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(1)

3 L

E

FRASI

ARGOMENTALI

3.1 P

REMESSA

Tra le subordinate argomentali la codifica di Sara Gigli (2004) distingue le soggettive, le completive oggettive e oblique, le interrogative indirette e le epesegetiche o dichiarative1. Le seguenti tabelle illustrano la distribuzione delle frasi argomentali nel

poema:

Tabella 1: Subordinate argomentali nel poema: frequenza dei diversi tipi

Tabella 2: Incidenza delle frasi argomentali sul totale delle subordinate nelle tre cantiche

1 Per una breve disamina delle discordanze nell'ambito degli studi grammaticali sulla classificazione e sulla terminologia adottate per lo studio delle frasi argomentali cfr. Dardano (2012: 121).

MIMESI INF % PURG % PAR % TOT %

epesegetica 5 1% 12 3% 17 5% 34 3% interrogativa 74 21% 84 24% 85 25% 243 23% obliqua 42 12% 68 19% 37 11% 147 14% oggettiva 137 38% 110 31% 101 29% 348 33% soggettiva 98 28% 80 23% 106 31% 284 27% 356 354 346 1056 DIEGESI epesegetica 8 4% 5 2% 7 4% 20 3% interrogativa 26 14% 37 17% 31 18% 94 16% obliqua 40 21% 55 25% 34 20% 129 22% oggettiva 76 41% 69 32% 54 32% 199 35% soggettiva 37 20% 52 24% 43 25% 132 23% 187 218 169 574 TOTALE epesegetica 13 2% 17 3% 24 5% 54 3% interrogativa 100 18% 121 21% 116 23% 337 21% obliqua 82 15% 123 22% 71 14% 276 17% oggettiva 213 39% 179 31% 155 30% 547 34% soggettiva 135 25% 132 23% 149 29% 416 26% 543 572 515 1630

INF % PURG % PAR %

mimesi 356 22% 354 21% 346 17% diegesi 187 13% 218 15% 169 13%

(2)

Dalla Tabella 2 si evince che le frasi argomentali sono utilizzate più frequentemente nei dialoghi che nella cornice narrativa e che, nel complesso, hanno un'incidenza minore sul totale dei rapporti subordinativi nella terza cantica rispetto alle prime due.

Dalla Tabella 1 si possono trarre delle indicazioni generali sulla distribuzione dei diversi tipi: per quanto riguarda le differenze tra le cantiche andranno segnalate una particolare concentrazione di frasi epesegetiche nel Paradiso e di completive oblique nel Purgatorio. Si noterà inoltre che l'interrogativa, praticamente assente nella terza cantica come frase principale, è invece assai diffusa nella sua forma indiretta, come subordinata argomentale. Per quanto riguarda le oggettive e le soggettive, che sono i tipi più diffusi nel poema, è da rilevare la singolare concentrazione delle prime nell'Inferno e delle seconde nel Paradiso. Osservando poi le difformità tra cornice narrativa e dialoghi, sono da segnalare la preferenza delle interrogative e delle soggettive nelle parti mimetiche e, viceversa, delle oblique nelle parti diegetiche.

3.2 L

E FRASI SOGGETTIVE

La frase soggettiva è una subordinata argomentale che «può fungere da soggetto, occupando il posto che in genere è di un nominale» (Acquaviva 2001: 657). Come osserva Salvi (2010c: 941-3), l'uso di un soggetto frasale non sembra possibile in it. ant., a differenza di quanto accade in it. mod., con verbi transitivi (come addolorare, disturbare, angosciare, che sono transitivi anche in it. ant., ma non ricorrono mai con un soggetto frasale) o inergativi2, mentre è possibile con aggettivi inergativi3 in frasi

copulative (ad es. è bello, è giusto, è vero ecc.) o con un sintagma nominale in funzione di predicato (ad es. la ragione è che, la causa è che ecc.). In questi casi la frase soggettiva può assumere sia la forma con modo finito che quella implicita all'infinito e può sia precedere che seguire la reggente.

I predicati inaccusativi che possono avere un soggetto frasale sono invece sia verbali che aggettivali. In questi casi la soggettiva di modo finito è sempre posposta, mentre

2 Dardano (2012b: 122) osserva che «in it. mod. la classe dei reggenti delle completive (oggettive e soggettive) è più ampia rispetto all'it. ant. In particolare si nota che i verbi che accettano subordinate oggettive: a) sono più numerosi del verbi che accettano subordinate soggettive; b) appartengono a classi semantiche più varie».

(3)

l'infinitiva può anche precedere il verbo. La soggettiva infinitiva di un predicato inaccusativo si può realizzare in una costruzione a controllo o in una costruzione a sollevamento, quando il soggetto dell'infinitiva diventa soggetto della frase matrice, come dimostra l'accordo con il predicato reggente.

Delle 416 soggettive nel poema, 220 occorrenze, cioè poco più della metà, assumono la forma implicita all'infinito: 61 in Inferno, 76 in Purgatorio, 83 in Paradiso. Le rimanenti sono alla forma esplicita all'indicativo o, molto più spesso, al congiuntivo.

Di seguito propongo una rassegna dei predicati reggenti di soggetto frasale nel poema.

3.2.1 S

OGGETTIVE INTRODOTTEDA

SN (S

AVV

/SA

GG

) +

È

All'interno di questa categoria, la forma più frequente nel poema è quella in cui la soggettiva, sia nella forma infinitiva che in quella temporalizzata, dipende da una struttura copulare con un predicato aggettivale. Si osservino i seguenti esempi:

(1)

Come l'altre verrem per nostre spoglie, ma non però ch'alcuna sen rivesta, ché non è giusto aver ciò ch'om si toglie. (If XIII 103-105)

(2)

Anzi è formale ad esto beato esse

tenersi dentro a la divina voglia,

per ch'una fansi nostre voglie stesse; (Pd III 79-81)

(3)

ed el mi disse: "Volgi li occhi in giùe: buon ti sarà, per tranquillar la via,

veder lo letto de le piante tue".

(Pg XII 13-15) (4)

laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore da ogne creatura, com'è degno

di render grazie al tuo dolce vapore.

(Pg XI 4-6) (5)

E ciò fa certo che 'l primo superbo, che fu la somma d'ogne creatura, per non aspettar lume, cadde acerbo; (Pd XX 46-48)

(6)

Vero è che 'n su la proda mi trovai

de la valle d'abisso dolorosa

che 'ntrono accoglie d'infiniti guai. (If IV 7-9)

(7)

A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta. (Pd XXXIII 100-102)

A proposito della struttura SAgg + è + infinitiva, osserva Dardano (2012b: 155) che con essa in it. ant «si realizzano frasi impersonali adatte a esprimere giudizi, sentenze e a riferire detti». In effetti, come si può notare dai passi riportati, nella maggior parte dei

(4)

casi la struttura predicativa reggente esprime una valutazione morale (che oscilla tra i poli giusto/ingiusto, morale/immorale) o una qualificazione logico-ontologica del soggetto espresso dalla subordinata (vero/falso; necessario/contingente). Perciò tali tipi di predicato compaiono soprattutto nelle sezioni dimostrative e argomentative (1-2), oppure sono formule che motivano e rafforzano le esortazioni (3-4); quando sono utilizzati nella cornice diegetica si configurano come formule di passaggio stereotipate (6) oppure compaiono nelle sezioni in cui il narratore prende la parola in prima persona (7).

Il modo della subordinata soggettiva in dipendenza di struttura copulare aggettivale è preferenzialmente l'infinito (1-4). Quando la subordinata è esplicita possono comparire sia l'indicativo che il congiuntivo; a questo proposito nota ancora Dardano (2012b: 149) che «nei testi antichi non sempre è possibile ritrovare una causa precisa della scelta del modo verbale, la quale, in alcuni casi, dipenderà da una preferenza stilistica». Tuttavia, come già rilevava Ageno (1978f: 238-240), è possibile individuare alcune tendenze generali legate alla semantica del predicato: in contesti negativi, come (7), la soggettiva esplicita ha necessariamente il congiuntivo, mentre in dipendenza da espressioni asseverative (5-6) si ha l'indicativo.

Di seguito riporto invece alcuni esempi di una soggettive che dipendono da un sintagma nominale in funzione di predicato:

(8)

«Oh, questa è a udir sì cosa nuova», rispuose, «che gran segno è che Dio t'ami; (Pg XIII 145-146)

(9)

Opera naturale è ch'uom favella; (Pd XXVI 130)

(10)

ché non è impresa da pigliare a gabbo

discriver fondo a tutto l'universo,

(If XXXII 7-8) (11)

e cortesia fu lui esser villano. (If XXXII 150)

(12)

Infino a qui l'un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso. (Pd I 16-18)

(13)

La tua dimanda tuo creder m'avvera esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita, forse per quella cerchia dov' io era. (Pg XXII 31-33)

Talvolta, con soggettive che dipendono da SN la struttura reggente non è predicativa, bensì «specificativa» e la copula «non instaura una relazione di predicazione, ma di

(5)

identità» (Acquaviva 2001: 663)4: si ha un esempio di questo tipo in (13).

La soggettiva può anche essere retta da una struttura predicativa con Savv + è o SP + è, che sono sempre formule stereotipate indicanti convenienza, volontà, piacere/dispiacere:

(14)

dicendo: «Intanto che tu ti risense de la vista che haï in me consunta, ben è che ragionando la compense. (Pd XXVI 4-6)

(15)

vuol ch'io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche

quello che la speranza ti 'mpromette».

(Pd XXV 85-87)

Si noti che strutture argomentali come (14-15) ampliano la vastissima gamma di moduli sintattici richiestivi utilizzati nel poema. Infatti, oltre alle iussive al congiuntivo e all'indicativo che, come si è visto,5 si realizzano con un'enorme spettro di sfumature

stilistiche, anche queste formule con l'indicativo nella sovraordinata e il congiuntivo volitivo nella soggettiva esprimono una richiesta d'azione in modi del tutto particolari: in (14), il soggetto richiedente si eclissa per porre in primo piano non la propria volontà, ma la giustezza (ben è) della richiesta formulata; in (15) la formula di cortesia utilizzata è specchio della varietà con cui la semantica del desiderio si realizza soprattutto nel Paradiso.

3.2.2 S

OGGETTIVE SCISSE

Una forma particolare con cui la soggettiva si realizza nel poema è la forma scissa, che conta undici occorrenze, tutte in discorso diretto. Si osservino i seguenti esempi:

(1)

e se non fosse che 'n sul passo d'Arno

rimane ancor di lui alcuna vista,

que' cittadin che poi la rifondarno sovra 'l cener che d'Attila rimase, avrebber fatto lavorare indarno.

(If XIII 146-150) (2)

E se non fosse ch'ancor lo mi vieta

la reverenza delle somme chiavi

che tu tenesti ne la vita lieta,

4 Questo tipo di frase, pertanto, non è da considerarsi propriamente soggettiva, ma piuttosto esplicativa del sintagma nominale da cui dipende: l'identità, «viene stabilita tra la proposizione e il contenuto semantico non del SN in sé, ma della nozione designata dal SN» (Acquaviva 2001: 663). 5 Cfr. supra §2.1.

(6)

io userei parole ancor più gravi; (If XIX 100-103)

(3)

Com'esser puote ch'un ben, distributo in più posseditor, faccia più ricchi

di sé che se da pochi è posseduto?".

(Pg XV 61-63) (4)

Dinne com' è che fai di te parete

al sol, pur come tu non fossi ancora

di morte intrato dentro da la rete».

(Pg XXVI 22-24) (5)

sì lasciò trapassar la santa greggia Forese, e dietro meco sen veniva, dicendo: "Quando fia ch'io ti riveggia?". (Pg XXIV 73-75)

(6)

Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote

che per diversi salti non si spanda;

(Pd XI 124-126)

La frase soggettiva scissa ricorre sempre in contesto negativo (1, 2, 6) e/o interrogativo (3-5). Da un punto di vista pragmatico, come in it. mod., «la funzione della costruzione scissa è quella di enfatizzare (o mettere in rilievo) sia a livello sintattico che a livello di intonazione, un particolare elemento della frase in termini di contrasto, esplicito o implicito, con un altro elemento della stessa classe» (Benincà-Frison-Salvi 2001: 209). Una frase soggettiva scissa può sostituire il corrispondente ordine non marcato nella protasi del periodo ipotetico dell'irrealtà, come in (1-2). L'uso di questo modulo appare ben attestato in it. ant., tanto che Mazzoleni (2010a: 1040) considera se non fosse che come un'unica congiunzione subordinante composta. In questi casi ciò che la frase scissa enfatizza implicitamente per contrasto è la possibilità della non realizzazione del contenuto della soggettiva.

In (3, 4, 5) la forma scissa con cui si realizza la domanda è funzionale a porre in evidenza un particolare atteggiamento del parlante: in (4) lo stupore di Guinizelli di fronte a un fenomeno del tutto inaspettato nell'ordinamento oltremondano (come può essere che Dante sia nel Purgatorio con il proprio corpo?); in (3) lo stupore di Dante di fronte ad un apparente paradosso logico contenuto nelle parole di Virgilio; in (5) l'affetto di Forese, che nel momento del saluto con l'amico ritrovato, volge la mente con ansia e con desiderio al quando, niente affatto scontato, potrà rincontrarlo. In (6), infine, la frase scissa sembra una formula argomentativa stereotipata: l'espressione esser non puote ('non può essere che non', cioè 'è inevitabile che') serve a enfatizzare il nesso inscindibile tra l'avarizia e la degradazione spirituale dell'ordine domenicano.

(7)

3.2.3 S

OGGETTIVE INDIPENDENZA DAVERBI IMPERSONALI

La grandissima maggioranza delle soggettive nel poema compare in dipendenza di un verbo impersonale. Nei dialoghi i predicati reggenti rientrano per lo più in due grandi categorie: i più numerosi sono i verbi che indicano "obbligo", "opportunità", "convenienza"; seguono i predicati indicanti "piacere" o "dispiacere"6.

Per quanto riguarda la prima tipologia, il predicato reggente più frequente7 è il verbo convenire, di cui si riscontrano 109 occorrenze nel poema8 (38 nell'Inferno, 29 nel Purgatorio, 42 nel Paradiso), che corrispondono a circa un quarto delle occorrenze totali. Il verbo convenire, come si è già avuto modo di osservare9, più che con il

significato "debole" di 'accadere', sembra comparire nel poema con due significati principali, che trovano una corrispondenza con le strutture aggettivali sopra esaminate: un significato si potrebbe parafrasare con 'è necessario che accada che' e postula la necessità ontologica di avvenimenti futuri iscritti nel disegno provvidenziale, oppure di fenomeni ultraterreni, ancora una volta necessari per volontà divina. Un secondo significato è parafrasabile con 'è giusto che accada che' e ha dunque una connotazione morale. È da notare che spesso i due significati si sovrappongono, poiché giusto e necessario nel disegno divino vanno di pari passo. Si osservino i seguenti passi che esemplificano rispettivamente il primo significato (1), il secondo (2) e la compresenza dei due (3):

(1)

Poi appresso convien che questa caggia

infra tre soli, e che l'altra sormonti con la forza di tal che testé piaggia.

(If VI 67-69) (2)

Però, secondo il color d'i capelli, di cotal grazia l'altissimo lume degnamente convien che s'incappelli. (Pd XXXII 70-72)

(3)

Noi repetiam Pigmalïon allotta,

6 Per le categorie dei predicati reggenti delle frasi soggettive mi sono basata sulla classificazione di Ageno (1978f: 238-240).

7 Unico altro predicato che può essere inscritto in questa categoria è bisognare. 8 Incluse 2 del suo contrario disconvenire.

(8)

cui traditore e ladro e paricida fece la voglia sua de l'oro ghiotta; e la miseria de l'avaro Mida, che seguì a la sua dimanda gorda, per la qual sempre convien che si rida. (Pg XX 103-108)

Quasi sempre, come anche in (1-3) la soggettiva retta da convenire assume la forma temporalizzata al congiuntivo «che conserva qui una traccia del suo valore finale, che è un'estensione di quello originario di volizione» (Ageno 1978f: 238).

Alla seconda categoria di predicati reggenti appartengono i verbi piacere, dispiacere, increscere, dilettare, gravare, dolere. Come si è potuto constatare in § 2.1, essi occorrono spesso in formule di cortesia poste in incipit dei discorsi. Altrove la costruzione verbo impersonale + soggettiva è una perifrasi che sostituisce il semplice modale volere + infinito (4):

(4)

com' io vidi un che dicea: «S'a voi piace

montare in sù, qui si convien dar volta;

(Pg XXIV 139-140)

Infine, altri predicati reggenti abbastanza diffusi nei dialoghi sono verbi di accadimento come avvenire; i verbi sembrare e parere e il verbo giovare.

Se convenire è il predicato reggente nettamente prevalente nelle parti mimetiche, nella cornice diegetica è maggioritario parere, con 71 occorrenze (23 nella prima cantica, 33 nella seconda, 15 nella terza). Parere, che regge sempre il congiuntivo nella forma esplicita, compare con due significati principali: uno – che si potrebbe definire "soggettivo" poiché lega il contenuto della subordinata argomentale alle capacità percettive del soggetto logico del predicato (quasi sempre Dante) – equivale a 'sembrare', con la possibilità dell'estensione del significato a 'sembrare giusto'. Come si può osservare in (8, 9) il verbo parere è molto frequente nella narrazione dei sogni e delle visioni.

Un secondo significato, più vicino a quello etimologico, è 'apparire' (5):

(5)

Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi surgono innumerabili faville,

onde li stolti sogliono agurarsi,

resurger parver quindi più di mille

luci e salir, qual assai e qual poco, sì come 'l sol che l'accende sortille; (Pd XVIII 100-105)

(9)

Poco più oltre il centauro s'affisse sovr'una gente che 'nfino a la gola parea che di quel bulicame uscisse. (If XII 115-117)

(7)

udir come le schiatte si disfanno

non ti parrà nova cosa né forte, (Pd XVI 76-77)

(8)

in sogno mi parea veder sospesa un'aguglia nel ciel con penne d'oro,

con l'ali aperte ea calare intesa;

(Pg IX 19-21) (9)

Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ' lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non ponno. Con cagne magre, studïose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s'avea messi dinanzi da la fronte.

In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ' figli, e con l'agute scane

mi parea lor veder fender li fianchi.

(If XXXIII 28-36)

Per quanto riguarda la posizione della soggettiva rispetto alla sovraordinata, nel poema è particolarmente frequente lo spostamento dell'infinito o di altri costituenti della frase infinitiva a sinistra del predicato reggente. Questi spostamenti producono talvolta degli effetti stilistici e pragmatici particolari, come si può osservare nei seguenti esempi:

(9)

Ed elli a me: «Saper d'alcuno è buono; de li altri fia laudabile tacerci,

ché 'l tempo saria corto a tanto suono. (If XV 103-105)

(10)

sì che, come noi sem di soglia in soglia

per questo regno, a tutto il regno piace

com' a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia. (Pd III 82-84)

Nella terzina tratta dal discorso di Brunetto Latini (9), tramite la prolessi della soggettiva, si crea un'elegante struttura chiastica (soggettiva all'infinito + aggettivo + verbo essere // aggettivo + verbo essere + soggettiva all'infinito) con la quale si apre la porzione conclusiva dell'intervento dell'antico maestro: abbandonati i toni drammatici dell'agnizione (Qual maraviglia!) e della profezia, Brunetto parla ora con i modi composti e raffinati del grande intellettuale.

Nel passo tratto dalle parole di Piccarda Donati (10) la prolessi, da un lato, è volta a conferire rilievo, tramite l'ordine marcato, al contenuto della soggettiva, cioè l'ordinamento del regno paradisiaco, dall'altro è funzionale creare una particolare rete di ripetizioni: ogni verso della terzina, infatti, contiene un poliptoto (di soglia in soglia; per questo regno, a tutto il regno; 'n suo voler ne 'nvoglia).

(10)

In conclusione, si è potuto constatare che la frase soggettiva, nelle sue varie realizzazioni, nei dialoghi è essenzialmente legata alla semantica del desiderio, del necessario, del giusto moralmente e mi sembra di poter dire che sia per questo che essa ha una frequenza ascendente all'interno delle tre cantiche, in concomitanza con l'innalzarsi dei sentimenti, delle capacità cognitive, della magnanimità dei personaggi parlanti quanto più questi si avvicinano a Dio. Del resto Dardano (2012b: 159) ha notato, a proposito della prosa antica, che «in particolare alcuni tipi di soggettive predispongono strutture adatte all'inserimento di consecutive e condizionali, indubbi fattori di sviluppo di strutture periodali complesse. Pertanto le soggettive appaiono particolarmente adatte a esporre principi, rappresentando, per così dire, un punto di forza della prosa trattatistica e argomentativa».

Nella cornice narrativa, invece, la soggettiva, quasi sempre in dipendenza di verbi di percezione, costituisce un continuo riferimento a Dante e al suo percepire con le incerte coordinate sensoriali di un vivo nel regno dei morti, le meraviglie e la multiforme varietà della realtà oltremondana.

3.3 L

E FRASI COMPLETIVE OGGETTIVE

La frase oggettiva è una subordinata argomentale che funge da oggetto diretto del predicato della sovraordinata. La Tabella 1 fornisce un quadro generale dei predicati reggenti delle oggettive nel poema, secondo la categorizzazione proposta da Dardano (2012b: 128-141). All'interno di questa classificazione, sarà utile individuare fin da subito dei macrogruppi semanticamente omogenei:

1) La categorie dei percettivi e degli assertivi semifattivi corrispondono ai verba sentiendi che indicano «apprendimento o conoscenza di una realtà di fatto» (Ageno 1978f: 242).

2) La categoria degli epistemici corrisponde a quella dei verba putandi e, insieme a quella a quella dei verba iudicandi, comprende tutti i verbi che esprimono opinione o giudizio.

3) I verbi del dire, dell'argomentare e gli espositivi corrispondono grossomodo ai verba dicendi e declarandi.

(11)

locutore ad una certa linea di azione» e quelli con i quali «il parlante cerca di indurre l'ascoltatore a fare qualche cosa» (Fava 2001c: 29).

5) I volitivi e verdittivi mettono al centro la volontà del parlante e i suoi processi decisionali. Categorie di verbi reggenti Mimesi Diegesi Percettivi vedere (47), intendere (4), discernere (3), udire (3), comprendere (2), sentire (2), trovare (2), conoscere,

imparare, riconoscere, mirare, leggere, estimare10

vedere (79), udire (3),

intendere (2), comprendere (2), sentire (2), ammirare11,

apprendere

Assertivi semifattivi sapere (46) ricordare (3), sapere (1)

Epistemici credere (46), pensare (11), imaginare12

credere (30), pensare (6), imaginare

Del giudicare assicurare13

Del dire dire (31), affermare, narrare,

confessare14, ritrarre15, negare16

dire (7), ridire, affermare, scrivere

Dell'argomentare porre17

Espositivi avverare18, dimostrare, mettere

ne la mente,

dimostrare

Richiestivi domandare, pregare, chiedere (3) orare, chiedere Commissivi giurare (2) giurare (2)

Direttivi

lasciare (3), concedere (3), guardare (3)19, dare, consentire,

dimettere, perdonare, comandare

impedire, lasciare, accennare, assentire, guardare

10 Usato in Pg XXXIII 64 nel senso di 'capire'. 11 Vb. di percezione con sfumatura valutativa. 12 Usato nel senso di 'credere'

13 Usato nel senso di 'Rendere sicuro' (Pd XXIV 103). 14 Cfr. Pg III 94.

15 Cfr. Pg V 32. 16 Cfr. Pg VI 28.

17 Usato nell'espressione 'poniamo che' (Pg XVII 70).

18 Il verbo avverare compare nella seguente formulazione: «La tua dimanda tuo creder m'avvera esser ch'i' fossi avaro in l'altra vita» (Pg XXII 31-32). Ageno lo classifica come verbum dicendi (e in effetti può essere parafrasato con 'mi dice', 'mi dimostra'), includendolo nell'esemplificazione del costrutto

(12)

Volitivi

volere (50), desiderare (3), sperare (3) bramare, ardere, avere in dispregio, disdegnare

volere (3), disiare, ardere, sperare

Verdittivi intendere20 stanziare

Del temere temere (9) temere (4)

Altre categorie

sopportare (2)21, soffrire,

comportare, meritare, obliare, presumere22, solere, aspettarsi

(2), torre, perdere23, obliare

soffrire (2), ardire, osare, patire, portare, scongiurare, significare, sognare, tentare, togliere, valere, obliare Tabella 1: Verbi che reggono subordinate oggettive nel poema

Accanto ai predicati elencati nella Tabella 1 è piuttosto frequente24 l'uso del verbo fare all'imperativo seguito da una frase con che + congiuntivo, come in (1):

(1)

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent' è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. (If XV 67-69)

Gigli (2004), così come Renzi (2010a), considera tali frasi come completive oggettive, distanziandosi sia da Duro (1970: 939) che da Agostini (1978: 379), che riscontrano invece in questi costrutti un valore consecutivo-finale. In effetti entrambe le interpretazioni mi sembrano plausibili: frasi come quella in (1), derivate dal costrutto latino fac (facite) ut, potrebbero anche essere considerate come consecutive ellittiche dell'antecedente sì e l'imperativo di fare potrebbe essere parafrasato come 'agisci in modo tale da'.

Tornando alla Tabella 1, si noterà che nel poema il predicato reggente di completiva

19 Si veda un esempio: «"Dite costinci: che volete voi?", / cominciò elli a dire, "ov' è la scorta? /

Guardate che 'l venir sù non vi nòi"» (Pg IX 85-87). Sia Agostini che Duro considerano la

subordinata in dipendenza del verbo guardare come una consecutiva-finale. In effetti un'interpretazione finale sarebbe pure plausibile, soprattutto considerando il significato etimologico del verbo (< fr. *wardōn, 'stare in guardia'). Tuttavia in it. ant. sono numerose le attestazioni che sembrano confermare la possibilità di guardare di reggere un complemento oggetto.

20 Cfr. If XXIX 96.

21 Con il significato di 'sopportare' («sostenne...falsificare in sé Buoso Donati»: If XXX 42-44). Con altro significato in Pd XVI 21

22 Con il significato di 'osare' («sì che non presumma // a tanto segno più mover li piedi»: Pd XXI 98-99).

23 Cfr. Pd XVII 119.

24 Inferno: VI 82, XVII 93, XVIII 129; XXII 44, XXIII 73, XXIV 19 XXIV 72, XXVI 72, XXX 145; Purgatorio: II 28, XV 79, XVI 15, XVIII 75, XXXII 104; Paradiso: III 100, XXX 148, XXXIII 96, XII 16-18.

(13)

oggettiva nettamente più diffuso nel poema – sia nei dialoghi che nella cornice narrativa – è vedere e che la classe dei verbi di percezione è quella più varia dal punto di vista lessicale. Il modulo 'verbo di percezione alla I p.s. del perfetto semplice + completiva oggettiva infinitiva', in particolare nella cornice, segnala sovente l'inizio di una nuova sequenza narrativa dopo una battuta mimetica (3) oppure – spesso preceduto da avverbi di tempo (poi, già) o dalla semplice congiunzione e – ne scandisce, paratatticamente, l'avanzamento sull'asse temporale (2-4):

(2)

Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché 'l velo è ora ben tanto sottile, certo che 'l trapassar dentro è leggero. Io vidi quello essercito gentile

tacito poscia riguardare in sùe,

quasi aspettando, palido e umìle; e vidi uscir de l'alto e scender giùe

due angeli con due spade affocate, tronche e private de le punte sue.

(Pg VIII 19-27) (3)

"Che farem noi a chi mal ne disira, se quei che ci ama è per noi condannato?". Poi vidi genti accese in foco d'ira

con pietre un giovinetto ancider, forte

gridando a sé pur:"Martira, martira!". (Pg XV 104-108)

(4)

Io sentia già da la man destra il gorgo

far sotto noi un orribile scroscio,

per che con li occhi 'n giù la testa sporgo. Allor fu' io più timido a lo stoscio, però ch'i' vidi fuochi e senti' pianti; ond'io tremando tutto mi raccoscio. E vidi poi, ché nol vedea davanti,

lo scendere e 'l girar per li gran mali

che s'appressavan da diversi canti. (If XVII 118-126)

Il verbo vedere alla I p.s. assume dunque, al pari del verbo parere, predicato reggente di una soggettiva, la funzione di marcatore testuale all'interno della cornice narrativa, cosicché la realtà oltremondana ci è costantemente presentata attraverso il "filtro percettivo" del narratore omodiegetico.

Un altro uso dello modulo vidi + infinitiva tipico delle sezioni diegetiche si ha quando esso introduce il primo membro di una similitudine in sostituzione del connettivo come (5) o, viceversa, quando è posto in apertura del secondo membro in sostituzione di così (6):

(5)

Io vidi già nel cominciar del giorno la parte oriental tutta rosata, e l'altro ciel di bel sereno addorno;

e la faccia del sol nascere ombrata,

sì che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fiata: così dentro una nuvola di fiori... (Pg XXX 22-27)

(14)

(6)

Come le rane innanzi a la nimica biscia per l'acqua si dileguan tutte, fin ch'a la terra ciascuna s'abbica, vid'io più di mille anime distrutte

fuggir così dinanzi ad un ch'al passo

passava Stige con le piante asciutte. (If IX 76-81)

Nelle sezioni mimetiche la completiva oggettiva dipendente da verbo di percezione compare sia nei passi narrativi con le stesse modalità viste in (2-4), sia, molto più spesso, alla forma esplicita e con il predicato reggente alla II p.s. del presente indicativo (7) o all'imperativo (8).

(7)

Ben puoi veder che la mala condotta

è la cagion che 'l mondo ha fatto reo,

e non natura che 'n voi sia corrotta. (Pg XVI 103-105)

(8)

"Omè, Agnel, come ti muti! }

Vedi che già non se' né due né uno". (If XXV 68-69)

Nel passo in (8) l'imperativo vedi, come si è già osservato in § 2.1.3.3, è un segnale discorsivo cristallizzato che ha la funzione di richiamare l'attenzione dell'interlocutore su una determinata realtà, espressa dal contenuto dell'oggettiva. Anche in (7) la reggente si configura come un segnale discorsivo che ha il ruolo di focalizzare l'attenzione su una conclusione all'interno del discorso argomentativo. In quest'ultimo caso si può osservare come il verbo vedere sia utilizzato nel poema non solo per indicare una percezione fisica, ma anche un'esperienza intellettiva.

Nei dialoghi, a differenza di quanto accade nella cornice diegetica, sono molto diffuse le oggettive in dipendenza di verbi assertivi semifattivi (sapere) e di verbi di volontà. Entrambi i tipi di predicato occorrono in via quasi esclusiva in formule iussive del tipo sappi o devi sapere («però sappi ch'io fui Guido del Duca» , Pg XIV 81; «Or sappi che là entro si tranquilla / Raab», Pd IX 115-116) e voglio o vo' («Non vo' che tu paventi», If XXI 133), già commentate in § 2.3.1.1.

Un'ultima categoria di predicati reggenti particolarmente diffusa nel poema è quella dei verbi espistemici, rappresentata in primo luogo dal frequentissimo credere. Tra le

(15)

oggettive rette da verba putandi mi sembrano degne di nota in particolare quelle in dipendenza da un predicato a un tempo passato, collocate nelle sezioni mimetiche: infatti in questi casi l'oggettiva esprime sempre una credenza erronea. Si osservino i seguenti esempi:

(9)

Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero,

credendomi, sì cinto, fare ammenda;

(If XXVII 67-68)25

(10)

Quindi fu' io; ma li profondi fóri ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea, fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, là dov' io più sicuro esser credea: (Pg V 73-76)

(11)

E prima ch'io a l'ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe,

credea, e di tal fede era contento;

(Pd VI 13-15)

Come si può desumere dai passi citati, ogniqualvolta le anime dell'aldilà rievocano una credenza avuta da loro stessi o da altri durante la vita terrena, si tratta di un'opinione errata. Questa tipologia di oggettiva retta da un predicato di opinione è particolarmente frequente nell'Inferno, più rara nel Purgatorio, mentre nel Paradiso, regno in cui le anime, completamente purificate, non hanno memoria dell'errore, ricorre solo nell'esempio riportato, in cui tra l'altro l'ingannevole convinzione è riconosciuta falsa dallo stesso Giustiniano ancora in vita.

Si noti che la credenza è erronea anche se il soggetto del predicato reggente (in questo caso al presente) sono i mortali:

(12)

Versi d'amore e prose di romanzi soverchiò tutti; e lascia dir li stolti che quel di Lemosì credon ch'avanzi. (Pg XXVI 118-120)

(13)

Non creda donna Berta e ser Martino,

per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino; ché quel può surgere, e quel può cadere».

(16)

(Pd XIII 139-141)

Nei discorsi dei dannati e dei penitenti, se il predicato reggente credere è al tempo presente, si ha un effetto attenuativo di cortesia o di dubbio sullo statuto di verità di quanto espresso dall'oggettiva:

(14)

né credo che 'l mio dir ti sia men caro, se oltre promession teco si spazia. (Pg XXVII 137-138)

(15)

Gianni de' Soldanier credo che sia più là con Ganellone e Tebaldello, ch'aprì Faenza quando si dormia». (If XXXII 121-123)

Nei discorsi dei beati l'oggettiva retta da verbum putandi al presente esprime o una credenza che il parlante legge nella mente di Dante oppure una verità o un insegnamento morale che il parlante auspica che tutti gli uomini facciano proprio:

(16)

Tu credi che a me tuo pensier mei

da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; e però ch'io mi sia e perch' io paia più gaudïoso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia.

Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi

di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi; (Pd XV 55-63)

(17)

E creder de' ciascun che già, per arra di questo, Niccosïa e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra, (Pd XIX 145-147)

Si noti che nel passo in (16), Dante utilizza una formulazione del tutto particolare del modulo credere + oggettiva: infatti, dopo il primo tu credi ci si aspetterebbe una confutazione di tale credenza, mentre accade esattamente il contrario. Tale struttura enfatizza, da un lato, la verità dell’onniscienza di chi gode della beatitudine, dall’altro la nuova coscienza di Dante rispetto alla condizione paradisiaca.

(17)

3.4 L

E FRASI COMPLETIVE OBLIQUE ED EPESEGETICHE

La frasi completive oblique ed epesegetiche esprimono rispettivamente l'argomento preposizionale di un verbo (o SAgg) e di un SN. Un merito della codifica sintattica di Sara Gigli è quello è quello di aver introdotto nell'analisi della sintassi della Commedia queste categorie, ed in particolare di aver marcato come completive oblique quelle che nell'Enciclopedia dantesca sono per lo più classificate come finali (cfr. Gigli 2004: 62-63 e infra § 9.3).

I predicati reggenti di completiva obliqua nella Commedia rientrano essenzialmente in tre tipologie: verbi epistemici, o che, più in generale, indicano un atteggiamento mentale; predicati di tipo esercitivo; verbi di movimento. Si noterà che le prime due categorie coincidono con due delle classi di verbi reggenti più frequenti per le oggettive, ampliando ulteriormente la quantità e la varietà di frasi argomentali legate agli ambiti semantici della conoscenza e dell'esperienza e della volontà.

Tra i predicati epistemici, i più frequenti sono accorgersi e sinonimi (1-2) e maravigliarsi (3):

(1)

Quando s'ebbe scoperta la gran bocca, disse a' compagni: «Siete voi accorti

che quel di retro move ciò ch'el tocca?

(If XII 79-81) (2)

Ben s'avvide il poeta ch'io stava

stupido tutto al carro de la luce,

ove tra noi e Aquilone intrava. (Pg IV 58-60)

(3)

quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend' io, vedrai trascolorar tutti costoro. (Pd XXVII 19-21)

In (3) la completiva obliqua introdotta da se si realizza sintatticamente in maniera analoga alla protasi di un costrutto condizionale (per cui cfr. infra § 9.1).

(18)

esercitivi come pregare (4), consigliare26, invitare27. Un verbum voluntatis che amplia la

già vasta gamma paradisiaca delle espressioni indicanti desiderio è golare (5):

(4)

Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. (Pd XXXIII 34-36)

(5)

La quinta luce, ch'è tra noi più bella, spira di tale amor, che tutto 'l mondo là giù ne gola di saper novella: (Pd X 109-111)

Anche la maggior parte delle frasi epesegetiche dipende da espressioni che indicano volontà, come affetto, ardore, cura, disio, voglia, volere. Si osservino i seguenti esempi:

(6)

sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati, che del disio di sé veder n'accora». (Pg V 55-57)

(7)

Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice. (If V 124-126)

(8)

ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia di manicar, di sùbito levorsi

(If XXXIII 58-60)

In (6-8) l'epesegetica si inserisce in una particolare struttura formale, assumendo un notevole rilievo stilistico. Nella terzina purgatoriale (6) la frase epesegetica esprime, con un elegante latinismo, il fine ultimo della penitenza, e si inserisce, con iperbato, tra due espressioni (del disio...n'accora), sintatticamente e semanticamente legate, che rappresentano in tutta la sua potenza la sete della beatitudine che consuma chi si purifica.

In entrambi i passi infernali (7-8) si noti che la forma dichiarativa non è necessaria,

26 Costruito con il complemento oggetto della persona a cui si dà il consiglio e il complemento indiretto frasale della cosa consigliata.

(19)

dato che entrambe le espressioni potrebbero essere sostituite con una perifrasi costituita da volere + infinito. Sembra perciò che Dante abbia deliberatamente scelto questa modalità per porre in evidenza, tra l’altro a fine verso28, due sostantivi che appartengono

all’area semantica centrale nei rispettivi episodi: affetto è solo una delle numerosissime espressioni appartenenti al campo semantico del desiderio amoroso di cui è costellato l'intero V canto dell'Inferno, mentre la voglia di cui parla Ugolino allude a un istinto primario e bestiale, che costituisce il centro drammatico della sua vicenda.

Una terza categoria, particolarmente ampia, di predicati che reggono argomenti preposizionali frasali è, infine, quella dei verbi di movimento:

(9)

L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse che sedea lì, gridando: «Sù, Currado! vieni a veder che Dio per grazia volse». (Pg VIII 64-66)

(10)

rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina. (If XXVIII 73-75)

3.5 L

E FRASI INTERROGATIVE INDIRETTE

L'interrogativa indiretta è «un tipo di frase subordinata argomentale caratterizzata da una serie di proprietà grammaticali, cui corrisponde la caratterizzazione semantica della domanda» (Fava 2001b: 675).

In it. ant. le subordinate interrogative possono avere come predicato reggente «verbi illocutivi di tipo interrogativo, predicati indicanti processi di comunicazione, predicati di percezione, predicati indicanti conoscenza acquisita o mancanza di conoscenza, predicati indicanti congetture ed ipotesi, ecc.»29 (Munaro 2010a: 1152).

I predicati che reggono un'interrogativa indiretta nel poema sono appartenenti:

1) alla sfera intellettiva e dell'apprendimento: più frequenti sono (non) sapere e

28 Nella terzina tratta dal discorso di Francesca da Polenta, inoltre, il sostantivo affetto è posto ancora più in evidenza dalla prolessi della frase epesegetica che regge, mentre nelle parole del Conte Ugolino è l'enjambemant a porre ulteriormente enfasi sul sostantivo voglia.

29 Non si riscontrano invece nel poema occorrenze di predicati nominali o aggettivali, che pure possono reggere un'interrogativa indiretta.

(20)

vedere; altri predicati che rientrano in questa categoria sono: apprendere, comprendere, conoscere, guardare, intendere, leggere, pensare, porre mente, ricordare, interpretare, udire.

2) alla sfera della comunicazione: il predicato più frequente è dire; altri predicati che rientrano in questa categoria sono: dittare, domandare, esprimere, ragionare, rivelare, suonare

In tutte e tre le cantiche sono molto numerose le occorrenze di interrogativa indiretta retta da verbum dicendi all'imperativo30, che sono le uniche ad esprimere un vero e

proprio atto di domanda, in quanto hanno lo scopo di ottenere una risposta. Per quanto riguarda sia il destinatario che l'oggetto della domanda, vengono qui confermate le osservazioni effettuate nel paragrafo dedicato alle interrogative dirette: i penitenti e i dannati desiderano quasi sempre sapere da Dante la sua identità e le motivazioni del suo viaggio nell'aldilà, oppure avere delle notizie del mondo terreno:

(1)

Se tu pur mo in questo mondo cieco caduto se' di quella dolce terra latina ond' io mia colpa tutta reco,

dimmi se Romagnuoli han pace o guerra;

(If XXVII 25-28) (2)

Ma dì s'i' veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando 'Donne ch'avete intelletto d'amore'». (Pg XXIV 49-51)

La scelta della forma indiretta rispetto a quella diretta appare determinata, in alcuni casi, da esigenze di variatio, quando vi sia un accumulo di proposizioni interrogative, ma sembra essere connessa soprattutto al tipo di personaggio parlante: sia nell'Inferno che nel Purgatorio, infatti, il costrutto indiretto ricorre nei discorsi di personaggi31 dei

quali a Dante preme porre in evidenza l'atteggiamento cortese e la statura intellettuale. Il modulo imperativo del verbum dicendi + interrogativa indiretta si trova nel Paradiso solo nei discorsi di san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, in occasione

30 Di questo modulo sintattico si è già parlato anche in § 2.3.1.1.

31 Sordello, Guido del Duca, Stazio, Forese Donati, Bonagiunta da Lucca, Guido Guinizelli, Matelda nel Purgatorio; Jacopo Rusticucci, Catalano, Loderingo, Guido da Montefeltro, Ugolino della Gherardesca nell'Inferno.

(21)

dell'esame sulle tre virtù teologali a cui Dante è sottoposto:

(3)

sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte,

dì quel ch'ell' è, dì come se ne 'nfiora

la mente tua, e dì onde a te venne». (Pd XXV 43-47)

Confrontando, dunque, quanto detto fin qui a proposito del primo tipo di interrogativa indiretta con quanto evidenziato nel paragrafo dedicato alle interrogative principali, si può dire che i beati, mediante gli atti di domanda, non esprimono mai un dubbio reale rispetto a un determinato stato di cose.

Passando all'analisi delle subordinate interrogative rispetto alle quali il parlante possiede la soluzione del dubbio espresso, si dovrà innanzitutto notare che esse non comprendono solo le interrogative retoriche, ma anche numerose interrogative canoniche. Esse dipendono in larga parte da verbi appartenenti alla sfera intellettiva e della percezione, ma non mancano esempi in cui dipendono da verbi di dire alla forma negativa o al futuro intenzionale:

(4)

e però ch'io mi sia e perch' io paia più gaudïoso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia. (Pd XV 58-60)

(5)

Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino, e questi è l'arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino. (If XXXIII 13-15)

Per quanto riguarda le interrogative indirette retoriche, esse hanno spesso un valore sovrapponibile a quello delle esclamative e il loro introduttore è quanto o parafrasabile con esso:

(6)

Mentre che tutto in lui veder m'attacco, guardommi e con le man s'aperse il petto, dicendo: «Or vedi com' io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto! (If XXVIII 28-31)

(22)

(7)

Per lei assai di lieve si comprende quanto in femmina foco d'amor dura, se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende. (Pg VIII 76-78)

(8)

Vedrassi l'avarizia e la viltate di quei che guarda l'isola del foco, ove Anchise finì la lunga etate; e a dare ad intender quanto è poco, la sua scrittura fian lettere mozze, che noteranno molto in parvo loco. (Pd XIX 130-135)

Come si evince dagli esempi riportati, il tipo non canonico ha nella forma indiretta essenzialmente le stesse funzioni assunte nella forma diretta: nell'Inferno compare soprattutto in contesti di acceso realismo, mentre nel Purgatorio e nel Paradiso è un espediente retorico per conferire maggiore vis polemica ai passi moraleggianti.

Le interrogative indirette canoniche dipendono per una grande maggioranza da un predicato alla seconda persona coniugato, in ordine di frequenza, al presente indicativo, all'imperativo e al futuro. Se il verbo reggente è al presente, si tratta generalmente di un modulo di chiusura, con cui il parlante riassume ciò che Dante ha appreso durante la conversazione (9); oppure di un segnale discorsivo con cui il parlante invita Dante a osservare una certa realtà o a richiamarla alla mente (10); oppure, ancora, questa tipologia ricorre, nei passi argomentativi, quando il parlante anticipa un dubbio o una domanda che potrebbe essere formulata dall'interlocutore (11). Si veda un esempio per ciascuna varietà:

(9)

Or sai nostri atti e di che fummo rei: (Pg XXVI 88)

(10)

Se tu riguardi Luni e Orbisaglia come sono ite, e come se ne vanno di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, (Pd XVI 73-75)

(11)

Tu vuo' saper di quai piante s'infiora questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia la bella donna ch'al ciel t'avvalora. (Pd X 91-93)

(23)

Se il predicato è al futuro, l'interrogativa indiretta esprime un fatto o un evento profetizzato a Dante:

(12)

Ma non cinquanta volte fia raccesa la faccia de la donna che qui regge, che tu saprai quanto quell' arte pesa. (If X 79-81)

Come si può notare dagli esempi riportati, questa seconda tipologia di interrogativa si comporta in modo analogo alla completiva oggettiva e spesso può dipendere da una scelta stilistica che la prima venga preferita alla seconda: nella terzina di Paradiso XVI appena citata, la scelta dell'interrogativa sembra volta a porre in evidenza l'avverbio interrogativo come, che sottolinea il contrasto tra la grandezza delle città nominate e la miseria della loro decadenza. Allo stesso modo, nell'ultimo passo riportato, la presenza di quanto e non di che, enfatizza la durezza della condizione di esule conosciuta dai sodali di Farinata e ben presto sperimentata anche da Dante.

(24)

4 L

E

FRASI

RELATIVE

4.1 P

REMESSA

La frase relativa è in assoluto la subordinata più frequente (con il 44% delle occorrenze sul totale) nella Commedia. All'interno della vasta fenomenologia dei costrutti relativi è opportuno fin da subito effettuare alcune macro-distinzioni: innanzitutto tra relative con antecedente e relative senza antecedente (o indipendenti). Nel primo tipo la frase relativa modifica un elemento nominale (detto "antecedente") presente nella sovraordinata in modo tale che «una posizione nominale interna alla frase relativa viene interpretata come identica al nominale modificato» (Cinque 2001: 457). Il secondo tipo è caratterizzato dall'apparente assenza dell'antecedente che è «'incorporato' dal pronome relativo stesso» (ivi: 458).

Un'ulteriore distinzione può essere effettuata, all'interno del tipo con antecedente, tra relative restrittive (o limitative) e relative non restrittive (il cui sottotipo principale è quello appositivo o esplicativo): il tipo restrittivo «è quello che serve a determinare l'antecedente, il quale risulterebbe altrimenti semanticamente incompiuto; il tipo appositivo è quello che fornisce una predicazione aggiuntiva, non necessaria alla compiutezza semantica dell'antecedente» (Agostini 1978: 403). Tale distinzione è assai rilevante sul piano logico-semantico: infatti le relative restrittive, in virtù del loro stretto legame con l'antecedente, rappresentano un tipo di subordinazione «forte», che «non compromette in alcun modo la struttura periodale, nel senso che ogni elemento nominale di una proposizione […] può essere sostituito con una perifrasi relativa, senza che ciò incida sulle possibilità di espansione di tale proposizione in altri sensi» (ivi: 404). Il modulo appositivo, invece, rappresenta un tipo di subordinazione debole, che sul piano logico si avvicina più all'apposizione o a una struttura coordinata, piuttosto che a un vero e proprio nesso di subordinazione. Mentre il tipo limitativo ha di norma «una funzione statica, che amplifica il discorso senza farlo avanzare» (ibidem), i tipi non restrittivi hanno un forte potenziale dinamico, vicino a quello della paratassi, che influenza la struttura dell'intero periodo.

(25)

La distinzione tra il tipo restrittivo e il tipo appositivo non è sempre scontata; per questo Gigli (2004: 69-72) esplicita minuziosamente i criteri con cui ha separato un tipo dall'altro. Riassumo qui brevemente i più significativi: 1) viene considerata appositiva la frase relativa che sia separata da un segnale di pausa dall'antecedente o che abbia come antecedente un referente unico in natura; 2) vengono considerate restrittive, a mio avviso molto opportunamente, anche alcune relative che hanno come antecedente un pronome personale deittico: infatti spesso in questi casi, come si avrà modo di commentare, la relativa contribuisce a determinare in modo univoco il referente della sovraordinata; 3) con motivazioni analoghe, viene considerata pressoché univocamente restrittiva la relativa che segue il pronome costui.

A livello formale, accanto alle relative sia appositive che restrittive esplicite (all'indicativo, al condizionale o al congiuntivo), vi sono nel poema anche alcune occorrenze di relativa implicita all'infinito (riscontrabile solo nel modulo restrittivo) e al gerundio.

Infine è opportuno distinguere dalle frasi relative vere e proprie, alcune costruzioni pseudo-relative che hanno delle caratteristiche semantiche e formali proprie, come la relativa scissa.

Su un totale di 4193 frasi relative nel poema, i vari tipi individuati dalla codifica di Sara Gigli hanno le seguenti percentuali di incidenza:

restrittiva: 56% non restrittiva: 27% indipendente: 13% implicita: 1% pseudo-relativa: 1%

4.2 F

RASI RELATIVE CON ANTECEDENTE

4.2.1 N

ON RESTRITTIVE

Il modulo appositivo, come si è già anticipato, ha una funzione dinamica rispetto a quello restrittivo, ed è capace di influenzare la struttura dell'intero periodo. Ciò avviene

(26)

in maniera più o meno marcata a seconda della posizione della relativa appositiva rispetto alla sovraordinata: se «si inserisce nel corpo stesso della sovraordinata (prima del predicato), essa si configura come una proposizione incidentale, una sorta di tassello accessorio rispetto alla predicazione principale, che però può essere di notevole estensione e comprendere al suo interno altre subordinate» (Agostini 1978: 404). La differenza tra questo tipo di relativa appositiva e il modulo restrittivo sta nel fatto che, mentre questo si colloca all'interno della predicazione principale, quella si colloca all'esterno, assumendo un valore circostanziale più o meno evidente. Si osservino ad esempio le due relative appositive che ricorrono in struttura anaforica nel discorso di Francesca da Polenta, che sono fondamentali per giustificare la predicazione principale e assumono dunque una sfumatura causale abbastanza netta:

(1)

Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. (If V 100-105)

Un'analoga pregnanza semantica si riscontra nelle seguenti relative appositive che esprimono entrambe, rafforzandolo, l'argomento fondamentale di un sillogismo:

(2)

Oh terreni animali! oh menti grosse! La prima volontà, ch'è da sé buona, da sé, ch'è sommo ben, mai non si mosse. Cotanto è giusto quanto a lei consuona: nullo creato bene a sé la tira,

ma essa, radïando, lui cagiona». (Pd XIX 85-90)

Si può dire dunque che questa tipologia di relativa, che instaura un legame apposizionale con l'antecedente, rientri, al pari della coordinazione, in quella serie di strategie giustappositive che lasciano impliciti i legami logici tra le proposizioni, semplificando e snellendo la struttura periodale.

Se le relative appositive compaiono prima del predicato reggente in circa 1/4 delle occorrenze, il modulo più diffuso è quello in cui la relativa si colloca dopo il predicato della sovraordinata, instaurando con l'antecedente una relazione «puramente

(27)

coordinativa»: la funzione di tale modulo « è senz'altro dinamica; esso orienta in un certo senso il discorso e lo porta avanti». All'interno di questo secondo sottotipo, sono particolarmente numerosi i costrutti marcati (3-5)1, nei quali la relativa non segue

immediatamente l'antecedente:

(3)

Colui che più siede alto e fa sembianti d'aver negletto ciò che far dovea, e che non move bocca a li altrui canti, Rodolfo imperador fu, che potea

sanar le piaghe c'hanno Italia morta,

sì che tardi per altri si ricrea. (Pg VII 91-96)

(4)

Ivi è Romena, là dov' io falsai la lega suggellata del Batista;

per ch'io il corpo sù arso lasciai.

(If XXX 73-75) (5)

Se disïassimo esser più superne, foran discordi li nostri disiri dal voler di colui che qui ne cerne;

che vedrai non capere in questi giri,

s'essere in carità è qui necesse, e se la sua natura ben rimiri. (Pd III 73-78)

Numerose sono le frasi in cui, come accade in (3), l'antecedente è dislocato a sinistra rispetto alla sua posizione normale: il costrutto più frequente è quello in cui il predicato della frase sovraordinata si interpone tra l'antecedente e il pronome relativo, con l'effetto di «dare più forte rilievo al soggetto con la collocazione in principio di frase» (Duro 1970: 943). I passi (4, 5) esemplificano invece due delle più tipiche realizzazioni della relativa giustapposta, in cui la relativa può trovarsi separata dall'antecedente nominale da una pausa forte o persino appartenere a una frase diversa da quella che lo contiene. In questi casi il che funziona come nesso relativo e spesso ha come antecedente l'intero enunciato che lo precede. Il fatto che questo costrutto sia perfettamente sostituibile «a un pronome dimostrativo o personale, preceduto o no da congiunzione coordinativa» (Serianni 1991: 317), fa sì che esso sia molto più affine alle strategie coesive della

1 Va precisato che il grado di marcatezza di questi costrutti è assai minore nell'italiano antico rispetto a quello contemporaneo: come dimostra Alisova (1967: 225-226), infatti, nell'italiano antico, come nella lingua popolare, la collocazione a contatto della relativa appositiva non è obbligatoria.

(28)

paratassi che non alla subordinazione vera e propria.

Dal punto di vista formale, il nesso relativo nettamente frequente per i casi retti è che, che si sostituisce a il/lo quale, pronome prevalentemente utilizzato per i casi retti del modulo appositivo nella prosa del Convivio (Agostini 1978: 407). Tale differenza è da connettere, a mio avviso, sia a una maggiore adattabilità di che al metro, sia alla ricerca di una maggiore aderenza all'uso parlato: osserva infatti Alisova (1967: 238-9) che l'uso di il/lo quale, sebbene attestato fin dai primissimi documenti in prosa, è essenzialmente legato al linguaggio giuridico e burocratico, in virtù della sua immediata riconducibilità a un preciso antecedente. Il che relativo, unito a preposizione, concorre con il/lo quale anche per i casi obliqui, per i quali tuttavia sono preponderanti cui e onde (con il significato di di cui, del quale). Da rilevare infine l'utilizzo di un relativo latino in un inserto interamente alloglotto («non decimas, quae sunt pauperum Dei», Pd XII 93).

Per quanto riguarda l'uso dei modi verbali, la grande maggioranza delle relative appositive è all'indicativo. Talvolta il congiuntivo è indotto da un contesto negativo o interrogativo:

(6)

Quai barbare fuor mai, quai saracine,

cui bisognasse, per farle ir coperte, o spiritali o altre discipline?

(Pg XXIII 103-105)

Altrove la presenza del congiuntivo conferisce alla relativa una sfumatura circostanziale, finale o consecutiva:

(7)

Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver, che discernesse

de la vera cittade almen la torre.

(Pg XVI 94-96)

Sfumature circostanziali sono assunte dalle relative appositive anche quando il predicato è all'indicativo: si riscontrano in particolare il valore causale, di cui si è già detto sopra, e quello comparativo, quando la relativa si dispone secondo lo schema ' come x che':

e El si chiamò poi: e ciò convene, ché l'uso d'i mortali è come fronda

(29)

in ramo, che sen va e altra vene. (Pd XXVI 136-138)

4.2.2 R

ESTRITTIVE

4.2.2.1 A

NTECEDENTI

La funzione caratteristica della frase relativa restrittiva, come si è anticipato, è quella di concorrere insieme all'antecedente a individuare univocamente il referente o i referenti del sintagma nominale costituito dall'antecedente e dalla frase relativa.

Più della metà degli antecedenti di relativa restrittiva nella Commedia è un sintagma nominale composto da un sostantivo non preceduto da articoli e modificatori, oppure un sostantivo preceduto da un articolo e/o da un quantificatore (aggettivi numerali e indefiniti), o da un aggettivo dimostrativo.

L'articolo che precede il sostantivo è sempre determinativo: per le proprietà della relativa restrittiva già esposte, infatti, il nesso sostantivo + relativa restrittiva tende a realizzare un sintagma nominale determinato, in cui cioè il referente è noto sia al parlante che all'ascoltatore (Renzi 2010b: 378-379). Tuttavia quando il sostantivo non è accompagnato né da articolo né da modificatori, in alcuni casi2 il sintagma nominale

assume alcune caratteristiche di indeterminatezza. Si osservino i seguenti esempi:

(1)

Veramente più volte appaion cose

che danno a dubitar falsa matera

per le vere ragion che son nascose. (Pg XXII 28-30)

(2)

Ma perché 'l tempo fugge che t'assonna, qui farem punto, come buon sartore

che com' elli ha del panno fa la gonna;

(Pd XXXII 139-141)

In realtà ciò che è indeterminato in questi passi è l'antecedente nominale, e non l'intero sintagma nominale, costituito dall'antecedente e dalla relativa, che non vuole identificare un preciso referente, ma una precisa classe di oggetti o persone: non a caso questo modulo è particolarmente utilizzato per i paragoni.

(30)

La particolare indefinitezza dell'antecedente privo di articolo fa sì che spesso la relativa sia al congiuntivo volitivo o dubitativo:

(3)

Ma se le mie parole esser dien seme

che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,

parlar e lagrimar vedrai insieme. (If XXXIII 7-9)

(4)

«Come!», diss' elli, e parte andavam forte: «se voi siete ombre che Dio sù non degni, chi v'ha per la sua scala tanto scorte?». (Pg XXI 19-21)

È interessante notare, tuttavia, che l'antecedente privo di articolo talvolta non porta con sé una sfumatura di indeterminatezza, ma, al contrario, sembra essere il risultato di un processo di antonomastico a cui il sostantivo viene sottoposto:

(5)

Poi cominciò: «Tu vuo' ch'io rinovelli

disperato dolor che 'l cor mi preme

già pur pensando, pria ch'io ne favelli. (If XXXIII 4-6)

(6)

Io fui de li agni de la santa greggia che Domenico mena per cammino

u' ben s'impingua se non si vaneggia.

(Pd X 94-96)

Per Ugolino, l'esperienza di prigionia nella Torre della Muda è il Dolore per antonomasia; per Tommaso, domenicano, la via indicata da san Domenico è il Cammino.

Dal punto di vista del significato, senza avere qui la pretesa di una classificazione semantica esaustiva degli antecedenti nominali, mi limiterò a effettuare qualche sommaria osservazione sulle categorie lessicali in cui essi si collocano. Tra i sostantivi che fanno da antecedente a una relativa restrittiva, i più frequenti nomi astratti fanno tutti riferimento all'ambito del desiderio (amore, disio, voglia, ardore) e a quello della giustezza morale (bene, valore); la maggior parte di questi termini è utilizzata per indicare Dio nelle numerose perifrasi con cui si allude a esso. Tra i sostantivi astratti che compaiono con una particolare frequenza vi sono anche delle determinazioni di tempo

(31)

(ora, tempo, etade); sono infatti numerose le relative restrittive che assumono un valore temporale:

(7)

Vero è che quale in contumacia more di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, star li convien da questa ripa in fore,

per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,

in sua presunzïon, se tal decreto

più corto per buon prieghi non diventa. (Pg III 136-141)

Tra i nomi concreti, i più frequenti indicano luoghi ed elementi naturali in ampie perifrasi che descrivono l'ambiente oltremondano o paesaggi terreni:

(8)

«La maggior valle in che l'acqua si spanda», incominciaro allor le sue parole,

«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, tra ' discordanti liti contra 'l sole

tanto sen va, che fa meridïano là dove l'orizzonte pria far suole. (Pd IX 82-87)

Talvolta una relativa restrittiva può seguire anche un nome proprio3, ponendo in

rilievo il procedimento di antonomasia al quale questo è stato sottoposto:

(9)

ché la Barbagia di Sardigna assai ne le femmine sue più è pudica che la Barbagia dov' io la lasciai. (Pg XXIII 94-96)

Con particolare frequenza nei dialoghi, la relativa restrittiva ha come antecedente un pronome dimostrativo o un sintagma costituito da aggettivo dimostrativo + sostantivo. I dimostrativi possono avere una funzione deittica anaforica/cataforica o una funzione deittica ostensiva: nel primo caso il dimostrativo richiama o anticipa un elemento descritto nel testo; pertanto il centro deittico è il testo stesso e non il contesto situazionale del racconto. Quando il dimostrativo ha funzione ostensiva, invece, l'entità a cui il deittico fa riferimento si colloca nel contesto extralinguistico: perciò il centro deittico sono le circostanze spazio-temporali in cui viene prodotto l'enunciato. In

3 Si noti che di solito ciò non è possibile, poiché un nome proprio dovrebbe già di per sé individuare un referente unico.

(32)

entrambi i casi la relativa restrittiva è una delle strategie con cui il parlante guida l'ascoltatore a individuare correttamente il referente dell'espressione deittica.4

La distinzione tra deissi ostensiva e deissi anaforica/cataforica è speculare a quella più generale, tra riferimento esoforico, per cui l'individuazione del referente è raggiunta «mediante il rinvio a informazioni che si trovano nel contesto extralinguistico» (Renzi-Vanelli 2001: 331), e riferimento endoforico in cui è il contesto linguistico a essere determinante per l'individuazione del referente. Rispetto alla nozione di "deissi ostensiva", quella di riferimento esoforico è più ampia, poiché include nel concetto di contesto extralinguistico non solo il contesto situazionale particolare in cui avviene l'atto comunicativo, ma anche l'insieme di conoscenze extralinguistiche generali condivise da parlante e ascoltatore.

Per classificare gli antecedenti dimostrativi di relativa restrittiva ci si servirà dunque di tre categorie: 1) riferimento endoforico, per la deissi anaforica/cataforica; 2) riferimento esoforico non contestuale e 3) riferimento esoforico contestuale, rispettivamente per i casi in cui l'individuazione del referente dipende o meno dal contesto dell'enunciazione.

La maggior parte dei moduli 'antecedente dimostrativo + relativa restrittiva' che riprende o anticipa un elemento già citato nel testo (riferimento endoforico), utilizza il pronome quello (o colui) o l'aggettivo quello, seguito dallo stesso elemento o da un sostantivo sinonimico rispetto ad esso. Si prendano in esame alcuni passi significativi:

4 Su questo punto mi trovo in disaccordo con Laura Vanelli che afferma che può essere seguita da relativa restrittiva solo l'indicazione deittica che rimandi a una conoscenza condivisa per l'individuazione corretta del referente (come ad esempio nella frase: Sei riuscito a parlare con quel

professore che non voleva farti dare l'esame?). Invece, sostiene ancora Vanelli, quando

l'individuazione del referente avviene mediante l'anafora o l'ostensione non sorgono ambiguità:

quindi l'individuazione del referente è automatica e la relativa che ha il deittico come antecedente non può essere che appositiva (cfr. Renzi-Vanelli 2001: 335). Sebbene questo sia vero in molti casi, tuttavia ritengo eccessivo escludere ogni tipo di ambiguità nella deissi ostensiva e in quella anaforica: infatti, l'ostensione può non essere sufficiente a identificare il referente, in quei contesti (particolarmente frequenti nel corpus in esame) in cui ci siano più referenti passibili di essere selezionati dal deittico. Ad esempio se, in un contesto un cui ci sono molti bambini che fanno merenda, il parlante dice all'interlocutore Guarda quel bambino, l'ostensione permetterà all'ascoltatore di ridurre l'insieme dei referenti, ma non di individuarne uno con sicurezza; dicendo

Guarda quel bambino che mangia il gelato si potrà individuare con esattezza il referente o per lo

meno ridurre ulteriormente la categoria dei possibili candidati. Anche per quanto riguarda la deissi anaforica possono sorgere delle ambiguità, ad esempio quando il pronome dimostrativo condividere genere e numero con più elementi nello stesso contesto linguistico. Credo che gli esempi proposti nel seguito di questo paragrafo saranno utili a confermare questa opinione.

Figura

Tabella 1: Subordinate argomentali nel poema: frequenza dei diversi tipi

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