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Storiografia francese ed italiana a confronto sul fenomeno associativo durante XVIII e XIX secolo. Atti delle giornate di studio promosse dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 6-7 maggio 1988)

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STORIOGRAFIA FRANCESE

ED ITALIANA A CONFRONTO

SUL FENOMENO ASSOCIATIVO

DURANTE XVIII E XIX SECOLO

A cura di Maria Teresa Maìullari

Atti delle giornate di studio

promosse dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 6 e 7 maggio 1988)

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«Studi»

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----ED ITALIANA A CONFRONTO

SUL FENOMENO ASSOCIATIVO

DURANTE XVIII E XIX SECOLO

A cura di Maria Teresa Maiullari

Atti delle giornate di studio

promosse dalla Fondazione Luigi Einaudi (Torino, 6 e 7 maggio 1988)

TORINO - 1990

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L ’ampiezza dell’arco cronologico e del contenuto scientifico delle relazioni presentate in queste due giornate di studio, i cui lavori si so­ no svolti sotto la rispettiva direzione di Massimo L. Salvadori, Marie- Hélène Froeschlé-Chopard, Luigi Firpo e Gérard Delille, ha favorito lo sviluppo di una discussione nella quale l’esperienza dei partecipanti a ll’incontro ha sollevato problemi e suscitato confronti di carattere metodologico ed operativo.

Lo spunto è stato tratto dall’analisi di un'area regionale per, poi, estendersi ad una comparazione di alcune scelte economiche, sociali e politiche dei gruppi dirigenti di comunità e compagini politiche sem­ pre più vaste, fino a comprendere gli Stati nazionali.

La relazione di Bernard Dompnier ha esaminato la funzione cul­ tuale e l’aspetto devozionale della confraternita, ma ha anche solleva­ to il problema della gestione del potere direzionale all’interno dell’as­ sociazione pietistica. Il riferimento a quel pouvoir d’exclusion dalla comunità religiosa e l’accenno al problema della strutturazione gerar­ chica dell’organizzazione devozionale hanno avviato un confronto sul rapporto fra confraternita ed istituzioni ecclesiastiche e civili.

Riferendosi alla ricostituzione, durante il XIXo secolo, delle orga­ nizzazioni devozionali, Philippe Boutry ha sollevato la necessità di di­ stinguere fra confraternite di luminari e di penitenti, indirizzando il dibattito sul carattere di gruppo elitario proprio all’associazione pia dei disciplinati. La stessa natura, sebbene differente in spirito e moda­ lità nei diversi periodi storici, soggiace alla creazione, ricostituzione e sopravvivenza di quelle organizzazioni che, con una felice espressione, Maurice Agulhon ha chiamato confréries-associations.

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giusta-mente sottolineato un intervento dì Angelo Torre volto a comprendere il mutamento del rapporto fra confraternita ed autorità ecclesiastica locale.

Lo studioso italiano si è interrogato sul caso del S. Sacramento:

a fine Cinquecento (1580-90) si trovano una serie di altari laterali della parrocchia dedicati al Corpus Domini od al S. Sacramento, ma quando questi vengono fatti demolire dall’autorità vescovile il culto del S. Sacramento viene trasferito all’altare maggiore; in una situazione così strutturata l’uscita di questa confraternita dai locali del pubblico culto incide sui rapporti fra associazioni devozionali e parrocchia?

Mi sembra opportuno sottolineare come, nonostante le similitudini o le differenze, le istituzioni giochino un ruolo importante sia nel caso dei grossi villaggi urbanizzati francesi sia in quello degli agglomerati piemontesi di più piccole dimensioni.

Se, come afferma Bernard Dompnier, le contexte politique est in­ dissociable d ’une politique religieuse aussi è giusto sottolineare, an­

cora una volta, la necessità di condurre un’analisi non unicamente ba­ sata su fonti ecclesiastiche, ma aperta alTutilizzo della documentazio­ ne relativa all’evoluzione della confraternita inserita nel contesto stori­ co in cui essa opera.

La confrontabilità fra Dauphiné e Piemonte passa attraverso lo studio della Provenza, definita da Marie-Hélène Froeschlé-Chopard come une région qui fait de lien, d ’intermédiaire. La studiosa fran­

cese ha affermato, a proposito dell’intervento di Angelo Torre: vous

dites que dès la fin du XVIe siècle-début XVIIe les confréries du Saint Sacrement sont répandu partout dans la région. C ’est le cas aussi de la Provence, d ’où on a relevé pas mal de choses sur les pénitents, mais c’est une confrérie de la contre-réforme qui existe avant le Concile de Trente et qui se propague dans la région au moment du Concile. Alors ce qui me paraît intéressant c’est que ces confréries du Saint Sacrement qui apparaissent au XVIIe et au X V ille siècle en France sont contenues parce que, justement, sont des organismes liés à la cité et il me semble que c’est, peut-être, parce qu’ils ont évolué avant: il y a un problème de chronologie entre la contre-réforme et la pre-réforme en Italie et en France et je crois que l’on pourrait arriver à mieux situer si l’on comparait les régions comme le Piémont et la Provence avec le reste de la France.

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Francia repubblicana e le organizzazioni, improntate al medesimo spi­ rito, attive in altre regioni italiane, come la Romagna, oggetto dell’a- nalisi di Maurizio Ridolfi.

La compenetrazione di elementi sociali e politici è stata ribadita da Franco Ramella nel dibattito: la campagna contro l’alcolismo, che si sviluppa da parte delle classi dirigenti, ma anche da parte di settori importanti del movimento operaio, è contraddittoria. Da un lato si vogliono colpire determinati comportamenti (lo smodato consumo di vino) che si sviluppano nelle osterie dall’al­ tro, tuttavia, queste ultime, come sedi privilegiate della solidarie­ tà operaia di massa, sono la base reale del movimento operaio. Per i dirigenti socialisti e per i militanti il non bere significava autoescludersi dalla vita sociale e ostacolare il proselitismo. Certa­ mente nella dinamica delle forme di socialità vi sono dei meccani­ smi di carattere politico che si inseriscono, non rendendo esau­ riente, tuttavia, la spiegazione dei processi sociali di sviluppo o trasformazione dei momenti di socialità in aree industrializzate e non.

L ’analisi condotta da Franco Ramella ha inoltre richiamato l’at­ tenzione sul legame intercorrente fra strutture dell’habitat, quali la borgata, e sociabilità che trova il suo punto di coagulo nella parente­ la o nella professione?, come precisa una domanda di Luigi Trezzi.

La risposta di Franco Ramella, ripresa ed ampliata per il caso lombar­ do e laziale da Tullio Botteri, è quella di una compenetrazione: vi

è una chiara sovrapposizione dei due elementi, parentela e mestie­ re. Più in generale questa realtà è evidente nella società di mutuo soccorso dei tessitori della zona, che è una grande organizzazione di resistenza coperta dalla forma del mutuo soccorso. Nel gruppo sociale dei tessitori si sviluppano alleanze attraverso un matrimo­ nio che ha caratteristiche endogamiche anche dal punto di vista del mestiere. Sono alleanze tra famiglie che vivono prevalentemen­ te del lavoro tessile. Tutto questo è ancora più evidente nei canto­ ni, per cui le cesure tra gruppi professionali sono anche cesure fra gruppi parentali.

Le scelte operate a livello locale non possono, tuttavia, prescindere da un confronto costante con le decisioni prese ad un livello che si può ormai definire, storicamente, nazionale. L ’intervento di Franco Rizzi sulle regolamentazioni poliziesche degli orari d ’apertura e chiu­ sura dei locali pubblici e sull’arredamento degli stessi fa partire dagli

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vigilanza giunge fino alla prescrizione dell’eliminazione delle ten­ dine alle finestre, al fine di agevolare il controllo dei «movimenti» che si svolgono all’interno dei luoghi di ritrovo) anticipa la relazio­

ne di Dora Marucco sul problema della produzione giuridica e della sua applicazione nel passaggio dalla decisione nazionale all’attuazione locale. Questa tematica è rimasta centrale anche nelle analisi condotte sulla Camera del lavoro e sulla Bourse du travail, rispettivamente, da

Ugo Bellocchi e Claude Harmel.

Il confronto fra centro e periferia, Parigi e Tolone, ha sollecitato un'osservazione di Philippe Boutry: à Paris comme à Toulon il sem­ ble que se manifeste, de la part des professions moins qualifiées (les Portefaix ont une très forte organisation), un effort pour se défendre de la concurrence; dès lors peut-on analyser la potentiali­ té des differentes professions à entrer dans le système coopératif de la mutualité en rapport au critère de concurrence et spécialisa­ tion du travail? Est-que les professions très spécialisées n’ont pas une potentialité plus faible à s’organiser, par example? La replica

di Claude Harmel, valida anche per il caso tolonese, chiarisce: certai­ nement, en lui donnant un lieu et une siège, la municipalité reser­ ve, avant tout, la Bourse du travail aux professions où la concur­ rence était considérable en matière d ’alimentation.

Vorrei concludere questa breve premessa che ha inteso riproporre almeno alcuni dei temi del dibattito, utilizzando le parole stesse degli intervenuti, con una delle ultime riflessioni delle due giornate di stu­ dio. Essa, espressa da Philippe Boutry, è un riconoscimento dell’inse­ gnamento agulhoniano ed un invito alla ripresa di studi comparativi a livello europeo su queste tematiche. Se dovessi riassumere ciò che si è detto focalizzerei l’attenzione sul problema dell’articolazione tra forme di socialità e sul contenuto religioso, politico e culturale, determinato e determinante, la struttura della socialità. L ’inven­ zione dei giacobini degli anni 1789-94 non è stata il discorso poli­ tico, ma una formalità del politico. L ’importanza della problemati­ ca di questa articolazione fra forma, formalità della vita associati­ va e contenuto credo sia di determinare una causalità di tipo mol­ teplice.

Alcuni, brevi, ringraziamenti. A Branco Venturi, nostro maestro, ad Alberto Cavaglion, lettore attento del dattiloscritto, a Paola Gior­ dano per la sua opera redazionale e, last but not least, all’Archivio ed alla Fondazione Luigi Einaudi, ospite, organizzatrice cortese ed efficiente.

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Prima giornata:

LA CONFRATERNITA E LA CO RPORAZIONE DA STRUT­ TURE MEDIEVALI AD ORGANIZZAZIONI M ODERNE: LA NASCITA DI UN ELEM EN TO SO CIALE NUOVO

(presidenti: Massimo L. Salvadori, Università di Torino, e Ma­ rie-Hélène Froeschlé-Chopard, E .H .E .S.S.).

Bernard Dompnier (Università di Clermont-Ferrand), Dévotion

collective, piété individuelle et sociabilité chez les pénitents des XVIIe et XVIIIe siècles.

Marie-Hélène Froeschlé-Chopard (E .H .E .S.S.), Les confréries du

Saint-Sacrement aux XVIIe et XVIIIe siècles.

Angelo Torre (Università di Torino), Le confraternite piemontesi

fra Sei e Settecento.

Dora Marucco (Università di Torino), Iniziativa pubblica e asso­

ciazionismo operaio. Lo stato liberale di fronte al mutuo soccorso.

Diego Robotti (Sovrintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta), Dalle corporazioni alle società di mutuo soccorso:

l'associazionismo professionale torinese nel XIX secolo.

Philippe Boutry (École française de Rome), Des sociétés populaires

de l’an II au «parti républicain». Réflexions sur l ’évolution des formes d ’association politique dans la France du premier XIXe siècle.

Luigi Trezzi (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano),

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Seconda giornata:

NUOVE ISTANZE D E L M ONDO D E L LAVORO E REGO LA­ M ENTAZIONI GOVERNATIVE. IL SO RGERE D E LLE SO ­ CIETÀ DI M ETÀ OTTOCENTO: LE BO U RSES DU TRAVAIL E LE CAM ERE D EL LAVORO

(presidenti: Luigi Firpo, Università di Torino, e Gérard Delille, Ecole Française de Rome).

Tullio Botteri (Istituto italiano di studi cooperativi «L . Luzzatti» di Roma), Dalla mutualità alla cooperazione. Evoluzione storica. Franco Ramella (Università di Trieste), Aspetti della socialità ope­

raia nell'Italia dell’Ottocento. Analisi di un caso.

Maurizio Ridolfi (Centro ricerche di storia politica di Bologna),

Socialità e politica nell’Italia dell’800: aspetti dello sviluppo asso­ ciativo del movimento repubblicano fra Restaurazione e primi an­ ni post-unitari.

Ugo Bellocchi (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano),

Interrelazione fra mutualismo e cooperazione in Italia. La creazio­ ne della Camera del lavoro a Reggio Emilia.

Claude Harmel (Institut d’Histoire sociale di Parigi), Les origines

de la Bourse du travail de Paris, ou Chambres syndicales contre Bourse du travail.

Maria Teresa Maiullari (Fondazione Luigi Einaudi di Torino),

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LA CONFRATERNITA E LA CORPORAZIONE DA STRUTTURE MEDIEVALI

AD ORGANIZZAZIONI MODERNE:

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E T SO CIABILITÉ C H EZ LES PÉN ITEN TS D ES XVIIe E T XVIIIe SIÈ C LES

Bernard Dompnier

Depuis le renouveau des études consacrées à l’histoire des con­ fréries, les traits caractéristiques des «pénitents» ont été parfaite­ ment mis en évidence. L ’attention s’est en particulier portée sur l’originalité de ces confréries dans l’ordre de la sociabilité; avec leurs procédures propres de recrutement, d ’élection de leurs res­ ponsables, comme avec les exigences imposées aux membres ou les signes extérieurs de «distinction» tels que l’habit, les pénitents apparaissent bien désormais comme une «société à part»1. Les manifestations collectives de dévotion auxquelles s’adonnent les pénitents — récitation de l’office, processions voilées — sont par­ tie intégrante de la définition de cette spécificité pénitente. D ’ail­ leurs, aujourd’hui encore, les processions de la Semaine-Sainte sont souvent une composante essentielle de l’image que nos con­ temporains ont des pénitents puisque, à Perpignan comme au Puy, elles offrent une des rares occasions où le groupe peut être perçu comme tel.

Peut-être l’insistance sur la dimension collective de la vie de ces confréries et le souci de mettre en évidence les distances qui les séparent des simples confréries de dévotion ont-ils toutefois eu pour conséquence de minimiser l’importance accordée par les règlements à la piété individuelle des pénitents. Peut-être aussi la 1

1. Marie-Hélène Froeschlé-Chopard, La religion populaire en Provence orientale au XVIIIe siècle, Paris, Beauchesne, 1980, p. 205 et suiv.; Pénitents, dans: Catholicisme, t. X, Paris, Letouzey et Ané, 1986, col. 1182; Pénitents et autres confréries de Provence orientale, «Provence historique», XXXIV, 1984, n.

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focalisation des études sur les confréries de pénitents les plus anciennement fondées a-t-elle estompé les différences existant entre celles-ci et celles qui furent érigées quelques décennies plus tard, dans un contexte spirituel sensiblement différent.

En d’autres termes, maintenant que les éléments généraux de définition sont solidement établis, la tâche de l’historien des péni­ tents est sans doute d ’affiner les analyses, de mettre en évidence les originalités liées à la géographie comme à l’histoire2. Nous voudrions ici apporter une contribution à cette recherche en pré­ sentant des pénitents de création relativement tardive, installes a la frontière nord de la zone d’élection de ces confréries, et chez qui dévotion collective, piété individuelle et sociabilité s’articulent sans doute de manière originale. Peut-être l’évolution de ces con­ fréries au cours des XVIIe et XVIIIe siècles, abordée par l’analyse des statuts successifs et de quelques registres de délibérations, permet-elle aussi d’esquisser des hypothèses plus générales sur les mutations du phénomène pénitent.

De nouveaux pénitents blancs au XVIIe siècle.

En raison des lacunes des sources, il est très difficile, pour beaucoup de diocèses français, d’établir une carte des confréries de pénitents. Les procès-verbaux de visites pastorales ne dressent qu’un état imparfait de la situation et utilisent des dénominations qui n’ont pas la rigueur souhaitée par l’historien. Pour qui veut aller au-delà, c’est-à-dire connaître les règles de fonctionnement et l’histoire des confréries, la tâche est encore plus ardue: les dépôts publics ne contiennent que peu d ’archives, le reste — s’il n’a été détruit — demeurant entre les mains de particuliers.

Par recoupement de sources diverses, il apparaît toutefois net­ tement qu’à la fin du XVIe siècle et au cours de la première moi­ tié du XVIIe siècle, le territoire des pénitents s’est étendu vers le Nord. Un nombre non négligeable de fondations a lieu à cette

2. Le groupe de recherches du Séminaire d’anthropologie religieuse de l’E.H .E.S.S. de Marseille s’est en particulier fixé cet objectif. La présente recherche doit beaucoup aux informations et réflexions échangées dans ce groupe. Parmi les contributions au renouvellement actuel de l’histoire des con­ fréries, on peut signaler le volume n. 5 des Ricerche per la storia religiosa di

Rom a (Roma, 1984, pp. 327) qui, au-delà de l’étude du cas romain, offre

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époque en Dauphiné, Lyonnais, Forez, Livradois. Dans la majorité des cas, il s’agit de pénitents blancs intitulés généralement péni­ tents du Gonfalon ou pénitents du Saint-Sacrement.

Pour les pénitents du Gonfalon, le registre des agrégations à l’archiconfrérie romaine permet une approche de ce phénomène3. Présentant une liste de 44 confréries françaises4 affiliées entre 1578 et 1790, ce document ne fournit pas — à l’évidence — un inventaire exhaustif des associations placées sous le patronage du Gonfalon. On peut toutefois considérer que la géographie qui se dessine à partir de ces renseignements constitue une esquisse de l’aire de diffusion des pénitents du Gonfalon. De plus, sans oublier que l’écart entre date d’érection et date d’agrégation peut être assez long, on peut estimer que la chronologie fournie rensei­ gne sur les périodes où cette confrérie connut le plus de faveur.

La première observation que permet l’analyse de ce registre a trait à l’inégale répartition des affiliations dans le temps: 22 de celles-ci (soit exactement 50% du total) ont lieu entre 1625 et 1669. Ce petit demi-siècle représenterait donc la période du plus grand développement de ce type de confrérie. Plus précisément encore, on constate que 13 agrégations ont lieu pendant la seule période 1625-1645. Après l’année 1670, au contraire, les affilia­ tions deviennent de plus en plus rares: 8 entre 1670 et 1730, puis 3 seulement de 1730 à 1790. Pour le X IX e siècle, le registre ne porte qu’une seule mention d’agrégation. On peut compléter ces remarques en plaçant sur une carte des diocèses les confréries agrégées à Rome. Il apparaît alors que les deux tiers des nombreu­ ses affiliations des années 1625-1669 concernent le diocèse de Lyon et les diocèses voisins. Dans cette zone où une seule agréga­ tion avait eu lieu avant 1625 (la confrérie de Lyon en 1578) et où les confréries de pénitents étaient jusque là en nombre réduit, le milieu du XVIIe siècle représente donc une période de fort développement, comme si le phénomène pénitent débordait alors largement de son territoire traditionnel.

D ’autres sources apportent un éclairage complémentaire sur la multiplication des confréries du Gonfalon dans l’espace lyonnais

3. Archivio Segreto Vaticano, Fondo Gonjalone, Indice generale aljabetico delle compagnie aggregate alla venerabile Archi-confratemita del Gonjalone di Rom a, registre non coté. Pour les archives du Gonfalon, voir Ricerche per la

storia religiosa di Rom a, vol. 6, 1985, pp. 215-219. Nous remercions Sergio

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et les régions voisines. Un premier essor eut lieu à la fin du XVIe siècle. C ’est l’époque de la fondation de la confrérie de Lyon5, en particulier sous l’impulsion de Mathias Bellintani de Saló, com­ missaire des Capucins en France. Dans les années suivantes, des confréries analogues voient le jour à Grenoble, à Vienne ou à Romans en Dauphiné, ou encore au Puy-en-Velay. L ’intérêt mani­ festé par Henri III pour les pénitents (il érige une confrérie à Paris à la même époque) et la protection qu’il leur apporte ne sont pas étrangers à ce premier essor. Rapidement toutefois, la plupart de ces nouvelles fondations disparaissent. A quelques exceptions près, il faut attendre la fin de la décennie 1620 pour assister à une seconde vague de fondations, celles-ci nombreuses et durables. Outre Voiron, dont les statuts remontent à 1614, on peut citer pour le Dauphiné la confrérie de Grenoble — autorisée en 1627 par l’évêque — , de Saint-Marcellin (fondée en 1636), du Péage- de-Pisançon (fondée en 1639), de Vienne (approuvée en 1640) ou de Bourgoin (établie en 1643). Dans le diocèse de Clermont, des confréries sont érigées à Saint-Amant-Tallende en 1618, à Ambert en 1636, à Marsac en 1644, à Saint-Anthème et Viverols en 1656. Du diocèse de Grenoble à celui de Clermont et de Lyon à Valence, le Gonfalón s’implante dans la plupart des villes impor­ tantes et, au-delà, dans beaucoup de localités plus modestes.

A la même époque, apparaissent dans de nombreuses cités de la même zone des confréries de pénitents placées sous le vocable du Saint-Sacrement. Le phénomène ne semble pas être antérieur à 1617, date à laquelle est créée celle de Roanne, dans le diocèse de Lyon. Mais dès le début de la décennie 1620 ces confréries se multiplient dans les villes et bourgades du diocèse de Lyon; on en connait au moins six auxquelles il faudrait joindre celle de Thiers, sur la bordure orientale du diocèse de Clermont6. Devant ce foi­ sonnement, les pénitents de Roanne prennent en 1624 l’initiative de réunir une assemblée de délégués des diverses confréries, «à fin que de tant de membres espars en divers lieux, il ne se fist qu’un

5. L ’historique de la confrérie lyonnaise est présentée in Statuts et regle­ ments que doivent observer les confrères de la royale et dévote Compagnie des péni- tens blancs de Notre Dame du Confalon de Lyon..., Lyon, 1730, p. 109 et suiv. Cet ouvrage fait remonter l’origine de la confrérie à saint Bonaventure.

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corps entier»7. Concrètement, il était proposé de s’accorder sur des statuts communs que l’on ferait imprimer. Toutes les confré­ ries invitées ne répondirent pas à l’invitation de Roanne; toute­ fois, avec les présents, se créa une fédération de confréries, une sorte de nébuleuse qui compta jusqu’à une vingtaine d’associations au XVIIIe siècle, et dont Roanne fut le centre avec le titre d ’archiconf rérie.

Quelques années plus tard, cette variété de pénitents s’implanta dans des diocèses voisins. Dans celui de Grenoble, la confrérie qui s’établit dans la cité épiscopale fit approuver ses sta­ tuts par l’évêque en 1631. L ’année suivante, des associations du même type furent érigées à Vif et à Sassenage8. De l’autre côté du Rhône, dans le diocèse du Puy, la grande vague des fondations est encore un peu postérieure puisque la plupart d ’entre elles ont lieu à la fin de la décennie 16409. Il faut enfin noter dans cette chronologie que certaines créations, un peu plus tardives, sem­ blent présenter des caractères sensiblement différents de ceux des autres pénitents du Saint-Sacrement. Tel est le cas de Beaujeu, confrérie érigée en 1658 et dotée de statuts en 167210.

En étudiant les origines de ces pénitents du Saint-Sacrement, on perçoit la place que tient le contexte spirituel dans la fondation des confréries. Le moment de leur développement correspond en effet à une ample campagne de promotion du culte eucharistique. Ainsi, dans le diocèse de Grenoble, l’évêque invitait en 1631 à établir des confréries du Saint-Sacrement dans toutes les parois­ ses. Un peu partout en Dauphiné, des missionnaires s’emploient à les créer lors de leur passage dans les bourgs et villages; Christo­ phe Authier, qui parcourt les diocèses de Valence et de Die à par­ tir de 1640 ne quitte pas une localité avant l’instauration ou la restauration de la confrérie du Saint-Sacrement, veillant lui-même à la confection des statuts. L ’évêque, qui lui apporte un entier soutien, évoque dans une ordonnance l’intérêt de ces confréries: accroître la dévotion eucharistique, trop négligée par les fidèles

7. Reigles et offices des Compagnies de poenitents du très Sainct et très auguste Sacrement de l'autel..., Lyon, 1627, lettre dédicatoire à l’archevêque de Lyon. 8. Bernard Dompnier, Confrères du Saint-Sacrement et pénitents dans le dio­

cèse de Grenoble (XVII-XVIIIe siècles). Actes du 108e Congrès national des

Sociétés savantes: «Histoire moderne», t. I, Paris, 1984, pp. 286-288. 9. Les confréries de pénitents en Haute-Loire, Le Puy, Association des Amis du Baptistère Saint-Jean, 1985, pp. 208.

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«refroidis et ignorants en ce grand Mystère de nostre saincte foy tant par la négligence des Curés [...] que par la pernicieuse com­ munication qu’ils ont avec les hérétiques»11. Dans le diocèse de Grenoble, ce sont des missionnaires jésuites qui s’emploient bien souvent à la mise en oeuvre des prescriptions épiscopales. En par­ ticulier, les confréries de Vif et de Sassenage, déjà évoquées, sont toutes deux fondées par le père Jean-Baptiste Aubert, prédicateur et missionnaire en résidence à Grenoble11 12.

Dans le diocèse de Lyon, les Jésuites sont aussi particulière­ ment présents lors de la création de la confrérie de Roanne. C ’est en effet un père de la Compagnie, qui vient d ’arriver dans la cité, qui réunit les premiers pénitents. À Saint-Germain-Laval, bourg voisin où la confrérie est établie six ans après celle de Roanne, c’est un autre jésuite de cette ville qui est à l’origine de la fonda­ tion. On retrouve encore des pères de la Compagnie dans la mise en oeuvre de l’organisation en archiconfrérie; l’un d’eux est pré­ sent lors de la première assemblée des confréries affiliées en 1624, et deux autres reçoivent dans un document le titre de «visiteurs desdittes compagnies»13. Les Capucins, d’autre part, semblent avoir aussi joué un rôle actif dans la création de confréries de pénitents du Saint-Sacrement dans cette région14.

A partir des années 1620, à des dates variant selon les diocè­ ses, les principaux acteurs de la Réforme catholique — qu’il s’agisse de séculiers ou de réguliers — s’emploient donc avec le soutien épiscopal à ancrer le culte eucharistique dans la vie dévo­ tionnelle des paroisses. L ’apparition des pénitents du Saint- Sacrement ne saurait être dissociée de cette toile de fond que constitue la multiplication des confréries à l’initiative de mission­ naires rivalisant de zèle. Mais la question est dès lors de savoir pourquoi certaines de ces confréries prennent le titre de pénitents et si ce dernier est justifié au regard des critères différenciant les pénitents des autres confréries.

Dans bien des cas, les pénitents du Saint-Sacrement naissent

11. Cité in abbé Nadal, Vie de monseigneur d ’Authier de Sisgaud, évêque de

Bethléem, Valence, 1879, p. 482.

12. Bernard Dompnier, Les missionaires, les pénitents et la vie religieuse aux XV Ile et XVIIIe siècles, dans: Les confréries de pénitents. Dauphiné. Provence.

Actes du colloque du Buis-Les-Baronnies (octobre 1982), Valence, 1988, pp. 139-159.

13. Archives Municipales de Roanne, dorénavant, Arch. Mun. Roanne, 5 G 24, f° 30; 5 G 25, f° 38.

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comme une excroissance d ’une confrérie paroissiale du Saint- Sacrement pré-existante. Dans le règlement que l’évêque de Gre­ noble avait donné en 1631 aux confréries de son diocèse, il avait d ’ailleurs explicitement prévu cette hypothèse: «Aux Confréries où il y aura nombre suffisant de gens sachant lire pour chanter l’Office du S. Sacrement, le Recteur et les autres Officiers procu­ reront qu’il soit dit dévotement et distinctement en habit de Péni­ tent avec édification»15.

Cette filiation expliquerait que divers manuels de pénitents ne donnent le texte de leurs statuts qu’après celui des règlements épiscopaux pour les confréries du Saint-Sacrement. Tel est le cas pour Grenoble ou Villefranche. Parfois, comme à Beaujeu, les deux confréries coexistent et l’on ne peut être pénitent si l’on n’est d ’abord un parfait confrère16.

Avec la récitation de l’office, s’acquièrent tous les autres élé­ ments indissociables de la personnalité pénitente. Les pénitents du Saint-Sacrement prennent l’habit blanc — le sac — dont l’extrême simplicité doit permettre de les distinguer du Gonfalón. Ils organisent plusieurs processions voilées dans l’année, se dotent de statuts précisant les obligations religieuses et morales des mem­ bres de la compagnie. Ces règlements stipulent toujours aussi les modalités d’élection, par les confrères, du recteur et des autres officiers. Partout aussi, pour leurs exercices, ces pénitents dispo­ sent de leur propre lieu de culte; toutefois, rares sont les pénitents du Saint-Sacrement possédant un édifice particulier; la plupart du temps, leurs assemblées ont lieu à la tribune de l’église paroissiale, espace individualisé par les pénitents qui vont parfois jusqu’à ouvrir un accès propre depuis l’extérieur de l’église. Au total, le passage de la confrérie du Saint-Sacrement à la confrérie de péni­ tents résulte la plupart du temps d’un choix effectué par un cer­ tain nombre de laïcs adoptant les structures nécessaires à la mise en place d ’une société à part.

Il existe certes un certain nombre de différences entre péni­ tents du Gonfalón et pénitents du Saint-Sacrement. En dehors même de celle qui tient aux dévotions principales des deux catégo­ ries de confréries (récitation de l’office de la Vierge dans un cas, de celui du Saint-Sacrement dans l’autre), on peut encore relever

15. Bréviaire à l’usage de la Confrérie des penitents blancs de S. Laurent- lez-Grenoble..., Grenoble, 1735, p. 25.

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celle qui a trait au lieu des assemblées puisque les confréries du Gonfalon ont toujours, pour leur part, une chapelle séparée de l’église paroissiale. Il pourrait donc sembler, en première analyse, que le Gonfalon — dont les offices sont globalement plus fré­ quents que ceux des pénitents du Saint-Sacrement — présente davantage les caractéristiques d ’un groupement religieux relative­ ment autonome et d’une structure de sociabilité. Mais la compa­ raison des statuts invite à tempérer cette première impression. Sur bien des points, en effet, les modalités d ’organisation des deux types de pénitents sont très proches, quand il n’y a pas purement et simplement emprunt par une confrérie de tout ou partie des statuts adoptés par des groupements de l’autre catégorie.

Ainsi, malgré des nuances, les pénitents du Velay, Forez, Lyonnais et Dauphiné, forment bien un ensemble, dont l’origina­ lité est à la fois géographique et historique: situés à la frontière nord de la terre d ’élection des pénitents, ceux-ci sont aussi globa­ lement de création plus tardive17. On pourrait être tenté de dire qu’ils représentent une variante abâtardie, ou affadie, des réalités vécues par leurs frères de sac méridionaux. Mais il n’est pas cer­ tain que la focalisation un peu obsessionnelle sur un modèle soit le meilleur moyen d’écrire l’histoire des pénitents. Mieux vaut, semble-t-il, saisir ces confréries dans leur organisation propre, leurs règles de vie religieuse, de fonctionnement et de solidarité, puis tenter — à partir de là — de retrouver la dynamique interne qui est la leur.

Un nouvel équilibre dans l ’ordre de la piété.

Ces diverses confréries de pénitents se réunissent régulière­ ment pour le chant de leurs offices. En cela, elles se démarquent des simples confréries de dévotion, la décision de réciter en com­

17. Dans une partie de la zone septentrionale des pénitents, le Limousin, la chronologie des fondations est assez comparable, marquant cependant une certaine avance par rapport à l’aire lyonnaise. Cf. Louis Perouas, Les confréries de pénitents au XVIIe siècle dans les petites agglomérations de la Marche et du Limousin, dans: Le Limousin au XVIIe siècle, Limoges, 1979, p. 164. Par bien des aspects, beaucoup de confréries du Limousin sont très proches de celles de l’aire lyonnaise et dauphinoise. Tel est le cas de celle d’Aubusson (Louis

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mun l’office apparaissant dans certains cas — nous l’avons vu — comme l’acte fondateur de la compagnie de pénitents.

Les confrères disposent pour l’office de livres dont ils se four­ nissent auprès d ’imprimeurs surtout lyonnais ou grenoblois. Tout au long des XVIIe et XVIIIe siècles, dans chacune de ces deux villes, des dynasties d ’éditeurs reprirent inlassablement les mêmes titres sans modifications importantes18. Le titre qui connut le plus grand nombre d ’impressions est YOffice de la glorieuse Vierge

Marie, utilisé par de nombreuses confréries du Gonfalon: il en sor­ tit au moins 17 éditions des presses lyonnaises entre 1611 et 1756, avant sa reprise par des presses de Pignerol, Embrun et Carpentras, cette dernière ville en conservant le monopole pen­ dant une grande partie du X IX e siècle.

Le titre qui reflète le mieux le contenu de ces ouvrages est sans doute celui des pénitents du Saint-Sacrement du diocèse de Lyon (Règles, statuts et offices des confréries..), puisqu’il met l’accent sur le double aspect de tous ces livres qui sont à la fois recueils de règlements et manuels à usage liturgique. On notera qu’aucun ne contient le mot Heures dans son titre, alors qu’il s’agit là du voca­ ble le plus fréquent pour les désigner en Provence et qu’il semble bien que nos pénitents usent couramment de ce terme. L ’abandon de la vieille dénomination médiévale d ’Heures pour désigner le livre d ’offices des laïcs pourrait bien être un excellent indice de la mutation qui s’opère dans l’ordre de la spiritualité avec les nou­ veaux pénitents, comme l’est aussi l’apparition dans certains cas du terme de Bréviaire, en particulier dans les éditions grenobloises. Mais il ne faudrait pas croire qu’il s’agit alors d ’un bréviaire au sens précis du terme: tous ces livres ne contiennent guère que ce qui est directement utile aux offices prévus par les statuts des con­ fréries.

Les confréries du Gonfalon se réunissent dimanches et fêtes pour la récitation de l’office de la Vierge, suivie de la messe. En fait, cet office du matin se limite ordinairement à Matines et Lau­ des, les confrères devant réciter individuellement les Heures sui­ vantes pendant la messe « s’ils n’aiment mieux les dire en leur

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ticulier; car ils ne doivent passer la iournée entière sans achever l’office de Notre-Dame»19. Les mêmes jours, certaines confréries se réunissent à nouveau l’après-midi pour les Vêpres, et/ou les Complies; parfois aussi, les fêtes sont précédées des Vêpres de la vigile. En Carême, le vendredi (et parfois le mercredi), est récité l’office de la Passion ainsi que le Miserere et/ou le Stabat. C ’est aussi l’office de la Passion (sans doute dans une version plus déve­ loppée) qui est utilisé pour les assemblées des Mercredi, Jeudi et Vendredi Saints. Autres manifestations de la dévotion collective, les grandes processions sont généralement au nombre de trois: l’une a lieu le soir du Jeudi-Saint, conformément à l’usage de l’archiconfrérie romaine20; la deuxième au temps de la Fête-Dieu, soit le jour même, soit le dimanche dans l’Octave ou le jour de l’Octave. La troisième a lieu pour une fête de la Vierge. Mais il est fréquent de processionner en d ’autres occasions encore, soit en accomplissement d ’un voeu, soit en raison d ’une dévotion particu­ lière.

De cet ensemble, il faut d’abord retenir l’importance de la dévotion mariale, concrétisée notamment par l’office hebdoma­ daire. Il y a là imitation du Gonfalon romain et sans doute, plus largement, reprise d ’une tradition de beaucoup de confréries de pénitents, héritée peut-être des Ordres mendiants21. Par ailleurs, la densité des assemblées en temps de Carême et pendant la Semaine-Sainte indique que les dévotions collectives sont un des modes privilégiés pour vivre l’idéal pénitent. Enfin, il ne faut pas négliger l’équilibre des cultes solennisés par les processions: cer­ tains correspondent aux'accentuations particulières de la piété des confrères; mais la présence d ’une procession au temps de la Fête- Dieu montre que les pénitents contribuent aussi à la mise en valeur des cultes principaux de l’Eglise.

Chez les pénitents du Saint-Sacrement, l’office n’est récité qu’une fois par mois ainsi que pour les fêtes; quant aux grandes processions, elles sont réduites à deux: Jeudi-Saint et Fête-Dieu. Le faible nombre des cérémonies collectives suggère qu’ici la piété

19. L e miroir du pénitent blanc..., Vienne, 1646, pp. 75-76.

20. Les statuts et règlements de la confrérie romaine ont été imprimés en 1584, puis en 1633. Ils pouvaient donc facilement être connus en France.

21. Marc Venard souligne pour sa part le lien entre récitation de l’office de la Vierge et Réforme tridentine (Les confréries des pénitents du XVIe siècle

dans la province ecclésiastique d ’Avignon, «Mémoires de l’Académie de Vau­

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individuelle occupe une place relativement plus importante dans les obligations religieuses des confrères. Les statuts de la confrérie de Roanne en fournissent l’illustration. Dès les origines, il est prévu que les confrères disent tous les jours le P ange lingua, se confessent et communient tous les mois. Plus originale est la cou­ tume, présente à partir de l’édition de 1627 des statuts, de «distri­ buer les saints du mois»: chaque confrère reçoit un billet portant le nom d’un saint dont la vie et les vertus doivent durant le mois guider sa vie spirituelle. Cette pratique, signe d’une volonté de cheminement individuel dans la voie de la piété et de la perfec­ tion, est empruntée aux exercices des congrégations mariales des Jésuites22. Elle est sans doute le meilleur indice du nouvel idéal qui anime certaines de ces confréries de pénitents: regrouper une élite de la dévotion, et l’aider à progresser dans la vie spirituelle. Après ceux de Roanne, les pénitents du Saint-Sacrement de Ville- franche et Saint-Etienne adoptent cette même coutume au moins en 1647.

Mais il serait erroné de voir dans l’accent mis sur la dévotion personnelle un caractère spécifique des pénitents du Saint- Sacrement. Il se retrouve chez ceux du Gonfalon, avec des nuan­ ces selon les dates de création des confréries. Celle de Lyon, éri­ gée en 1578, ne prescrit que peu d ’obligations à ses membres dans ses premiers statuts, qui n’évoquent que la confession et la com­ munion mensuelles. Cependant, dès l’édition de 1611 du livre d’Heures, figure entre les statuts et les offices un «Exercice quoti­ dien, lequel on devroit dire tous les iours», contenant des prières pour les diverses heures de la journées, pour la préparation à la confession, à la communion23... A la fin du XVIIe siècle, les sta­ tuts publiés en 1680 invitent les confrères à des «exercices de piété et de mortification» en famille pendant le Carême, ainsi qu’à des prières et méditations devant le crucifix24.

A ces exhortations discrètes et — pour certaines — tardives, s’opposent les règlements détaillés des statuts grenoblois de 1632: «Tous les confrères auront une singulière dévotion a la Mere de Dieu comme à leur protectrice et Advocate, diront tous les soirs

22. Louis Châtellier, L ’Europe des dévots, Paris, Flammarion, 1987, pp.

50-51. Cette pratique semble avoir été inaugurée en 1593 à Anvers.

23. Office de la glorieuse Vierge Marie pour dire ès compagnies des pénitens séculiers..., Lyon, Didier, 1611, p. 29 et suiv.

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avant que se coucher ses Litanies, et feront l’examen de cons­ cience: ils sont aussi exhortez d ’aller tous les matins à l’Eglise faire leurs prières, ouïr la Saincte Messe, et dire souvent le Cha- pellet»25.

De manière moins précise, mais explicite toutefois, les statuts de la confrérie de Voiron, datant de 1614, prévoient aussi une prière matin et soir «devant quelque Image de dévotion», ainsi qu’un examen de conscience quotidien; ils recommandent par ail­ leurs de suivre « l’exercice du Crestien qui est contenu au livre des penitents»26.

La nouvelle tonalité dévotionnelle des pénitents du Gonfalon, qui apparaît dans les statuts des confréries fondées au début du XVIIe siècle, est aussi présente dans un ouvrage imprimé à Vienne en 1646; l’une des quatre parties de ce Miroir du pénitent blanc27 est entièrement consacrée à la «Iournée Chrestienne du Con­ frère»; or, elle occupe 170 pages des 400 que compte le livre au total. Toutes sortes d ’exercices pieux y sont proposés: lecture spi­ rituelle, chapelet, litanies, méditations pendant la messe ... Comme «il est certain que le reglement de toute la vie dépend du bon reglement de la iournée»28, le confrère est invité à scander son activité par de multiples prières et à méditer à de multiples reprises sur les souffrances de Jésus-Christ. L ’idéal pénitent con­ siste ainsi à régler sa vie quotidienne par la méditation de la Pas­ sion. Les offices collectifs eux-mêmes sont intégrés à cette pers­ pective générale: à l’arrivée à la chapelle, en attendant que les der­ niers aient gagné leur place, un confrère fait une lecture spiri­ tuelle, tirée par exemple de la Guide des pécheurs de Grenade29; bien plus, la récitation de l’office est toute entière conçue comme participant de cet idéal: «Le but, où vise nostre devote Compa­ gnie, n’estant autre que de servir Dieu avec plus d ’exactitude et de Religiosité, par la pratique d ’une vie Penitente; delà vient

25. Statuts, reiglemens et ordonnances des Freres penitens..., Grenoble, Ver­ dier, 1632, p. 36.

26. Bibliothèque Municipale de Grenoble, dorénavant, Bibl. Mun. Greno­

ble, ms R 8678, ff. 13v.-14.

27. Le titre complet de cet ouvrage, édité chez Pansard, est: Le miroir du pénitent blanc, divise en quatre parties. Ou les règles et statuts de l ’Archi-Confratemité des pénitens de Nostre-Dame du Confalon. Rangées en cet ordre, et dressées pour le commun usage de toutes les pénitentes confréries de la France. Par le zele des confrères pénitens blanc de Vienne, en suitte de leur restablissement.

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qu’elle s’employe principalement aux loüanges Divines, chantant dans le Chœur pour l’ordinaire l’Office de la très-Sacrée Vierge Mere de D ieu»30 31.

Les livres eux-mêmes, d ’abord destinés aux dévotions collecti­ ves, portent aussi la marque d ’une destination à l’usage privé. Il est ainsi intéressant de noter que le format qui s’impose très tôt est Yin-octavo, plus maniable que Yin-quarto généralement adopté en Provence et qui n’est connu ici que pour l’édition de Lyon de 1611. De plus, le livre est toujours étroitement lié à son posses­ seur, comme l’attestent les nombreux ex-libris manuscrits figurant sur les pages de garde. Dans le corps de l’ouvrage, plus d ’un pas­ sage est destiné à l’usage personnel, qu’il s’agisse des parties de l’office à réciter seul ou de prières (avant et après la communion et la confession...) ou encore de textes instructifs (règlements, lis­ tes d’indulgences, «manière d ’entendre la sainte messe»...). Une étude précise de cet ensemble montrerait d’ailleurs sans doute qu’il va en augmentant au fil du temps. Signe extérieur d’apparte­ nance au groupe des pénitents, le livre d’offices est susceptible de bien d’autres usages; il peut ainsi être support de la méditation par son iconographie (présence d’un «Christ aux outrages» dans de nombreuses éditions) ou passeport pour l’au-delà, comme à Roanne où les confrères sont enterrés livre et chapelet en main. Cette utilisation privée du manuel correspond pour partie à la tra­ dition médiévale du livre d ’Heuresn .

De l’importance accordée à la vie individuelle de piété, découle évidemment une signification nouvelle de l’appartenance à la con­ frérie de pénitents. Le critère de la séparation de cette société par rapport à l’univers ambiant est une relative perfection de vie, ou du moins l’acceptation d’exigences élevées en ce domaine. Les sta­ tuts du Gonfalon de Grenoble de 1659 — repris par les pénitents du Saint-Sacrement de la même ville — indiquent clairement que le pénitent ne saurait se satisfaire d ’une observance formelle des

30. Ibid., p. 71. Ce texte est très largement emprunté aux Statuts de Gre­ noble de 1632, mais avec une inflexion dans le sens de l’intégration de la récita­ tion de l’office à l’idéal de vie présenté ci-dessus. Dans le texte de 1632, il était seulement écrit: «Cette devote Compaignie n’estant instituée à autre fin, que pour plus exactement et religieusement servir Dieu, de là vient qu’elle s’oblige librement à faire dans le Chœur l’office Divin, imitant en quelque façon les Eglises Collegiales» (p. 26). On passe de l’imitation du clergé à un idéal de vie chrétienne.

31. Sur les livres d’Heures et leur évolution, cf. Dictionnaire de spiritualité,

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principes chrétiens: «Tous les confrères devant faire profession d ’une piété et d ’une dévotion plus particulière que le reste des Chrétiens, non seulement ils s’attacheront inviolablement à l’ob­ servation des Commandements de Dieu et de l’Eglise, mais ils s’étudieront encore à mettre en pratique les conseils de l’Evangile, et de faire connoître par leur vie qu’ils sont de véritables

Confrè-32

res» .

Les modifications qui interviennent dans certains règlements mettent parfois l’accent sur l’organisation de toute la vie de la confrérie autour de cet idéal. A partir de 1680, les statuts du Gonfalón de Lyon réduisent pratiquement les exercices collectifs de piété à une fonction d’aide dans le cheminement personnel vers la perfection: «Il est trés-dangereux en contractant l’habitude des absences, de tomber dans une indévotion, qui pourroit dans la sui­ te degenerer en impiété; ce qui ne peut arriver à un Confrère assi­ du, parce que par la fréquentation des Offices, sa pieté est tou­ jours en exercice, et le bon exemple des Confrères assidus et zelez luy donne une sainte émulation de s’avancer toujours dans les voyes de la sainteté qu’il vient chercher dans nos Compagnies»32 33. Moralement, les confrères doivent avoir un comportement marquant le refus du monde et de ses valeurs. Les mêmes statuts de Lyon le précisent: «Nous devons detester le peché, et ne point aimer le Siecle présent. Nous devons nous convertir à Dieu par amour, et respirer l’air du Siecle avenir, qui est l’Eternité, par nos désirs, et par nos esperances ... Nous devons travailler à nôtre amandement, et à la reformation de nos m œurs»34.

Même si les exigences morales étaient loin d ’être absentes chez les pénitents du XVIe siècle — provençaux par exemple35 — , el­ les se trouvent développées ici, dans une formulation qui dépasse souvent la simple énumération des péchés à fuir.

32. Statuts, reglements et ordonnances de la Compagnie des pénitens blancs,

Grenoble, Charvys, 1659, pp. 25-26; Bréviaire à l ’usage de la Confrérie des péni­

tents blancs de Saint-Laurent-Lés-Grenoble, Grenoble, Veuve A. Faure, 1767, p.

XLVIII. On retrouve aussi en Limousin la même insistance sur le rejet du mon­ de et la religion personnelle; Louis Pérouas évoque à ce propos le «déplacement du champ religieux» (Les pénitents blancs d ’Aubusson cit., p. 87).

33. Statuts et reglements que doivent observer les confrères..., Lyon, 1730, p. 38 (il s’agit de la reprise du texte de 1680).

34. Ibid., Préface.

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Dans la vie morale comme dans la piété, l’idéal proposé con­ siste à aller au-delà des pratiques formelles. Il n’est donc pas étonnant que la coutume de se donner la discipline, toujours pré­ sente chez les pénitents du XVIe siècle, n’ait ici qu’une place ré­ duite. Au fil du temps, elle tend même à disparaître. Comme la plupart des statuts du XVIe siècle, ceux du Gonfalon de Lyon prévoyaient à l’origine que les confrères qui le voudraient pour­ raient se donner la discipline pendant les offices de la Semaine- Sainte. Déjà, dans les textes de Voiron, en 1614, cette pratique est bannie de la chapelle et seulement permise dans la «chambre» attenante. Puis, dans les statuts de Grenoble de 1632, elle est to­ talement absente. Le Miroir du pénitent, en 1646, la renvoie après les offices de la Semaine-Sainte. Enfin, les nouveaux statuts de Lyon, en 1680, invitent les confrères à suivre l’avis de leur con­ fesseur pour la discipline et le port du cilice qui, tous deux, sont considérés comme des pratiques privées. Au total, l’évolution du siècle marque une dissociation du lien entre les offices des péni­ tents et la flagellation qui passe ainsi dans le domaine des morti­ fications relevant du choix individuel36. Quant aux pénitents du Saint-Sacrement, ils semblent avoir tous ignoré la pratique de la discipline.

Dans leurs statuts, ces confréries proposent donc à leurs mem­ bres un idéal de vie chrétienne parfaitement conforme à la spiri­ tualité des laïcs de l’époque post-tridentine. Certains textes insis­ tent même explicitement sur le fait que les pénitents doivent «ser­ vir d ’exemple à tous leurs voisins, et de modèle à toute la vil­ le»37.

A partir du modèle de vie dévotionnelle proposé par les statuts de ces confréries de pénitents, des hypothèses d ’explication de leur évolution ultérieure peuvent être esquissées. Tout d ’abord, s’ils sont fidèles à cet idéal, les confrères sont des paroissiens exemplaires: leurs offices n’apportent aucune gêne à ceux de la pa­

36. Cette évolution ne se traduit pas dans les livres d’offices. Au milieu du XIXe siècle, V Office de la glorieuse Vierge Marie contient encore des chapi­ tres où est réglée la pratique de la discipline. Sans pouvoir y apporter d’explica­ tion, il faut noter que le rituel de la discipline apparaît dans certains exemplai­ res du Bréviaire des pénitents du Gonfalon de Grenoble à partir de 1757. En Limousin, les pratiques en matière de discipline semblent aussi diverses (Louis

Pero u a s, Les pénitents blancs d ’Aubusson cit., p. 85).

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roisse, auxquels ils se font un devoir d’assister (certains statuts prévoient l’exclusion des pénitents qui seraient mauvais parois­ siens). Par ailleurs, les confrères accordent au curé tous les égards dûs à sa fonction; dans des statuts tardifs, comme ceux de Beaujeu de 1672 ou ceux des pénitents institués par les missionnaires capu­ cins du XVIIIe siècle38, la confrérie est même placée sous la tu­ telle du curé.

D ’un autre côté, dotés de statuts voisins et évoluant vers un rapprochement, les pénitents du Gonfalon et ceux du Saint- Sacrement ne présentent guère de différences, si ce n est dans la liste des offices récités. Dès lors, la double titulature peut apparaî­ tre çà et là, comme cela se produit par exemple au XVIIIe siècle dans le diocèse de Valence39. Sans doute peut-elle s’expliquer dans plus d’un cas par la quête d’indulgences par ces confrères mobilisés sur la question de l’au-delà: la fusion des titulatures re­ présente l’addition des bénéfies spirituels potentiels.

Toutes les conditions semblent donc réunies pour que les péni­ tents rentrent dans le rang et que rien ne distingue leurs associa­ tions des simples confréries de dévotion, au bout d’un laps de temps plus ou moins long. Tel est sans doute souvent le cas dans le diocèse de Grenoble où, au milieu du XVIIIe siecle, le vocable «pénitents» n’a que rarement une signification précise40. Mais il existe aussi des confréries de pénitents défendant leurs traditions, entrant parfois en conflit avec le clergé paroissial et gardant suffi­ samment de vitalité pour renaître rapidement après la Révolution française. Leur vie dévotionnelle ne semble pas radicalement diffé­ rente de celle des pénitents qui perdent leur personnalité. La clé de leur survie est donc à rechercher du côté de leur fonction de solidarité et — plus largement — de sociabilité.

Une structure associative soudée par la solidarité.

On pourrait penser que ces pénitents, qui mettaient 1 accent sur l’importance de la piété individuelle et plaçaient ainsi au se­ cond rang les dévotions collectives, auraient dû progressivement 38. Bernard Do m p n ie r, Les confréries des pénitents cit., pp. 277-278 et Les missionnaires, les pénitents cit.

39. Renseignement fourni par Françoise Hernandez

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disparaître en tant que «société à part». Mais si telle est l’évolu­ tion de certaines compagnies, d ’autres continuèrent à affirmer leur spécificité. C ’est tout d ’abord parce que l’idéal de perfection per­ sonnelle contenu dans les statuts pouvait assurer le maintien d’une forte organisation en corps.

La preuve en est fournie par l’ensemble des règles relatives à l’admission et à l’exclusion des membres. Les formalités de récep­ tion dans la confrérie lyonnaise du Gonfalon sont progressivement précisées au cours du XVIIe siècle. Dès 1635, il est prévu que les postulants se présentent au conseil de la confrérie qui se prononce sur leur admission, entérinée seulement trois semaines plus tard. En 1680, il est précisé que cette période doit permettre aux con­ frères qui seraient opposés à une réception de faire connaître leurs motifs. On ajoute enfin que si le candidat est totalement inconnu, le conseil désigne un ou deux confrères pour mener une enquête. A Grenoble aussi, dès 1632, un des officiers doit s’informer des vie et mœurs du postulant, dont la candidature est ensuite propo­ sée trois dimanches consécutifs à tous les confrères. En 1659, le rôle du conseil est renforcé dans cette procédure41.

Chez les pénitents du Saint-Sacrement de Roanne, dès l’ori­ gine, «nul ne peut estre admis, ny receu en icelle Compagnie s’il est recogneu pour une personne entachée de quelque vice»42. En 1657, les nouveaux statuts précisent les catégories de personnes qui ne seront pas acceptées: « L ’on ne recevra aucune personne en cette Compagnie, de condition odieuse, ny qui soit addonnée à quelque vice notable, ny de qui les moeurs ayent apporté grand scandale, ny que la haine ait séparée du prochain par querelles ou par procez, si avec soing elle n’a recherché de se reconcilier, et de terminer ses differents par Arbitres, ou par amis, ou que par amendement elle n’ait effacé les taches de sa méchante vie»43.

Le recteur doit en outre veiller à ce que les candidats ne soient mus ni par «la curiosité», ni par « l’ostentation». Par ailleurs, en 1654, un temps de probation de trois mois avait été instauré avant l’admission définitive44.

41. Il semble que la tendance générale soit au renforcement du rôle du con­ seil pour les réceptions. Il est aussi intéressant de noter qu’en 1646 encore Le miroir du pénitent blanc ne lui accordait aucun rôle particulier.

42. Statuts de 1617, art. 1 (Arch. Mun. Roanne, 5 G 15, f° 7v.). 43. Réglés et offices de la Compagnie des pénitens du très Saint-Sacrement de l'autel..., Lyon, 1657, p. 11.

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Tout aussi strictes sont les règles d ’exclusion des membres indignes. Généralement deux cas sont prévus: celui des confrères scandaleux que les admonestations ne peuvent ramener dans le droit chemin, et celui des confrères qui, en différend entre eux, n’acceptent pas de se réconcilier dans le délai fixé par le recteur.

Au total, pour les admissions comme pour les exclusions, exis­ tent des procédures précises, fixées par les statuts. Surtout, la con­ frérie, par ses officiers, exerce en toute indépendance le pouvoir de recevoir les postulants ou d’exclure les défaillants. C ’est sans doute là un des meilleurs indices d’un fonctionnement en «confrérie-association»45.

Les règles de désignation pour l’exercice des charges internes montrent aussi combien nos confréries de pénitents sont des struc­ tures autonomes. Partout les principaux officiers sont élus annuel­ lement par l’ensemble des membres. A peu près partout, les con­ frères sont invités à choisir «les plus exemplaires et les plus assi­ dus» pour occuper ces places qu’on ne peut ni briguer ni refuser. L ’exigence de secret des scrutins, affirmée de diverses manières, renforce le caractère de séparation de la confrérie par rapport a son environnement. A Grenoble, les confrères du Gonfalon qui ne savaient pas écrire faisaient initialement remplir leur bulletin par un ami extérieur; mais, en 1659, cette règle est changée: désor­ mais, c’est l’aumônier de la confrérie qui, à la sacristie, écrit les noms sur les billets à la demande de ceux qui ne savent le faire. Cet ecclésiastique de confiance se trouve ainsi chargé de protéger l’indépendance des suffrages. Nulle trace, donc, d ’une interven­ tion du clergé dans les élections, pour la plupart des confréries créées avant 1650. Si l’aumônier participe souvent au dépouille­ ment, c’est seulement en raison du caractère religieux des élec­ tions.

Le maintien de l’ensemble de ces traditions de vie associative tout au long du XVIIIe siècle, alors même que beaucoup de con­ fréries de pénitents perdent une certaine autonomie dévotionnelle et s’intégrent davantage à la vie paroissiale46 invite, nous semble- t-il, à ne pas conclure trop vite à la disparition de tous les aspects caractérisant les pénitents et à l’établissement général d ’une tutelle du clergé sur la vie des confréries.

45. L ’expression est empruntée à Maurice Agulhon, Pénitents et

francs-maçons dans l ’ancienne Provence, Paris, Fayard, 1968, p. 452.

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Au-delà des statuts, et servant sans doute de stimulant à leur maintien en vigueur, c’est dans l’ordre de la solidarité entre con­ frères que doit être cherchée l’explication de la survie de la struc­ ture associative que sont les confréries de pénitents. Toutes, dès leurs origines, outre des considérations générales sur l’harmonie qui doit exister entre leurs membres, incluent dans leurs règle­ ments des clauses sur l’assistance mutuelle qu’ils se doivent. Il s’agit d’abord d’une assistance spirituelle en cas de maladie: visite des confrères malades pour les exhorter à la réception des sacre­ ments, accompagnement du Saint-Sacrement lorsqu’il est porté aux malades, prières pour ceux-ci à la chapelle ... Ici et là, son appartenance à la confrérie assure au grand malade la présence presque continue d ’un prêtre, le chapelain47.

Dans les confréries du Gonfalon, des secours matériels sont accordés aux confrères pauvres qui sont malades. Cette pratique existe à Grenoble dès 1632 ou à Saugues dès 1652. A Lyon, c’est seulement dans les statuts de 1680 qu’apparaît cet engagement collectif à l’égard des plus démunis48.

Si quelques fonds sont parfois consacrés aux confrères dans le besoin, l’exercice de la charité à l’égard des pauvres extérieurs à la compagnie n’apparaît qu’à titre exceptionnel. On en trouve seu­ lement mention dans les statuts du Gonfalon lyonnais de 1680 qui prévoient, lors des assemblées, une quête pour les pauvres de la Charité et une pour les prisonniers. Cette exception est sans doute à rapporter à l’évolution de la fin du XVIIe siècle vers la charité institutionnalisée. Mais la règle générale est, pour nos pénitents, l’aumône individuelle à laquelle ils sont tenus par leurs statuts, manifestation parmi d ’autres de leur comportement de parfaits chrétiens. En aucun cas ces confréries ne placent l’exercice collec­ tif des œuvres de charité au centre de leurs activités. Le repas offert à douze pauvres le soir du Jeudi-Saint, coutume présente dans un certain nombre de statuts, est surtout symbole religieux. Au Puy, où la prise en charge des douze pauvres semble plus importante, il s’agit en fait de confrères, formant le groupe des «pénitents de la Miséricorde». A la fin du XVIIIe siècle, parce que la quête effectuée régulièrement à leur profit est peu «produc­

47. Au Puy, l’aumônier reste, la nuit, auprès des confrères malades

(Bibliothèque Municipale de Clermont-Ferrand, dorénavant, Bibl. Mun. Clermont-Ferrand, ms 897, f° 27).

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tive», et afin de leur procurer «une assistance fixe et égale pen­ dant toute l’année», l’organisation de la collecte est entièrement revue. Un esprit de bienfaisance, marqué du sceau de la rationali­ té, pénètre ici dans l’organisation des secours distribués par les pé­ nitents à un nombre limité de pauvres qui sont membres de leur compagnie49.

Quelles que soient les modalités adoptées, l’exercice de l’assi­ stance demeure donc surtout interne chez nos pénitents. Ce carac­ tère mérite d ’autant plus d ’être souligné que nombre de compa­ gnies méridionales qui se réforment au XV IIe siècle en font un élément essentiel de leurs objectifs; conformément à l’esprit du temps, la charité est considérée comme le témoignage par excellen­ ce d’une vie entièrement réglée par les vertus chrétiennes50.

Dans nos régions, où une telle évolution ne se produit pas, des confréries spécialisées naissent dans certaines villes pour assurer cette fonction de charité. Il s’agit surtout de pénitents noirs, sou­ vent placés sous le titre de saint Jean Décollât et ordinairement dénommés pénitents de la Miséricorde. La confrérie de Lyon^ — la plus ancienne dans la région qui nous intéresse — aurait été éta­ blie en 1636 par un bourgeois de la ville, originaire du Mila­ nais51. Son recrutement est très fermé, d ’après ses statuts: «Nul ne peut être admis dans ses rangs, s’il n’a déjà fait partie d’une Compagnie voilée, s’il ne compte vingt-cinq ans accomplis, ou s il exerce quelque état manuel»52.

Outre leurs obligations dévotionnelles, ses membres visitent les prisonniers, à qui ils distribuent de surcroît des aumônes. De plus, ils se chargent de la sépulture des prisonniers pauvres, assi­ stent les condamnés à mort et les ensevelissent dans un caveau ré­ servé à cet usage.

Au début du XVIIIe siècle, des confréries analogues ^ furent fondées à Autun53 et à Moulins54. Dans les deux cas, c’est un

49. Bibl. Mun. Clermont-Ferrand, ms 897, f° 95 (conseil du 14 novembre 50. Marie-Hélène Froeschlé-Chopard, Catholicisme cit., t. X, col. 1185. 51. D. Meynis, Les anciennes confréries lyonnaises, Lyon, Pélagaud, 1868, p. 42 et suiv.

52. Ibid., p. 43. . ...

53. Henry de Fontenay, L a confrérie des pénitents noirs de la ville a Autun,

«Mémoires de la Société Eduenne», X, p. 227; Thérese-Jean Schm itt, L onja-

nisation ecclésiastique et la pratique religieuse dans l ’archidiacone d Autun de 1650

à 1750, Autun, Marcelin, 1957, pp. 203-204.

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