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Capitolo 1 - La crisi d’azienda 1.1 Definizione e fasi della crisi

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Academic year: 2021

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Capitolo 1 - La crisi d’azienda

1.1 Definizione e fasi della crisi

Paolo Bastia afferma che1 “la crisi d'azienda costituisce un grave stato patologico dell'azienda, tale da poterne compromettere la stessa sopravvivenza e da richiedere impegnativi interventi risanatori per ripristinare il perduto stato di equilibrio”. Si vuole innanzitutto circoscrivere il fenomeno delle crisi aziendali, ritenute veri e propri “stati morbosi”, separandolo dalle

situazioni temporanee che si avvicendano alle fasi di benessere. Importante è poi sottolineare come la crisi spesso si origini in aree specifiche per poi diffondersi repentinamente all'intero sistema-azienda; carattere fondamentale è pertanto lo sviluppo progressivo sia orizzontale, da una funzione all'altra, sia verticale, nel tempo, in una spirale che produce risultati economico-finanziari sempre più negativi.

Anche la letteratura anglosassone ha da tempo assistito ad un ampio dibattito sul tema in particolare distinguendo le imprese insolventi da quelle solvibili, per cui è possibile adottare differenti punti di vista2:

business failure: si considera una definizione di insolvenza di approccio economico, in base al quale la situazione si configura come una distruzione di valore da parte

dell'impresa, che non è più in grado di coprire i costi con i ricavi o che presenta un costo medio dell'indebitamento eccessivamente elevato;

insolvency: si riferisce ad ipotesi di illiquidità e incapacità dell'azienda di adempiere regolarmente alle obbligazioni contratte, adottando un'ottica prettamente finanziaria; default: riguarda situazioni di inadempienza contrattuale nei confronti di uno o più

creditori, causata non obbligatoriamente da una tensione finanziaria, ma possibilmente anche da un progressivo deterioramento delle performance aziendali.

Come già detto la crisi è una manifestazione patologica che si sviluppa su più stadi, identificabili in3:

stadio di incubazione, caratterizzato da squilibri e inefficienze, che però ancora non generano perdite;

stadio di maturazione, le cui manifestazioni formali sono l'assorbimento delle risorse di bilancio o di quote del capitale, mentre sul piano sostanziale ci si riferisce all'erosione di liquidità, all'appesantimento dei debiti, all'impossibilità di distribuire dividendi e alla

1

P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, 1996, pag. 11

2 E. I. Altman, Corporate financial distress and bankruptcy, 1993, pagg. 2-5 3 L. Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, 1986, pagg. 11-12

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riduzione delle risorse destinate a funzioni essenziali;

stadio delle gravi ripercussioni, sui flussi finanziari, sulla capacità di credito e

sull'affidabilità dell'impresa, quindi palesi anche all'esterno della compagine aziendali, che si manifestano in particolare con perdite di esercizio sistematiche ed irreversibili, con effetti quali l'impossibilità di fronteggiare le scadenze, la perdita di fiducia e credito, lo sfaldamento della struttura organizzativa e la perdita progressiva della clientela; stadio di ripercussione sugli stakeholders dell'impresa, cioè prevalentemente insolvenza,

ovvero l'incapacità di adempiere alle obbligazioni contratte, e dissesto, ovvero una condizione permanente di squilibrio patrimoniale, caratterizzato da un pressoché totale assenza di solvibilità e da una capitalizzazione negativa.

Imm.

L'insolvenza4 può essere sia temporanea, quando vi è la permanenza di un residuo capitale netto positivo e la contemporanea presenza di prospettive economiche favorevoli, che definitiva; mentre nel primo caso per attuare un risanamento ai creditori è chiesto solo di prolungare la scadenza dei loro crediti, premesso che l'attesa per il recupero di un equilibrio economico deve essere considerata ragionevole, nel secondo caso l'insolvenza non è rimediabile e sfocerà nel dissesto, dove il recupero è si ancora possibile ma richiede che i creditori siano unitamente disposti a cancellare parte dei loro crediti.

Quello che diventa importante è pertanto cogliere i segnali premonitori di decadenza5, di tipo qualitativo, e di squilibrio, di tipo quantitativo, per tempo, così da non dover gestire la fase conclamata di crisi e realizzare un processo di risanamento con minor affanno. Inoltre è sempre difficile pensare ad una gestione della crisi, con focus al breve termine, separata dalla

pianificazione dello sviluppo futuro, pertanto fondamentale è mantenere sempre e comunque un'ottica duale. Si deve, cioè, essere sempre consapevoli che le scelte di breve termine adottate finiranno inevitabilmente per caratterizzare il futuro dell'azienda.

4 L. Guatri, Crisi e risanamento delle imprese, 1986, pagg. 77-78

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1.2 Cause della crisi

Una teoria della crisi aziendali, per la corretta comprensione delle cause e degli interventi più appropriati, va fondata sul carattere di imprenditorialità6, quale funzione che viene a mancare o viene esercitata in maniera inopportuna. A questa visione soggettiva vanno anche affiancati fenomeni oggettivi, che condizionano l'operato del soggetto economico, sia interni aziendali, che esterni ambientali; si nota però come i primi derivino comunque da decisioni e scelte del management e siano, perciò, indirettamente soggettivi, mentre i secondi, sebbene

incontrollabili, generano opzioni e scelte alternative molteplici, che hanno natura discrezionale e possono quindi essere definite soggettive. Il punto di partenza è pertanto rappresentato dalla crisi dei valori imprenditoriali, ovvero una perdita della tensione verso l'economicità che si esplica nella distruzione di valore, non solo per l'azienda ma anche per tutti i suoi stakeholders. Vengono quindi a mancare le tre condizioni interdipendenti di equilibrio7:

condizione economica, che si concretizza nella capacità di produrre con continuità un flusso di redditi che copra i costi di gestione;

condizione finanziaria, che consiste nel perseguimento della solvibilità, che può essere colta nel lungo periodo come equilibrio investimenti-finanziamenti e nel breve periodo come pareggio entrate-uscite (equilibrio monetario);

condizione patrimoniale, ovvero l'attitudine a mantenere una solidità patrimoniale, sia per la continuità in vita dell'azienda che per la sua crescita

Gli elementi da considerare sono il rischio e l'incertezza, dove il primo è collegato a scelte i cui risultati possono essere previsti con un dato grado di probabilità e misurati, pertanto la sua gestione è essenziale per l'adeguata copertura dei costi; l'incertezza invece non è quantificabile e va percepita solamente tramite giudizi soggettivi, quindi la capacità di riuscire a fronteggiarla può essere posta come spiegazione dell'origine dei profitti imprenditoriali. Ultimo valore imprenditoriale imprescindibile è la capacità di modificare la struttura aziendale al fine di minimizzare, o al meglio eliminare, i comportamenti opportunistici che gravano sulle transazioni con l'esterno.

Le cause di una crisi sono innanzitutto classificabili in base ai sintomi, in maniera semplice e obiettiva, che però può essere effettuata solo quando oramai la crisi è manifesta e non permette di capirne la vera natura8:

crisi finanziarie, ovvero quando l'indebitamento è eccessivo;

6 P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, 1996, pagg. 13 e ss. 7 P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, 1996, pagg. 44 e ss. 8 P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, 1996, pagg. 115-116.

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crisi di liquidità, quando vi è un forte squilibrio tra disponibilità e passività a breve; crisi di insolvenza, quando non è possibile fronteggiare gli obblighi contrattuali presi. Riprendendo quanto detto a inizio paragrafo è possibile effettuare una classificazione in base ai fattori che generano la crisi9:

fattori esterni: sono quelle variabili che sorgono nell'ambiente in cui è inserita l'impresa e possono essere a loro volta suddivise in 6 macro-categorie:

1. economico-generali, generalmente il tasso di sviluppo economico, il saggio di disoccupazione e l'inflazione;

2. settoriali, come il tasso di crescita del settore e le dinamiche settoriali; 3. competitive, quali il livello di saturazione e i rapporti a valle o a monte; 4. tecnologiche, come il tasso di sviluppo tecnologico;

5. legislative, quali il quadro politico e normativo, il sistema di incentivi o il livello di tassazione;

6. ecologiche, quali la responsabilità sociale o la coscienza ambientale;

fattori interni: riguardano le decisioni interne all'azienda che causano errori inefficienze o deficit di risorse, ovvero le scelte strategiche, il posizionamento, l'assopimento di managerialità e imprenditorialità, cultura aziendale, squilibrio finanziario, sovra-capacità e carenza di controllo di gestione;

fattori oggettivi: sono quelli imprevedibili e che sfuggono al controllo del soggetto economico, sebbene quest'ultimo abbia comunque la responsabilità di reagire adeguatamente, ovvero fondamentalmente i fattori esterni;

fattori soggettivi: dipendono da errori commessi dal soggetto economico riguardo strategia, posizionamento, cultura aziendale, etc. ovvero da una generale mancanza di imprenditorialità.

Come è logico aspettarsi, la crisi non sarà generata da un solo fattore, ma da un loro combinarsi, normalmente in una funzione particolare, per poi diffondersi all'intera organizzazione.

Una classificazione parzialmente diversa proposta da Guatri10, che pure riporta direttamente e indirettamente alla carenza di imprenditorialità del soggetto economico, divide le crisi in:

crisi da inefficienze, cioè quando i rendimenti di uno o più settori non sono in linea con quelli dei concorrenti a causa di, a titolo di esempio, l'uso di impianti obsoleti,

l'eccessiva burocratizzazione o l’utilizzo di tecnologie non aggiornate;

crisi da sovra-capacità o rigidità, ovvero causate da durature riduzioni di volumi di

9 F. Poddighe, S. Madonna, I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e limiti, 2006, pagg. 25 e ss. 10 L. Guatri, Crisi e risnamento delle imprese, 1986, pagg. 11 e ss.

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domanda con conseguente eccesso di capacità produttiva, dallo sviluppo dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di elevati investimenti fissi o da variazioni in aumento dei costi non controbilanciate da corrispondente variazione dei prezzi regolamentati (tipico dei periodi di inflazione);

crisi da decadimento prodotti, che traggono origine dalla riduzione dei margini positivi tra prezzi e costi fissi, pertanto l’assenza di utili e la mancata copertura, anche parziale trascina l’azienda nelle fasi preliminari della crisi;

crisi da carenze di programmazione e innovazione, ovvero da un lato l'incapacità di studiare a preventivo i cambiamenti e di adattarsi ai mutamenti ambientali, operando solo nel breve termine e non coinvolgendo management e personale nello svolgimento della gestione, a causa dell’incertezza degli obiettivi e delle vie per il loro

raggiungimento; dall'altro lato il non saper leggere le opportunità e ricercare nuove combinazioni che si traducano in nuovi prodotti, nuovi mercati, nuovi modi di produrre e nuovi modi di presentare e diffondere i prodotti;

crisi da squilibri finanziari/patrimoniali, riferite a situazioni di grave carenza di mezzi propri e netta prevalenza di mezzi di terzi, di netta prevalenza di debiti a breve termine, di squilibri tra attivo e passivo fisso, di insufficienza di riserve di liquidità, di scarsa capacità di contrattare le condizioni di credito, di difficoltà ad affrontare le scadenze e conseguenti ritardi; spesso per lo squilibrio finanziario non è una causa bensì è un effetto, generato a sua volta dalle cause sopra elencate.

A prescindere dalla classificazione è sempre importante esaminare il livello di gravità della crisi sotto il profilo della loro reversibilità, che può essere oggettiva, cioè riferita all'impresa nel suo insieme, o soggettiva, cioè riferita al soggetto economico. In base a quanto detto è perciò possibile distinguere due tipi di irreversibilità11:

assoluta, ovvero quando lo stato dell'azienda nella situazione attuale e nelle prospettive future mostra scarse possibilità di successo e nessuna convenienza al risanamento; soggettiva, ovvero quando l'impresa è si risanabile, ma vi sono carenza e ostacoli a

livello di soggetto economico, che andrà quindi, almeno parzialmente, sostituito. Andando quindi a prendere il grado di reversibilità come driver di riferimento è possibile attuare un'ultima classificazione della cause della crisi:

cause removibili, nei casi in cui la loro rimozione determina la cessazione degli effetti , spesso risolvibili con interventi di natura finanziaria;

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cause non removibili ma con effetti compensabili, agendo in senso opposto su altre cause removibili o potenziando i punti di forza dell'azienda;

cause non removibili e con effetti non compensabili, che impongono un vero e proprio mutamento dell'impresa; in questo caso la reversibilità dipende dall'esistenza di risorse ancora utilizzabili, dalle prospettive di loro utilizzo e dall'interesse di tutti gli

stakeholders alla conservazione del sistema, che, se mancanti, portano all'irreversibilità soggettiva, implicando la sostituzione o il potenziamento del soggetto economico.

1.3 Strumenti di analisi e previsione della crisi

Risulta necessaria una funzione, distinta da proprietà e management, che garantisca la

sorveglianza, la prevenzione e l'accertamento delle situazioni di crisi aziendale. Gli strumenti a disposizione sono diversi ed il loro valore informativo dipende dagli scopi conoscitivi, pertanto è necessario implementare un sistema informativo che sia metodologicamente coerente ed al contempo adeguato alle dimensioni aziendali ed alla gravità della situazione in esame.

1.3.1 Analisi di bilancio e rendiconto finanziario

Lo strumento di sintesi fondamentale è il bilancio12, la cui corretta analisi prevede il confronto di situazioni contabili di almeno tre esercizi consecutivi così da poter evidenziare i trend per delineare il più probabile sviluppo dell'attività aziendale. Il percorso logico di interpretazione prevede almeno cinque fasi13:

1. lettura del bilancio, per valutare l'attendibilità delle informazioni in esso contenute; 2. riclassificazione di conto economico e stato patrimoniale;

3. calcolo di indici e quozienti;

4. identificazione delle relazioni tra i diversi indicatori; 5. confronto con i concorrenti e con la media di settore.

Dato che il segnale esterno più evidente di una crisi è il sorgere dello stato di insolvenza, allora è logico partire idealmente con la riclassificazione dello stato patrimoniale in forma

finanziaria14, dove le fonti sono classificate in funzione del tempo presumibile di estinzione (criterio di esigibilità), mentre gli impieghi sono classificati in base al tempo presumibile di ritorno (criterio di liquidità). In particolare le fonti rientrano in tre categorie principali:

1. fonti non esigibili, ovvero quelle raccolte a titolo di capitale di rischio o autoprodotte;

12 P. Bastia, Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, 1996, pag. 140

13 G. Mariani, Dalla crisi alla creazione di valore: il processo di turnaround, 2012, pag. 51 14 A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento, 2010, pagg. 46 e ss.

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2. fonti esigibili nel medio-lungo periodo, cioè le passività consolidate;

3. fonti esigibili nel breve termine, cioè entro i 12 mesi e definite passività correnti. Ovviamente un debito di lungo periodo presenterà ogni anno una quota parte scadente nel breve, che sarà classificata come passività corrente. Dall'altro lato gli impieghi si dividono in due macro-categorie:

1. attivo fisso, ovvero gli impieghi durevoli (nel medio-lungo periodo), tra cui si devono far rientrare i beni in leasing finanziario, per rispetto del criterio di prevalenza della sostanza sulla forma;

2. attivo circolante, ovvero gli impieghi liquidabili nel breve periodo che comprendono rimanenze, crediti e liquidità immediate.

Questa riclassificazione permette di calcolare gli indici di liquidità15:

indice di liquidità generale: che se inferiore a 1 indica una situazione di non liquidità, mentre anche quando superiore a 1 richiede comunque un ulteriore confronto, escludendo le rimanenze;

indice di liquidità secca: che se superiore a 1 è indice di un'azienda liquida.

Importante è notare come nel caso i due indicatori non siano coerenti, ovvero il primo maggiore di uno ma il secondo no, se i crediti e le liquidità immediate più le rimanenze di prodotti

risultano maggiori delle passività correnti, il giudizio sarà tendenzialmente positivo, mentre sarà tendenzialmente negativo nel caso contrario. Si possono poi calcolare anche indici di solidità patrimoniale:

indice generale di copertura: che se sensibilmente

inferiore all'unità denota un disequilibrio finanziario, data l'inadeguata copertura degli investimenti pluriennali;

indice di indebitamento: che se molto grande indica la scarsità di mezzi propri e dipendenza dai vincoli imposti dai finanziatori;

indice di solvibilità finale: che se molto elevato denota un alto rischio di insolvenza.

Si passa poi alla riclassificazione del conto economico, per comprendere al meglio la dinamica

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di creazione del risultato, di pertinenza gestionale16, che prevede la distinzione di costi e ricavi in base alle diverse aree di attività (caratteristica, accessoria, finanziaria, straordinaria e

tributaria); in questo modo i saldi delle singole aree permettono di analizzare il contributo di ognuno di esse alla formazione del risultato economico complessivo.

I vari schemi di conto economico gestionale sono riconducibili essenzialmente a due configurazioni; la prima è quella a costi e ricavi della produzione ottenuta, che permette di evidenziare:

valore aggiunto: dove questi ultimi sono i

costi sostenuti per i fattori produttivi correnti acquistati sul mercato; può essere usato solamente come metro di confronto con altre aziende simili;

margine operativo lordo: indica il potenziale

flusso di cassa netto caratteristico dato che i costi considerati hanno tutti natura monetaria, sebbene sia anch'esso utilizzabile solo come metro di confronto.

La seconda configurazione è a ricavi e costi del venduto e permette di evidenziare i contributi specifici delle varie funzioni aziendali (industriale, commerciale, etc.).

A questo punto è possibile calcolare gli indicatori di sintesi economico-finanziaria17:

indici di redditività: si parla principalmente del ROE, usato dagli investitori in capitale di rischio, del ROI, la cui interpretazione è spesso legata a benchmark di mercato, e

l'indice di copertura degli oneri finanziari che se

molto vicino a uno impone la necessità di intervenire sull'onerosità dei debiti;

indici di rotazione/durata: servono per valutare l'efficienza finanziaria degli investimenti nell'area caratteristica; si parla quindi dell'indice di durata dei crediti commerciali

, dell'indice di durata del magazzino materie

(lo stesso vale per il magazzino prodotti) e dell'indice di

durata dei debiti commerciali ;

indici di efficienza del personale: ovvero i ricavi pro-capite che è un indice di produttività ed efficienza, e il costo pro-capite

anch'esso indice di efficienza della gestione del personale.

16 A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento, 2010, pagg. 66 e ss. 17 A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento, 2010, pagg. 76 e ss.

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Un altro strumento importante è il rendiconto finanziario18, che permette di evidenziare le variazioni di impieghi e fonti in base alle operazioni di gestione che le hanno determinate. L'analisi dei flussi di cassa permette di “scremare” tutte quelle grandezze non monetarie, come ammortamenti e svalutazioni, che sono in larga parte soggettive e influenzate dalle politiche di bilancio. Per giungere all'identificazione della risorsa di riferimento, normalmente le liquidità immediate al netto dei conto correnti passivi, che funge da elemento discriminante, si possono classificare i flussi finanziari per aree gestionali, andando a determinare:

il cash flow caratteristico corrente: è generato da ricavi e costi d'esercizio che potranno essere rappresentati o da incassi e uscite, coerentemente con la logica finanziaria, oppure più agevolmente sottraendo al reddito operativo caratteristico prima i costi e i ricavi non monetari e poi la variazione di capitale circolante netto caratteristico (se positiva);

il cash flow degli investimenti caratteristici: è generato dal flusso di acquisti e

dismissioni dei fattori produttivi non correnti, oltre che dall'uso di fondi quali il TFR, valutati al valore di mercato al netto di debiti o crediti sorti per l'operazione;

il cash flow extra-caratteristico: generato da acquisti e vendite sia correnti che non; il cash flow dei finanziamenti: vi rientrano i flussi per l'accensione di nuovi debiti e gli

interessi passivi e attivi, ma non le variazioni in conto corrente dato che queste rientrano nella risorsa di riferimento;

il cash flow nei confronti dei soci: vi si ricomprendono apporti e rimborsi di capitale non in natura, oltre che il pagamento dei dividendi;

il cash flow straordinario: dovuto a sopravvenienze attive e passive;

il cash flow tributario: costituito dalle imposte sul reddito pagate durante l'esercizio. Un primo insieme di indicatori rintracciabili nel rendiconto sono proprio i margini, ovvero i cash flow, generati dalle diverse aree gestionali, permettendo di valutare l'apporto di ognuna di esse alla creazione/assorbimento di liquidità; il più importante è forse il flusso di circolante della gestione caratteristica corrente (reddito operativo meno costi e ricavi non monetari) che esprime l'autofinanziamento prodotto. Un altro gruppo di indici sono quelli di composizione, ovvero le percentuali di ogni cash flow sopra evidenziati, divisi in impieghi, che assorbono liquidità, e fonti, che generano liquidità. Un terzo strumento di interpretazione sono gli indici di correlazione, tra cui19:

18 A. Danovi, A. Quagli, Crisi aziendali e processi di risanamento, 2010, pagg. 97 e ss.

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indice di monetizzazione delle vendite: che esprime la capacità delle vendite di generare moneta una volta coperti i costi operativi;

indice di liquidità del reddito operativo: rappresenta la capacità del reddito operativo di convertirsi in moneta, pertanto quando assume valori negativi significa che vi è una divergenza tra dinamica reddituale e finanziaria; è divisibile nei due indici seguenti;

indice di autofinanziamento: che misura la capacità

di accrescere il capitale di finanziamento senza ricorrere a fonti esterne; indice di conversione in liquidità dell'autofinanziamento:

assume normalmente un valore tra 0 e 1;

indice di copertura degli investimenti netti:

misura il grado di copertura degli investimenti netti con le liquidità auto-generate, ma perde di senso se i disinvestimenti superano gli investimenti perché la sua positività dipende da un fattore non ricorrente;

indice della gestione caratteristica corrente:

dovrebbe preferibilmente avere un valore superiore all'unità e comunque non dovrebbe mai scendere sotto lo zero, in quanto la gestione corrente dovrebbe essere la prima area di creazione di liquidità.

1.3.2 Cenni sui modelli di previsione delle insolvenze20

Bilancio e rendiconto hanno però una capacità segnaletica solo a consuntivo, pertanto risulta necessario dotarsi anche di strumenti dei modelli di previsione delle insolvenze. Questi

permettono una valutazione intermedia dei sintomi, sebbene risentano della qualità dei bilanci disponibili, che generano asimmetrie informative (specialmente per i soggetti esterni), e siano complessi da analizzare, visto che si tratta di dati di estrema sintesi determinati da diversi fattori. I modelli più importanti sono due:

modello Z-score di Altman: dove:

a) x1 = capitale circolante netto / capitale investito netto;

b) x2 = utili non distribuiti / capitale investito netto, indica il grado di autofinanziamento

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storico;

c) x3 = risultato ante imposte e oneri finanziari / capitale investito netto, è un indice di

redditività che approssima il ROI;

d) x4 = valore di mercato del capitale netto / passività, è un indice di indebitamento;

e) x5 = ricavi netti / capitale investito medio, è un indice di turnover del capitale;

Altman riscontrò che imprese con Z<1,8 sono da considerarsi in crisi, imprese con 1,8<Z<3 sono in una zona di sorveglianza, mentre quelle con Z>3 sono sane, sebbene poi è importante confrontare i dati ottenuti con quelli del settore;

modello di Alberici:

con:

a) x1 = reddito netto / capitale investito medio, è un indice di redditività globale;

b) x2 = passività / capitale investito, è indicativo del grado di rischio finanziario;

c) x3 = capitale netto / attività immobilizzate, indica la copertura primaria delle

immobilizzazioni;

d) x4 = capitale permanente / attività immobilizzate, comprende anche le passività

consolidate e ha valore di analisi della struttura patrimoniale-finanziaria; e) x5 = attività correnti / passività correnti, è il quoziente di liquidità generale;

f) x6 = liquidità e crediti / passività correnti, il già visto indice di liquidità secca;

g) x7 = passività correnti / capitale investito, indica l'incidenza sulla struttura finanziaria

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