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1.1 Invecchiamento e rigenerazione 1. Introduzione

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1. Introduzione

1.1 Invecchiamento e rigenerazione

Lo sviluppo nel corso di una vita non termina mai. Lo ritroviamo infatti nei processi rigenerativi. Per rigenerazione possiamo intendere la capacità di alcuni organismi di riparare e/o rigenerare un organo in seguito alla perdita di quello originale. Tale proprietà di solito tende a ridursi salendo la scala evolutiva. Nei mammiferi infatti viene persa la capacità di rigenerare intere strutture, come ad esempio un arto, ma viene mantenuta la capacità dell’organismo di ripristinare cellule danneggiate di uno stesso tessuto. Ciò vale ad esempio per il continuo rinnovamento delle cellule del sangue o degli strati superficiali dell'epidermide.

Le capacità rigenerative sono anche associate all’invecchiamento dell’organismo, definito come fenomeno di deterioramento, dovuto all’età, delle funzioni fisiologiche necessarie per la sopravvivenza e la fecondità (Scott F. Gilbert, 2005).

Le basi biologiche dell’invecchiamento sono state per molto tempo sconosciute e in parte lo sono tuttora. Le prime teorie evoluzionistiche (Medawar, 1952 e Kirkwood, 1977) negavano che l’invecchiamento facesse parte di uno specifico programma genetico. Lo consideravano uno stato di base raggiunto dall’animale dopo aver saturato i requisiti richiesti dalla selezione naturale e dunque la sua riproduzione. Studi recenti (Kenyon, 2001) hanno dimostrato che esistono basi genetiche che vanno a regolare il ritmo dell’invecchiamento e alterazioni nell’espressione di specifici geni possono influenzare la durata di vita di un individuo.

La durata media della vita o aspettativa di vita ha subito un consistente cambiamento nel corso del XX secolo passando nei Paesi occidentali da 40 a 80 anni. Le nostre conoscenze sull’invecchiamento umano sono perciò relativamente nuove. Inoltre questo slittamento ha comportato all’interno della popolazione l’aumento dell’insorgenza di complicazioni associate all’età. Ecco che diventano un argomento di studio piuttosto attuale ,oltre che problematiche ad alto impatto sociale, malattie

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cronico-degenerative associate all’età: cardiopatie, osteoporosi, diabete e malattie neurodegenerative.

Nei tessuti a bassa attività proliferativa risulta più evidente ed immediata l’associazione fra l’invecchiamento e la conseguente diminuzione delle capacità rigenerative. Le cellule neurali del sistema nervoso centrale, ad esempio, sono cellule perenni; una volta maturate vengono sostituite solo in minima percentuale. Dunque a livello neurale i fenomeni degenerativi dell’invecchiamento quali, morte neuronale e collasso nel numero dei neuroni, provocano danni profondi.

1.2 Induzione neuronale e formazione degli assi

Due eventi chiave dello sviluppo embrionale sono: l’origine dell’asse posteriore del corpo e l’induzione neurale. Il processo di differenziamento antero-posteriore dell’asse del corpo ha già inizio allo stadio di singola cellula. La polarizzazione, infatti, è già evidente nell’oocita prima della sua fecondazione. L’induzione neurale avviene durante la gastrulazione ed è quel processo in cui una parte di cellule dell’ectoderma sono commissionate a formare tessuti nervosi anziché epidermide. Da queste cellule provengono i progenitori che daranno origine alle cellule neurali. Questi due eventi sono inevitabilmente intrecciati, basti pensare al fatto che distinguiamo l’estremità anteriore di un corpo con la formazione delle sue strutture apicali, come il sistema nervoso (Fahrbach, 2013).

In Drosophila il contributo per la specificazione dell’asse antero-posteriore proviene dalla madre. Le cellule nutrici prima di andare incontro ad apoptosi trasferiscono all’oocita un mRNA che codifica per la proteina bicoid. Questo mRNA viene trasportato al polo dell’oocita che diverrà la testa. Bicoid infatti è un importante morfogeno, iniettandolo all’estremità caudale di embrioni normali si induce la formazione della testa ad entrambi i poli (Driever et al., 1990). Bicoid è anche un fattore di trascrizione e il suo gradiente di distribuzione lungo lo zigote porta ad una differenziale espressione, lungo l’asse, dei suoi geni target. Altro mRNA di contributo

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materno è nanos che viene trasportato all’estremità opposta rispetto a bicoid, cioè all’estremità posteriore. I gradienti di concentrazione delle proteine nanos e bicoid sono opposti e sono fondamentali per definire in Drosophila un primo asse antero-posteriore e le strutture ad esso associate (Fig. 1.1).

Nei vertebrati all’inizio della gastrulazione tutte le cellule dell’ectoderma possono potenzialmente formare sia cellule epidermiche sia cellule neurali e al termine della gastrulazione ritroviamo definiti gli specifici destini cellulari (Willier et al., 1955). Per lo studio dell’induzione neurale e della formazione degli assi nei vertebrati sono stati fondamentali gli esperimenti condotti da Mangold H. e Spemann H. (1924) sugli

Fig. 1.1: Formazione dell’asse antero-posteriore in Drosophila

grazie all’interazione di vie genetiche indipendenti. L’asimmetria iniziale si stabilisce durante l’oogenesi e il piano è organizzato da proteine materne subito dopo la fecondazione. Il piano organizzativo si realizza quando le proteine materne localizzate in quelle sede attivano o reprimono specifici geni dello zigote in regioni differenti dell’embrione. (St. Johnston e Nüsslein-Volhard, 1992)

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embrioni di anfibio. In questi esperimenti il tessuto del labbro dorsale del blastoporo di una gastrula precoce di anfibio viene trapiantato sul lato ventrale di una seconda gastrula precoce. L’embrione ospite sviluppa nel lato ventrale un duplicato delle strutture tipiche del lato dorsale, tra cui un secondo ben sviluppato sistema nervoso (Fig. 1.2). I segnali provenienti dal labbro dorsale della gastrula di anfibio (organizzatore) sono dunque responsabili della distinzione del destino neurale da quello epidermico. In condizioni normali l’organizzatore dà origine alle strutture dorsali del mesoderma, come il muscolo e la notocorda la quale definisce la futura origine della piastra neurale.

Fig 1.2: Organizzazione di un asse secondario da

parte del labbro dorsale del blastoporo. (A) Il tessuto del labbro dorsale di una gastrula iniziale viene trapiantato in un’altra gastrula iniziale, nella regione che normalmente diviene epidermide ventrale. (B, C) Il tessuto del donatore si invagina e forma un secondo archenteron, e poi un secondo asse embrionale. Nel tubo neurale, nella notocorda e nei somiti di nuova formazione si osservano tessuti sia del donatore sia del ricevente. (D) Alla fine si forma un secondo embrione che è unito al primo. (Hamburger 1988)

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Un ruolo centrale nella formazione del mesoderma e nell’organizzazione tissutale embrionale nei vertebrati è rivestito da due famiglie di fattori di crescita, la famiglia FGF e la famiglia TGFβ (Schier, 2009). L’activina, che è membro della famiglia TGFβ, è implicata nell’induzione del mesoderma. Infatti con l’iniezione di un RNA messaggero codificante una forma mutante, dominante e negativa del recettore dell’activina e dunque capace di bloccarne la via di segnalazione, si induce nell’embrione manipolato l’inibizione dell’induzione del mesoderma (Ozair et al., 2013). Inoltre l’eliminazione della segnalazione TGFβ, sempre tramite utilizzo dell’RNA messaggero sintetizzato, induce negli “animal caps” manipolati e mantenuti in vitro, un destino neurale. Dunque il blocco della segnalazione TGFβ induce nell’ectoderma l’acquisizione di un destino neurale. Esiste un modello di induzione neurale (Hemmati-Brivanlou et al., 1992 e 1994) il quale propone che l’ectoderma abbia come destino naturale quello neurale ma che venga indotto a destino epidermico dall’attività della segnalazione TGFβ. Quest’ultima viene però antagonizzata dall’organizzatore che agisce mantenendo nell’ectoderma dorsale un destino neurale.

In Xenopus laevis i fattori endogeni responsabili dell’induzione neurale sono: noggin (Smith et al.,1992), chordin (Sasai et al., 1994) e follistatin. Questi tre geni codificano per proteine espresse nell’organizzatore e con proprietà di induzione neurale e di inibizione della segnalazione TGFβ, in particolare sono forti inibitori della segnalazione BMP, fattore di crescita e membro della famiglia TGFβ. Questo meccanismo è implicato nella giusta formazione dell’asse dorso-ventrale. In esso BMP agisce a livello ventrale con attività anti-neurale ed è antagonizzato in maniera specifica a livello dorsale, dove l’organizzatore ha attività neurale. Questo antagonismo è conservato nell’evoluzione. Lo ritroviamo infatti in Drosophila dove

sog è l’omologo di chordin (Zusman et al.,1988) ed è inibitore di Dpp, omologo della

segnalazione BMP. Questo antagonismo di sog su Dpp avviene però a livello ventrale dove si forma il tessuto neurale (Mizutani et al., 2005), negli invertebrati infatti il

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destino dell’asse dorso-ventrale è invertito rispetto ai vertebrati. L’epidermide si forma a livello dorsale e il tessuto neurale a livello ventrale.

In Zebrafish allo stadio di blastula le cellule dell’epiblasto e dell’ipoblasto si intercalano nel futuro lato dorsale dell’embrione, formando un ispessimento localizzato, chiamato “scudo embrionale”. Lo scudo embrionale dal punto di vista funzionale rappresenta l’equivalente del labbro dorsale del blastoporo degli anfibi; infatti è in grado di organizzare un asse embrionale secondario quando viene trapiantato in un embrione ospite (Oppenheimer, 1936). Esso è di importanza critica per lo stabilirsi dell’asse dorsoventrale nei pesci e forma la placca precordiale e la notocorda, entrambe responsabili dell’induzione dell’ectoderma a divenire neurale anzichè epidermico. Nello scudo embrionale è espressa la β-catenina che funge da fattore di trascrizione attivando geni con funzione dorsalizzante, altri geni con tale funzione ed espressi nello scudo sono: chordin e dickkopf. Entrambi li troviamo espressi nell’organizzatore degli anfibi ed anche qua chordin è un antagonista del “pathway” di segnalazione di BMP che ha tipica attività ventralizzante. La proteina dickkopf ha anch’essa attività dorsalizzante tramite il blocco della via di segnalazione di Wnt che come BMP ha carattere anti-neurale (Glinka et al., 1998).

La determinazione degli assi, iniziata a livello di blastula da chordin e dickkopf, prosegue a livello di gastrula grazie all’azione dell’acido retinoico, un morfogeno fondamentale per la formazione dell’asse antero-posteriore in zebrafish e negli altri vertebrati. L’acido retinoico in particolare promuove lo sviluppo posteriore del sistema nervoso (romboencefalo e spina dorsale).

Nei mammiferi si può considerare come corrispettivo dell’organizzatore degli anfibi un gruppo di cellule derivate dall’ipoblasto e chiamate endoderma viscerale anteriore (AVE) (Fig. 1.3). Esse rappresentano una popolazione extraembrionale che migra rostralmente dalla punta distale della blastula ed è responsabile dell’induzione della piastra neurale anteriore (Thomas et al., 1998) e della definizione dell’asse

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antero-posteriore (Srinivas et al., 2004). La migrazione avviene circa un giorno prima dell’apparizione della linea primitiva. Queste cellule AVE sono un’importante sorgente di segnali anticaudalizzanti (Kimura et al., 2000; Perea-Gomez et al., 2001); tra le proteine secrete troviamo Lefty-1, Cerberus e dickkopf le quali bloccano la segnalazione nodal. La maggior parte dei mutanti di topo, nei quali il movimento e i segnali dell’AVE sono distrutti, mancano delle strutture del sistema nervoso centrale (Stern C D et al.,2002); ciò è potenzialmente dovuto all’esposizione delle cellule anteriori a segnali caudalizzanti

Fig. 1.3: Segnali e tessuti coinvolti nell’induzione del carattere

neurale anteriore. L’endoderma viscerale anteriore assieme al nodo di Hensen precoce, agiscono nell’induzione/mantenimento del carattere neurale anteriore. L’AVE è localizzato sotto la futura piastra neurale ed esprime molecole, come Cerberus e dickkopf, che inibiscono fattori altrimenti agenti nel posteriorizzare la piastra neurale anteriore (Rallu M. et al.2002).

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Nei topi inoltre si ritiene fondamentale l’attività antagonistica di chordin nei confronti della segnalazione BMP per la formazione delle strutture apicali, fra cui il prosencefalo (Anderson et al., 2002 e Klingensmith et al., 2010). E’ stato inoltre dimostrato che l’inibizione della via di segnalazione di TGFβ è sufficiente nell’indurre un destino neuronale nelle cellule embrionali epiblastiche di topo (Najm et al., 2011).

Sono state studiate nel topo possibili correlazioni fra eventuali disordini nello sviluppo e alterazioni in vie di segnalazione implicate nella formazione dell’asse antero-posteriore. Ad esempio una malformazione del prosencefalo diffusa nell’uomo è la oloprosencefalia. I neonati affetti presentano malformazioni evidenti: testa piccola, occhi molto ravvicinati, naso anormale e palatoschisi. Si possono riprodurre nel topo molti elementi simili a questa patologia diminuendo o eliminando l’azione antagonistica di chordin verso BMP.

1.3 Neurogenesi embrionale

Per neurogenesi si intende il processo che porta alla formazione delle componenti cellulari neurali (neuroni e glia) che costituiscono il sistema nervoso nella sua complessità. Le cellule madri che danno origine a questo processo sono cellule progenitrici neurali con attività mitotica (Fahrbach, 2013).

In C.elegans non ci sono linee cellulari specifiche di progenitori neurali che producono cellule nervose, quest’ ultime provengono infatti da linee diverse. I geni

lin-22 e lin-32 sono importanti per le neurogenesi post-embrionale. Vengono espressi

in un gruppo di cellule progenitrici dette cellule “V blast” che danno origine anche a neuroni e cellule gliali. La mutazione del gene lin-22 induce la trasformazione della linea cellulare V4 che tipicamente origina cellule ipodermiche, nella linea V5 che invece origina neuroni. La perdita di funzione di questo gene induce invece eccesso di neuroni. La mutazione e la perdita di funzione del gene lin-32 crea invece gli effetti opposti. Si propone che lin-22 abbia un’attività antineuronale e lin-32 al

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contrario abbia attività proneurale (Fahrbach, 2013). Questi due geni codificano per proteine con funzione di fattori di trascrizione e contenenti il motivo bHLH.

In Drosophila durante la metamorfosi alcune cellule ectodermiche indifferenziate differenziano in neuroni sensoriali e in organi di senso. Due geni ad attività proneurale sono achaete e scute e si ritiene che siano responsabili della formazione dell’intero sistema nervoso periferico. Come i geni lin-22 e lin-32, anche questi codificano per fattori di trascrizione con il motivo bHLH. Un altro gene codificante per una proteina bHLH è atonal anch’essa con attività proneurale. La sua espressione è presente i tutti i cluster proneurali.

Cellule progenitrici neurali vengono indotte a differenziarsi verso la linea neuronale piuttosto che gliale, mediante dei meccanismi di induzione laterale, ovvero di segnali mediati dal contatto con cellule vicine, delle quali una si differenzia in cellula nervosa e l’altra in cellula gliale (Kimble et al.,1997). Le cellule neuro-epiteliali esprimono sulla superficie la proteina Delta e attivano i geni proneurali (achaete, scute e atonal) che inducono un differenziamento neuronale. Le cellule adiacenti esprimono sulla superficie Notch il quale interagisce con Delta che funge da suo ligando. Questo legame induce un taglio proteolitico a livello della porzione citoplasmatica di Notch, la quale una volta libera entra nel nucleo e legandosi al DNA induce l’attivazione di geni antineuronali e inibisce l’espressione di Delta, impedendo l’attivazione di Notch nelle cellule adiacenti. Si ha quindi una regolazione reciproca (“feedback loop”) all’interno di questo”cluster” proneurale.

Nei vertebrati il sistema nervoso centrale deriva dalla regione più dorsale dell’ectoderma che addensandosi e poi appiattendosi va a formare la piastra neurale, quest’ultima chiudendosi forma il tubo neurale che si distacca dall’epidermide sovrastante (Fig. 1.4). Il tubo va poi a originare anteriormente il sistema nervoso anteriore e posteriormente il midollo spinale. Da entrambi i lati della piastra neurale, durante la formazione del tubo, si ha l’induzione delle cellule delle creste neurali le

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quali migrano lungo l’embrione e contribuiscono a formare il sistema nervoso periferico, i nervi cranici, le cartilagini degli archi branchiali, i melanociti e le cellule surrenali. Le cellule ectodermiche, in posizione anteriore rispetto alla piastra neurale, danno origine alle regioni placodali che formeranno gli organi di senso ed i gangli craniali sensoriali.

In Zebrafish troviamo implicati nella neurogenesi embrionale geni omologhi ai geni

achaete-scute e atonal di Drosophila. In particolare è evidente l’omologia fra atonal

e il gene neurogenina 1 di Zebrafish. Questo gene è espresso nei progenitori neurali a

Fig. 1.4: Neurulazione primaria: formazione del tubo neurale nell’embrione di pollo. (1a-1b)

La formazione delle pieghe comincia quando le cellule del punto cardine neurale mediale si ancorano alla notocord e modificano la loro forma , mentre le cellule dell’epidermide presuntiva si spostano verso la linea mediana dorsale. (2) Le pieghe neurali si sollevano mentre l’epidermide presuntiva continua a spostarsi verso la linea mediana dorsale. (3) Si ha la convergenza delle pieghe neurali quando le cellule del punto cardine dorso-laterale assumono la forma di cuneo e le cellule dell’epidermide si spingono verso il centro. (4) Le pieghe neurali vengono a contatto l’una con l’altra e le cellule della cresta neurale uniscono il tubo neurale all’epidermide. Successivamente le cellule della cresta neurale si disperdono, lasciando il tubo neurale separato dall’epidermide. (Smith e Schenwolf, 1997)

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livello della piastra neurale, prima di altri marcatori neurali. Iniezioni di neurogenina

1 in embrioni di Zebrafish piuttosto precoci inducono produzione ectopica di neuroni

(Fahrbach, 2013).

In Xenopus laevis la via di segnalazione genica della neurogenesi primaria ha origine durante la gastrulazione, all’interno di un gruppo di cellule indifferenziate appartenenti al neuroectoderma e comporta l’insorgenza di tre domini neurali longitudinali in ciascun lato della linea mediana dorsale (Lamborghini, 1980). Il primo gene ad essere espresso in maniera specifica nella regione della neurogenesi primaria è il fattore di determinazione neurale affine alla neurogenina1, X-ngnr-1. Seguono poi fattori di trascrizione proneurali a valle, tra cui NeuroD (Ma et al., 1996; Bellefroid et al., 1996; Dubois et al., 1998; Pozzoli et al., 2011; Lee et al., 1995). Inoltre alcuni regolatori del ciclo cellulare sono stati identificati in questo “network” neurale, ad esempio p27 (Souopgui et al., 2002; Carrauthers et al., 2003; Vernon et al., 2003; de la Calle-Mustienes et al., 2002). Nella gastrula e allo stadio in cui la piastra neurale è ancora aperta troviamo l’espressione del gene Xmxi1, la quale coincide con il territorio della neurogenesi primaria ed è stato dimostrato che Xmxi1 è una componente essenziale della cascata neurogenica e agisce prima di X-ngnr-1 (Tiemo et al., 2005). Xmxi1 è membro della famiglia Mad di repressori trascrizionali in Xenopus, possiede un motivo bHLH ed è regolato positivamente da Sox3 e SoxD (marcatori pan-neurali) e negativamente dalla via di segnalazione di Notch.

Nel topo la neurogenesi possiede le stesse caratteristiche di base viste nei modelli sopra. I geni proneurali espressi a livello delle cellule progenitrici includono omologhi dei fattori di trascrizione con motivo bHLH visti in Drosophila, i meglio caratterizzati sono l’omologo 1 dei mammiferi di achaete-scute (Mash1),

neurogenina1 (ngn1) e neurogenina2 (ngn2).

Durante lo sviluppo del telencefalo si ha la formazione di gradienti di morfogeni lungo l’asse dorso-ventrale. Questi gradienti portano ad un’espressione differenziale

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di fattori di trascrizione che determineranno caratteristiche differenziative specifiche nei neuroblasti localizzati in zone distinte (Fahrbach, 2013). Ad esempio, la distribuzione dell’mRNA di Mash1 è associata a cellule progenitrici dei gangli basali, quella di ngn1 è associata a cellule progenitrici della corteccia cerebrale e quella di

ngn2 la ritroviamo in progenitori neurali di motoneuroni e interneuroni.

Le prime divisioni cellulari della neurogenesi avvengono in uno strato di cellule epiteliali adiacenti alla vescicola telencefalica, questa zona diverrà il ventricolo laterale del cervello. Questo strato di cellule è costituito dalle cellule gliali radiali (RGCs) ed è definito zona ventricolare (VZ). Le cellule che provengono da questa zona sono le cellule progenitrici apicali e sono cellule polarizzate che a livello apicale si affacciano nel lume del ventricolo e a livello basale si affacciano sopra la corteccia. Dalla divisione asimmetrica di queste cellule polarizzate proviene un’altra cellula polarizzata e un neurone postmitotico che migra poi in posizione basale, da queste cellule possono derivare anche cellule progenitrici intermedie. Esse migrano, ma non fino alla corteccia, si fermano in uno strato immediatamente basale rispetto alla zona ventricolare e detto zona subventricolare (SVZ). Una volta qua queste cellule possono dividersi simmetricamente in due neuroni che migrano fino alla corteccia. Le cellule progenitrici apicali si riconoscono perché hanno il corpo cellulare nella zona ventricolare e poi possiedono due tipiche estensioni citoplasmatiche, una piccola apicale che contatta il lume del ventricolo ed una lunga basale che contatta la pia madre (lo strato più interno delle tre membrane del cervello) in cui forma terminazioni ramificate dette “piedi terminali”.

Come nel topo, la corteccia cerebrale umana nel suo sviluppo si distingue in VZ e SVZ. Studi nei feti di scimmia hanno dimostrato la presenza di un’espansione della regione esterna della SVZ detta OSVZ, questa regione è ancora più evidente nello sviluppo del sistema nervoso umano. Si osserva che le cellule della OSVZ sono cellule progenitrici neurali dunque si può ipotizzare che questa regione sia l’origine della corteccia neuronale umana ricca di neuroni. Tramite studi più approfonditi su

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feti umani di 14 settimane sono stati identificati marker di proliferazione in cellule della OSVZ che presentano lunghi processi basali estesi verso la pia madre (Fahrbach, 2013). Questa caratteristica sappiamo essere tipica delle cellule progenitrici apicali o delle cellule gliali radiali, però sappiamo anche che le cellule progenitrici apicali presentano anche un piccolo processo apicale che contatta la zona ventricolare. Le cellule della OSVZ mancano di questo piccolo processo apicale e dunque costituiscono una diversa popolazione cellulare. Un confronto quantitativo sul numero di cellule proliferative umane nella VZ e SVZ rispetto alla OSVZ, porta all’ipotesi che la OSVZ possa essere il sito dominante per la neurogenesi corticale (Fahrbach, 2013).

1.4 Neurogenesi adulta

La neurogenesi adulta è un processo che non va a costruire nuove strutture ma va ad aggiungere o sostituire cellule neurali ad una struttura preesistente e preformata. Ciò comporta un’espansione della struttura che integra i nuovi neuroni, ma anche la possibilità che questi nuovi neuroni mantengano la struttura compensando a eventuale morte neuronale (Fahrbach, 2013).

La neurogenesi nell'adulto è un fenomeno plastico (van Praag et al., 1999), che tende però a diminuire esponenzialmente con l'età, questo avviene in molte specie, uomo compreso (Knoth R. et al., 2010). Tale declino si suppone essere associato alla diminuzione delle facoltà intellettive nell'individuo anziano e deriva dall'entrata in quiescienza delle cellule staminali neuronali adulte (aNSCs).

Tutti i vertebrati studiati presentano zone progenitrici nel loro cervello adulto ma hanno fra loro divergenze sull’abbondanza di queste zone e sulla loro capacità neurogenica (Doetsch e Scharff, 2001; Chapouton et al., 2007; Kaslin et al., 2008). In generale i vertebrati non mammiferi presentano una neurogenesi adulta più diffusa rispetto ai mammiferi. I mammiferi e gli uccelli adulti presentano nicchie staminali neurogeniche ristrette in una sola regione del cervello, il telencefalo (Goldman e

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Nottebohm, 1983; Doetsch e Scharf, 2001; Alvarez-Buylla et al., 2002; Vellema et al., 2010). Nei rettili e negli anfibi la situazione è simile, i progenitori ad attività neurogenica si trovano principalmente nel telencefalo, anche se una parziale attività è stata riscontrata nel diencefalo e nel mesencefalo (Font et al., 2001; Raucci et al., 2006; Berg et al., 2010) (Fig. 1.5).

I pesci teleostei invece hanno numerose zone con attività proliferativa ed un’abbondante capacità di produrre nuovi neuroni (Rahmann e Korfsmeier, 1968). Due aspetti della neurogenesi adulta distinguono lo Zebrafish dai mammiferi e dagli uccelli: la maggiore attività proliferativa nell’adulto che permette una continua crescita neurale e la capacità di rispondere a danni neuronali (Fig. 1.6). Mentre in Zebrafish un danno a livello del midollo spinale, che porta morte di interneuroni e

Fig. 1.5: Visione dorsale dell’encefalo di Xenopus adulto e sezioni trasversali del

bulbo olfattivo (A1, A2, A3 e A4) e del telencefalo ventricolare (B1, B2, B3 e B4). Il trattamento delle sezioni con i marcatori di proliferazione cellulare BrdU e PCNA rivela la presenza di nicchie neurogeniche. (D’Amico et al., 2011)

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motoneuroni, viene risarcito con il pieno recupero della capacità di nuoto, nell’uomo tale danno sarebbe devastante (Hui et al., 2010).

Zebrafish ha una predisposizione naturale alla capacità di aggiungere nuovi neuroni al sistema nervoso adulto, infatti produce neuroni lungo tutto l’asse rostrocaudale del cervello per la sua intera vita (Kizil et al., 2011). Lungo questo asse vi ritroviamo infatti 16 diverse nicchie di progenitori (Grandel et al., 2006) in grado di originare diversi sottotipi neurali (Zupanc et al., 2005).

E’ noto che le cellule gliali radiali persistono nel cervello adulto dei vertebrati non mammiferi (Garcia-Verdugo et al., 2002; Kalman, 2002) ed è stato infatti osservato

Fig. 1.6: Confronto fra mammiferi e Zebrafish sulle aree neurogeniche.

Nel sistema nervoso centrale dei mammiferi adulti le nicchie staminali sono riservate alla zona subventricolare (SVZ) e al giro dentato (DG) nel telencefalo. In Zebrafish le nicchie staminali sono più abbondanti e distribuite lungo tutto l’asse rostro-caudale del cervello. (Kizil et al., 2011)

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che esse contribuiscono costitutivamente alla neurogenesi e alla rigenerazione neurale in Zebrafish (Font et al., 2001), rivestendo il ruolo di progenitrici gliali e neuronali (Pellegrini et al., 2007). Sono stati identificati anche altri tipi cellulari ad attività neurogenica non contenenti marcatori tipici gliali radiali ma con caratteristiche neuroepiteliali e neurogeniche (Raymond e Easter 1983; Kaslin et al., 2009; Ganz et al., 2010; Ito et al., 2010).

Una zona contenente progenitori neurali la troviamo nel telencefalo, situata nella regione ventricolare e organizzata in due domini, uno ventrale e uno dorsale (Grandel et al.,2006). Nel dominio ventrale troviamo progenitori neurali con caratteristiche neuroepiteliali e senza marcatori gliali radiali, i quali migrano verso il telencefalo ventrale e il bulbo olfattivo (Byrd e Brunjes, 1995, 1998; Grandel et al., 2006). Si ipotizza diano origine a neuroni GABAergici e dopaminergici (Grandel et al., 2006; Mueller e Guo 2009). Nel dominio dorsale invece troviamo due gruppi di cellule proliferatrici, uno con marcatori gliali radiali e l’altro senza marcatori gliali radiali, qua i neuroni prodotti si vanno ad integrare lentamente nel telencefalo dorsale e si presume che la maggior parte dei neuroni glutammatergici provengano da questo dominio (Brill et al., 2009).

Altra zona ad attività neurogenica nell’adulto di Zebrafish è quella del tetto ottico e qua la maggiore attività proliferativa avviene a livello caudale (Grandel et al., 2006; Ito et al., 2010). E’ stato dimostrato che nel tetto ottico di Zebrafish adulto vengono continuamente generati neuroni GABAergici e glutammatergici, oligodendrociti e glia radiali (Grandel et al., 2006; Ito et al., 2010). Un’altra regione neurogenica la troviamo poi nella zona proliferativa istmica, situata nella lamina posteriore mesencefalica, a livello della giunzione fra prosencefalo e mesencefalo (Chapuoton et al., 2006; Grandel et al., 2006). Da questa zona istmica vengono generati neuroni, glia radiali e oligodendrociti (Chapuoton et al., 2006).

Anche l’attività progenitrice e neurogenica del cervelletto viene mantenuta nell’adulto e in questa nicchia troviamo progenitori con caratteristiche neuroepiteliali che danno origine alle cellule dello strato granulare. (Grandel et al., 2006; Kaslin et

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al., 2009) (Fig. 1.7).

Se i meccanismi molecolari che regolano la neurogenesi sono gli stessi nell’embrione e nell’adulto, un buon candidato nella regolazione della neurogenesi adulta è la via di segnalazione di Notch. Essa mantiene anche nell’adulto attività antineuronale, infatti è stato dimostrato che Notch agisce in Zebrafish adulto a livello delle nicchie del telencefalo per mantenere le cellule staminali neurali in quiescenza (Chapouton et al., 2010). La segnalazione FGF è invece richiesta per l’attività proliferativa delle cellule progenitrici nella regione telencefalica e cerebellare (Kaslin et al., 2009; Ganz et al., 2010). La via di segnalazione BMP si ritiene abbia attività inibitoria sulla

Fig. 1.7: Visione laterale delle zone proliferative nel cervello adulto di Zebrafish. (1) Bulbo

olfattivo: proliferazione con distribuzione sparsa. La freccia indica un accumulo di cellule in proliferazione nel confine fra il bulbo olfattivo e il telencefalo dorsale. Zone proliferatrici telencefaliche: (2) telencefalo dorsale e (3) telencefalo ventrale. Zone proliferatrici diencefaliche: (4) pre-ottica, (5) talamo ventrale, (6) abenulare, (7) pre-tetto ottico, (8) talamo dorsale, (9) tubercolare posteriore e (10) ipotalamo. Zone proliferatrici mesencefaliche: (11) tetto ottico e (12) “torus longitudinalis”. (13) La lamina mesencefalica posteriore connette il tetto ottico al cervelletto. Inizia dorsalmente a livello del margine proliferativo del tetto ottico e continua come lamina non proliferativa; diviene poi di nuovo proliferativa non appena tocca la superficie del cervelletto. Zone proliferative del cervelletto: (14a) una zona proliferativa si estende attraverso la valvola e il “corpus cerebelli”. (14b) La zona proliferativa del lobo caudale del cervelletto si estende dal lume del ventricolo, attraverso lo strato granulare, fino alla sua stessa superficie. Zone proliferative del midollo allungato: (15) zone proliferative nel lobo facciale (LVII) e vagale (LX) si estendono caudalmente nel nucleo interstiziale di Cajal. (16) La zona proliferativa del romboencefalo ventricolare si estende nel midollo spinale. (Grandel H et al., 2006)

(18)

neurogenesi adulta in Zebrafish (Lim et al., 2000; Colak et al., 2008; Bonaguidi et al., 2008; Mira et al., 2010). Infine la segnalazione Wnt è richiesta per l’attività proliferativa delle cellule progenitrici, per la loro migrazione e per il differenziamento neurale e agisce a livello dell’ipotalamo e del tetto ottico nello Zebrafish adulto (Lee et al., 2000).

Nei mammiferi la neurogenesi adulta è riservata a due siti: la zona subventricolare del ventricolo laterale pro encefalico (SVZ) e la zona subgranulare del giro dentato dell’ippocampo (SGZ) (Altman e Das, 1965; Luskin, 1993) (Fig. 1.9). La SVZ nel ratto adulto contiene cellule staminali neurali quiescenti simili agli astrociti e dette cellule B. Queste cellule possiedono un processo apicale con cui contattano il ventricolo e un processo basale con cui spesso contattano la vascolarizzazione del cervello. Esse danno origine a progenitori intermedi che a loro volta originano neuroblasti immaturi i quali poi migrano verso il bulbo olfattorio attraverso una via detta striscia migratoria rostrale (RMS). Si può dire che la neurogenesi della SVZ consiste in un processo continuo di formazione di nuove RMS. Quando queste cellule arrivano a livello del bulbo si muovono attraverso i suoi strati e circa la metà di esse si integra così nel circuito già presente, sostituendo i diversi tipi di interneuroni. Le cellule staminali neuronali della SGZ hanno attività proliferativa minore rispetto a quelle della SVZ e si dividono in due sottotipi, cellule radiali e cellule orizzontali (Suh et al., 2007). Entrambi i sottotipi danno origine a progenitori neurali intermedi che non migrano per lunghe distanze ma maturano in loco, infatti si integrano nell’adiacente strato cellulare granulare. Soprattutto in seguito a danno cerebrale queste cellule attivano la loro capacità proliferativa e neurogenica.

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Uno studio ha elaborato l’ipotesi che le cellule staminali adulte della SVZ, che in larga parte producono neuroni GABAergici del bulbo olfattivo, derivino dai progenitori neurali del telencefalo dorsale i quali a livello embrionale producono solo neuroni glutammatergici (Gorski et al., 2002). Dunque non si può escludere la possibilità che le cellule staminali neurali adulte nei mammiferi derivino da un sottogruppo di cellule gliali radiali che durante l’embriogenesi rimangono quiescenti e non danno origine a neuroni glutammatergici della corteccia (Costa et al., 2010). Le aNSCs della SVZ risultano avere una ridotta capacità nel generare diversi tipi cellulari neurali rispetto a quelle embrionali. Questa restrizione potrebbe essere dovuta ad uno specifico programma genetico ereditato dai progenitori della SVZ nei primi stadi di sviluppo (Merkle et al., 2007). Si ritiene che le cellule neurogeniche postnatali dei mammiferi mantengano la capacità di rigenerare una larga varietà di cellule neurali ma che tale capacità venga persa a causa di continui segnali restrittivi (Sequerra et al., 2013). Questo programma genetico restrittivo potrebbe, ad esempio,

Fig. 1.9: Aree neurogeniche dell’encefalo di uomo e di ratto adulto in sezione

trasversale. Nuovi neuroni ippocampali sono generati da precursori neurali localizzati nell’ippocampo in una regione conosciuta come zona subgranulare del giro dentato. Invece i nuovi neuroni olfattori originano da precursori neurali localizzati fuori dal sistema olfattorio in una regione conosciuta come zona sub ventricolare del ventricolo laterale. Queste cellule migrano verso il bulbo olfattorio attraverso la striscia migratoria rostrale. (GrandPré T, 2007)

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provenire da segnali ambientali che costringono le cellule neurogeniche della SVZ a produrre neuroni GABAergici, tramite una riprogrammazione genetica. Ciò è stato dimostrato nel ratto da un esperimento in cui sono state utilizzate co-colture di espianti di SVZ adulti e postnatali con porzioni di telencefalo embrionale (Sequerra et al., 2013). E’ stato osservato che le cellule di SVZ migrano verso la corteccia e danno origine a vari tipi neurali tra cui i neuroni glutammatergici con morfologia piramidale. Dunque le capacità neurogeniche delle aNSCs sono mantenute ma sono ostacolate da condizioni fisiologiche specifiche nel cervello adulto.

Uno studio del 1998 di Eriksson ha dimostrato la presenza di nicchie neurogeniche nell’uomo adulto. In esso è stato trattato con BrdU l’ippocampo di pazienti con tumori prima della loro morte. E’ stato osservato che il segnale BrdU è presente nelle cellule del giro dentato e della zona subventricolare. Molte cellule del giro dentato, positive per il segnale BrdU, presentano anche marcatori neurali.

L’importanza della neurogenesi nell’adulto è stata dimostrata da uno studio nel quale si è bloccato nel topo la capacità di neurogenesi adulta, provocando così alterazioni nelle perfomance cognitive e di apprendimento (Lafenêtre et al., 2010).

1.5 I geni ZNF367 e MEX3A

In un recente lavoro condotto dal gruppo del Dott. Alessandro Cellerino della Scuola Normale Superiore di Pisa è stata studiata l’attività neurogenica di

Nothobranchius furzeri (Fig. 1.10) (Baumgart et al., 2014). Si tratta di un pesce

teleosteo con una vita piuttosto breve (l'aspettativa di vita media è di circa 6 mesi) e caratterizzato da visibili fenomeni associati all’invecchiamento del cervello quali: ridotte performance di apprendimento, gliosi (processo di proliferazione di astrociti in aree danneggiate del sistema nervoso centrale) e ridotta neurogenesi adulta (Terzibasi Tozzini et al.,2012). Nothobranchius f. contiene diffuse nicchie di aNSCs e la loro attività neurogenica diminuisce esponenzialmente con l’età. Si osserva infatti che tale attività è rapidamente sotto-regolata tra le 5 e le 12 settimane di vita fino a decrescere

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ulteriormente a 25 settimane (Kempermann, 2011; Terzibasi Tozzini et al., 2012).

Durante il lavoro del gruppo del Dott. Cellerino è stato sequenziato il trascrittoma di

N. furzeri estratto dal cervello a varie età: 5, 12, 20, 27 e 39 settimane. Queste età

corrispondono nel pesce alla maturità sessuale, al giovane adulto, all’adulto, alla durata di vita media e alla vecchiaia (a cui solo un 30% degli esemplari riesce ad arrivare). Da questo sequenziamento è stata osservata una variabilità nell’espressione di alcuni geni in funzione dell’età. I geni con una significativa variabilità nell’espressione sono stati suddivisi in “cluster” temporali (Fig. 1.11).

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Dopodiché i geni di ciascun “cluster” sono stati sottoposti ad un’analisi di “gene ontology” per classificarli in base alla loro funzione e ad un’analisi di network fondata sulle correlazioni dei livelli di trascrizione. Da queste analisi è stato preso in considerazione il “cluster” 1, ricco di geni associati al ciclo cellulare e alla replicazione del DNA. Fra questi geni troviamo: MEX3A, ZNF367 e Krcp. Di questi ne è stata valutata l’espressione nel sistema nervoso centrale di Zebrafish allo stadio di 72h. A questo stadio le nicchie neurogeniche sono già ben delimitate. I risultati dimostrano che questi geni sono espressi in aree ad attività neurogenica (Fig. 1.12). Un ulteriore analisi di espressione è stata condotta sul cervello di N. furzeri all’età di 5 e di 25 settimane e risulta variare in dipendenza dall’età (Fig. 1.13).

Fig. 1.11: Fuzzy c-means (FCM) “clustering” basato sul profilo temporale di espressione di

4014 geni con significativa espressione differenziale (DEGs) nel corso della vita di Nothobranchius furzeri. Ciascuna linea continua rappresenta il valore medio del cluster e le linee tratteggiate rappresentano il 95% dell’intervallo di confidenza. Per ogni “cluster” è riportata la percentuale di DEGs assegnati. I “clusters” sono ordinati in base al numero totale dei loro membri. (M Baumgart et al., 2014)

(23)

Fig. 1.12: Visione dorsale e laterale di

embrioni di Zebrafish di 72h sottoposti a ibridazione in situ “whole mount” per l’analisi di espressione dei geni: ZNF367 (fattore di trascrizione), KRCP (fattore di trascrizione specifico per i pesci teleostei) e

MEX3A (“RNA binding protein”).

L’antigene di proliferazione nucleare (PCNA) è utilizzato per visualizzare le regioni proliferative nel cervello di Zebrafish a stadio larvale a livello del margine posteriore del tetto ottico (freccia verde), dei lobi ottici e della retina (freccia rossa) e dei bulbi olfattivi (freccia gialla). (M Baumgart et al., 2014)

Fig. 1.13: Ibridazione in situ con doppia marcatura e immunoistochimica sul margine

posteriore del tetto ottico in N. furzeri per i geni: MEX3A, KRCP e ZNF367. Il segnale ISH per i geni è rivelato utilizzando il Fast Red ed è visualizzato in rosso, il segnale ISH per il PCNA è visualizzato in verde per localizzare le nicchie proliferative del tetto ottico. Sono mostrati anche i due segnali sovrapposti. Gli animali giovani hanno 5 settimane e quelli vecchi ne hanno 25. (M Baumgart et al., 2014)

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Il gene ZNF367 appartiene alla famiglia “zinc finger”, codifica per una proteina legante il DNA con motivo a dita di zinco. Il modello classico è detto Cys2 Hys2 ed è costituito da un’α elica e da un foglietto β antiparallelo con due residui di cisteina e due di istidina che complessano con uno ione zinco tramite legami di coordinazione. La regione responsabile dell’attacco al DNA è localizzata all’N-terminale dell’α elica, qua infatti ritroviamo quattro residui amminoacidici che tramite legami a idrogeno o interazioni di Van der Waals partecipano al riconoscimento e all’attacco di una sequenza di DNA, generalmente tri- o tetra-nucleotidica. Il motivo Cys2 Hys2 è stato inizialmente identificato nel fattore di trascrizione TFIIIA di Xenopus ed è costituito da ripetizioni di una specifica sequenza consenso. Il dominio a dita di zinco permette alle proteine di legarsi in maniera specifica al DNA e di regolare l’espressione di geni target (Wolfe et al.,1999) (Fig.1.14).

In letteratura non ci sono informazioni sulla funzione del gene ZNF367 a livello neurale. Un ortologo di ZNF367, il gene ZFF29, è stato identificato durante l’analisi di cellule eritroidi di fegato fetale all’interno di una ricerca sui fattori di trascrizione appartenenti all’intero genoma umano (Asano et al., 2004). Fra questi fattori la famiglia più consistente è quella delle proteine a dita di zinco Cys2 Hys2. Studiando le regioni al 5’e al 3’ UTR del gene ZFF29 ne sono stati identificati due omologhi,

ZFF29a e ZFF29b, divergenti per la porzione al 3’. Entrambi i geni codificano per

Fig. 1.14: Struttura proteica dedotta dalla sequenza genica di ZNF367 in,

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una proteina con tre dita di zinco Cys2 Hys2. Il terzo dito è incompleto in quanto il numero di amminoacidi fra la seconda cisteina e la prima istidina è 9, tipicamente invece è 12, dunque non svolge la normale funzione. E’ stata poi studiata l’espressione del gene ZFF29 in tessuti adulti umani ed è stato osservato che nessuno degli mRNA dei due omologhi è presente oppure si trova in una concentrazione troppo bassa e non rilevabile tramite Northern blot. Sono stati però trovati bassi livelli di ZFF29 in molti tessuti adulti di topo: l’ovario è quello che presenta i livelli maggiori, seguono poi il midollo osseo e i testicoli. L’analisi funzionale dei due geni omologhi ha poi confermato la loro attività come fattori di trascrizione, dimostrando la localizzazione di entrambi nel nucleo e osservando che ZFF29b, ma non ZFF29a, è un attivatore dei promotori dei geni eritroidi. La differenza di funzionalità potrebbe risiedere nel diverso dominio al C-terminale.

Uno studio recente si è occupato dell’analizzare il ruolo del gene ZNF367 nei tumori al sistema endocrino (Jain et al., 2014). Recentemente infatti è stato osservato che l’espressione di alcune proteine con motivo a dita di zinco è alterata durante alcuni processi tumorali. Questi fattori agendo come attivatori o repressori trascrizionali possono contribuire a fenomeni di resistenza alla chemioterapia (Seyan AA et al., 2009). Il gene ZNF367 risulta essere sovraespresso in varie forme tumorali endocrine, nel carcinoma adrenocorticale, nel cancro papillare alla tiroide e nei feocromocitoma e paraganglioma maligni. In seguito a tale osservazione è stato analizzato come ZNF367 possa influenzare nei vari tumori endocrini i tre processi fondamentali per la progressione tumorale: la proliferazione cellulare, l’attività invasiva e la migrazione. La perdita di funzione del gene tramite l’utilizzo di uno specifico siRNA comporta, sia in vivo che in vitro, un aumento di questi tre processi cellulari, mentre la sua sovraespressione comporta il risultato opposto, cioè la loro diminuzione. Dunque il gene ZNF367 risulta inibire la proliferazione cellulare, la migrazione e l’attività invasiva tipiche dei tumori. Sempre all’interno di questo studio si è cercato di identificare la fonte della disregolazione nei livelli di espressione di

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potessero avere come target ZNF367. E’ stato così identificato miR-195; la sua sovraespressione in linee cellulari tumorali mantenute in vitro comporta una diminuzione nei livelli di ZNF367. Dunque è stato ipotizzato che miR-195 sia un soppressore trascrizionale diretto di ZNF367 e che la sua attività venga persa a livello tumorale; si spiegherebbero così gli alti livelli di ZNF367 nei processi tumorali del sistema endocrino.

Il gene MEX3A codifica per una proteina legante l’RNA. In letteratura troviamo alcuni lavori in cui se ne è studiata la struttura e la funzione.

In uno studio sul mantenimento della totipotenza nelle cellule della linea germinale in

Caenorhabditis elegans, si è indagato sui possibili meccanismi in grado di regolare

questo processo (Ciosk et al., 2006). Un elemento essenziale per il mantenimento della totipotenza è il gene GLD-1. Esso codifica per un regolatore trascrizionale avente come target specifici, proteine leganti l’RNA e aventi domini KH (“K-homology”). Questi domini sono stati inizialmente caratterizzati nella ribonucleoproteina nucleare eterogenea K (Vernet e Artz, 1997). Fra i target di GLD-1 è stata identificata la proteina MEX-3 che possiede due domini KH. Sono stati studiati doppi mutanti di C. elegans per GLD-1 e MEX3: in essi molti nuclei della gonade non sembrano nuclei germinali ma nuclei tipici dei tessuti somatici. Queste cellule anormali differenziano in cellule somatiche di tipo muscolare, neuronale e intestinale. Si ritiene che la mancata presenza dei geni GLD-1 e MEX3 porti alla transdifferenziazione delle cellule germinali in cellule somatiche. I precursori del muscolo, durante la normale embriogenesi, sono specificati da una via di segnalazione che coinvolge il regolatore trascrizionale PAL-1, ortologo di Caudal, omoproteina di Drosophila e fattori a valle come HLH-1. Questa via di segnalazione, in condizioni normali, non è attiva nelle cellule germinali (Baugh, 2005, Fugushige e Krause, 2005). Nei doppi mutanti GLD-1 e MEX3 ritroviamo invece nelle cellule germinali alti livelli di HLH-1. Eliminando in esse PAL-1 si comporta una drastica riduzione dei livelli di HLH-1 ed anche dei corpi muscolari. E’ stato dunque

(27)

ipotizzato che i due geni GLD-1 e MEX3 abbiano la funzione di reprimere il gene

PAL-1 nelle normali cellule germinali, escludendone un destino somatico (Draper et

al., 1996).

In un lavoro del 2007 (Buchet-Poyau et al.,2007) è stata individuata una famiglia umana di quattro geni: hMEX3A, hMEX3B, hMEX3C e hMEX3D, omologhi del gene

MEX3. Codificano per fosfoproteine leganti l’RNA con due domini KH e un motivo

“RING finger” all’estremità carbossi-terminale. Il “RING finger” è un tipo strutturale particolare di dita di zinco contenente il motivo Cys3HysCys4 che coordina due ioni zinco. Facendone uno studio d’espressione è stato osservato che hMEX3D è espresso in tutte le linee cellulari e tessuti umani analizzati, mentre gli altri tre geni sono maggiormente espressi nel cervello embrionale, nei testicoli, nel timo, nelle ghiandole salivari, nell’utero e nell’intestino (Fig. 1.15)

Sono stati condotti anche studi funzionali: tramite una immunoprecipitazione è stato dimostrato che le proteine hMEX interagiscono con gli mRNA e che tale interazione è a carico dei due domini KH. In più è stato dimostrato che queste proteine hMEX3

Fig. 1.15: Profilo di espressione dei geni hMEX3. I livelli di espressione dei geni hMEX3

sono stati analizzati tramite RT-PCR con l’utilizzo di specifici primer interni e sono stati confrontati con il livello di espressione di un gene espresso ubiquitariamente, GAPDH. Gli RNA sono stati estratti da 20 tessuti umani. (Buchet-Poyau et al.,2007)

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sono proteine di trasporto nucleo-citoplasmatico dipendenti dal sistema di esportazione nucleare CMR-1 e che la loro localizzazione nucleare è permessa dalla sequenza segnale NES presente nella loro regione N-terminale. Un’altra osservazione riscontrata è che hMEX3A e hMEX3B sono co-localizzati con hDcp1 (enzima umano che rimuove il CAP agli RNA messaggeri) all’interno dei corpi P contenenti proteine coinvolte nel metabolismo degli RNA messaggeri. Le proteine Argonauta umane (Ago) fanno parte del complesso RISC, complesso silenziatore indotto da RNA, e Ago1 e Ago2, con la loro attività di silenziamento di RNA messaggeri, sono stati ritrovati nei corpi P. Per dimostrare la relazione fra hMEX3 e le proteine Ago è stata effettuata un’immunoprecipitazione. I risultati dimostrano che Ago1 e Ago2 co-precipitano con hMEX-3A, -3B, -3C; ciò dimostra che queste proteine sono associate. Inoltre è stato osservato che i motivi “RING fingers” hanno funzione di ubiquitina-proteina ligasi (E3) (Joazeiro e Weissman, 2000). Ciò suggerisce che le proteine hMEX3 potrebbero mediare un’auto-ubiquitinazione oppure l’ubiquitinazione di proteine target regolandone la stabilità e/o la localizzazione subcellulare (Fig. 1.16).

Durante una ricerca di nuovi geni espressi nel neuroectoderma anteriore di Xenopus, si è identificato un gene codificante una proteina che lega RNA e avente due domini

Fig. 1.16: Struttura della proteina dedotta dalla sequenza genica di hMEX3

nell’uomo. Osserviamo i due domini KH e il “RING finger” all’estremità carbossi-terminale.

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KH e un dominio “RINGfinger”, si tratta di MEX3B (Takada et al., 2009). In questo lavoro è stata condotta un’analisi funzionale di questo nuovo gene durante l’embriogenesi di Xenopus. Dal pattern di espressione si osserva la localizzazione dell’mRNA di MEX3B: allo stadio di quattro cellule è presente nel polo animale, allo stadio di gastrula precoce lo troviamo nell’intero ectoderma e nella regione equatoriale, durante la gastrulazione si concentra nella piastra neurale e a stadi più tardivi è presente nel cervello e negli archi branchiali (Fig. 1.17).

La sovraespressione di MEX3B nel mesoderma ed ectoderma dorsale comporta allo stadio di gastrula precoce: il mantenimento senza alterazioni della regione di espressione del marker pan-neurale Sox2 e del marker di creste neurali msx-1. Allo stadio di “tailbud” la sovraespressione comporta una lieve alterazione dell’asse dell’embrione, suggerendo un ruolo di MEX3B nella formazione dell’asse antero-posteriore. La perdita di funzione di MEX3B, tramite la microiniezione di un

morpholino, comporta allo stadio di “tailbud” un fenotipo presentante una mancata

chiusura del tubo neurale.

Fig. 1.17: Profilo di espressione di MEX3B in embrione di Xenopus a 4

cellule (D,E), gastrula precoce (F,G), gastrula tardiva (H), neurula precoce (I) e “tailbud” (J). Visione animale (A), visione laterale (L), visione dorsale (D) e visione vegetale (V). (Takada et al., 2009)

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Nel 2013 è stato condotto uno studio su CDX2 (Pereira et al., 2013). CDX2 è un fattore di trascrizione umano con homeobox e riveste un ruolo importante nel determinare il destino cellulare a livello intestinale tramite riprogrammazione genica, sia durante il normale sviluppo embrionale, sia durante i processi tumorali (Beck et al., 1999; Gao e Kaestner, 2010). Durante questo studio è stata identificata la proteina legante l’RNA, MEX3A, come possibile fattore coinvolto nella regolazione negativa di CDX2. Con la sovraespressione di MEX3A in cellule di carcinoma gastrico umano è stata riscontrata una considerevole diminuzione dell’espressione della proteina CDX2. Inoltre è stata osservata una specifica localizzazione subcellulare di MEX3A a livello dei corpi P, centro di silenziamento e degradazione degli mRNA; dunque si ipotizza che MEX3A svolga la sua attività repressiva nei confronti di CDX2 interagendo con tale centro. Ricerche bioinformatiche condotte sulla regione 3’ UTR di CDX2 rivelano la presenza di una sequenza consenso degenerata di legame con le proteine MEX3, cioè la sequenza MRE (“mutated MEX3 recognition element”) (Pagano et al., 2009). Questa sequenza è bipartita in due motivi, AGAG e UUUA, separati da due basi uracile. In questo lavoro si è dimostrato che inserendo una mutazione nella sequenza MRE, si perde del tutto la capacità di legame di CDX2 con MEX3. Dunque l’interazione fra MEX3 e CDX2 ha come determinante la sequenza MRE al 3’UTR di CDX2. Sono stati condotti esprimenti anche sulla linea di cellule intestinali, Caco-2; in esse la perdita di funzione di MEX3A, tramite l’utilizzo di uno specifico siRNA, comporta precoci alti livelli di CDX2. La sovraespressione porta invece ad una diminuzione dei livelli di CDX2 e le cellule che sovraesprimono MEX3A possiedono dei ritmi del ciclo cellulare diversi rispetto alle condizioni normali: si hanno poche cellule in fase G0 o G1 e molte cellule in fase S e dunque in proliferazione. Si conclude quindi che MEX3A possa mantenere le cellule gastro-intestinali umane in uno stato indifferenziato e staminale andando a reprimere il loro principale fattore di differenziamento, CDX2.

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