Per ogni seme occorre individuare la carta vetrata più idonea.
Sul genere Salvia si sono sperimentati trattamenti chimici con acido solforico; Yucel (2000) ha sperimentato su 6 specie (S. cryptantha, S. cyanescens, S. dichrontha, S. tchihatcheffii, S. aethiopis,
S. virgata) l’efficacia di tale composto rispetto ad un controllo non trattato.
Il risultato ottenuto è che esiste una differenza significativa tra le specie, ma in generale l’effetto dell’acido è inibente la germinazione. Love et al. (1994) hanno saggiato l’effetto della carta vetro su semi di S. dorrii verificando che tale trattamento meccanico non porta un incremento di germinabilità rispetto al controllo.
Quando gli ostacoli alla germinazione del seme sono di tipo chimico (presenza di ‘inibitori’ che provocano la ‘dormienza’), bisogna operare trattamenti che favoriscano la rimozione o la trasformazione delle sostanze inibenti. Molte specie arboree ed arbustive di climi freddi o temperato-freddi manifestano il fenomeno della dormienza quale strategia di adattamento alle avverse condizioni invernali. In natura tale situazione viene superata tramite la progressiva trasformazione (degradazione) delle sostanze inibitrici, mentre in campo vivaistico ciò può essere indotto artificialmente attraverso una pratica denominata stratificazione. Essa consiste nel porre i semi lasciti umidi, tra degli starti di sabbia o terreno inumidito, in ambiente arieggiato e freddo (stratificazione fredda o vernalizzazione o chilling) o caldo (stratificazione
Di norma, la stratificazione calda non si applica da sola, ma solitamente precede la vernalizzazione perché consente il completamento dello sviluppo dell’embrione in quelle specie che, al momento della disseminazione, mostrano embrioni non ancora fisiologicamente maturi (rosacee, oleacee, ecc.). I semi vengono disposti in un substrato soffice ed umido, costituito generalmente da torba, agriperlite, sabbia o vermiculite utilizzati singolarmente oppure miscelati tra di loro in varie proporzioni.
Il rapporto in volume seme/substrato può variare da 1:1 a 1:3 circa. In certi casi può risultare più pratico mescolare direttamente semi e substrato. I semi di ridotte dimensioni o di colore simile al substrato, vanno sistemati tra teli o altro materiale permeabile per consentire un loro più facile recupero alla fine del trattamento. La stratificazione fredda è condotta a temperature tra 2°C e 6°C, in ambienti controllati (frigoriferi, celle, ecc.) oppure all’aperto (cassoni, buche
scavate nel terreno, ecc.). La stratificazione calda è condotta intorno ai 20°C. In entrambi i casi è fondamentale mantenere un buon livello di umidità del substrato, evitando ristagni d’acqua, ed assicurare temperature costanti ed uniformi in tutta la massa.
L’azione benefica dei trattamenti termici (caldo-umidi, freddo-umidi o la loro combinazione alternata) sul processo germinativo, si esprime attraverso alcuni effetti principali: rimozione dei diversi tipi di dormienza, aumento della velocità ed uniformità della germinazione e della germinabilità totale, allargamento della gamma di temperature entro la quale è possibile la germinazione, diminuzione del fabbisogno di luce per le specie la cui la germinazione è favorita da questo fattore, minimizzazione delle differenze qualitative delle sementi imputabili alle diverse tecniche di raccolta, di lavorazione e di conservazione.
Il tempo di stratificazione varia tra le specie, tra le varietà o addirittura tra lotti della stessa specie. Il fabbisogno di freddo o caldo è di natura genetica, per cui può essere modificato fino ad un certo punto da altri fattori (esempio dalle condizioni in cui il seme si forma o dal modo in cui si è trattato prima della stratificazione). In linea generale, i semi conservati richiedono periodi di stratificazione più lunghi rispetto a quelli applicabili alla semente di recente raccolta. D’altra parte, i campioni caratterizzati da scarso vigore germinativo vanno sottoposti a trattamenti termici più brevi di quanto riferito in letteratura.
Finch-Savage et al. (2006) riportano per la famiglia delle Lamiaceae la possibilità di avere dormienze fisiologiche nel seme, che possono essere superate per mezzo di vernalizzazione o prechilling. Studi per verificare gli effetti della stratificazione sulla germinabilità danno risultati contrastanti. Secondo Tipton (1992) le salvie non necessitano di trattamenti di vernalizzazione per superare la dormienza. Nello stesso anno anche Nyaradi-Szabady ha verificato che la vernalizzazione per 72 ore a 4°C non influenza la germinabilità di S. aethiopis e S. nemorosa,
mentre sembra avere effetto positivo su S. verticillata (75,3% di germinabilità contro il 46,8% del controllo). Anche Costas (1995) riporta che il pre-chilling applicato a S. fruticosa non sortisce effetti positivi sulla germinabilità rispetto a un controllo non trattato. Ricerche su altre specie hanno dimostrato che tale trattamento può avere un effetto positivo; Keeley (1986) riporta un esperimento su S. mellifera i cui semi sono stati prima conservati 18 mesi a temperatura ambiente e poi ripartiti tra i vari trattamenti.
Un campione di semi è stato stratificato a 5°C per un mese a confronto di semi non stratificati e poi ogni tesi è stata seminata a 23°C costanti o a temperatura alternata (13-23°C). I risultati evidenziano che tendenzialmente c’è un effetto positivo del pre-chilling, soprattutto su semi mantenuti poi a temperatura alternata. Anche su S. dorrii stratificata a 4°C si è verificato un effetto positivo sia sulla germinabilità sia sul TMG (Love et al. 1994)
Altri mezzi fisici che possono rompere la dormienza sono il calore prodotto dal passaggio di un fuoco. Infatti il fuoco è da considerarsi uno dei fattori determinanti nella rimozione della dormienza di specie spontanee in ecosistemi di tipo mediterraneo ove esso è un elemento naturale; i semi di tali specie rispondono a pre-trattamenti basati sul fumo, sullo shock termico o sulle soluzioni acquose di cenere (che in natura si producono dopo le piogge) (APAT, 2006). I tre fattori (fumo, calore e ceneri) non necessariamente sono correlati tra di loro nella riposta alla germinazione delle specie; il fumo e le ceneri, infatti, agiscono a livello chimico, mentre il calore agisce a livello fisico-meccanico. La risposta del seme a questi trattamenti è da valutare caso per caso. Alcune salvie spontanee della California sono state oggetto di studi sulla risposta del seme a trattamenti col fumo. La maggior parte delle salvie costiere della macchia californiana (S. apiana e S. mellifera) germogliano dopo il passaggio del fuoco in seguito alla bruciatura di semi nascosti (Minnich et al.). Nel 1986 Keeley riporta i risultati ottenuti su S. mellifera; i semi sono stati trattati con il calore (70°C per 1 ora o 70°C per 5 ore o 115°C per 5 minuti) o con ceneri polverizzate di specie della flora spontanea. Emerge che semi trattati a 70°C per 5 ore o 115°C per 5 minuti avevano una germinabilità più alta. Inoltre i semi rimasti al buio (fattore che inibisce la germinazione), rimangono dormienti fino a che questi non vengono a contatto con le ceneri e perciò fino a quando, in ambiente naturale, la vegetazione epigea non venga distrutta dal fuoco. Il meccanismo che sta dietro la stimolazione della germinazione delle ceneri non è ancora ben conosciuto anche se sembra che l’acqua solubilizzi composti a una concentrazione tale da interrompere la dormienza. Studi ulteriori su S. mellifera dimostrano che l’esposizione a fumo raffreddato per 5 minuti forniva una germinabilità più alta rispetto al trattamento del seme con la cenere (Keeley et al., 1998). Immel (2003) riporta che su semi di S. columbariae si incrementa la germinabilità se si cosparge sul
terreno della cenere. Studi successivi sulla stessa specie (Thanos et al., 1995) dimostrano che trattamenti con calore (50°C per alcune settimane) hanno un effetto positivo sulla germinabilità. In altri casi si possono trovare barriere di tipo chimico dovute alla presenza di inibitori nel tegumento seminale e nei pericarpi. L’ABA (acido abscissico) è l’inibitore per eccellenza della germinazione comunemente presente in questi tessuti materni; la sua concentrazione aumenta progressivamente durante la maturazione del frutto determinando l’instaurarsi di un blocco endogeno della germinazione. La quantità di ABA tende a diminuire durante la stratificazione dei semi. Vi sono ormoni promotori (le gibberelline) la cui concentrazione va gradualmente riducendosi con l’insorgere della dormienza, dopo la maturazione del frutto.
La dormienza è controllata dal bilancio ormonale tra gibberelline e ABA. La rimozione del pericarpo e il dilavamento del seme, su alcune specie, favoriscono l’avvio della germinazione. Love et al. nel 1994, hanno dimostrato che su S. dorrii non c’è un effetto migliorativo della germinabilità applicando il dilavamento del seme. Recentemente Zutic et al. (2008) hanno verificato la germinabilità di semi di S. officinalis di un anno trattati, per tempi diversi (0, 24 e 48 ore), con il dilavamento sotto acqua corrente prima della semina. Dimostrando che non esistono differenze significative di germinabilità tra i trattamenti.
Tra le sostanze che, invece, promuovono la germinazione abbiamo: le gibberelline che, dopo l’imbibizione del seme, inducono la sintesi enzimatica (principalmente amilasi) e la mobilitazione delle riserve nutritive del seme. Diversi autori hanno dimostrato che ci sono effetti positivi delle gibberelline sulla rimozione della dormienza in Salvia.
Thompson (1969) ha valutato, su S. glutinosa, l’effetto dell’acido gibberellico con dosaggi compresi in un range variabile tra 1 e 1000 mg/l a temperatura di 25°C. Per tale specie è sufficiente una quantità minima (1 mg/l) per avere già un effetto positivo sulla germinabilità. La percentuale massima di germinabilità (94%) si è comunque ottenuta alla concentrazione massima in prova di 1000 mg/l. Esperimenti preliminari su altre specie hanno suggerito che frutti e semi rivestiti non sono permeabili alle gibberelline; sulla base di ciò l’autore ha provato a decorticare i semi di S.
glutinosa ottenendo il 100% di germinabilità.
Magnani et al. (1990) hanno saggiato una soluzione con GA3 a 800 ppm per 24 ore a 15°C su semi di S. splendens. Dai risultati emerge che la germinabilità non è aumentata ma si è ridotto il TMG di 3 giorni. Hashemi et al. (1994) hanno verificato su S. columbariae l’effetto delle gibberelline su semi appena raccolti e semi conservati 4 mesi a temperatura ambiente; i semi erano trattati con gibberelline (GA4 + Ga1) alla dose di 200 mg/l a 4°C, 10°C o 25°C per 3 oppure 6 giorni di immersione in camera buia rispetto a un controllo immerso per lo stesso tempo in acqua distillata. I semi freschi non sono germinati se non erano presenti le gibberelline mentre sui semi conservati
c’era un incremento della germinabilità in risposta al trattamento ormonale. Senza gibberelline sia semi freschi sia conservati, mantenuti a 10°C per 6 giorni davano il 72,0 e l’87,7% di germinabilità, rispettivamente. L’abbassamento a 4°C o la riduzione a 3 giorni di immersione riduceva significativamente la percentuale di germinazione. Il trattamento con gibberelline incrementa la germinabilità che passa dal 30,6% all’82,4% per semi freschi e dal 61,8% al 94,9% per semi conservati. Per questa specie, quindi, l’utilizzo delle gibberelline risulta conveniente per ottenere una rapida ed uniforme germinazione. Un altro composto in grado di stimolare la germinazione è il nitrato di potassio (KNO3) capace di stimolare la germinazione in molte specie ed inibirla in altre anche a basse concentrazioni. Magnani et al. (1990) riportano che trattamenti con il medesimo sale su Salvia splendens a 15°C annulla la germinabilità del seme. Yucel (2000) ha verificato, su sei specie di Salvia (S. cryptantha, S. cyanescens, S. dichroantha, S. tchihatcheffii, S. aethiopis, S.
virgata), l’effetto di tale composto nel range di concentrazione compreso tra 0,5-3%: la
germinazione è inibita in tutte le sei specie, con una riduzione della germinabilità dal 60,4% del controllo al 38,4% alla dose di 0,5% ed al 16% alla dose del 2%; in particolare S. tchihatcheffii e S.
aethiopis sono risultate le più sensibili, mentre S. dichroantha e S. cyanescens sono state le più
1.4 Uso di brachizzanti e ritardanti di crescita in floricoltura
La gestione dell’architettura delle piante ad uso ornamentale, ed in particolare la cura della loro simmetria rispetto ad un asse predeterminato e l’aspetto compatto nel vaso, con l’equilibrio dei volumi, è una necessità fortemente sentita da parte delle imprese agricole.
Infatti la tendenza del consumatore è quella di scegliere piante che rispettino questi canoni estetici, tendenza dettata dal fatto che piante compatte e simmetriche sono più belle e di conseguenza preferite. Questo ha portato il produttore ad utilizzare una serie di sostanze tra cui nanizzanti e brachizzanti che permettono di ottenere piante con altezza minore, quindi più compatta e con volumi simmetrici rispetto al vaso.
I ritardanti di crescita sono ampiamente utilizzati in quanto costituiscono un veloce, efficace, duttile ed economico strumento per regolare la taglia del colture ed aumentare il loro valore commerciale e ridurre i costi di produzione e manutenzione.
I brachizzanti o nanizzanti sono fitoregolatori che agiscono inibendo od ostacolando, direttamente o indirettamente, la crescita di determinati organi delle piante. Alcuni hanno un’azione antigibberellica. Nelle piante semilegnose si sostituiscono alla cimatura naturale ed hanno effetti di “inibitori” di crescita, in grado di alterare il sistema auxinico della pianta.
L’influenza di queste sostanze è legata alla dose e forma di applicazione; inoltre un diverso organo della pianta reagisce in modo diverso alla sostanza, ad esempio gli organi soggetti ad allungamento (internodi, piccioli, peduncoli) risentono in maniera marcata delle sostanze antigibberelliche rispetto agli organi da lamina (foglie, fiori). Uno stesso organo può reagire in maniera diversa (ad esempio rami basali e rami apicali) in base al quantitativo e alla persistenza del principio attivo. Un'altra parte degli inibitori di crescita riducono l’allungamento dei germogli, anticipandone l’emissione; in questo caso i germogli tendono ad assumere la stessa lunghezza, risultandone, una chioma più compatta con maggior disposizione dei fiori. Ma un eccessivo raccorciamento dei rami, una distribuzione non uniforme o un accumulo di principio attivo residuo nella pianta possono portare a compromettere la regolarità della pianta (esempio Topflor radicale).
Un altro effetto negativo dovuto a dosi eccessive o accumulo di principio attivo è la bollosità delle foglie conseguenza di un raccorciamento delle nervature rispetto al tessuto internervale (es. trattamento di uniconazolo per via fogliare in fucsia). Comunque non si possono generalizzare alcuni effetti visto l’influenza di numerosi fattori quali: le caratteristiche genetiche della specie, lo stadio fenologico, gli stadi idrici e nutrizionali, tipo di principio attivo, dose e modalità di somministrazione, condizioni ambientali e colturali.
1) Composti ch inibiscono l’azione dell’ent-keurene sintetasi A e B, che non permettono la formazione dell’ent-kaurene dell’acido mevalonico, i più comuni sono chlormerquat chloride/ p.c. cycocel®) ed il mepiquat chloride/p.c. Pix®);
2) Composti che inibiscono l’ossidazione dell’ent-kaurene ad ent-kaurenoico, agendo su enzimi legati al citocromo P450, pertanto è frequente l’aumento del contenuto di ABA come effetti collaterale, i più comuni di questa classe sono le pirimidine (flurprimidol/p.c. topflor®; ancymidol/p.c. A-rest®) o i triazoli (uniconazolo/p.c. sumagic®, prunit®; paclobutrazolo/p.c. bonzi®, cultar®);
Gli acilciclo-esanedioli, composti che interferiscono nelle ultime fasi della biosintesi ed in particolare nel passaggio dall’aldeide-GA12 alle forme GA19, GA20 e GA1, GA8. Questi composti possono portare ad accumulo di antocianine; sono inclusi in questo gruppo il cimectacarb/p.c. omega®; il proesadione-Ca (p.sperm. BX112 ed il daminozide/p.c. Alar®, quest’ultimo, oltre all’azione antigibberellica, possiede la capacità di stimolare la produzione di etilene che, interferendo con le auxine sulla dominanza apicale può essere considerata la causa della frequente emissione di germogli laterali e basali).
Alcuni fattori che variano in questi composti è l’assorbibilità del principio attivo, il tempo di traslocazione e la velocità con il quale vengono metabolizzati dai diversi organi.
La dominozide ed il chlormequat chloride, ad esempio, vengono trasportati sia dallo xilema sia dal floema, ma si preferiscono i trattamenti fogliari a causa della loro prolungata persistenza nel terreno di coltura. I triazoli sono traslocati per via xilematica per cui sono più efficaci per somministrazione radicale nel suolo. Nell’ambito dei triazoli, l’uniconazolo risulta meno mobile del paclobutrazolo, pertanto con trattamento radicale è meno efficace nel breve tempo, ma più persistente è adatto nel trattamento di specie semilegnose quali: Forsythia intermedia, Kerria japonica e Viburnum tinus. La citotossicità di queste sostanze si può manifestare con un blocco della crescita (1-2 settimane) e la riduzione dell’allungamento dei germogli in sviluppo al momento del trattamento, in alcuni casi può superare il 90 % (Nerium oleander, Cotoneaster e Pyracantha – Sachs et al. 1975), ma può variare considerevolmente fra i germogli. In tali casi la chioma può risultare non solo eccessivamente ridotta, ma deformata ed irregolare dal basso valore ornamentale. D’altro canto si possono avere, anche, effetti positivi, in base alla specie, quali: promuovere la fioritura (Halevy, 1986), accentuare la colorazione verde del fogliame e ritardare la senescenza (Halevy, 1985; Davis
et al. 1988), aumentare la resistenza alle basse temperature ed alla siccità (Vaigro - Wolff et al.,
1987; Wang, 1985), alla salinità, all’ozono, all’anidride solforosa, al cadmio (Singh, 1993) nonché ad alcuni patogeni fungini (es. paclobutrazolo - Canthey, 1975) e patogeni batteri (es. chlormequat – Chase et al., 1987).
Attualmente in Italia almeno 5 sono le molecole registrate come fitoregolari e che sono in grado di limitare lo sviluppo delle piante.
Le sostanze ammesse sulle piante ornamentali sono:
CLORMEQUAT: prodotto commerciale cycocel, viene trasportato attivamente nella pianta; viene distribuito per irrorazione, la sua efficacia è bassa per cui richiede più trattamenti con il rischio di creare maggior impatto ambientale e fitotossicità nei confronti della pianta; è meno efficiente sotto condizione di alta temperatura. Il suo effetto può essere aumentato se associato con altri fitoregolatori come il daminozide. Viene utilizzato come fitoregolatore per cereali (escluso mais, sorgo e riso), colture floreali e ornamentali, in particolare su geranio, ibisco e poinsettia, la tossicità per queste colture si manifesta se viene superata la dose di 1500 ppm, con decolorazione delle foglie. Trova impiego anche nella concia delle sementi di frumento e riso; viene utilizzato, per le colture ornamentali, alle concentrazioni che vanno da 800 fino a 3000 ppm per irrorazione e 300 – 500 ppm per irrigazione. Può essere utilizzato anche su talee per immersione della talea nella soluzione con il fitoregolatore per almeno 4 h; il fitoregolatore non risente del pH del terreno e impiega circa 12 – 16 h per fare effetto:
DAMINOZIDE: prodotto commerciale Alar85 (85% di daminozide), è un fitoregolatore sistemico efficace su un’ampia gamma di piante ornamentali (crisantemo, poinsettia, petunia, azalea, ortensia, geranio, petunia, calendula, etc.). Viene assorbito per via fogliare dove trasloca nei germogli impedendo la sintesi delle gibberelline riducendo lo sviluppo longitudinale delle cellule vegetative, portando ad una riduzione della statura dalla pianta, diminuzione della lunghezza degli internodi e compattamento delle cellule stesse. Effetti sulla pianta sono aumento delle clorofilla, irrobustimento dello stelo, riduzione della dominanza apicale, un sistema radicale più fitto e robusto ed aumento del numero dei germogli fiorali. Viene distribuito per irrorazione per trattamento fogliare, in quanto è assorbito dalle foglie, può essere assorbito anche dalle radici, ma è meno efficace perché nel terreno viene degradato, non viene assorbito dallo stelo; può essere associato ad altri fitoregolatori come cycocel, l’effetto diminuisce con lo sviluppo della pianta. Per avere una buona efficacia si fanno trattamenti multipli a dosi controllate evitando l’effetti residuo del prodotto, anziché un solo trattamento al dosi elevate. Può essere utilizzato per trattare talee immergendole nella soluzione con il fitoregolatore per circa 30’ – 1 h; viene utilizzato ad una concentrazione che va da 1250 a 500 ppm per irrorazione;
FLURPRIMIDOL: prodotto commerciale topflor, è un fitoregolatore utilizzabile esclusivamente in serra su colture di poinsettia, crisantemo, begonia, fucsia, ortensia,
petunia, impatiens, pelargonio e per ridurre l’altezza e lo sviluppo radicale, oltre che migliorare la qualità, di tappeti erbosi per campi di atletica; è stato introdotto in Europa per il trattamento di colture in serra con una riformulazione (1,5% di p.a.) di quella utilizzata per lo più in Nord America (0,38% di p.a.) su cui è utilizzato su agrifoglio (Keever et al., 1994) e salvia Messicana (Burnett et al., 2000); le caratteristiche del topflor sono intermedie fra il Bonzi (p.a. paclobutrazolo) e Sumagic (p.a. uniconazolo); in particolare: il Bonzi viene distribuito per irrorazione o irrigazione, il prodotto è sitemico e passa dallo stelo o radici al germoglio dove esplica la sua azione antigibberellica; viene fatto un solo trattamento, ma si preferisce farne due a dosi ridotte, perché una dose errata o eccessiva provoca arresto di crescita e ritardo di fioritura; il sumagic ha le stesse caratteristiche del Bonzi solo che ha un maggior grado di efficace ad un dosaggio dimezzato su parecchie piante, ma richiede un’accurata preparazione della soluzione da parte dell’operatore, perché si possono avere rapidi danni da dose eccessiva. La concentrazione può andare da 2 a 200 ppm per le piante ornamentali e da 1 a 20 ppm per le piante da aiuola nel caso del Bonzi e da 5 a 25 ppm per le piante ornamentali e da 1 a 50 ppm per le pianta da aiuola nel caso del sumagic; il topflor rispecchia gli stessi parametri.
Le sostanze non ammesse sulle piante ornamentali sono:
CALCIO-PROESADIONE: p.c. Regalis (10% di proesadione-Ca) regolatore dello sviluppo vegetativo delle pomacee (melo e pero), viene metabolizzato rapidamente in acqua e CO2, la molecola agisce sulla sintesi delle gibberelline, in particolare la conversione della GA20 in GA1, e determina una riduzione della crescita dei germogli. Può causare, anche, un antagonismo verso la sintesi dell’etilene migliorando l’allegagione nel melo. La dose varia da 0,75 a 2,5 Kg/ettaro, ma varia in base alla vigoria e sensibilità varietale.
TRINEXAPAC-ETHYL: Regolatore di crescita utilizzabile su tappeti erbosi di graminacee, campi da golf, campi sportivi, prati e parchi. Può inoltre essere impiegato nella gestione di aree di difficile tosatura, come scarpate o bordi erbosi di aiuole e marciapiedi. Conferisce una colorazione più bella al tappeto erboso e riduce la frequenza di tosatura. Anche questo regolatore di crescita agisce sulla sintesi dell’acido gibberellico; è solubile in acqua a 20°C, poco persistente nel terreno.
Il contenimento della taglia può essere attuato, anche, con mezzi non chimici, ma questi sembrano non idonei o economicamente convenienti per la coltivazione delle salvie.
Tra i fattori fisici si possono citare: il termoperiodo ed il fotoperiodo, la qualità della luce, gli stress idrici e nutrizionali, la restrizione radicale, la salinità dell’acqua di irrigazione e gli stress