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PROPOSTE GLOTTODIDATTICHE PER IL MANTENIMENTO DELLA L1. UN PERCORSO PER STUDENTI STRANIERI IN ITALIA

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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

C ORSO DI L AUREA M AGISTRALE IN

L INGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE

PROPOSTE GLOTTODIDATTICHE PER IL MANTENIMENTO DELLA L1. UN PERCORSO

PER STUDENTI STRANIERI IN ITALIA

Prova finale di:

Chiara Dino Relatore:

Chiar.mo Prof. Marco Mezzadri

Correlatore:

Chiar.mo Prof. Diego Saglia

Anno Accademico 2014-2015

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RIASSUNTO

La recente situazione scolastica italiana impone delle riflessioni sulla condizione linguistica, accademica e sociale degli studenti immigrati nel nostro paese. L’Italia sta velocemente cambiando e sembra che anche il sistema scolastico necessiti alcune trasformazioni. Oggigiorno si sente molto parlare dell’importanza di sviluppare l’italiano L2 per gli studenti di recente immigrazione, ma si discute ancora troppo poco sull’importanza della L1 per questi allievi. Vari studi dimostrano che la lingua madre rappresenta una base indispensabile per l’apprendimento di altre lingue, oltre a infondere sicurezza e autostima nello studente e a mantenere vivo il legame con la cultura d’origine.

La L1 è quindi un elemento indispensabile per la crescita accademica e personale degli studenti stranieri e deve esserne rivalutata la centralità nell’insegnamento ai bilingui, visto che per molto tempo è stata considerata inutile o persino negativa per un giusto sviluppo cognitivo. Infatti si è a lungo pensato che essa potesse creare deficit e confusione linguistica. Per questo, per molti anni, si è preferito sviluppare un tipo di bilinguismo sottrattivo che lasciava maggiore spazio alla L2. Oggi, invece, le ricerche dimostrano che la lingua madre è una risorsa indispensabile per il bilingue e che funge da base per lo sviluppo della L2, dato che secondo la Developmental Interdependence Hypothesis di Cummins le competenze acquisite attraverso una lingua sono trasferibili all’altra.

Il nostro studio parte da queste riflessioni generali al fine di proporre un modello d’insegnamento in grado di mantenere vivo l’uso della lingua di origine per gli studenti stranieri, sviluppare l’italiano L2, in particolare per fini di studio, e permettere un’integrazione degli allievi stranieri all’interno della classe attraverso il metodo d’insegnamento del cooperative learning, oltre ad abituare gli studenti italiani a vivere in un contesto multiculturale dove la differenza è vista come possibilità di ricchezza. Il cooperative learning è un tipo di insegnamento basato sul lavoro di gruppo, gli studenti cooperano al fine di raggiungere un obiettivo comune. È stato dimostrato da varie ricerche (Slavin 1989, D. Johnson e R. Johnson 1981) che questo metodo permette di raggiungere migliori risultati accademici per tutti gli studenti se attuato nel modo corretto, inoltre assicura integrazione dal punto di vista culturale.

Nella prima parte della tesi ci soffermiamo sulle teorie psicologiche a sostegno del bilinguismo, affrontando un lungo excursus tra decenni di ricerche e sperimentazioni, riprendiamo l’importanza e la possibilità di utilizzare la lingua madre in classe, analizziamo le varie tipologie di cooperative learning, descrivendone elementi positivi e

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negativi e scegliamo il metodo che ci pare più consono ai nostri obiettivi di studio. Infine, nell’ultimo capitolo, proponiamo un modello d’insegnamento basato sul lavoro cooperativo sia tra gli alunni stranieri che con la partecipazione di quelli italiani e una serie di attività che permettano di raggiungere gli obiettivi proposti. Il nostro modello è facilmente attuabile in qualsiasi scuola secondaria di secondo grado, gli unici requisiti necessari sono l’impegno, la motivazione e la partecipazione da parte di studenti e insegnanti. Inoltre, appare centrale un’analisi dei bisogni dello studente e un’attenzione particolare alle sue preconoscenze sia nella lingua di origine che in italiano, in modo da poterle riattivare e partire proprio da ciò che lo studente già conosce. Ogni percorso deve essere creato appositamente per un allievo tenendo presente le sue attitudini e i suoi bisogni. Al fine di assicurare un’esposizione graduale ai compiti cognitivi gli insegnanti sono chiamati a considerare non solo le competenze linguistiche dell’allievo e la distanza della sua lingua madre dall’italiano, ma anche le competenze cognitive e metacognitive pregresse. Le attività proposte mirano a migliorare sia le competenze linguistiche che i contenuti disciplinari, concentrandosi in particolar modo sulle abilità di studio e sulle strategie di apprendimento che sviluppano motivazione e autonomia nello studente.

Crediamo che queste proposte possano davvero cambiare la vita di alcuni studenti e ci auguriamo che vengano prese in considerazione dalla scuola italiana di oggi che si trova in una situazione di forte emergenza.

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ABSTRACT

The recent Italian School Education System issue imposes several reflections regarding the linguistic, academic and social conditions of immigrant pupils in our country. Italy is rapidly changing and important transformations have to be made to the Italian School System. Nowadays the topic of developing Italian as a second language for immigrant students is fundamental, while the importance of maintaining L1 for these pupils is not encouraged enough. Many researches have demonstrated that L1 is an essential factor for the development of other languages, it also reassures the students and helps to maintain a relationship with their mother culture. The first language is essential for the academic and personal growth of foreign students and it is advisable that teachers and educators bear in mind its importance for the education of bilinguals, taking into consideration that for many years it has been considered worthless or even negative for the cognitive development of children. Indeed researchers have thought for a long time that L1 could create deficit and linguistic confusion in the mind of the bilingual. For this reason, for many years, many countries have developed a kind of subtractive bilingualism which allows more space to the second language. Today instead, surveys demonstrate that the mother tongue is fundamental for the bilingual and it works as a basis for the development of L2, as according to Cummins’ Developmental Interdipendence Theory the competences obtained through a language can be transferred to another language.

My thesis starts with these general reflections in order to introduce a teaching method which can help foreign students to maintain the use of their first language, develop the use of Italian as a second language (with studying aims as its goal) and allowing the inclusion of immigrant pupils in the class through the teaching method of cooperative learning and get Italian students used to living in a multicultural context where difference represents a possibility of richness. Cooperative learning is a teaching method based on the idea that students work together to obtain a common goal. Many researchers (Slavin 1989, D.

Johnson and R. Johnson 1981) demonstrated that this method if accurately carried out allows to obtain better academic results for all students and moreover it guarantees inclusion from a cultural point of view.

In the first part of my thesis I have analysed the psychological theories which support bilingualism, carrying out an excursus along decades of researches and experimentations, I have examined the importance and the possibilities of using L1 during lessons, I have presented the different types of cooperative learning describing positive and negative

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aspects and I have chosen the method which best suits my study aims. In the end, in the last chapter, I have suggested a teaching method based on cooperative working among foreign students and Italian students and several activities that can allow pupils to achieve their goals. My model can be easily applied in every secondary school, key factors are the pupils and teachers’ affords, motivation and involvement. Moreover a thorough analysis of pupil’s needs and his/her foreknowledge in his/her mother tongue and Italian, in order to reactivate it and start from what the pupil already knows. Every syllabus has to be prepared for that particular pupil taking into consideration his/her needs and inclinations. In order to assure a gradual exposure to the cognitive demanding tasks, teachers have to take into account not only the linguistic competences of the learner and the distance between his/her mother tongue from the Italian language, but also his/her previous cognitive and metacognitive skills. The activities suggested aim at improving both linguistic skills and subject matter, with particular attention to studying skills and learning strategies which develop students’ motivation and independence.

I think that these suggestions really can change the life of many pupils and I hope that they will be taken into consideration by the Italian School System which is in need of an urgent change.

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RESUMEN

La reciente situación italiana impone algunas reflexiones sobre la condición lingüística, académica y social de los estudiantes llegados a nuestro país. Italia está cambiando rápidamente y parece también que el sistema educativo necesita algunas transformaciones.

En la actualidad se escucha mucho discutir sobre la importancia de incentivar el italiano segunda lengua por los estudiantes de reciente inmigración, pero se habla aún muy poco sobre la importancia de la L1 de estos alumnos. Varios estudios demuestran que la lengua madre representa una base indispensable para el aprendizaje de otras lenguas, además infunde seguridad y autoestima al estudiante y mantiene vivo el enlace con su cultura de origen. La L1 es un elemento indispensable para el crescimiento académico y personal de los estudiantes extranjeros y su centralidad tiene que ser revalorizada en la enseñanza a los bilingües, visto que por mucho tiempo fue considerada inútil o incluso negativa para un correcto desarrollo cognitivo. En efecto, se ha pensado por mucho tiempo que ella podía crear déficit y confusión lingüística y es precisamente por esta razón que por muchos años se ha preferido desarrollar una tipología de bilingüismo sustrativo que dejaba mayor espacio a la L2. Hoy, en cambio, las investigaciones demuestran que la lengua madre es fundamental para el bilingüe y es esencial para el desarrollo de la L2, dado que según la Developmental Interdependence Hypothesis de Cummins las competencias adquiridas a través de una lengua se pueden transferir a otra.

Nuestro estudio empieza con estas reflexiones generales con el fin de proponer un modelo de enseñanza que pueda mantener vivo el uso de la lengua de origen para los alumnos extranjeros, desarrollar el italiano L2, en particular para fines de estudio y permitir la integración de los estudiantes extranjeros en la clase a través del método de enseñanza de adrendizaje cooperativo y al mismo tiempo acostumbrar a los alumnos italianos a vivir en un ambiente multicultural donde poder desarrolar el concepto que la diversidad es una posibilidad de riqueza. El aprendizaje cooperativo es una tipología de enseñanza basada en el trabajo por grupos, los estudiantes cooperan para alcanzar un fin común. Varias investigaciones (Slavin 1989, D. Johnson y R. Johnson 1981) demuestran que esta metodología permite alcanzar mejores resultados académicos en todos los estudiantes y asegura una importante integración cultural.

En la primera parte de la tesis nos detenemos en las teorías psicológicas que apoyan el bilingüismo, enfrentando un largo recorrido entre décadas de investigaciones y experimentaciones, volvemos a analizar la importancia y la posibilidad de utilizar la lengua

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madre en clase, analizamos las varias tipologías de aprendizaje cooperativo, describiendo sus elementos positivos y negativos y elegimos el mejor método para nuestras finalidades de estudio. Finalmente, en el último capítulo, proponemos un modelo de enseñanza basado en el trabajo cooperativo entre los alumnos extranjeros pero también con la partecipación de estudiantes italianos y algunas actividades que permiten alcanzar los objetivos propuestos. Nuestro modelo se puede realizar fácilmente en cualquiera escuela de enseñanza secundaria, los únicos requisitos necesarios son el empeño, la motivación y la partecipación de los estudiantes y los profesores. Además es tema central el análisis de las necesidades del estudiante y una atención particular a sus preconocimientos en su lengua de origen pero también en italiano, de manera que se pueden activar nuevamente y partir de lo que el estudiante ya conoce. Cada carrera tiene que ser preparada para cada alumno teniendo en consideración sus aptitudes y necesidades. Para asegurar una exposición gradual a las tarea cognitivas los profesores tienen que considerar no sólo las competencias lingüísticas del alumno y la distancia de su lengua madre al italiano, sino también las competencias cognitivas y metacognitivas anteriores. Las actividades propuestas quieren mejorar las competencias lingüísticas y los contenidos didácticos, concentrándose en particular sobre las habilidades de estudio y las estrategias de aprendizaje que desarrollan motivación y autonomía en el estudiante.

Creemos que estas propuestas pueden realmente cambiar la vida de algunos alumnos y esperamos que sean tomadas en consideración por la escuela italiana que se encuentra en una situación de fuerte emergencia.

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PROPOSTE GLOTTODIDATTICHE PER IL MANTENIMENTO DELLA L1. UN PERCORSO PER STUDENTI STRANIERI IN ITALIA

INTRODUZIONE ... pag. 1

CAPITOLO 1 ... pag. 3 BILINGUISMO E IMPORTANZA DEL MANTENIMENTO DELLA L1

1.1 Il bilinguismo ... pag. 3 1.2 Le teorie cognitive sul mantenimento della L1 ... pag. 5 1.3 Tipologie di educazione bilingue ... pag. 9 1.4 Il bilinguismo in Europa ... pag. 11 1.4.1 La metodologia CLIL ... pag. 12 1.4.2 L’UNESCO e l’educazione bilingue ... pag. 14 1.5 Perché utilizzare la L1 a scuola? ... pag. 16 1.5.1 Un caso di studio: l’importanza della lingua madre per gli studenti immigrati ... pag. 19 1.6 La normativa italiana ... pag. 20

1.7 L’italiano L2 ... pag. 21 1.8 L’importanza della comunità di appartenenza per l’acquisizione e il mantenimento

della L1 ... pag. 22 1.9 Le problematiche per realizzare un progetto bilingue nella scuola italiana ... pag. 25

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CAPITOLO 2 ... pag. 31 IL COOPERATIVE LEARNING IN UNA PROSPETTIVA DI MANTENIMENTO

DELLA L1

2.1 Terminologia e storia ... pag. 31 2.2 Le teorie psicologiche a sostegno del cooperative learning ... pag. 34 2.2.1 Vantaggi del cooperative learning ... pag. 35 2.2.2 Il cooperative learning nelle relazioni interetniche ... pag. 36 2.3 I vari metodi di cooperative learning ... pag. 37 2.3.1 I modelli di peer-tutoring: Jigsaw, TGT e STAD ... pag. 38 2.3.2 Gli approcci Group-investigation: i modelli Learning together e Small-groups

Teaching method ... pag. 39 2.3.3 Risultati delle ricerche ... pag. 40 2.4 Problematiche del cooperative learning ... pag. 43 2.5 Difficoltà nel realizzare il cooperative learning nella scuola italiana ... pag. 45 2.5.1 Come sviluppare un’attività didattica attraverso il cooperative learning ... pag. 47 2.6 Progetti di cooperative learning in Italia: il progetto “Tom Tom” ... pag. 48

CAPITOLO 3 ... pag. 52 PROPOSTE OPERATIVE PER IL MANTENIMENTO DELLA L1 A SCUOLA

3.1 Prima di iniziare ... pag. 52 3.2 Due concetti importanti: motivazione e autonomia ... pag. 54 3.3 Attività per lo sviluppo dell’expectancy grammar ... pag. 57 3.4 Attività di comprensione orale ... pag. 60 3.5 Attività di comprensione scritta ... pag. 62 3.6 Attività di produzione orale ... pag. 64 3.6.1 Attività per lo sviluppo del saper dialogare ... pag. 66

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3.7 Attività di produzione scritta ... pag. 67 3.8 Attività di traduzione ... pag. 69 3.9 Attività per lo sviluppo del lessico ... pag. 70 3.10 Attività per lo sviluppo della riflessione grammaticale ... pag. 73 3.10.1 Tecniche per la sistematizzazione delle regole ... pag. 75 3.11 Attività per la competenza extralinguistica ... pag. 77 3.12 La fonologia ... pag. 77 3.13 Attività di cooperative learning ... pag. 79

CONCLUSIONI ... pag. 85

BIBLIOGRAFIA ... pag. 87

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1 INTRODUZIONE

Il presente studio parte da un’analisi del bilinguismo e dell’educazione bilingue, considera le varie tipologie di cooperative learning come possibile metodo di insegnamento e propone un modello cooperativo, basato sul peer teaching, finalizzato a promuovere il mantenimento della L1 per gli studenti stranieri nelle scuole italiane. Le forti ondate migratorie che hanno colpito e continuano a colpire l’Italia dimostrano che sono necessarie urgenti misure educative che possano garantire l’integrazione culturale di questi studenti, nonché il loro pieno sviluppo cognitivo. È necessario che il mondo dell’educazione in generale e la scuola in particolare si facciano portavoci di valori interculturali e prendano in considerazione le esigenze di questa nuova tipologia di studenti. Se analizziamo la normativa italiana ci rendiamo conto di trovarci ancora in una fase transitoria in cui le nuove proposte educative, amministrate dalle circolari ministeriali, di integrare gli studenti stranieri all’interno del sistema scolastico faticano ad essere messe in pratica e spesso restano solo sulla carta. È necessario che l’Italia si impegni seriamente nella messa in pratica di modelli educativi che cerchino di risolvere la delicata questione dell’insegnamento dell’italiano L2 e il mantenimento della L1 dato che come sostiene Stern (1992: 282) “The L1-L2 connection is an indisputable fact of life”. Per questo il mio lavoro di tesi propone diverse attività collaborative tra studenti stranieri ma che coinvolgono anche quelli italiani in modo da creare un clima di cooperazione al fine di ottenere obiettivi comuni quali un miglioramento nel profitto scolastico degli studenti stranieri, uno sviluppo delle relazioni sociali tra studenti stranieri e italiani non solo all’interno della scuola ma anche al di fuori del sistema educativo e una nuova prospettiva di collaborazione in cui gli allievi immigrati vengono visti come una risorsa fondamentale per la costruzione di una società multiculturale. Sono diversi i modelli di peer teaching che sono stati utilizzati a fini linguistici, alcuni dei quali saranno presentati nel secondo capitolo, e molti sono i progetti che hanno riscontrato risultati favorevoli a tal fine. Il terzo capitolo si occuperà quindi di proporre un modello di cooperative learning attuabile in scuole secondarie di primo e secondo grado che sarà realizzabile sotto la supervisione di docenti di qualsiasi materia di studio e che prevede come prerogativa indispensabile l’interesse, la partecipazione e la motivazione dello studente.

I primi due capitoli fungeranno da introduzione rispettivamente agli argomenti del bilinguismo e del cooperative learning. Sarà dedicato molto spazio al concetto di educazione bilingue e alle recenti teorie sul bilinguismo, che permetteranno di

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comprendere meglio l’importanza e il ruolo della L1 e verranno specificati i vari modelli di educazione bilingue. Infine volgeremo un breve sguardo alle politiche linguistiche europee e alle recenti teorie sull’uso della L1 in classe. Il secondo capitolo si concentrerà invece sulla storia e i vari modelli di cooperative learning, individuando quello più adatto ai nostri fini di studio. Descriveremo brevemente le teorie psicologiche a sostegno del lavoro di gruppo e come il cooperative learning può essere utile per le relazioni interetniche all’interno della classe. L’ultimo capitolo proporrà infine un modello specifico di cooperative learning adatto alle premesse introdotte nei capitoli precedenti e delle attività didattiche specifiche da svolgere in coppie o a gruppi che favoriscano il mantenimento della L1, lo sviluppo dell’italiano L2 e l’acquisizione di strategie di apprendimento. La prima parte si concentrerà sulle attività didattiche spendibili in un laboratorio tra studente tutor e tutorato, mentre la seconda parte presenterà attività di cooperative learning che l’insegnante potrà organizzare con la partecipazione di tutta la classe divisa in gruppi.

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CAPITOLO 1: BILINGUISMO E IMPORTANZA DEL MANTENIMENTO DELLA L1

In questo capitolo analizzeremo il concetto di bilinguismo e la sua trasformazione nel corso del tempo, inoltre ci soffermeremo brevemente sulle teorie cognitive sviluppate da vari autori e sui numerosi modelli di educazione bilingue. Volgeremo anche un breve sguardo alle politiche europee sul bilinguismo e alla normativa italiana che regola la presenza degli studenti stranieri nelle scuole italiane. Infine esamineremo l’importanza del mantenimento della L1 e dell’uso di questa lingua in classe, che nonostante sia stata vietata per molto tempo oggi torna ad essere considerata fondamentale per lo sviluppo linguistico ma anche cognitivo del bambino. Queste sono tutte prerogative indispensabili che formano la base della nostra proposta per il mantenimento della lingua madre degli studenti stranieri in Italia.

1.1 Il bilinguismo

Il bilinguismo è indubbiamente un concetto complesso e difficile da definire data la sua vasta area di utilizzo e le diverse teorie che si sono susseguite nel corso del tempo; come suggeriscono Brumfit e Byram (2000: 82) “It is difficult to define who is bilingual since the definitions of bilingualism are almost as many as the researchers who have studied bilingualism”. Gli studi sul bilinguismo iniziarono negli anni ’20 del Novecento e in quel periodo si pensava che fosse svantaggioso per i bambini conoscere più di una lingua perché questo avrebbe creato danni cognitivi oltre a confusione linguistica (Diaz 1983). Il cambiamento avvenne nel 1962 grazie agli studi di Peal e Lambert in una scuola di Montreal frequentata da monolingui francofoni e bilingui anglo-francesi. I due studiosi si aspettavano che bilingui e monolingui raggiungessero gli stessi risultati nelle prove d’intelligenza non verbale, ma che i monolingui avrebbero ottenuto risultati migliori nei test d’intelligenza verbale. L’esito dello studio contraddisse le loro aspettative e per la prima volta i bilingui ottennero risultati superiori in tutte le prove, incluse quelle d’intelligenza verbale. I risultati migliori furono registrati nei test di riorganizzazione mentale e questo rese evidente che i bilingui fossero avvantaggiati nella flessibilità mentale rispetto ai monolingui. Quindi i loro risultati dimostrarono che il bilinguismo non crea nessun effetto negativo sullo sviluppo cognitivo e linguistico del bambino. Da qui in avanti le cose cambiarono radicalmente e il bilinguismo considerato come un problema venne sostituito dall’idea di bilinguismo come risorsa (Baker 2011).

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Il bilinguismo è stato spesso definito in base al livello di padronanza delle due lingue di un individuo bilingue, per questo è necessario prima prendere in considerazione cosa significa livello di padronanza di una lingua in base al concetto di language proficiency di Bialystock (2001: 18) : “Language proficiency is the ability to function in a situaton that is defined by specific cognitive and linguistic demands, to a level of performance indicated by either objective criteria or normative standards”. La language proficiency viene misurata in base a una serie di abilità che Baker (2011) classifica in due tipologie: ricettive, ascoltare e leggere, e produttive, parlare e scrivere. In base a come misuriamo la competenza linguistica possiamo identificare diverse tipologie di definizioni di bilinguismo, alcune restrittive e altre inclusive. Tra le restrittive troviamo quella di Skutnabb-Kangas: “native-like control of two or more languages” (1981: 85), che significa che una persona è in grado di usare due o più lingue come un madrelingua. Questa definizione è stata considerata troppo limitante negli anni successivi e ha fatto nascere concezioni all’estremo opposto, che considerano bilingue chiunque abbia una competenza anche minima in una lingua diversa dalla sua L1. Una prima distinzione necessaria è quella tra bilinguismo individuale e bilinguismo sociale. Il bilinguismo individuale di riferisce a una singola persona, mentre il bilinguismo sociale a una comunità intera. In questo caso ci occuperemo principalmente di bilinguismo individuale. Esistono varie tipologie di bilinguismo, tra cui: bilinguismo sottrattivo e additivo. Il primo indica una perdita parziale o totale della L1 con l’acquisizione della L2, le due lingue competono invece di collaborare tra di loro, questo avviene spesso quando un bambino è scolarizzato attraverso la L2 che è anche la lingua dominante nel contesto sociale rispetto alla sua L1. La L1 è meno valorizzata dalla società rispetto alla L2 (Hamers e Blanc 2003). Nel secondo caso invece non è presente nessun peggioramento delle competenze linguistiche della L1, entrambe le lingue sono valorizzate allo stesso modo (Garcia 2009: 51-52). Un’altra distinzione è quella che Garcia (2009: 52-55) definisce con bilinguismo ricorsivo e bilinguismo dinamico. Il bilinguismo ricorsivo si ha quando una lingua minoritaria che sta cadendo in disuso viene utilizzata in situazioni particolari come per le funzioni religiose.

La lingua viene rivitalizzata e caricata di nuove funzioni. Il bilinguismo dinamico invece riguarda le funzioni della lingua associate al concetto di società multilingue e alle infinite possibilità di comunicazione. L’attenzione è posta sull’uso della lingua nelle sue infinite possibilità con l’aumento delle modalità di comunicazione e l’incontro tra sempre più lingue differenti. Un’ulteriore chiarificazione viene dal contributo di Hamers e Blanc che

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definiscono bilingue bilanciato un individuo che ha le stesse capacità nelle due lingue mentre uno pseudolingual o semilingual è un individuo che ha capacità superiori in una delle due lingue, spesso la lingua madre. Baker (2011: 8) infatti definisce un balanced bilingual “someone who is approximately equally fluent in two languages across various contexts”. Per questo motivo è importante che gli studenti stranieri che arrivano in Italia riescano ad ottenere un livello bilanciato di bilinguismo così da poter sfruttare questo aspetto come un punto a favore e non uno svantaggio.

1.2 Le teorie cognitive sul mantenimento della L1

Il bilinguismo fino a poco tempo fa era considerato come un problema, come qualcosa da eliminare dato che poteva creare deficit cognitivi nel bambino oltre che confusione linguistica. All’inizio del ventesimo secolo le forti ondate migratorie negli Stati Uniti portarono in primo piano la questione dell’educazione per le minoranze linguistiche. Gli scarsi risultati scolastici degli alunni stranieri vennero collegati alla loro condizione di bilinguismo considerata causa di gravi anormalità nello sviluppo cognitivo e di ritardi in quello verbale. Si cercò quindi di scoraggiare l’uso della madrelingua a casa e vietarla a scuola, ricorrendo anche all’applicazione di pene corporali (cfr. Tosi, 1995: 33). Dal momento che si pensava che l’intelligenza fosse il fattore decisivo nel determinare il rendimento scolastico, a partire dal 1920 vennero portati avanti alcuni studi che confrontavano i risultati degli studenti bilingui e monolingui nei test di quoziente intellettivo. Sulla base dei risultati inferiori dei bilingui, molti ricercatori pensarono di aver trovato una base scientifica a sostegno della tesi che il bilinguismo fosse causa di confusione mentale e deficienze linguistiche. Una teoria che ha riscontrato grande successo durante la prima metà del Novecento è quella della Maximum Exposure, secondo cui una massima esposizione alla lingua permette un migliore e più veloce sviluppo della stessa (cfr. Cummins 1979: 222). Questo modello descrive le due lingue come due entità separate nella mente del bilingue e l’aumentare di una prevedeva il diminuire dell’altra. (Figura 1 Cummins e Swain 1986: 81).

Fig. 1

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Secondo questa teoria denominata da Cummins e Swain (1986: 81) The Separate Underlying Proficiency model si cercava di sviluppare sempre di più il “palloncino” della L2 creando il rischio di diminuire quello della L1. Tentando invece di accrescere entrambi i palloncini il rischio sarebbe stato quello di trovarsi studenti con un livello mediocre in entrambe le lingue.

Sono stati due gli approcci che per lungo tempo hanno dominato la scena nel settore dell’apprendimento linguistico: quello comportamentista e quello innatista. L’approccio comportamentista di Skinner sostiene che i bambini continuano a produrre e ad imparare proprietà del linguaggio (ad esempio suoni, lessico ecc.) solo se sono rinforzate positivamente dai genitori del bambino e dagli altri membri della sua comunità di appartenenza. Oppositori a questa visione pongono in primo piano invece la velocità dell’apprendimento linguistico nei primi anni di vita e la stabilità nell’acquisire significati, aspetti non presi in considerazione dalla posizione comportamentista. Negli anni sessanta, in opposizione al comportamentismo, nasce l’ipotesi innatista della grammatica generativa di Chomsky che esamina la possibilità dell’esistenza di principi universali all’interno delle lingue. Per Chomsky, l’acquisizione linguistica non è il risultato d’imitazione o abitudine, ma un processo creativo che fa capo a un dispositivo innato chiamato LAD Language Acquistion Device (Chomsky 1959, 1965, 1975). Si tratta di un meccanismo della mente umana che consente al bambino di imparare una lingua in un periodo di tempo relativamente breve. Affinché il LAD si attivi, è però necessario che intervenga il Language Acquisition Support System LASS, ipotizzato da Jerome Bruner (Bruner 1983) proveniente dall’esterno. Nel processo di acquisizione linguistica, quindi, intervengono tanto fattori innati, congeniti, quanto condizionamenti esterni. Vari studiosi contrastano questa visione, sostenendo che attraverso studi empirici si può dimostrare che la quantità e la qualità di esposizione del bambino alla lingua influenza il suo apprendimento (Hart e Risley 1995).

L’approccio comportamentista, definito anche contrastive hypothesis (Fries 1945, Lado 1957) specifica anche che gli stessi processi di rinforzo positivo che influenzano la prima lingua supportano anche l’apprendimento di una seconda lingua. Inoltre i comportamentisti suggeriscono che quando la L1 e la L2 sono strutturalmente similari la seconda lingua è più facile da apprendere perché il bambino può trasferire il suo apprendimento da una lingua all’altra. L’identity hypothesis invece, sostenuta dagli innatisti, chiarisce che

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strutture e processi cognitivi universali permettono l’acquisizione sia della L1 che di altre lingue, quindi l’apprendimento non beneficia, né è impedito dall’acquisizione della L1.

Posizioni interazionali-sociali, a differenza delle due teorie precedenti, asseriscono che l’apprendimento del linguaggio è il risultato dell’interazione tra la capacità innata degli apprendenti e l’ambiente linguistico che li circonda, in particolare sono influenzati dal feedback che ricevono dai parlanti fluenti di L2, in modo da riuscire a migliorare il loro output. Questa teoria sottolinea l’importanza dell’ambiente che circonda gli apprendenti e le loro effettive opportunità di produrre linguaggio e ricevere una risposta.

Il grande cambiamento avvenne, però, come abbiamo già scritto nel paragrafo precedente, con gli studi di Pearl e Lambert (1962), i quali diedero avvio a una rivalutazione degli studi precedenti e crearono una nuova idea di bilinguismo. Si notò in particolare una superiorità dei bilingui nel campo del pensiero divergente ed una maggiore sensibilità nei confronti del proprio interlocutore e della comunicazione non verbale.

Inoltre essendo abituato a padroneggiare due sistemi linguistici, il bilingue è costretto a decifrare più input rispetto al monolingue e questo contribuisce a renderli più sensibili alle strutture delle lingue e più propensi ad analisi contrastive (cfr. Skutnabb-Kangas 1981:

105). Un altro grande contributo a sostegno del bilinguismo viene dalle teorie cognitive sviluppate dallo studioso canadese Jim Cummins. La prima è la Developmental Interdependence Hypothesis che si basa sull’idea che le competenze acquisite attraverso una lingua siano trasferibili all’altra. Se le competenze linguistiche della L1 sono adeguatamente sviluppate una volta che avviene l’esposizione alla L2 è più facile ottenere buoni risultati anche in questa lingua; se viceversa non si è raggiunto un buon livello nella propria L1 questo influenzerà negativamente anche l’apprendimento della L2. Le lingue hanno quindi una base comune, le competenze cognitive e metacognitive, rappresentate da Cummins come la base di un iceberg sotto la superficie del mare mentre le due punte che emergono dall’acqua rappresentano gli aspetti superficiali delle due lingue (Figura 2). Un bambino che quindi inizia a leggere in una L2 sarà favorito dal fatto che sa già che cosa significa leggere grazie alla sua L1. Cummins in questo modo sottolinea il ruolo fondamentale della L1 e il vantaggio del mantenimento della stessa. Questo modello è stato definito da Cummins e Swain Common Underlying Proficiency model (Cummins e Swain 1986: 83).

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Fig.2

La seconda teoria di Cummins, la Thresholds Theory (cfr. Cummins 1979: 226) prevede due livelli soglia di competenza linguistica. Il raggiungimento del primo livello soglia permette la bambino bilingue di ottenere una competenza appropriata alla sua età in una delle due lingue e quindi impedisce effetti negativi sul suo sviluppo cognitivo. Il raggiungimento del secondo livello permette poi il raggiungimento di competenze linguistiche adatte alla sua età in entrambe le lingue. A questo punto il bambino ottiene effetti positivi sul suo sviluppo cognitivo perché le competenze linguistiche sono trasferibili da una lingua all’altra. Cummins (1979, 1981, 2000, 2008) suggerisce anche due diversi livelli di competenza linguistica: basic interpersonal communicative skills (BICS) e cognitive/academic language proficiency (CALP). Le competenze BICS si riferiscono a competenze di base necessarie per comunicare nella vita di tutti i giorni, mentre le competenze CALP rappresentano un livello superiore di lingua, una padronanza scolastica che permette di capire anche concetti astratti, per questo occorrono almeno quattro anni per svilupparle in confronto ai soli due anni per le competenze BICS (Balboni 1999: 17). Si può ipotizzare in realtà un continuum più che una divisione netta tra i due livelli, infatti se la padronanza scolastica (CALP) non è stata sviluppata nella L1 il bambino non è pronto ad affrontare l’istruzione attraverso l’uso esclusivo della L2, questo potrebbe impedire lo sviluppo dei processi cognitivi di ordine superiore sia nella L1 che nella L2 e conseguenze negative sull’apprendimento.

Queste teorie dimostrano l’importanza della L1 e il bisogno di trovare nella scuola italiana programmi che possano aiutare gli studenti stranieri a mantenere la loro lingua

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madre, dato che la perdita della stessa avviene dopo circa due o tre anni dall’inizio della scuola nel caso in cui la famiglia e la comunità di origine non ne sostengano lo sviluppo.

Negli ultimi anni però le teorie di Cummins sono state superate e riviste. Vari autori sostengono che la differenziazione tra BICS e CALP non sia utile alla comprensione dello sviluppo cognitivo del bilingue. Se definiamo le competenze CALP come “expertise in understanding and using literacy-related aspects of language” (Cummins 2000: 70) secondo una nuova prospettiva non sono altro che “test-wiseness” (Edelsky 1996: 74) cioè la capacità di fare bene nei test che misurano la padronanza scolastica del linguaggio. Dato che i giovani bilingui tendono ad usare le lingue che conoscono in modi diversi questa idea sottovaluta ciò che questi bambini possono fare attraverso entrambe le lingue considerando ogni lingua indipendentemente dalla conoscenza concettuale del bambino (Kester e Pena 2002). Per esempio se un bambino conosce i nomi del cibo in una lingua come lo spagnolo, e i nomi degli oggetti all’interno della classe, come la cattedra, in inglese, un test che richiede al bambino di identificare entrambi questi campi semantici in una lingua farà sembrare il bambino con competenze CALP limitate in entrambe le lingue, nonostante tutte le parole in questione siano concetti familiari al bambino. Le competenze CALP non sono quindi meno dipendenti dalle norme sociali e di interazione delle competenze BICS.

Se il linguaggio accademico è inevitabilmente sociale, e il linguaggio quotidiano è cognitivamente esigente, allora la distinzione tra BISC e CALP sembra superflua e inconsistente (Aukerman 2007: 630). Da un punto di vista pedagogico non esiste un

“prerequisite language for success” (Aukerman 2007: 633). L’insegnante dovrebbe semplicemente partire dal livello dello studente e lavorare da quel punto in avanti per aiutarlo nella comprensione di nuovo materiale accademico. Questa nuova prospettiva confuta le teorie di Cummins su cui si sono basati e continuano a basarsi linguisti ed educatori ma il bilinguismo è un tema talmente vasto che è difficile potersi affidare a un singolo autore.

1.3 Tipologie di educazione bilingue

Quarant’anni di ricerca e letteratura sull’educazione bilingue hanno prodotto diversi modelli, Stephen May (2008) li ha riassunti in tre categorie fondamentali: transitional model, maintenance model, ed enrichment model. Può essere identificato anche un quarto modello chiamato heritage model. Per quanto riguarda il primo modello l’obiettivo è il monolinguismo. L’educazione della L1 per lo studente straniero è solo temporanea perché il fine è quello di eliminarla per favorire lo sviluppo della L2, in questo modo viene

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affermata la lingua e la cultura dominante. È ciò che Baker (2011: 375) chiama language as a problem. Questa tipologia di educazione bilingue è centrale negli Stati Uniti all’inizio del Novecento, quando si credeva che lingue e culture diverse portassero a divisioni interne e per questo veniva favorito un programma di submersion nella L2 anche chiamato sink or swim, cioè impara a nuotare nella L2 o affonderai. Studi recenti hanno dimostrato gli effetti negativi di questo modello che obbliga lo studente ad una totale immersione nella L2 nonostante le sue conoscenze siano insufficienti per affrontare questo tipo di educazione. È proprio ciò di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, se non sono ancora state sviluppate le competenze CALP nella madre lingua non è possibile passare all’apprendimento della L2, questo avrebbe effetti negativi sullo sviluppo cognitivo del bambino. L’istruzione nella L1 in questi programmi è prevista solo per garantire un corretto sviluppo della L2 e la comprensione dei contenuti, inoltre il bambino percepisce la sua L1 come inutile essendo scoraggiata nel suo uso dagli insegnanti e dal mondo che lo circonda. Questo è ciò che avviene anche molto spesso nelle scuole italiane, studenti stranieri che conoscono poco o nulla della lingua italiana, essendo arrivati da poco nel paese si ritrovano a dover studiare in una lingua che non conoscono e questo porta ovvi effetti negativi sul rendimento scolastico nonché sull’autostima e la sicurezza dello studente.

Il secondo modello, il maintenance model promuove il bilinguismo, la L1 dello studente è mantenuta ma non sviluppata per servire da base per lo sviluppo della L2. Vengono affermate la cultura e l’identità dello studente. Baker (2011: 337-382) chiama questo modello language as a right cioè il diritto dell’individuo di apprendere attraverso la propria lingua madre e di mantenere viva la propria lingua e cultura. Il terzo modello si distingue dal maintenance model perché cerca non solo di mantenere ma anche di sviluppare la lingua e la cultura minoritaria. L’enrichment model tende a un pluralismo culturale e all’autonomia dei gruppi culturali. È definito da Baker (2011: 382-383) language as a resource, il bilinguismo è visto come un punto di forza e come una ricchezza per l’individuo e la società. Questo modello viene utilizzato a partire dal 1965 in Canada nei cosiddetti French Immersion Programs che nascono dalla volontà di alcuni genitori di madrelingua inglese di far nascere scuole dove la lingua e la cultura francese siano sviluppate insieme a quella inglese. Durante questi programmi il bambino è sottoposto all’apprendimento dei contenuti attraverso una L2 usata come lingua veicolare durante parte o tutto l’orario scolastico senza contare le ore di insegnamento della L1 come

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materia. In questo modo si sviluppa un tipo di bilinguismo additivo considerato come una risorsa per lo studente. Infine l’ultimo modello, l’heritage model propone di sviluppare programmi per la ripresa in uso di lingue che stanno cadendo in disuso o non sono già più utilizzate come alcune delle lingue minoritarie.

1.4 Il bilinguismo in Europa

Il contesto Europeo è un contesto plurilingue e pluriculturale dove in ogni paese oltre ad essere presente la lingua ufficiale ci sono anche altre lingue minoritarie; inoltre con i consistenti flussi migratori degli ultimi decenni le lingue parlate in Europa sono ormai numerose. In questo scenario l’Europa tende a favorire l’apprendimento di almeno due lingue straniere per tutti i cittadini e il mantenimento e lo sviluppo di tutte le lingue, anche quelle minoritarie. Seguendo queste direttive negli anni Novanta il Consiglio Europeo sviluppa il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue (2001), il primo documento a livello europeo a trattare tematiche quali l’insegnamento linguistico, la sua organizzazione e valutazione. Inoltre si concentra in particolar modo sulla competenza plurilinguistica e pluriculturale e sottolinea l’importanza della conoscenza di culture diverse dalla propria attribuendo pari valore a tutte le lingue. Il Quadro propone inoltre dei livelli di competenza linguistica comuni a tutti i paesi europei che vanno dall’A1 al C2 e fungono da strumento di valutazione comune a tutti gli stati. Nel luglio del 2003 la Commissione Europea elabora un progetto al fine di favorire l’apprendimento delle lingue straniere chiamato Piano d’Azione per l’Apprendimento delle Lingue e la Diversità linguistica, un quadro di politica linguistica estremamente articolato, che colloca fondi, stabilisce benchmark per il controllo sul modo in cui sono stati perseguiti gli obiettivi, e mette le basi per una politica di finanziamenti e di sanzioni a partire dal 2008. Il Piano si suddivide in due parti principali: la prima illustra il contesto e i principali obiettivi strategici da perseguire, la seconda formula proposte concrete per ottenere miglioramenti tangibili a breve termine, cioè nel triennio 2004-06. Esattamente un anno dopo l’adozione del Piano, nel luglio del 2004, sono state delineate le coordinate per la revisione dei progetti europei concernenti l’educazione, la formazione professionale, la cultura, i giovani e il settore della multimedialità per il decennio successivo, fino al 2013 (Balboni 2006).

Questa “nuova generazione di progetti europei”, tale è il titolo del documento, si articola in quattro macro-settori: lifelong learning, “Giovani in azione, “Cultura 2007, “Media 2007”

i quali hanno una linea politica molto evidente basata sulla conservazione delle lingue europee e lo sforzo di far sì che ogni cittadino entri in contatto, in tutto l’arco della vita,

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con un buon numero di culture. Infine il quadro strategico «Istruzione e formazione 2020»

definisce l'apprendimento delle lingue come una priorità. La comunicazione nelle lingue straniere è una delle otto competenze chiave necessarie per migliorare la qualità e l'efficienza dell'istruzione e della formazione. Ciò include, oltre all'aspetto principale della capacità di comunicare nella propria lingua madre, anche la mediazione e la comprensione interculturale. I programmi a sostegno di questa politica sono Erasmus +, avviato nel gennaio 2014, il quale rappresenta il nuovo programma dell'UE per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport per il periodo 2014-2020. Uno dei suoi obiettivi specifici è la promozione dell'apprendimento delle lingue e della diversità linguistica. Un altro programma è Europa Creativa in cui il sostegno è fornito per la traduzione di libri e manoscritti nel quadro del sottoprogramma Cultura.

1.4.1 La metodologia CLIL

Negli anni Novanta grazie al Consiglio d’Europa e alla Commissione Europea nasce una metodologia di promozione delle lingue straniere, il CLIL cioè Content and Language Integrated Learning il quale può permettere di raggiungere buoni risultati nell’apprendimento delle lingue perché non si basa solo sugli obiettivi linguistici ma anche su quelli di contenuto. Il CLIL consiste nell’insegnamento di una materia attraverso l’uso di una lingua straniera al fine di creare opportunità di apprendimento integrato della lingua e dei contenuti. Questo permette di spostare l’attenzione dalla lingua ai contenuti da apprendere e di poter utilizzare la lingua non solo in situazioni fittizie ma anche per apprendere contenuti autentici (Coonan 2012). Il fondamento della metodologia CLIL è basato su una concezione che vede l’acquisizione linguistica come intrinsecamente collegata ad azioni autentiche: l’apprendente si appropria di una lingua attraverso le attività e le finalità che con essa vuole raggiungere. In tale senso, l’acquisizione non avviene in modo scollegato, ma attraverso l’uso contestuale (Franceschini 2011). Attraverso la metodologia CLIL è possibile superare uno degli ostacoli principali dell’apprendimento: il fatto che la lingua sia contemporaneamente oggetto e strumento di insegnamento permette lo spostamento dell’attenzione dalla forma linguistica ai contenuti da essa veicolati, è possibile quindi l’applicazione della rule of forgetting di Krashen, secondo la quale si acquisisce meglio una lingua quando ci si dimentica che la si sta acquisendo (cfr. Balboni 2002: 198-199). La scelta delle materie non è casuale, quelle che permettono di utilizzare grafici, schemi e immagini come ad esempio biologia e arte sono più indicate per aiutare gli studenti nell’apprendimento. Basare l’apprendimento delle lingue sulla metodologia

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CLIL significa interrogarsi sulle varie vie attraverso le quali le lingue possono essere acquisite e che finora sono rimaste per lo più al margine nelle lezioni di lingua (in cui l’insegnamento è tendenzialmente incentrato su un apprendimento conscio e formale della lingua). Adottando un approccio CLIL ci si confronta con processi d’apprendimento che si possono considerare ‘naturali’, in quanto non guidati da una focalizzazione sulla lingua e la sua forma, ma sulla funzione a cui la lingua serve in un contesto pratico (cfr. Franceschini 2011). La metodologia CLIL potrebbe risultare utile anche nella prospettiva del mantenimento della L1 per studenti stranieri: ad esempio attraverso un corso di letteratura ispanoamericana per una classe di scuola media o superiore mentre gli alunni ispanofoni migliorano la propria competenza nella madrelingua gli alunni italiani sviluppano l’apprendimento dello spagnolo L2 magari anche attraverso l’aiuto e la collaborazione dei loro compagni madrelingua. La metodologia CLIL può fungere da ispirazione per lo sviluppo di progetti bilingui e per rispondere alla necessità di nuove forme d’insegnamento linguistico. Infatti insegnare con metodi CLIL significa tener conto di persone con background culturali diversi, saper individuare le difficoltà, e sapere adattare i materiali.

Ciò vale per qualsiasi livello scolastico; e vale anche per l’insegnamento a livello universitario (Franceschini 2011). Varkuti (2010) inoltre ha dimostrato che gli allievi in contesti CLIL raggiungono risultati positivi anche in compiti più complessi rispetto a coloro che non frequentano classi con insegnamento di tipo CLIL.

Questa metodologia però sembra avere anche dei lati negativi, Mezzadri in un articolo del 2014 “Il CLIL e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione” precisa la non universalità di questa metodologia che pare non essere adeguata per studenti con difficoltà.

Inoltre il CLIL sembra sviluppare solo determinate competenze, come quella di comprensione orale e quella lessicale, ma lo stesso non avviene per la scrittura e la sitassi le quali sono tenute meno in considerazione e rischiano di creare un dislivello tra lo sviluppo delle varie competenze. Un ulteriore aspetto riguarda la manipolazione dei testi utilizzati per la metodologia CLIL: la comprensibilità dell’input è centrale in questa metodologia e questo rischia di modificare in maniera cospicua i materiali utilizzati, sottoponendo lo studente a un input troppo basso rispetto alle sue capacità sul piano della testualità e non permettendo quindi uno sviluppo adeguato di queste competenze. Mezzadri (2014: 80-81) critica anche la separazione dei due elementi fondanti questo metodo la lingua e il contenuto che sembrano realizzarsi al di fuori dell’esperienza dello studente. Gli obiettivi del CLIL, che consistono nella realizzazione di compiti ad alto contenuto

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operativo e la costruzione di significati, sembrano far coincidere il significato con l’esperienza dello studente e questo va ad oscurare la centralità dell’esperienza per l’apprendimento linguistico.

1.4.2 L’UNESCO e l’educazione bilingue

A livello mondiale, per quanto riguarda la prospettiva multilingue l’UNESCO (2003) promuove l’educazione bilingue e/o multilingue come elemento essenziale nelle società con diversità linguistica. UNESCO‘s Global Monitoring Report (2008) evidenzia secondo la prospettiva di un equo accesso agli obiettivi educativi, il bisogno di assicurare a tutti gli studenti il diritto di essere istruiti nella loro lingua madre, nonostante questo implichi importanti sforzi, già nella prima infanzia e durante i primi anni di scuola. L’UNESCO incoraggia l’istruzione nella lingua madre durante la prima infanzia già dal 1953 (UNESCO 1953) perché come sostiene Kosonen (2005) quando ai bambini è offerta l’opportunità di imparare nella loro lingua madre è più facile che riescano ad ottenere un migliore successo scolastico. Da qui nascono i programmi educativi bi/multilingui, incentrati sul mantenimento della L1 e lo sviluppo di una o più L2. Generalmente questi programmi prevedono due o tre anni di educazione nella L1 degli studenti per poi passare all’inserimento di una lingua nazionale o internazionale durante il secondo o il terzo anno dell’educazione primaria. Gli studi dimostrano che la lingua madre è una base linguistica e cognitiva fondamentale per l’apprendimento di altre lingue. Benson (2002), un autore fondamentale nella ricerca dell’educazione bi/multilingue, teorizza che la lingua madre degli studenti è la lingua più efficace per una prima esposizione all’apprendimento. Questa prospettiva è ripresa anche da Dutcher (1994) che presenta alcune conclusioni sui vantaggi di un’educazione basata sulla lingua madre:

- il successo scolastico del bambino dipende dalla sua padronanza del linguaggio accademico, il quale è molto diverso dal linguaggio utilizzato a casa;

- lo sviluppo del linguaggio accademico necessita molto tempo (dai quattro ai sette anni di istruzione);

- gli individui sviluppano le abilità cognitive più facilmente se gli viene insegnato in una lingua a loro familiare;

- le abilità cognitive e accademiche del linguaggio, una volta sviluppate, sono trasferibili da una lingua all’altra;

- la miglior previsione dello sviluppo cognitivo e accademico del linguaggio della L2 è lo stesso livello cognitivo e accademico che si ha nella L1.

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Infatti quando i bambini hanno l’opportunità di sviluppare anche le competenze CALP fin dagli inizi nella loro L1 e poi passare all’apprendimento della L2 possono diventare parlanti bilingui o multilingui a tutti gli effetti. Se invece vengono forzati ad abbandonare la loro lingua madre per fare spazio alla L2 l’acquisizione della L1 può essere attenuata o persino persa del tutto (Palmer, Chackelford, Miller e Leclere 2007). Ancor più importante questo può causare un crollo nell’interesse di ciò che stanno studiando e quindi nella motivazione, un insuccesso scolastico e persino l’abbandono degli studi.

Thomas e Collier (1997, 2002) in uno studio di alcune scuole selezionate negli Stati Uniti analizzano il percorso educativo di studenti parlanti lingue minoritarie dalla loro entrata nella scuola all’undicesimo anno. I due autori nel riepilogo della loro indagine riportano i risultati degli studenti a test standardizzati negli Stati Uniti come i ITBS e i CTBS (Thomas e Collier 2008). Nella media gli studenti che non hanno ricevuto un’educazione nella loro lingua madre raggiungono un livello tra l’undicesimo e il ventiduesimo nei risultati ai test, in base all’educazione primaria che hanno ricevuto. Gli allievi che invece hanno ricevuto da uno a tre anni di educazione nella propria L1 finiscono tra il ventiquattresimo e il trentatreesimo livello secondo la percentuale nazionale. Quelli che hanno ricevuto sei anni di educazione raggiungono il cinquantaquattresimo livello, al di sopra delle norme nazionali. Infine i ragazzi educati in classi miste con parlanti madrelingua inglese ed educati sia nella lingua minoritaria che in quella maggioritaria ottengono il settantesimo livello, ben al di sopra delle norme nazionali. Anche questo studio quindi tende a dimostrare l’importanza della L1 per l’apprendimento linguistico degli allievi bilingui.

I programmi bi/multilingui basati sulla L1 però risultano essere efficaci solo se portati avanti da insegnanti che possiedono un alto livello di conoscenza della L1 dei propri studenti e se gli studenti sono motivati all’apprendimento della loro L1, in particolare da parte dei genitori e della comunità a cui appartengono i quali svolgono un ruolo essenziale.

Per questo molto spesso è necessario un confronto con la famiglia riguardo alle loro idee sul valore della L1, perché l’acquisizione linguistica centrata sulla famiglia è alla base del successo degli studenti nei primi anni di scuola (Ball 2010). Infatti gli elementi essenziali per il successo di un programma di educazione bi/multilingue incentrato sull’apprendimento della L1 sono: la motivazione degli studenti, il coinvolgimento della comunità di supporto, anni di apprendimento nella propria lingua madre e una buona preparazione degli insegnanti sia nella lingua madre degli studenti che nell’insegnamento

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di programmi bilingui (Ball 2010). Usare la lingua madre preserva identità culturale, mentre apprendere altre lingue straniere promuove la comprensione e la comunicazione interculturale, inoltre l’educazione multilingue promuove una miglior tolleranza tra gruppi linguistici differenti (Benson 2002). Molti studi hanno dimostrato che gli studenti educati attraverso programmi bilingui basati sulla lingua madre o i two-way bilingual programs raggiungono un livello migliore di competenza nella lingua maggioritaria rispetto agli studenti che studiano in programmi con solo la lingua maggioritaria (Lindholm 2001;

Lindholm-Leary e Borsato; Ramirez, Yuen, e Ramey 1991; Thomas e Collier 2002).

Questi risultati dimostrano che per gli studenti di una lingua minoritaria continuare lo sviluppo della L1 crea una base allo sviluppo delle competenze della L2, come Cummins (2000) aveva ipotizzato.

1.5 Perché utilizzare la L1 a scuola?

Decenni di insegnamento linguistico hanno creato dei presupposti che venivano e vengono presi per certi ancora oggi da molti studenti e insegnanti. Uno di questi è il vietare o scoraggiare l’uso dell’L1 in classe. Minimise the L1 in the classroom vale a dire usarla il meno possibile o secondo una versione più ottimistica Maximise the L2 in the classroom (Cook 2001). La maggior parte dei metodi di insegnamento fino al 1980 hanno sostenuto questa completa esclusione della L1, compromettendo e restringendo le possibilità di insegnamento linguistico. È chiaramente favorevole esporre lo studente alla L2 il più possibile ma questo non vieta l’uso della L1. Queste teorie hanno creato un clima di

“terrore” verso la L1 come se fosse qualcosa da evitare a tutti i costi; in realtà ci sono diverse situazioni in cui la lingua madre può apparire necessaria, se non indispensabile, per l’apprendimento linguistico. Sono tanti gli studiosi che supportano l’utilizzo della lingua madre in classe, tra questi Brooks e Donato (1994) suggeriscono che la L1 permette agli studenti di negoziare significati e di comunicare con successo nella TL, mentre Seng e Hashim (2006) sottolineano che gli studenti con un basso livello nella L2 faticano ad esprimere i loro pensieri accuratamente, per questo a loro dovrebbe essere permesso di utilizzare la L1. Infatti, Liao (2006) ha osservato che quando la L2 è l’unica lingua permessa per la comunicazione spesso gli studenti restano in silenzio per il nervosismo o la mancanza di competenza nella seconda lingua. Invece, quando sia la L1 che la L2 sono permesse, nella comunicazione c’è più partecipazione e una comunicazione significativa viene mantenuta più a lungo. Secondo ciò che afferma Atkinson (1993) imparare una lingua è un processo difficile e spesso frustrante per molti studenti, in particolare durante i

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livelli più bassi. L’insegnamento solo attraverso la L2 può essere quindi frustrante, mentre l’uso occasionale della L1 può ottenere un forte effetto positivo.

Vari studi dimostrano che la L1 è una risorsa importante che può facilitare l’apprendimento della L2, infatti può rappresentare un ponte cognitivo verso la L2 tenendo presente la Developmental Interdependence Hypothesis di Cummins secondo cui le competenze sviluppate in una lingua sono trasferibili all’altra. Usando la L1 l’insegnante fornisce scaffolding cioè “un’impalcatura” di supporto per gli apprendenti della L2 permettendogli in questo modo di partecipare alle attività e all’interazione in classe.

Un recente studio condotto da Murray e Wigglesworth (2005) in due scuole di Sydney e Melbourne per adulti immigrati sul ruolo della L1 in classe dimostra grazie alle interviste degli insegnanti il valore della L1. Gli insegnanti rispondendo ai questionari hanno dimostrato che la lingua madre li aiuta nelle spiegazioni e assiste gli studenti per migliorare la comprensione e la partecipazione. Anche gli studenti, secondo gli insegnanti, ottengono dalla L1 benefici pedagogici e psicologici.

Esistono vari metodi di insegnamento che utilizzano deliberatamente la L1: alternating language approaches e metodi che creano un legame tra L1 e L2 (Cook 2001). Secondo il primo modello gli studenti usano in certi momenti la L1 e in altri la L2 ma questo approccio si differenzia dalle classi bilingui perché gli studenti hanno diverse lingue madri, nelle classi bilingui invece gli studenti sono accomunati dalla stessa lingua madre. Un esempio è il Key School Two-way Model in cui studenti anglofoni e ispanofoni partecipano a lezioni in inglese al mattino e lezioni in spagnolo al pomeriggio, questo modello ha riscontrato particolare successo negli Stati Uniti (Rhodes, Christian e Barfield 1997).

Esistono due varianti del programma: il modello 90:10 e il modello 50:50. Nel primo caso la percentuale di tempo in cui si usa una lingua come lingua d’insegnamento varia a seconda del livello scolastico; ad esempio nelle scuole per l’infanzia e in prima elementare il rapporto è 10% inglese e 90% l’altra lingua, mentre in seconda e terza elementare diventa 20% inglese e 80% l’altra lingua. Nel modello 50:50 l’uso delle due lingue rimane il medesimo per tutti i livelli scolastici (cfr. Lindholm 1997: 271-272). Tra gli obbiettivi principali del programma ci sono sicuramente il raggiungimento di un’ottima competenza nella L1 e un alto livello di competenza nella L2; il mantenimento di un forte senso di appartenenza ad una determinata comunità linguistica e culturale e il raggiungimento di una piena integrazione tra studenti provenienti da contesti etnico linguistici differenti (cfr.

Dolson e Lindholm 1995: 70). Nell’Alternate Days Model, invece, bambini con la stessa

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L1 partecipano a lezioni nella loro L1 certi giorni e in inglese altri giorni. Un’altra tipologia è rappresentata dal Reciprocal Language Teaching (Hawkins 1987) in cui coppie o gruppi di studenti imparano gli uni dagli altri la lingua dei loro compagni. Tra le metodologie che attivano un legame tra L1 e L2 troviamo il New Concurrent Method in cui secondo Jacobson (1990) l’insegnate passa da una lingua all’altra in momenti chiave seguendo regole precise. Per esempio se gli studenti sono ispanofoni e stanno apprendendo l’inglese l’insegnante può passare alla lingua spagnola quando ci sono dei concetti particolarmente importanti o quando gli studenti si distraggono e devono essere ripresi, mentre può utilizzare l’inglese per ripassare una lezione già affrontata in spagnolo. Questo metodo permette il code-switching come normale attività nell’apprendimento della L2 e incoraggia gli studenti a vedersi come veri parlanti della L2. Questo modello riprende il code-switching come pratica della vita quotidiana adattandolo all’ambiente della classe.

Varie ricerche dimostrano che mantenere le abilità nella L1 permette un apprendimento più semplice e con migliori risultati in una seconda lingua (Lindholm-Leary e Borsato 2006).

Uno dei migliori esempi che dimostra i benefici di un programma che permette il mantenimento della L1 è il mother tongue-based primary education sviluppatosi durante l’apartheid nel Sudafrica e in Namibia tra il 1955 e il 1976. Come Heugh (2009) riassume, durante questo periodo, la maggior parte dei paesi anglofoni del Sudafrica sostituivano la vecchia educazione basata sulla lingua madre con programmi costituiti solo su un’unica lingua africana comune o sulla lingua inglese. Invece nel Sud Africa e in Namibia questo programma non venne applicato e l’insegnamento nelle scuole primarie si basava su sette diverse lingue del Sud Africa e altrettante per la Namibia. Durante le scuole secondarie iniziava poi un’istruzione intensiva nella L2. Questo programma creò grandi risultati dato che permetteva ai bambini si sviluppare sia le competenza BICS che le competenze CALP nella L1 prima di passare all’apprendimento della seconda lingua.

I Mother tongue-based bi/multilingual programs permettono agli studenti di iniziare la loro educazione con la lingua che conoscono meglio e poi di inserire una lingua franca o internazionale come materia di studio o anche come strumento in più di insegnamento.

L’uso della lingua madre preserva l’identità culturale, mentre le altre lingue permettono la comunicazione interculturale e l’accettazione dell’altro. Tutto ciò supporta la nostra tesi e l’idea di sviluppare un programma che permetta agli studenti stranieri presenti in Italia di trarre benefici dal loro bilinguismo.

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1.5.1 Un caso di studio: l’importanza della lingua madre per gli studenti immigrati Un recente studio di Lai Ping Florence MA (2009) ha analizzato l’importanza della lingua madre per studenti di inglese immigrati dalla Cina in Australia. Lo studio è stato condotto in classi di adulti immigrati apprendenti di inglese chiamate Adult Migrant English Program (AMEP) a Sydney, corsi messi a disposizione dal dipartimento dell’immigrazione. Ogni immigrato che dimostra di non avere un buon livello di inglese ha a disposizione 510 ore di corsi di inglese gratuiti, spesso organizzati attraverso classi multilingui. I partecipanti a questo studio sono sei studenti residenti in Australia dai sei mesi a un anno e mezzo circa di madrelingua Mandarina e Catonese e un insegnante di inglese madrelingua Mandarino e parlante L2 di Catonese. Egli ha insegnato inglese in Cina per nove anni e dopo essersi trasferito in Australia ha insegnato inglese agli immigrati per dieci anni. Lo studio si è svolto attraverso un’intervista sia per gli studenti che per l’insegnante cercando di mantenere un tono informale e di mettere a proprio agio gli studenti. Gli intervistati non sono stati informati sulle domante dell’intervista così da poter ottenere risposte il più possibile spontanee. Oltre alle interviste i ricercatori hanno assistito a tre lezioni per capire il livello di inglese del gruppo di studenti e come la L1 era utilizzata in classe. Sono tre le domande principali che hanno caratterizzato questo studio:

l’atteggiamento degli studenti verso la classe bilingue, l’importanza di una classe bilingue e l’atteggiamento dell’insegnante verso l’uso della L1. Per quanto riguarda la prima domanda è stato chiesto agli studenti se preferivano la classe bilingue o la classe monolingue e tutti hanno risposto rivelando la loro preferenza per la classe bilingue. Per capire questa preferenza degli studenti gli è stato chiesto di giustificare la loro risposta e la maggior parte hanno risposto che preferiscono una classe bilingue per il loro livello di conoscenza iniziale di inglese oltre che per le difficoltà che riscontrano nel doversi esprimere in inglese (Ma 2009: 68-70). Per quanto riguarda la seconda domanda di studio è stato chiesto agli studenti se si sarebbero iscritti a un corso di inglese dove non erano presenti però classi bilingui. La risposta è stata negativa da parte di tutti. Questo dimostra l’importanza delle classi bilingui per coinvolgere gli studenti immigrati nei programmi di studio inglese nel caso specifico di questo studio ma anche la necessità da parte di tutti gli studenti stranieri presenti in un paese in cui la loro lingua madre non è la lingua principale utilizzata dalla società di avere la possibilità di far ricorso alla propria L1 e poterla sfruttare come strumento favorevole all’apprendimento quando ce n’è bisogno. La terza ed ultima domanda prendeva in considerazione l’uso della L1 da parte dell’insegnante. Egli ha

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