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2. Analisi di esperienze esistenti di partecipazione ............. 53 1. Progettazione partecipata ...................................................... 9 INDICE

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(1)

1. Progettazione partecipata ... 9

1.1. Di cosa si tratta

...  9

1.2. Panorama normativo

...  13

1.2.1. La legislazione a livello nazionale ...  15

1.2.2. La legislazione a livello regionale in Toscana ...  16

1.2.3. La legislazione a livello comunale ...  18

1.2.3.1. Il prototipo di Regolamento comunale 1.2.3.2. Il Regolamento comunale di Pisa

1.3. Quando avviare un processo partecipativo

...  27

1.4. Gestione dei conflitti

...  30

1.4.1. Esplorazione dei punti di vista ...  31

1.4.2. Simulazione e giochi di ruolo ...  32

1.4.3. Conflict spectrum ...  32

1.4.4. Analisi multicriteri ...  33

1.4.5. Giuria di cittadini ...  34

1.5. Gli attori da coinvolgere

...  34

1.6. Esiti negativi o positivi di un processo partecipativo

...  36

1.7. Valutazione

...  37

1.8. Vantaggi e svantaggi

...  38

1.8.1. A favore dei processi partecipativi ...  38

1.8.2. A sfavore dei processi partecipativi ...  39

1.9. Metodi e tecniche

...  41

1.9.1. Tecniche per l’ascolto ...  42

1.9.2. Tecniche per l’interazione costruttiva ...  46

1.9.3. Tecniche per la gestione dei conflitti ...  50

1.9.4. Tecniche di e-democracy ...  51

2. Analisi di esperienze esistenti di partecipazione ... 53

2.1. La riqualificazione di Belpasso

...  53

2.1.1. Analisi del contesto territoriale ...  53

INDICE

(2)

2.1.2. Forme di promozione della partecipazione ...  54

2.1.3. Attori coinvolti ...  55

2.1.4. Le aree pedonali: risultati e problemi affrontati ...  55

2.1.5. La lotta all’abbandono dei rifiuti: risultati e problemi affrontati  56 2.1.6. Vivere gli spazi pubblici: l’orto urbano e l’infiorata ecologica  56 2.1.7. Conclusioni ...  59

2.2. IncontriAMOci in giardino a San Lazzaro di Savena

...  59

2.2.1. Analisi del contesto ...  59

2.2.2. Attori coinvolti ...  60

2.2.3. Forme di promozione della partecipazione ...  61

2.2.4. Tempi e fasi del processo ...  62

2.2.5. Risorse economiche ...  63

2.2.6. Risultati e problemi affrontati ...  64

2.2.7. Conclusioni ...  65

2.3. San Leonardo _ il parco che vorrei a Parma

...  66

2.3.1. Analisi del contesto ...  66

2.3.2. Forme di promozione della partecipazione ...  67

2.3.3. Attori coinvolti ...  68

2.3.4. Tempi e fasi del processo ...  69

2.3.5. Risultati possibili e problemi previsti ...  70

2.3.6. Conclusioni ...  71

2.4. Esperienze a confronto

...  72

2.4.1. Problemi riscontrati ...  73

2.4.2. Metodo di impostazione del lavoro ...  74

3. Progettazione di aree verdi per l’infanzia ... 75

3.1. La pianificazione strategica delle aree verdi

...  75

3.2. Il ruolo delle aree verdi per l’infanzia

...  77

3.3. Linee guida per la progettazione di aree verdi per l’infanzia

 79 3.3.1. Criteri di progettazione ...  79

(3)

4.1. Analisi del contesto

...  86

4.1.1. Inquadramento territoriale e brevi cenni all’evoluzione del tessu-to urbano ...  86

4.1.2. Analisi del tessuto viario ...  88

4.1.3. Analisi del sistema delle aree verdi ...  89

4.1.4. Analisi delle pertinenze scolastiche ...  91

4.1.5. Definizione del problema ...  94

4.2. Analisi dell’area di progetto

...  94

4.2.1. Inquadramento territoriale e catastale ...  94

4.2.2. Stato di fatto ...  95

4.2.3. Inquadramento urbanistico ...  97

4.2.4. Indagini sul terreno ...  97

4.2.4.1. Strumentazione e procedimento utilizzato 4.2.4.2. Lettura dei risultati e osservazioni

4.3. Individuazione degli stakeholder

...  102

4.4. Programma e durata del processo partecipativo

...  104

4.5. Informazione

...  105

4.5.1. Interviste ai proprietari delle aree ...  105

4.5.1.1. Direzione Infrastrutture, verde e arredo urbano e sport, Comu-ne di Pisa 4.5.1.2. Assessore ai Lavori Pubblici, Comune di Pisa 4.5.1.3. Prorettore per l’edilizia e il patrimonio, Università di Pisa 4.5.1.4. Direzione Edilizia e Telecomunicazione, Università di Pisa 4.5.1.5. Rettore, Università di Pisa 4.5.1.6. Sintesi 4.5.2. Interviste dirette agli stakeholder ...  112

4.5.2.1. Dirigenza Istituto comprensivo Vincenzo Galilei 4.5.2.2. Associazione Senzaquartiere 4.5.2.3. Associazione L’Alba 4.5.2.4. Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agroambientali 4.5.2.5. Consiglio Territoriale di Partecipazione 5 4.5.3. Incontri informali ...  116

(4)

4.6. Questionari

...  117

4.6.1. Distribuzione ...  118

4.6.2. Differenze tra versione cartacea e telematica ...  118

4.6.3. Ratio ...  119

4.6.4. Domande ...  119

4.6.5. Ricezione da parte della popolazione ...  120

4.6.6. Elaborazione dei risultati ...  122

4.6.7. Conclusioni ...  126

4.7. Incontro di ascolto

...  126 4.7.1. Pubblicizzazione ...  127 4.7.2. Materiale utilizzato ...  127 4.7.3. Report ...  128 4.7.4. Problemi affrontati ...  133 4.7.5. Argomenti discussi ...  133

4.7.6. Individuazione delle linee guida progettuali ...  135

4.8. Sviluppo del progetto

...  138

4.8.1. Area verde per l’infanzia ...  139

4.8.2. Area verde attrezzata ...  141

4.8.3. Mobilità ...  142

4.8.4. Giardino botanico ...  144

4.8.5. Asilo nido aziendale ...  145

4.8.6. Cortile della palestra ...  147

4.8.7. Arredi ...  147 4.8.8. Specie vegetali...  148

4.9. Incontro di confronto

...  149 4.9.1. Pubblicizzazione ...  150 4.9.2. Materiale utilizzato ...  150 4.9.3. Report ...  151 4.9.4. Problemi affrontati ...  152 4.9.5. Argomenti discussi ...  152

(5)

4.10. Redazione del progetto finale

...  156

4.10.1. Mobilità ...  157

4.10.2. Cortile della palestra ...  157

5. Valutazione del processo e conclusioni ... 159

5.1. Il valore aggiunto del coinvolgimento delle persone

...  159

5.2. Difficoltà nel coinvolgere le persone e possibili soluzioni

...  159

5.3. Accorgimenti protocollari

...  161

5.4. Semplificazione della rappresentazione grafica

...  162

5.5. Possibilità di finanziamento per la progettazione partecipata

 163

5.6. Possibili sviluppi successivi

...  163

Appendice ... 165

Bibliografia ... 171

Sitografia ... 175

Riferimenti normativi ... 176

Fonti immagini ... 177

Allegato A

Incontro di ascolto, 10 ottobre

Allegato B

Relazione illustrativa al rettore, 7 novembre

Elaborati grafici

Tavola 1 – Inquadramento territoriale Tavola 2 – Regolamento Urbanistico Tavola 3 – Stato di fatto

Tavola 4 – Sistema delle aree verdi

Tavola 5 – Sopralluogo dell’ambito progettuale Tavola 6 – Stakeholder e fasi del processo Tavola 7 – Tecniche per l’ascolto

Tavola 8 – Incontro di ascolto, 10 ottobre Tavola 9 – Incontro di confronto, 8 novembre Tavola 10 – Progetto

(6)
(7)
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1. Progettazione partecipata

1.1. Di cosa si tratta

Nell’articolo The value of codesign1, gli autori descrivono come i processi partecipativi di ogni disciplina diano la possibilità a progettisti e ricercatori di coinvolgere nello sviluppo di un progetto soggetti esterni al settore ma potenzialmente interessati all’esito del proce-dimento. La partecipazione può inserirsi in diverse fasi del progetto:

• durante la fase iniziale di analisi del contesto e definizione dei problemi, per identifi-care le possibili soluzioni;

• durante lo sviluppo del progetto, per valutare le proposte individuate; • quando il progetto viene realizzato, per testarne l’efficacia.

Restringendo la definizione a livello urbanistico, in A più voci, Luigi Bobbio2 descrive la progettazione partecipata come un processo decisionale inclusivo in cui la pubblica ammi-nistrazione, per le questioni che riguardano i beni d’interesse comune, invita altri soggetti portatori di interesse – gli stakeholder3 – a collaborare nell’analisi dei problemi, nell’elabo-razione di soluzioni e nelle scelte progettuali. Gli stakeholder possono essere altre ammi-nistrazioni, enti pubblici, soggetti privati, associazioni e comuni cittadini.

L’impostazione classica della pubblica amministrazione autoritaria, che compie le proprie decisioni a porte chiuse in quanto unica depositaria dell’interesse generale, viene messa in discussione nei processi partecipativi, all’interno dei quali l’amministrazione diventa un partner allo stesso livello degli altri attori coinvolti, al più con il ruolo catalizzatore di stimolare la partecipazione, l’iniziativa e la responsabilizzazione delle società civile. L’obiettivo del coinvolgimento di più soggetti è quello di decidere insieme la direzione in 1 Trischler Jakob, Pervan Simon J., Kelly Stephen J., Scott Don R., The value of codesign. The effect of customer

involvment in service design teams, SAGE Journals, 2017

2 Bobbio Luigi (a cura di), A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese, associazioni e cittadini nei processi

decisionali inclusivi, Roma, Edizioni scientifiche italiane, 2004

3 “Gli stakeholder sono coloro che hanno (hold) un interesse specifico sulla posta in gioco (stake), anche se non dispongono necessariamente di un potere formale di decisione o di un’esplicita competenza giuridi-ca” da Bobbio L., A più voci, (op. cit.)

Il fondamento di una buona repubblica, prima ancora delle buone leggi, è la virtù dei cittadini.

(10)

cui far andare il progetto: i cittadini non sono attori passivi che aspettano una soluzione calata dall’alto ai problemi della vita urbana, ma assumono un ruolo attivo nella ricerca di proposte alternative, prendendosi la responsabilità delle scelte compiute e verificando puntualmente i miglioramenti raggiunti.

Un processo partecipativo può essere sollecitato dall’alto, cioè dalla pubblica amministra-zione, oppure dal basso, da movimenti, associazioni, gruppi di cittadini: quest’ultimo caso è più raro, in quanto spesso mancano le risorse per promuoverlo, siano esse di tipo eco-nomico o umano, oppure non ci sono le adeguate competenze giuridiche per affrontare gli impedimenti burocratici e normativi4. All’estero, negli stati dove la partecipazione dei cittadini ha una storia più lunga di quella italiana e le pratiche sono ormai consolidate anche a livello normativo, sono più frequenti i casi di processi inclusivi promossi da istitu-zioni autonome, quali fondaistitu-zioni culturali, associaistitu-zioni, organizzaistitu-zioni no profit o centri di ricerca. Esistono poi anche casi in cui la partecipazione è attivata “dal mezzo”, ossia da operatori e tecnici che, lavorando sul campo a diretto contatto con la realtà urbana, si rendono conto che per risolvere le criticità riscontrate sarebbe efficace mettere a confronto tutti i soggetti interessati.

Il buon esito della progettazione partecipata dipende da vari fattori, di carattere organiz-zativo, politico, tecnico, culturale e relazionale. Per garantire la validità del procedimento occorre stabilire delle regole condivise da tutti i soggetti concorrenti: fin dall’inizio del processo devono essere definiti esplicitamente gli obiettivi, le modalità di lavoro, i compiti ed i limiti entro i quali lavorare. Perché le cose funzionino tutti gli attori coinvolti devono presentare impegno e apertura al dialogo, ed all’ente pubblico in particolare sono richieste disponibilità al lavoro intersettoriale, motivazione al cambiamento, flessibilità, capacità di recepire informazioni non tecniche e metodologie di lavoro nuove negli strumenti gestio-nali consolidati. Per poter lavorare nelle condizioni sopra descritte è necessario un sup-porto tecnico costante. Infine è fondamentale che l’amministrazione si assuma la respon-sabilità di rispettare quanto emerso dalla collaborazione dei cittadini, ponendo in essere 4 Il dibattito in merito alla partecipazione dei cittadini nella vita della pubblica amministrazione è, in Italia, piuttosto recente. Ma di questo parleremo in maniera più approfondita nel paragrafo dedicato al pano-rama normativo (§2.1). 

(11)

l’esito del processo partecipativo – comportarsi diversamente o non fare alcunché sarebbe disattendere le aspettative di chi è stato coinvolto, generando frustrazione nelle persone che hanno riposto tempo, energie e fiducia in un progetto che poi è caduto nel vuoto. Oltre a mantenere la promessa di attuare i risultati individuati, una volta attivato il percorso partecipativo, l’ente pubblico deve porre un garante all’interno dell’amministrazione che assicuri lo svolgimento regolare del processo, garantendone la prosecuzione a prescindere dalle oscillazioni politiche che potrebbero sempre verificarsi. La volontà politica è un in-grediente fondamentale della partecipazione.

Da quanto fin qui descritto, è chiaro come per mettere in atto un processo partecipativo occorrano adeguate risorse umane e finanziarie.

Durante lo svolgimento del processo partecipativo è necessaria la presenza di una o più figure che svolgano il ruolo di regia e coordinamento delle attività: costoro possono essere facilitatori, mediatori, esperti in partecipazione, accompagnatori, animatori sociali o terri-toriali, etc. I facilitatori sono specializzati nella gestione di piccoli gruppi e nel favorire l’in-terazione fra le persone; i mediatori si occupano della risoluzione dei conflitti ed aiutano le parti nel processo negoziale; gli animatori conducono indagini sociali, individuano e in-tervistano gli attori; gli esperti in partecipazione impostano e gestiscono il coinvolgimento dei cittadini. I registi del processo fin qui presentati sono professionisti che conoscono diverse modalità secondo cui si deve svolgere il procedimento, ma non devono conoscere necessariamente le specifiche materie trattate nel corso della vicenda. L’estraneità al con-testo del coordinatore può essere letta come elemento positivo poiché il coordinatore deve mostrare la massima neutralità nei confronti del processo partecipativo: un percorso in-clusivo funziona tanto meglio se i convenuti si sentono liberi di esprimere le proprie idee senza essere condotti per mano verso una specifica soluzione o, peggio, strumentalizzati. Per preparare i professionisti a gestire i processi decisionali inclusivi esistono master e cor-si che insegnano le tecniche di partecipazione, ascolto attivo, mediazione, gestione delle interazioni e dei conflitti.

Una componente importante nell’impostazione di un processo partecipato è l’attivazione di un piano di comunicazione dedicato, che riguardi l’informazione, la consultazione e

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la progettazione, in ogni fase del percorso: dall’avvio alla promozione, all’analisi ed alla definizione di piani e progetti, fino alla realizzazione e valutazione finale. Gli aspetti da considerare sono:

• pianificare una comunicazione continua, preventiva e integrata che possa tenere infor-mati i partecipanti lungo ogni fase del processo decisionale;

• mettere i dati a disposizione e corredarli con le fonti adeguate, così da dare credibilità e attendibilità alla comunicazione;

• superare un approccio monotematico con uno integrato e trasversale, che possa mo-strare la complessità dei temi interdisciplinari e intersettoriali, evidenziando i diversi aspetti ambientali, sociali ed economici;

• semplificare i messaggi tramite l’adozione di una pluralità di linguaggi, da adottare in modo pertinente a seconda del contesto e degli attori coinvolti;

• combinare l’utilizzo dei tradizionali strumenti di comunicazione monodirezionali con strumenti interattivi multimediali.

A questo deve corredarsi un monitoraggio costante delle percezioni, dei comportamenti e delle motivazioni, con una verifica periodica dell’efficacia degli strumenti utilizzati e delle azioni intraprese.

Nella fase iniziale, prima di coinvolgere gli attori sociali, occorre fare una valutazione pre-ventiva delle questioni da discutere in merito al piano o progetto pubblico da approvare, definendo:

• come l’intervento si inserisce nella programmazione dell’amministrazione pubblica; • il contesto urbano;

• gli obiettivi da perseguire;

• i fattori che possono limitare o favorire la partecipazione;

• le risorse economiche da stanziare per sostenere i costi del percorso inclusivo e, alla fine di quest’ultimo, per mettere in atto le proposte e le azioni concordate;

(13)

La definizione dei suddetti punti in maniera chiara serve a dare credibilità alla progetta-zione partecipata, la cui qualità dipende dalla fruibilità delle informazioni messe a dispo-sizione degli attori coinvolti.

Spesso gli stakeholder avanzano proposte ignari della reale fattibilità – che può essere messa in discussione dai costi, dalla normativa vigente, dai tempi, dai limiti tecnici – e si sentono traditi quando le loro aspettative vengono disattese: per questo è bene dichiarare quali siano le risorse disponibili fin dall’inizio, per far conoscere agli attori entro quali li-miti si possono muovere. Inoltre, nel caso in cui l’ente promotore decida di non accogliere le proposte, deve fornire ai partecipanti una motivazione argomentata e trasparente, cor-redata di informazioni e dati esaustivi: una comunicazione adeguata ed un dialogo costan-te permettono così di mancostan-tenere la fiducia nei confronti del percorso decisionale inclusivo. Una volta individuate le variabili in gioco, si possono andare a cercare i partecipanti in modo attivo, tramite outreach, ovvero l’incontro di “gruppi di interesse locale e singole persone, […] nel proprio ambiente e secondo i propri tempi, per discutere di varie questio-ni e ascoltare i loro suggerimenti”5.

Al termine della progettazione partecipata c’è il rischio che i tempi di attuazione di quanto concordato si dilatino eccessivamente: i ritardi potrebbero generare malcontento nei par-tecipanti che vedono disattese le aspettative e tradita la fiducia generatesi nel percorso de-cisionale inclusivo. Per evitare che ciò accada, già durante la fase di consultazione, l’ammi-nistrazione deve definire un programma di realizzazione degli interventi, suddividendolo in piani a breve, medio e lungo termine, possibilmente con una stima delle voci di costo.

1.2. Panorama normativo

Il coinvolgimento attivo dei cittadini nella vita della pubblica amministrazione e nella gestione dei beni comuni è un tema complesso, la cui importanza è riconosciuta dalla legislazione al punto da essere incentivato e regolamentato a diversi livelli governativi, dall’Unione Europea fino ai Comuni.

5 Sclavi Marianella (a cura di), Avventure urbane, Progettare la città con gli abitanti, Milano, Elèuthera, 2002 p. 226

(14)

Le scelte pubbliche, di natura legislativa, tecnologica o socioculturale, devono confron-tarsi con un panorama articolato di aspetti sociali, economici ed ambientali. Per adattare le forme di governo tradizionali alla gestione di questa complessità, dall’inizio degli anni ’90, l’Unione Europea ha redatto diversi documenti strategici sulle politiche di sviluppo sostenibile, affermando come per rendere le azioni delle istituzioni più efficaci e rilevanti siano necessari la partecipazione ed il contributo di tutti i portatori di interesse. Citiamo in particolare il Libro Bianco sulla governance europea6, che definisce cinque principi per ripensare le forme di esercizio del potere a livello europeo:

• apertura: comunicare, in maniera accessibile e comprensibile, le attività dell’ente pub-blico e in cosa consistono le decisioni da esso adottate;

• partecipazione: far interessare i cittadini all’elaborazione ed all’attuazione delle po-litiche, per aumentare la fiducia nel risultato finale e nelle istituzioni che emanano le politiche;

• responsabilità: definire i ruoli all’interno dei processi legislativi ed esecutivi, al fine di poter individuare i responsabili a diversi livelli nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche;

• efficacia: mettere in atto politiche efficaci e tempestive, che siano proporzionate agli obiettivi e affidate alle istituzioni adeguate e competenti;

• coerenza: definire una linea comune di politiche ed interventi, individuando i ruoli delle diverse istituzioni, per poter gestire in maniera coerente la complessità dei temi affrontati ai diversi livelli di governo del territorio.

L’importanza del coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali, come si può notare, è messa in evidenza dal fatto che la partecipazione sia il secondo fra i principi enunciati per rendere più efficaci le azioni di governo dell’UE e degli Stati membri.

In Italia la partecipazione è promossa a vari livelli, a partire dallo Stato, passando per le Regioni fino ai Comuni. A scala nazionale verrà esposto quanto sancito dalla Costituzio-6 European governance: a White Paper, 2001. Il documento definisce un insieme di regole, processi e compor-tamenti che riguardano l’esercizio del potere a livello europeo. La definizione di Libro bianco tratta dal sito dell’Unione europea, europa.eu, recita: “I Libri bianchi sono documenti che contengono proposte di azione comunitaria in un settore specifico […] [Essi] contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e costituiscono lo strumento per la loro realizzazione”.

(15)

ne mentre per i livelli inferiori di governo del territorio saranno analizzate la legge della regione Toscana e il regolamento del Comune di Pisa7. La scelta di trattare le disposizioni normative della Toscana e di Pisa è tale poiché l’oggetto di tesi ricade all’interno dell’area di competenza dei suddetti enti locali.

1.2.1. La legislazione a livello nazionale

Per recepire le direttive dell’Unione Europea in materia di governance, nell’art. 118 del Titolo V della Costituzione Italiana8 è stato introdotto il principio di sussidiarietà, verticale e orizzontale.

L’art. 118, co. 2, recita:

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie, e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Si parla in questo caso di sussidiarietà verticale. Le funzioni amministrative sono ripartite in senso discendente e la generalità dei compiti e delle funzioni cedute dallo Stato è con-ferita agli enti più vicini ai cittadini, ovvero ai Comuni e, in seconda battuta, agli altri enti locali compatibilmente con le loro possibilità operative.

L’art. 118, co. 4, segue così:

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei citta-dini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

Si tratta ivi di sussidiarietà orizzontale. Gli enti territoriali sono incentivati a coinvolgere nell’azione amministrativa i cittadini ed altri gruppi sociali interessati, a sostegno di un allargamento degli istituti di democrazia diretta.

Sebbene non esista una legge nazionale che interpreti il principio di sussidiarietà orizzon-tale, questo è trattato nel Codice degli Appalti, D.Lgs. 50/2016, art. 189:

7 Un’analisi integrale di come i vari enti locali abbiano recepito le disposizioni delle direttive europee e della Costituzione in materia di partecipazione sarebbe troppo ampia in questa sede, in quanto più pertinente ad un trattato di giurisprudenza che non ad una tesi in Ingegneria Edile-Architettura. Si rinvia dunque per approfondimenti a testi più specifici.

(16)

1. Le aree riservate al verde pubblico urbano e gli immobili di origine rurale, riservati alle atti-vità collettive sociali e culturali di quartiere, con esclusione degli immobili ad uso scolastico e sportivo, ceduti al comune nell’ambito delle convenzioni e delle norme previste negli strumenti urbanistici attuativi, comunque denominati, possono essere affidati in gestione, per quanto con-cerne la manutenzione, con diritto di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette convenzioni e su cui insistono i suddetti beni o aree, nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza e parità di trattamento. […]

2. Per la realizzazione di opere di interesse locale, gruppi di cittadini organizzati possono formula-re all’ente locale territoriale competente proposte operative di pronta formula-realizzabilità, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o delle clausole di salvaguardia degli strumenti urbanistici adottati, indicandone i costi ed i mezzi di finanziamento, senza oneri per l’ente medesimo. L’ente locale provvede sulla proposta, con il coinvolgimento, se necessario, di eventuali soggetti, enti ed uffici interessati, fornendo prescrizioni ed assistenza. Gli enti locali possono predisporre apposi-to regolamenapposi-to per disciplinare le attività ed i processi di cui al presente comma.

Il Codice afferma la possibilità di coinvolgere i cittadini nella realizzazione interventi di interesse pubblico e nella gestione di aree e servizi legati ad attività collettive e sociali, ma non specifica le modalità di attuazione del processo inclusivo. La disciplina della parteci-pazione è così delegata agli enti locali.

1.2.2. La legislazione a livello regionale in Toscana

La Toscana è stata la prima Regione italiana ad approvare una legge sulla partecipazione nel 20079, poi revisionata e trasposta nella legge regionale n. 46 del 2013, “Dibattito pubbli-co regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”10. L’obiettivo della legge è quello di applicare il principio di sussidiarietà, introdu-cendo nuove forme e modalità di partecipazione alla definizione delle politiche pubbliche da parte dei cittadini, per ricucire un rapporto di fiducia con le istituzioni che si va sempre di più sfaldando.

Regolamentare i percorsi partecipativi ai sensi di una legge serve a stimolare un confronto pubblico per individuare soluzioni comuni, entro tempi definiti e secondo procedure con-divise. La partecipazione non annulla le responsabilità della politica, ma è volta a miglio-rare la qualità e il livello di consenso delle decisioni, che spettano comnque alla istituzioni. La convinzione del legislatore è che l’operato della pubblica amministrazione debba e pos-9 Legge regionale n. 69 del 2007 “Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle

po-litiche regionali e locali”, abrogata a decorrere dal 31 marzo 2013, sostituita dalla l.r. 46/2013 10 Approvata dal Consiglio Regionale il 2 agosto 2013.

(17)

sa arricchirsi dal recepimento di conoscenze ed esperienze diffuse nella società. In sintesi, la l.r. 46/2013 è uno strumento per coinvolgere i cittadini nei percorsi decisionali, nella fase in cui diverse opzioni sono ancora possibili.

DEMOCRAZIA

PARTECIPATIVA

miglioramento delle capacità di costruzione, definizione ed elaborazione delle politiche pubbliche

"rinnovare la democrazia e le sue istituzioni [...] con pratiche, processi e strumenti di demo-crazia partecipativa", favorendo la "coesione sociale, attraverso la diffusione della cultura della partecipazione e la valorizzazione di tutte le forme di impegno civico, dei saperi e delle competenze diffuse nella società".

Diritto di partecipazione e obiettivi della legge, art. 1, l.r. 46/2013

promozione della partecipa-zione come forma ordinaria di amministrazione e di governo inclusione dei soggetti deboli e di interessi diffusi o scarsa-mente rappresentati

creazione e sviluppo di nuove forme di scambio e comunica-zione fra istituzioni e società

valorizzazione dei saperi dif-fusi e le competenze presenti nella società

uso di nuove tecnologie infor-matiche per migliorare la co-municazione con i cittadini

obiettivi

Con la l.r. 69/2007 è stata istituita l’Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione (di seguito APP), la cui disciplina è stata ripresa nella l.r. 46/2013, in cui sono state inserite alcune modifiche sulla base della valutazione che ha seguito la transi-zione fra le due leggi. L’APP è un organo collegiale, indipendente, composto da tre mem-bri designati dal Consiglio regionale, il cui mandato dura 5 anni. I suoi compiti, secondo l’art. 5 della l.r. 46/2013, sono i seguenti:

• attivazione del Dibattito Pubblico11, nei casi in cui è obbligatorio per legge o in cui una valutazione ne ha messo in evidenza la necessità;

• elaborazione degli orientamenti di gestione dei processi partecipativi;

• recepimento delle proposte dei progetti partecipativi locali, per la valutazione e l’even-tuale ammissione al sostegno regionale;

11 Il Dibattito Pubblico è definito al Capo II della l.r. 46/2013, come segue (art. 7): “processo di informazione,

confronto pubblico e partecipazione su opere, progetti o interventi che assumono una particolare rilevanza per la comunità regionale, in materia ambientale, territoriale, paesaggistica, sociale, culturale ed economica [...] si svolge, di norma, nelle fasi preliminari di elaborazione di un progetto, o di un’opera o di un intervento, quando tutte le diverse opzioni sono ancora possibili; esso può svolgersi anche in fasi successive ma comunque non oltre l’avvio della progettazione definitiva”. Negli articoli seguenti del Capo II sono descritte le condizioni in cui si può

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• definizione dei criteri e delle tipologie di attuazione delle forme di sostegno previste per i progetti partecipativi;

• deliberazione dei finanziamenti relativi a Dibattiti Pubblici e processi partecipativi lo-cali;

• diffusione della documentazione e della conoscenza sui progetti presentati e sulle esperienze svolte, anche per via telematica.

Le forme di sostegno regionale ai percorsi partecipativi possono essere sia di tipo finan-ziario che tecnico formativo. Le proposte possono essere formulate da cittadini, enti locali, imprese, scuole, università e centri di ricerca e devono essere presentate all’APP per la va-lutazione, che viene effettuata in gennaio, maggio e settembre, ovvero tre volte l’anno. Ad una prima classificazione, in base a criteri che variano in base al soggetto che ha avanzato la proposta, segue una analisi qualitativa di ogni singolo progetto.

La richiesta di sostegno, come definita dall’APP, è suddivisa in quattro sezioni, quali: • informazioni del soggetto richiedente, con individuazione dei responsabili legale e

operativo e indicazione se si tratta di enti singoli o associati, qualora il richiedente sia un soggetto pubblico;

• descrizione del progetto e delle metodologie che si vogliono mettere in atto, con indi-viduazione della scala, del luogo di intervento e degli obiettivi che si vogliono perse-guire;

• risultati attesi e strumenti di monitoraggio, fra cui sono obbligatori due questionari forniti dall’APP da distribuire all’inizio e alla fine del processo;

• analisi dei costi e delle risorse, con l’indicazione di quali altri finanziamenti pubblici sono disponibili e come verranno ripartite le diverse voci di spesa.

1.2.3. La legislazione a livello comunale

I processi decisionali inclusivi permettono di applicare il principio di sussidiarietà – e come abbiamo visto sono stati recepiti dalla legge regionale della Toscana, seguita poi da altre Regioni. Avere uno schema normativo entro il quale muoversi ed un supporto tecni-co finanziario ha permesso di moltiplicare le esperienze di partecipazione. Ma negli ultimi anni si è evoluta l’idea che la cittadinanza possa avere un ruolo ancor più attivo nella vita

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della pubblica amministrazione, attraverso la gestione dei beni comuni urbani. Questa forma di partecipazione però, in assenza di specifiche disposizioni legislative e regola-mentari, ha avuto sporadiche manifestazioni. Le amministrazioni si sono spesso opposte alle iniziative degli abitanti temendo un’assunzione di responsabilità derivante dal vuoto normativo in materia. La mancanza, a cui fonti più autoritarie del diritto tardavano a dare risposta, è stata infine colmata dagli enti territoriali minori, ma più vicini alla popolazione, a partire dal Regolamento del Comune di Bologna.

Nel 2005, infatti, a Bologna è stato fondato il Laboratorio per la sussidiarietà, per la pro-mozione dell’idea di cittadinanza attiva, responsabile e solidale (Labsus), allo scopo di promuovere le iniziative dei cittadini a partecipare attivamente alla vita civica, fornendo strumenti di facilitazione e creando una rete fra le esperienze di amministrazione condi-visa a livello nazionale. In circa dieci anni è stata formata una banca dati di oltre 500 casi di cittadini impegnati nella cura dei beni comuni materiali ed immateriali: l’indagine ha fatto emergere come in Italia esista la volontà della popolazione di collaborare con l’am-ministrazione. Accanto a questa disponibilità di capitale umano è stata però riscontrata difficoltà nell’impiegare detto capitale, in quanto gli amministratori locali spesso si sono opposti alle iniziative dei cittadini temendo l’assunzione di responsabilità derivanti dal principio di sussidiarietà, appellandosi al vuoto normativo in materia. Per ovviare al pro-blema, Labsus, in collaborazione con il Comune di Bologna, ha tradotto l’art. 118 della Co-stituzione in un Regolamento comunale, pubblicato il 22 febbraio 201412. Un regolamento comunale, a differenza di una legge, ha i vantaggi di presentare un iter di approvazione più breve, è adattabile da ogni comune a seconda del contesto territoriale e può essere facilmente modificato dopo essere entrato in vigore quando se ne constatino difetti o pro-blemi. Il Regolamento di Bologna è stato pubblicato online da Labsus dopo la sua appro-vazione così che gli altri Comuni potessero consultarlo ed usarlo come modello. Dopo una fase di sperimentazione, nell’aprile 2017 è stata pubblicato un prototipo dal testo minimale a disposizione di tutti e integrabile come ciascuno vuole secondo la propria realtà. Ad

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tobre 2017 vi sono 127 Comuni che hanno adottato il Regolamento e 69 che hanno avviato la procedura di approvazione del Regolamento13.

1. Comuni che hanno approvato il Regolamento per la gestione dei beni comuni, divisi per aree geografiche e per regioni

Come si vede nell’immagine sopra, la maggior parte dei Comuni che ha approvato il rego-lamento è situata nel centro Italia, con la Toscana come prima regione.

1.2.3.1. Il prototipo di Regolamento comunale

Dopo aver partecipato alla stesura del Regolamento comunale di Bologna, Labsus si è im-pegnato nella sua diffusione e conoscenza, per dare possibilità agli altri Comuni di adat-tarlo alle proprie esigenze.

Dal 2015 Labsus ha raccolto esperienze e osservazioni per migliorare il Regolamento di Bologna, sino a pubblicare un prototipo base il 10 aprile 2017. Difatti, il capoluogo emilia-no ha delle caratteristiche che emilia-non è detto esistaemilia-no nel resto dei Comuni italiani: da qui la necessità di avere un modello generale di riferimento, da poter facilmente declinare a se-conda delle diverse realtà amministrative. Inoltre, negli ultimi anni, sono state varate leggi regionali in materia di partecipazione e rigenerazione urbana, che hanno definito una cor-nice entro la quale è più semplice adattare un prototipo anziché un regolamento specifico. Il prototipo è costituito da 24 articoli organizzati in capi come segue:

Capo I – Disposizioni generali

Capo II - Disposizioni di carattere procedurale

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Capo III - Cura, rigenerazione e gestione condivisa di immobili e spazi pubblici Capo IV - Forme di sostegno

Capo V - Comunicazione, trasparenza e valutazione Capo VI - Responsabilità e vigilanza

Capo VII - Disposizioni finali e transitorie

Al Capo I sono espressi 11 principi in base ai quali deve essere perseguita la collaborazione tra cittadini e amministrazione, quali la fiducia reciproca, la pubblicità e trasparenza, l’in-clusività e apertura, la pari opportunità e contrasto delle discriminazioni, la sostenibilità, la proporzionalità, l’adeguatezza e la differenziazione, l’informalità, l’autonomia civica e la prossimità e territorialità. Questi servono perché gli interventi di cura, gestione condi-visa e rigenerazione dei beni comuni abbiano forma e dimensioni adeguate agli obiettivi ed alle risorse, che siano aperte al maggior numero di cittadini possibile, che stimolino il capitale umano ad emergere al massimo della sua potenzialità, nel rispetto delle procedu-re amministrative e delle pprocedu-rerogative pubbliche in materia di vigilanza, programmazione e verifica. I beni comuni urbani sono definiti, all’art. 2, co. 1, come:

i beni, materiali e immateriali, che i cittadini e l’amministrazione riconoscono essere funzionali al benessere della comunità e dei suoi membri, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona ed all’interesse delle generazioni future, attivandosi di conseguenza nei loro confronti ai sensi dell’ar-ticolo 118 comma 4 della Costituzione, per garantirne e migliorarne la fruizione individuale e col-lettiva.

Il regolamento definisce l’amministrazione condivisa come modello organizzativo che consente a cittadini ed amministrazione di svolgere su piano paritario attività di interesse generale, quali interventi di cura per la manutenzione, di rigenerazione per il recupero e di gestione condivisa per la fruizione collettiva dei beni comuni urbani. Le proposte di col-laborazione possono essere avanzate dai cittadini o sollecitate dall’amministrazione, ma in ogni caso non possono sostituire i servizi essenziali che il Comune deve garantire a norma di legge e secondo i regolamenti vigenti. L’atto attraverso il quale cittadini e amministra-zione concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzaamministra-zione degli interventi è il patto di collaborazione. All’art. 5, co. 3, sono definiti i contenuti del patto di collaborazione, ovvero:

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b) la durata della collaborazione, le cause di sospensione o di conclusione anticipata della stessa; c) le modalità di azione, il ruolo ed i reciproci impegni, anche economici, dei soggetti coinvolti, i requisiti ed i limiti di intervento;

d) gli strumenti volti a garantire la fruizione collettiva dei beni comuni urbani oggetto del patto; e) l’eventuale definizione, per lo specifico patto, di strumenti di governo e coordinamento (comunque denominati: cabina di regia, comitato di indirizzo, etc.) e partecipazione (forme di 7 coordinamento delle formazioni sociali attive sul territorio interessato, consultazioni, assemblee o altri processi strutturati di partecipazione ai processi decisionali);

f) le modalità di monitoraggio e valutazione del processo di attuazione del patto e dei suoi risultati; g) le misure di pubblicità del patto e le modalità di documentazione delle azioni realizzate, del mo-nitoraggio e della valutazione, della rendicontazione delle risorse utilizzate e della misurazione dei risultati prodotti dal patto;

h) l’eventuale affiancamento del personale comunale nei confronti dei cittadini attivi, la vigilanza sull’andamento della collaborazione, la gestione delle controversie che possano insorgere durante la collaborazione stessa e le sanzioni per l’inosservanza delle clausole del patto da parte di entrambi i contraenti;

i) le cause e le modalità di esclusione di singoli cittadini per inosservanza del presente regolamento o delle clausole del patto e gli assetti conseguenti alla conclusione della collaborazione;

l) le conseguenze di eventuali danni occorsi a persone o cose in occasione o a causa degli interventi di cura, gestione condivisa e rigenerazione, la necessità e le caratteristiche delle eventuali coperture assicurative, le misure utili ad eliminare o ridurre le interferenze con altre attività, nonché l’assun-zione di responsabilità secondo quanto previsto dagli articoli 18 e 19 del presente regolamento; j) le modalità per l’adeguamento e le modifiche degli interventi concordati.

Successivamente alle disposizioni generali sono specificate le procedure per attuare la par-tecipazione, i vincoli relativi alla cura, rigenerazione e gestione dei beni immobili, le forme di sostegno, le modalità di comunicazione per assicurare la trasparenza delle operazioni e le procedure di valutazione per monitorare l’andamento dei processi partecipativi, in particolare individuando per queste ultime:

• obiettivi, indirizzi e priorità di intervento; • azioni e servizi resi;

• risultati raggiunti;

• risorse disponibili ed utilizzate.

Per semplificare le relazioni con i cittadini, l’art. 6 definisce la necessità di individuare un’apposita unità organizzativa, l’Ufficio per l’amministrazione condivisa. Fra le sue man-sioni vi sono la raccolta e valutazione delle proposte dei cittadini, il monitoraggio delle

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fasi di formazione ed esecuzione dei patti di collaborazione, e il supporto agli altri uffici comunali nelle relazioni con i cittadini, nel reperimento dei fondi e nella stesura e siglatura dei patti di collaborazione.

Per quanto riguarda i rischi, il Comune promuove la formazione dei cittadini attivi sui rischi potenzialmente connessi con le attività di realizzazione dei patti di collaborazione mentre i cittadini si impegnano ad utilizzare i dispositivi di protezione individuale quando richiesto e ad agire con prudenza e diligenza, mettendo in atto tutte le misure necessarie a ridurre i rischi, prendendosi carico personalmente - o in capo all’associazione, se il patto è stipulato da questa - dei danni causati con colpa o dolo a persone o cose nello svolgimento delle proprie attività. L’amministrazione può favorire la copertura assicurativa dei cittadi-ni attivi incentivando convenziocittadi-ni quadro con gli operatori del settore.

Oltre alle disposizioni sulla sicurezza, il Comune promuove e organizza percorsi forma-tivi per diffondere la cultura della collaborazione, rivolti sia ai cittadini che ai propri di-pendenti. In particolare, all’art. 14, co. 2, viene espresso l’impegno dell’amministrazione a incentivare l’educazione alla cittadinanza attiva nelle scuole di ogni ordine e grado, attra-verso la sottoscrizione di patti di collaborazione fra genitori, studenti e istituzione scolasti-ca per la cura della scuola come bene comune.

A conclusione dell’analisi del prototipo di regolamento, è interessante notare come siano definiti “cittadini attivi” coloro che si attivano, per periodi di tempo anche limitati, per la cura, la rigenerazione e la gestione dei beni comuni urbani, a prescindere dai requisiti di residenza o cittadinanza. In tale concezione il cittadino afferma la propria appartenenza al territorio non per questioni anagrafiche ma attraverso l’esercizio del diritto di partecipa-zione all’interno della comunità.

1.2.3.2. Il Regolamento comunale di Pisa

Nel Comune di Pisa il coinvolgimento dei cittadini nelle attività della pubblica ammi-nistrazione è un argomento trattato a livello normativo già a partire dal 1998, con l’ap-provazione del Regolamento per l’esercizio del diritto di partecipazione, poi aggiornato

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a più riprese fino alla versione attuale del 201514. Il Regolamento disciplina le modalità di presentazione di proposte, istanze e petizioni all’amministrazione da parte dei cittadini e definisce le forme di consultazione popolare e i referendum cittadini, che possono essere consultivi, propositivi ed abrogativi. I protagonisti della mediazione tra amministrazione comunale e cittadini per l’esercizio del diritto di partecipazione sono state le circoscrizioni fino al 2007, quando sono state abolite dalla legge finanziaria15. Attualmente, le circoscri-zioni sono state sostituite dai Consigli Territoriali di Partecipazione (di seguito CTP)16, organismi di rappresentanza e coinvolgimento dei cittadini nelle attività della pubblica amministrazione. Le attività del CTP non comportano oneri finanziari per il Comune ed ai Consiglieri, citando l’art. 25, co. 2, dello Statuto comunale “non spetta alcuna indennità o gettone di presenza, nemmeno sotto la forma di rimborso spese”. Il Comune di Pisa è diviso in sei CTP (fig. 2): ciascuno rappresenta le esigenze degli abitanti nel proprio ambito territoriale e svolge attività di partecipazione e consultazione popolare.

CTP 1 - Marina di Pisa, Tirrenia, Calambrone

CTP 2 - CEP, Barbaricina, Porta a Mare, S. Rossore, S. Piero, La Vettola

CTP 3 - Putignano, Riglione, Oratoio, Coltano, Le Rene, Ospedaletto, S. Ermete CTP 4 - S. Giusto, S. Marco, Porta Fiorentina, S. Martino, S. Antonio, La Cella CTP 5 - Cisanello, S. Biagio, Porta a Piagge, Don Bosco, Pratale

CTP 6 - Porta a Lucca, I Passi, Gagno, Porta Nuova, S. Francesco, S. Maria 2. Delimitazione dei CTP sul territorio comunale

1 2 4 3 5 6

Fra le varie esperienze di partecipazione poste in essere nel Comune di Pisa, quella di di-mensioni più ampie, che è opportuno citare, è il percorso decisionale inclusivo volto alla progettazione del Parco Urbano di Cisanello, che si è svolto dal 2014 al 2015. Intitolato “Un parco grande come una città”, esso ha ricevuto un finanziamento dalla Regione ai sensi 14 Approvato con Delibera del Consiglio Comunale n. 107/1998, ultima modifica con Delibera del Consiglio

Comunale n. 3/2015

15 L’articolo. 2, comma 29, legge n. 244 del 24 dicembre 2007, ha imposto 100.000 abitanti come popolazione minima che deve avere un Comune per potersi dotare di circoscrizioni, e 30.000 abitanti come dimensio-ne minima delle singole circoscrizioni. Il Comudimensio-ne di Pisa, al 31 dicembre 2007, contava 87.461 abitanti e, al 31 dicembre 2016, 90.488 (dati ISTAT).

16 I CTP sono stati definiti a seguito di una consultazione dei cittadini tramite il progetto PisaPartecipa. Sono stati recepiti a livello normativo dalla Delibera del Consiglio Comunale n. 8/2012 e sono disciplinati dagli artt. 24-29 dello Statuto comunale.

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della l.r. 46/2013. Il processo è stato seguito dal Dipartimento di Scienze politiche dell’U-niversità di Pisa ed ha coinvolto i CTP, i cittadini, amministratori, associazioni e gruppi di quartiere attivi sul territorio in due fasi: una di apertura per raccolta di informazioni, idee e proposte, e una di progettazione. Attualmente l’amministrazione comunale ha stanziato i fondi per la pulizia preliminare dell’area ma non è ancora previsto l’incarico di redazione di un progetto definitivo sulla base delle indicazioni emerse nella progettazione parteci-pata.

Data la sensibilità della popolazione alla partecipazione, oltre ad applicare la l.r. 46/2013, il Comune ha ritenuto opportuno ampliare gli strumenti per coinvolgere gli abitanti nel-la vita delnel-la pubblica amministrazione prendendo come modello l’esperienza avviata a Bologna. Con deliberazione del Consiglio Comunale n. 36 del 14 settembre 2017 è stato approvato il “Regolamento sulla collaborazione tra le cittadine e i cittadini attivi e ammini-strazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani di Pisa”. Il testo si discosta di poco dal prototipo di Labsus e se ne mettono in evidenza solo le differenze significative. Il regolamento è costituito da 30 articoli, suddivisi in otto capi - sette uguali a quelli del prototipo, più un capo apposito dedicato alla formazione.

Il Regolamento di Pisa, all’art. 6, dispone che gli immobili che possono essere oggetto dei patti di collaborazione siano individuati periodicamente dalla Giunta comunale, secondo l’esito di processi partecipativi, sentiti i CTP e la Commissione consiliare permanente, a differenza del prototipo che non specifica quali beni possono essere soggetti a cura, rige-nerazione o gestione condivisa.

Un’ulteriore integrazione al prototipo è la seguente. All’art. 24, per semplificare gli iter relativi a ipotesi di collaborazione tipiche che si verificano con maggior frequenza, quali per esempio interventi di cura occasionale e manutentiva dei beni immobili, al posto dei patti di collaborazione sono previsti i moduli di collaborazione, atti in cui sono predefiniti i presupposti, le condizioni e l’iter istruttorio per la loro attivazione. Definire uno strumen-to dalla procedura abbreviata permette inoltre di poterlo rapidamente attivare in caso di necessità o emergenza.

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Nel testo sono espressamente indicati due indirizzi del Comune, non specificati dal pro-totipo, di promozione della creatività urbana e dell’innovazione sociale e dei servizi colla-borativi. Con il primo indirizzo, all’art. 9, l’amministrazione riconosce il ruolo delle arti e della sperimentazione artistica come strumento fondamentale per la riqualificazione delle aree urbane o dei singoli beni, prevedendo di individuare periodicamente gli spazi da destinare a tale attività con delibera della Giunta comunale. Il secondo indirizzo, all’art. 8, è volto a stimolare la coesione sociale, per integrare l’offerta dei servizi pubblici e rispon-dere a nuove esigenze tramite l’incentivo alla nascita di cooperative, imprese e startup a vocazione sociale, ed il coinvolgimento dell’utente finale di un servizio nel suo processo di progettazione, infrastrutturazione ed erogazione.

Oltre a individuare con l’art. 10, co. 2, l’Ufficio competente per l’istruttoria, la valutazione e la gestione delle proposte di collaborazione, quale unico interlocutore per il proponente nel rapporto con l’ente, il Comune di Pisa riconosce, all’art. 23, co. 3, i CTP come luogo naturale per instaurare e far crescere il rapporto di collaborazione dei cittadini attivi, at-traverso anche l’utilizzo della rete civica17. All’interno del testo sono presenti più richiami al ruolo di intermediario principale che il CTP svolge fra amministrazione e cittadinanza. Per quanto concerne la formazione, anche il Comune di Pisa promuove con l’art. 17 il coin-volgimento delle scuole di ogni ordine e grado per la diffusione ed il radicamento delle pratiche di collaborazione nella cura e rigenerazione dei beni comuni, tramite la parteci-pazione degli studenti e delle famiglie, a cui si aggiunge l’Università quale specifica realtà territoriale. Come integrazione al prototipo viene specificato che la collaborazione svolta dagli studenti può essere considerata come attività curricolare di tirocinio o di alternanza scuola-lavoro, mentre viene omesso il riferimento alla cura della scuola come bene comu-ne.

Sebbene il Regolamento sia stato approvato e pubblicato dal Comune a fine settembre 2017, esso non è ancora entrato in vigore per tre motivi: primo, poiché è richiesto un pare-re da parte dei Consigli Territoriali di Partecipazione, a seguito del quale il Regolamento 17 Stando all’art. 2, co. 1, del Regolamento, la rete civica è “lo spazio di cittadinanza su internet per la

pubblica-zione di informazioni e notizie istituzionali, la fruipubblica-zione di servizi online e la partecipapubblica-zione a percorsi interattivi di condivisione”.

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potrà essere eventualmente modificato, secondo, poiché deve essere costituito l’apposito Ufficio competente per l’istruttoria, la valutazione e la gestione delle proposte di colla-borazione, attualmente non esistente, che si occupi di stipulare i patti di collaborazione e regolare i contenziosi e terzo, perché occorre attendere che la Giunta individui dei beni comuni idonei alla cura, rigenerazione e gestione condivisa e ne discuta con i CTP e con la Commissione consiliare permanente. Si tratta perciò di aspettare ancora prima di poter utilizzare il Regolamento come strumento utile.

1.3. Quando avviare un processo partecipativo

Decidere in pochi è più semplice che decidere in molti. Esistono però situazioni in cui può essere difficile prendere una decisione o, se si giunge comunque a delle scelte, queste rimarranno inapplicate se non al costo di enormi sforzi e difficoltà. Ciò si verifica quando esistono conflitti, reali o potenziali, con gruppi che si oppongono alle scelte pubbliche, oppure quando, per carenza di competenze e risorse, è necessaria la cooperazione di altri per giungere ad una decisione o per metterla in atto. In entrambi i casi si può prendere in considerazione l’ipotesi di avviare un percorso decisionale inclusivo.

Per quanto riguarda l’insorgere di conflitti, è difficile che le scelte pubbliche non scon-tentino qualche individuo o qualche gruppo: l’inclusione degli oppositori nel processo decisionale può essere una strategia per attenuare i contrasti, sebbene non sia l’unica stra-da possibile. La sindrome NIMBY – Not in my backyard, non nel cortile di casa mia – è un fenomeno alquanto diffuso, il cui acronimo è stato coniato per identificare la mobilitazione delle comunità locali o microlocali contro progetti di interesse generale percepiti come una minaccia per i propri interessi o la propria identità. Quando l’atto amministrativo rischia di generare effetti negativi su uno specifico gruppo sociale, si può pensare di promuovere un processo inclusivo, così da dare alla comunità colpita la possibilità di esprimere il pro-prio punto di vista sulla questione che li riguarda. A livello internazionale esistono nume-rosi studi che propongono di superare la sindrome NIMBY attraverso processi decisionali inclusivi, adducendo esempi in cui la progettazione partecipata ha avuto successo. Bruce Clary, in NIMBY or citizen participation?18 spiega come la localizzazione di un impianto

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di raccolta rifiuti a bassa radioattività nel Maine (USA) sia stata individuata attraverso una consultazione dei cittadini ed una continua comunicazione con progettisti e ingegneri, attraverso assemblee pubbliche, sondaggi e analisi dei dati con supporto da parte dei tec-nici. Anche se alla fine non è stato raggiunto un accordo completo fra le parti, il processo si è sviluppato evitando aspri conflitti che avrebbero potuto impedirne il regolare svolgi-mento e l’impianto è stato infine realizzato senza aperta opposizione. Michel Rey19 riporta un’esperienza simile, nel Canton Vaud (CH), dove il sito per una discarica di rifiuti peri-colosi è stato individuato e accettato in seguito ad un lavoro di analisi che ha coinvolto le comunità interessate. Anche in Italia la progettazione partecipata si è, a volte, rivelata uno strumento di risoluzione dei conflitti: per citarne uno, Marianella Sclavi20 racconta come a Nichelino (TO), gli abitanti, inizialmente ostili ad un Piano di Edilizia Economica Popola-re, hanno superato il conflitto dopo essere stati coinvolti attivamente nella progettazione delle aree verdi e dei servizi previsti dal piano.

Nei casi in cui abbiamo bisogno della cooperazione di altri soggetti per definire una scelta o per poterla mettere in atto, la progettazione partecipata permette di coinvolgere gli attori in possesso di competenze o risorse necessarie al buon esito del percorso decisionale. Un primo caso frequente è la mancanza di risorse legali, poiché la legge affida a diverse istituzioni pubbliche le competenze giuridiche pertinenti ad un certo intervento: per que-sto esique-stono conferenze di servizi e accordi di programma, definiti a norma di legge. La carenza di risorse finanziarie è un secondo problema che viene affrontato tramite patti territoriali e altre forme di politiche concertate per lo sviluppo locale: interessati e finan-ziatori concordano insieme gli assi d’intervento, unendo finanziamenti pubblici e privati per un obiettivo comune.

Il terzo caso è la difficoltà nel reperire informazioni per definire un quadro conoscitivo delle circostanze in cui operare: le amministrazioni si affidano ad esperti e tecnici che com-piono rilevazioni, raccolgono ed elaborano dati, ma esistono aspetti della vita urbana che possono essere colti meglio dagli abitanti, quali ad esempio la percezione della sicurezza

19 Rey Mike, Pour une gestion stratégique du processus de décision en aménagement du territoire et en

evironne-ment, Losanna, C.E.A.T., 1994

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e del traffico, le modalità e le entità di utilizzo degli spazi pubblici, la necessità di inserire determinate funzioni piuttosto che altre.

A fronte di tanti risultati positivi, esistono anche casi in cui l’inclusione non risolve il pro-blema, poiché le comunità locali possono avere ottime ragioni per non sobbarcarsi servitù a vantaggio dell’intera collettività, oppure perché in un momento storico in cui le risorse a disposizione sono limitate, investirle in un intervento significa escluderne altri, sconten-tando comunque sempre qualcuno. Le scelte pubbliche per loro natura influenzano la vita di molti e necessariamente ne consegue un’affezione della società: la progettazione parteci-pata può essere risolutiva, ma non è una panacea per tutti i mali ed alle volte non si arriva comunque mai ad un accordo.

I processi decisionali si sviluppano attraverso più fasi successive: quando decidiamo di avviare un progetto partecipativo, occorre studiare in quale stadio del procedimento è più opportuno inserirlo. L’apertura alla collaborazione può essere fatta il prima possibile oppure si può attendere di avere in mano tutti gli elementi necessari, dunque il più tardi possibile. Le pubbliche amministrazioni tendono a seguire la seconda strada: poiché si sentono responsabili nei confronti dei cittadini, preferiscono sottoporre le proprie scelte al dibattito pubblico una volta che esse sono definite in modo chiaro. Ma più la progetta-zione è andata avanti, meno è semplice correggerla: ad ogni stadio del lavoro sono state già esaminate e scartate possibili alternative, e tornare indietro risulta molto oneroso se non impossibile. Presentare un progetto compiuto agli interlocutori vuol dire metterli di fronte ad una sola scelta: chi non è favorevole o ha dei dubbi, sarà indotto a osteggiare l’unica proposta offerta ed a deresponsabilizzarsi dal cercare una soluzione progettuale condivisa. L’atteggiamento della pubblica amministrazione che decide tutto a porte chiuse e solo una volta consolidati i propri piani li espone al pubblico, preparandosi a difendere le scelte effettuate non transigendo sulla possibilità di migliorarle è una prassi comune al punto da essere codificata in gergo come atteggiamento DAD – Decisione Annuncio Di-fesa. Tale procedura mette in discussione i presupposti della partecipazione, in cui l’opi-nione dei convenuti deve poter contribuire direttamente a dar forma alle idee, ai piani, ai progetti. Per ovviare ai problemi di cui sopra, è preferibile avviare un processo decisionale inclusivo il prima possibile. Quando nelle fasi iniziali le strade sono ancora tutte aperte,

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viene lasciato spazio alla creatività ed a soluzioni inaspettate: questo è possibile quando gli interlocutori possono riflettere direttamente sui problemi ed esprimere le proprie idee anziché sentirsi costretti a giudicare rigide decisioni preconfezionate.

1.4. Gestione dei conflitti

Se il conflitto fosse la soluzione ai miei problemi, io sarei sempre in conflitto.

CapaRezza Nei processi decisionali più persone si scambiano idee e vengono messi in campo interes-si diverinteres-si, per cui è frequente che nascano conflitti da opinioni contrastanti. Con un’imma-gine evocativa proposta in Simulazione di un processo partecipativo attraverso la gestione dei

conflitti21, chi è impegnato in un conflitto è come se piantasse profondi paletti delle proprie

inamovibili convinzioni sul terreno del confronto posizionale, con l’intenzione di difen-derli a oltranza. La contrapposizione che ne consegue è un gioco a somma zero, in cui uno vince e l’altro perde. Per risolvere le contese occorre trasformarle in modo che il gioco di-venti a somma positiva, in cui ogni partecipante ottiene qualcosa e si riconosce nel risulta-to raggiunrisulta-to. Si possono intraprendere due vie: la negoziazione, ove le parti cercano un accordo adeguando le proprie pretese a quelle della controparte, scambiandosi qualcosa, e la discussione, in cui le parti cercano di raggiungere un punto di vista comune, chiaren-do e modificanchiaren-do le proprie posizioni in base al dialogo.

Non è detto però che cambiando le variabili del gioco si giunga a dirimere la questione. Sono fondamentali l’apertura dei soggetti coinvolti e la facilitazione del mediatore che, senza sovrapporsi, assicuri la comunicazione fra le parti e trasformi le fasi più conflittuali in occasioni di confronto e crescita comunicativa, ma al termine del percorso gli attori po-trebbero non non arrivare ad un punto di vista comune, ed il procedimento può fallire in tutto o in parte, conducendo a risultati parziali o instabili.

Delle distinte tecniche che si possono utilizzare per gestire i conflitti, ne riportiamo di se-guito quattro.

21 Patti Ylenia e Biagiotti Luca, Simulazione di un processo partecipativo attraverso la gestione dei conflitti in San-tini L. (a cura di), Partecipazione nei processi decisionali e di governo del territorio, Pisa, Pisa University Press, 2011, pp. 261-265

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1.4.1. Esplorazione dei punti di vista

Immaginiamo un contesto classico di conflitto, in cui ciascuno degli attori coinvolti è im-pegnato a mantenere e consolidare la propria visione dei fatti. Per sciogliere la situazione occorre introdurre un meccanismo di rottura quale lo spostamento del punto di vista. Una delle parti sospende temporaneamente i propri schemi mentali preconcetti, divenendo capace di esplorare attivamente il punto di vista dell’altra. Ponendosi dalla parte dell’av-versario, cercando di capire cosa provi e domandandogli di essere aiutata a capire, perché non gli interessa difendere la propria posizione ma vuole comprendere perché l’altro abbia un punto di vista diverso dal proprio, genera uno spiazzamento nell’interlocutore. Segue di conseguenza un abbassamento della tensione, in cui il problema viene separato dalle persone, e le parti ascoltandosi cercano di individuare gli interessi che le hanno portate a sostenere le reciproche posizioni. Quel che si genera è un atteggiamento in cui invece di combattere l’una contro l’altra, le persone affrontano insieme il problema: le parti possono collaborare nella ricerca di una soluzione che rispetti gli interessi emersi, portando van-taggio ad entrambe.

In sintesi, passando da una visione unilaterale ad una condivisa ed inclusiva delle diffe-renze che appartengono al mondo dell’altro, si possono attenuare i conflitti, instaurando un dialogo cooperativo che conduca ad un gioco con doppio vincitore.

Per esplorare il punto di vista dell’altro, Patti e Biagiotti22 suggeriscono di utilizzare la “Tabella delle fonti del conflitto”, con la quale far emergere la differenza che c’è fra come una parte immagina i diversi aspetti del vissuto conflittuale del suo avversario e come lui invece li descriva e viceversa, per mettere in evidenza quanto di solito sia lontano il modo in cui una controparte venga percepita rispetto al suo reale vissuto. Il nodo fondamentale della questione è riflettere sui pregiudizi e sull’importanza di verificare come l’altro stia effettivamente vivendo una data situazione, specialmente quando essa è conflittuale. Gli autori aggiungono che è possibile che l’esplorazione di punti di vista lontani dalle nostre convinzioni possa generare rifiuto, reazioni istintive di chiusura e di attacco aggressivo. Per scongiurare questo rischio e mantenere un atteggiamento di apertura verso la con-22 Patti Ylenia e Biagiotti Luca, Simulazione ..., (op. cit.)

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troparte, è necessaria l’Autoconsapevolezza emotiva. Essa consiste nel sorridere interna-mente delle nostre reazioni, riconoscendo che sono solo pregiudizi che scattano perché ci stiamo confrontando con convinzioni diverse da quelle a cui siamo abituati.

È opportuno sottolineare come l’esplorazione del punto di vista altrui non significa cam-biare le nostre posizioni adattandole a quelle della controparte, ma aprire un dialogo fra differenze, rispettandole e mantenendone le specificità, per consentire la ricerca di solu-zioni che, in un atteggiamento di contrasto, non potevano essere immaginabili.

1.4.2. Simulazione e giochi di ruolo

La simulazione ed i giochi di ruolo sono attività che stimolano le persone a essere più consapevoli dei punti di vista, degli interessi e delle aspirazioni degli altri. Attraverso l’immedesimazione e la messa in scena, ai partecipanti vengono assegnati degli obiettivi da perseguire, in base ad interessi che possono essere messi in discussione: il gioco per-mette di interrogarsi e riflettere sulle dinamiche che innescano i conflitti e sulle strade che si possono intraprenderle per risolverli. Gli attori coinvolti devono essere aperti a mettersi nei panni dei personaggi assegnati nel rispetto delle regole del gioco, uscendo dai ruoli quotidiani, e questo li aiuta a cambiare prospettiva – anche se non tutti ne sono in grado.

1.4.3. Conflict spectrum

Elaborato dal Berghof center di Berlino23, il conflict spectrum è un metodo per comprende-re il senso delle posizioni assunte dagli altri. Si tratta di uno strumento per trattacomprende-re i conflit-ti nel loro stadio iniziale e che consente di avere un’idea precisa sul numero di persone che condividono o meno le stesse opinioni. Si considerano due capi di una linea: a un estremo dovrà andare chi è fermamente convinto di una certa posizione e all’estremo opposto chi è completamente contrario. Chi non ha un’opinione netta può assumere posizioni interme-die. Una volta che le persone si sono collocate lungo la linea, a ciascuna – o ad ogni gruppo di persone vicine fra loro, se c’è un gran numero di partecipanti – verrà chiesto di spiegare le motivazioni per cui ha scelto di assumere quella determinata posizione. Motivare la 23 Kraybill Ron, Facilitation Skills for Interpersonal Transformation, in Berghof Handbook for conflict

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propria posizione spinge ad un atteggiamento meno aggressivo rispetto a voler provare che gli oppositori hanno torto. Ascoltando gli altri è anche possibile che qualcuno cambi idea e si collochi in posizione diversa lungo lo spettro. La limitazione di questo processo è data dal fatto che i partecipanti devono esprimere pubblicamente il proprio punto di vista e dunque il conflict spectrum non può essere utilizzato vi sono persone che non si sentono libere di manifestare apertamente la propria posizione.

1.4.4. Analisi multicriteri

L’analisi multicriteri24 è un metodo per ordinare secondo dei criteri le alternative possibili, quando i partecipanti hanno opinioni conflittuali rispetto ad esse e non riescono ad optare per una scelta condivisa. Si tratta di spostare la discussione dalle soluzioni, che generano opinioni contrastanti, agli aspetti da prendere in considerazione per decidere quale solu-zione sia preferibile.

L’analisi si articola in tappe che diano a tutti la possibilità di esprimersi. Con una discus-sione iniziale vengono definiti i criteri, individuando gli aspetti rilevanti per la valutazione delle alternative e traducendoli in parametri misurabili, dopodiché si assegna un peso a ciascun criterio e si analizzano le soluzioni, assegnando ad esse il relativo punteggio e stilando una graduatoria.

Con questo metodo si arriva ad una scelta senza doversi accordare direttamente sull’al-ternativa preferibile – cosa che in caso di opinioni contrastanti non sarebbe possibile. La soluzione indicata come migliore dall’analisi multicriteri sarà legittimata in quanto i criteri per poterla individuare sono stati concordati in fase preliminare dai partecipanti.

L’analisi multicriteri viene utilizzata spesso dalle amministrazioni per valutare diverse proposte e strategie di intervento: nelle percorsi decisionali inclusivi la differenza princi-pale è che i criteri non sono predefiniti ma vengono stabiliti dai partecipanti a seconda dei casi da affrontare.

24 Le descrizioni dell’analisi multicriteri e della giuria di cittadini al paragrafo successivo sono tratte da Bobbio Luigi (a cura di), A più voci, (op. cit.), pp. 113-116

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1.4.5. Giuria di cittadini

La giuria di cittadini è una possibilità alternativa di gestione dei conflitti che non agisce sul punto di vista dei partecipanti, come nei metodi precedentemente illustrati, ma cambia la prospettiva dalla quale viene osservato il problema sottoponendolo all’esame di un grup-po di comuni cittadini estratti a sorte. I membri vengono prelevati da liste in cui vengono inseriti i cittadini che diano la propria disponibilità e sono selezionati in modo tale da risultare un campione rappresentativo rispetto alla popolazione interessata dal progetto partecipativo.

La giuria di cittadini, in un periodo di tempo predeterminato, ha il compito di ascoltare le testimonianze di esperti e dei rappresentanti dei punti di opinioni contrapposte, facendo loro domande per meglio interpretare la questione, ed infine individuare una possibile so-luzione. Gli esperti forniscono supporto tecnico e informazioni sull’argomento del dibat-tito e sugli obiettivi da perseguire. Il mediatore segue la giuria per facilitare la discussione. Al termine del proprio lavoro, la giuria produce una relazione finale su quanto deliberato, che viene resa pubblica. Le conclusioni raggiunte nel rapporto non hanno valore vinco-lante, ma possono essere utili a indicare strade alternative laddove il processo decisionale pareva bloccato in un vicolo cieco a causa di un conflitto.

1.5. Gli attori da coinvolgere

L’adeguata scelta degli interlocutori è fondamentale per il successo del percorso parteci-pativo. Il principio di inclusività prevede il coinvolgimento di tutti gli stakeholder, ovvero dei soggetti, singoli e associati, portatori di interesse e punti di vista rilevanti sulla questio-ne da affrontare questio-nel processo decisionale inclusivo.

L’ente o l’associazione che voglia attivare un percorso partecipativo, prima di avviarlo, deve svolgere un’indagine per costruire una mappa di tutti i possibili stakeholder da invi-tare. Per individuare i soggetti interessati occorre muoversi sul territorio, per incontrare e ascoltare persone, gruppi, associazioni, responsabili di imprese ed istituzioni esistenti. La platea degli interessati si può ampliare diffondendo la notizia della volontà di realizzare una progettazione partecipata, attraverso mezzi di comunicazione cartacei, ovvero riviste

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