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5 Uno studio sulle partecipate dei Comuni italiani e il Piano di Razionalizza- zione 5.1 Studio sulle partecipate detenute dai Comuni italiani. 5.1.1 Le partecipate dei Comuni italiani

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5 Uno studio sulle partecipate dei Comuni italiani e il Piano di Razionalizza-zione

5.1 Studio sulle partecipate detenute dai Comuni italiani.

5.1.1 Le partecipate dei Comuni italiani

Nel giugno del 2014 a cura del Cerved PA, il più grande Information Provider in Italia e una delle principali agenzie di rating in Europa, è stato elaborato uno stu-dio sulla situazione delle partecipate nei Comuni italiani prendendo in esame 8.058 Enti.

È venuto alla luce che nonostante gli sforzi messi in atto dalla politica per ridurre il numero delle società partecipate dagli Enti locali questi detengo tutt’oggi un portafoglio di partecipazioni molto ampio.

Secondo i dati elaborati tramite il portale per e sulla Pubblica Amministrazione, grazie all’incrocio di vari archivi, tra cui quello delle imprese iscritte alle Camere di Commercio, è risultato che il 97% dei Comuni italiani detiene quote del capi-tale sociale di una o più imprese. Si è arrivati a contare 118 mila partecipazioni dirette o indirette, fino al terzo livello, in 6.469 società.

Tabella 5.1 I Comuni italiani con partecipazioni in società iscritte al registro

del-le imprese

3%

97%

Comuni senza partecipazioni Comuni con almeno una partecipazione

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Al momento dello svolgimento dell’analisi risultano attive 5.288 società, pari all’82%, di quelle prese in esame per il rapporto, in liquidazione 915 società, pari al 14%, in fallimento o in un’altra procedura concorsuale 242 società, pari al 4% e 24 società risultano essere cessate o sospese.

Tabella 5.2 Operatività delle società partecipate dai Comuni italiani

Dallo studio emerge che non sempre i Comuni investono in società di cui eserci-tano il controllo infatti il 40% delle partecipate dai Comuni ha una quota maggio-ritaria detenuta da privati. Sono circa 3.100 le partecipate da almeno un comune in cui più della metà del capitale sociale fa capo a enti della PA, nel 58% dei casi il controllo è esercitato da un solo ente comunale mentre nel restante 42% il con-trollo è esercitato da più Enti pubblici.

Tabella 5.3 Le partecipate dai comuni italiani per soggetto controllante (Società

operative) 5.288 915 242 24 Operative In liquidazione In procedura concorsuale Cessate o sospese Controllate da un

solo Comune Controllate da più

Enti pubblici Controllate da privati 34,7

25,3

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L’investimento in partecipate pubbliche è un fenomeno che riguarda sia piccoli che grandi Comuni, sono circa 2.300 le società partecipate da un Comune di pic-cola dimensione, cioè con meno di 30 mila abitanti, 683 le società partecipate da un comune di media dimensione, abitanti compresi tra i 30 mila e i 50 mila, e 2.286 quelle partecipate da Comuni più popolosi con oltre 50 mila abitanti1.

Tabella 5.4 Società partecipate per dimensione del Comune di riferimento

(So-cietà operative)

I comuni più popolosi tendono ad investire più frequentemente in partecipazioni di minoranza o in società in cui gli enti pubblici hanno meno della metà del capi-tale sociale, si tratta del 47% dei casi rispetto al 32% dei Comuni con abitanti tra i 30 mila e i 50 mila e al 34% dei Comuni più piccoli. Nei Comuni minori avvie-ne l’inverso, cioè si investe più frequentemente in partecipate il cui controllo è pubblico.

Tabella 5.5 Investimenti in partecipazioni a controllo privato per dimensioni del

Comune di riferimento (% delle partecipate comunali in cui privati hanno la maggioranza del capitale sociale sul totale delle partecipate del Comune)

1. Nel caso in cui in questa analisi una società fosse partecipata da due o più Comuni quello preso a rife-rimento è quello con la quota percentuale più alta, o a parità di quota, quello più popoloso.

Meno di 30 mila abitanti

Tra 30 mila e 50 mila abitanti

Oltre 50 mila abitanti 2.310

683

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I dati raccolti per l’analisi indicano che il ventaglio di investimenti dei Comuni comprende tutte le dimensioni di impresa, nel 36% dei casi si tratta di partecipate di dimensione macroscopica, con un attivo inferiore ai 2 milioni di euro, nel 24% dei casi si tratta di piccole società che hanno un attivo compreso tra i 2 e i 10 mi-lioni di euro, nel 18% dei casi sono aziende di medie dimensioni con un attivo compreso tra i 10 e i 50 milioni di euro e il restante 10% sono grandi società con un attivo di oltre 50 milioni. Tra le società maggiori si annovera un piccolo nu-mero di casi, 15, in cui la partecipata comunale è quotata in Borsa.

Tabella 5.6 Le dimensioni delle partecipate comunali (per valore dell’attivo,

so-cietà operative)

5.1.2 Cosa fanno le partecipate comunali

La gamma delle attività svolte dalle partecipate dei Comuni italiani è molto diffe-renziata, non si caratterizza solo per i tipici servizi pubblici locali di fornitura di energia, di raccolta e fornitura di acqua, di smaltimento dei rifiuti, di trasporto

Meno di 30 mila abitanti Tra 30 mila e 50 mila abitanti Oltre 50 mila abitanti 34,5 32,7 47,9

Micro (< 2 mil) Piccole (2-10 mil) Medie (10-50 mil) Grandi (> 50 mil) 1.897 1.274 930 531

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pubblico, di servizi di istruzione e sanità, i quali comprendono anche le farmacie comunali, ma i dati indicano che 931 società, pari al 17,7% delle partecipate dei Comuni operative e non quotate, forniscono servizi di consulenza, si tratta prin-cipalmente di società che operano nel campo della consulenza amministrativo-gestionale, circa 300 casi, ma anche di aziende che forniscono supporto nel setto-re della comunicazione, delle pubbliche setto-relazioni, della setto-realizzazione di eventi e fiere, circa 250 casi. Sono per lo più aziende di piccole dimensioni e il loro peso calcolato sull’attivo complessivo scende al 10,5%.

Sono 638, il 12% del totale, le partecipate che operano nel campo dell’energia elettrica e del gas, si tratta di aziende che generano quasi un quarto dell’attivo complessivo, il 23,7%. Le attività attive nel campo dello smaltimento dei rifiuti sono 518, 9,8% del totale e dispongono di un attivo che nel 2012 si è attestato a 17 miliardi di euro, pari al 10,5% dell’attivo totale. Gli archivi consultati indica-no che i Comuni italiani hanindica-no partecipazioni in 449 esercizi di commercio al dettaglio, pari all’8,5% delle partecipate, si tratto per lo più di farmacie comunali, ma anche di supermercati e ipermercati. Si tratta di piccoli esercizi che pesano sul totale delle partecipate per l’8,5% e sul totale dell’attivo per 1,1%. Vi è anche la presenza di società partecipate che operano nel campo sociale, dell’istruzione e della sanità e sono il 7,1% del totale delle partecipate, queste però sono di piccole dimensioni infatti se rapportate al totale dell’attivo il loro peso scende all’1,3%. Nell’ambito dei servizi sono state individuate 386 aziende, il 7,3% del totale del-le partecipate, che svolgono una gamma di attività molto differenziata, che com-prende servizi di assistenza turistica, di software, attività di pulizia e disinfesta-zione e di ricerca e sviluppo. Si tratta di imprese con un basso volume di attivo infatti il loro peso è solo del 2,3% del totale dell’attivo. Un’ampia presenza delle partecipate comunali si riscontra anche nel campo dei trasporti, si contano 337 società di supporto ai trasporti, il 6,4% del totale delle partecipate, si tratta di aziende che gestiscono parcheggi e autorimesse, servizi portuali, attività connes-se al trasporto aereo e di movimentazione merci, e 320 aziende di trasporto pub-blico, pari al 6,1% del totale delle partecipate. Il primo gruppo di aziende vanta un volume di attivo consistente, 21 mila miliardi, pari al 13% del totale, mentre il

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gruppo del trasporto pubblico ha un attivo pari al 9,2% del totale. Le 330 società che operano nel settore delle costruzioni costituiscono il 6,3% del totale delle partecipate comunali e dispongono di un attivo che supera gli 11 miliardi, pari al 6,9% del totale. Tra le partecipate comunali si contano 244 società immobiliari, pari al 4,6% del totale, con un attivo di circa 9,2 miliardi, pari al 5,7% del totale, e 204 società che si occupano di raccolta, trattamento e fornitura di acqua, queste rappresentano il 3,4% del totale delle partecipate, e pesano per il 10,2% in termi-ni di attivo di bilancio. Completano il quadro 542 aziende attive in altri settori che dispongono di circa 9 miliardi di attivo, vengo qui ricomprese le società che operano nei settori che vanno dall’allevamento, alle telecomunicazioni, al com-mercio all’ingrosso, alla manifattura, a conferma dell’ampio ventaglio di attività che caratterizza i portafogli partecipate dei Comuni italiani

Tabella 5.7 le partecipazioni comunali per settore di attività economica (% sul

totale, società operative non quotate)

3,9 4,6 6,1 6,3 6,4 7,1 7,3 8,5 9,8 10,3 12,1 17,7

Trattamento e fornitura di acqua Attività immobiliari Trasporto pubblico Costruzioni Supporto ai trasporti Servizi sociali, istruzione e sanità Servizi Commercio al dettaglio Smaltimento rifiuti Altro Energia e gas Consulenza

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Tabella 5.8 Volume dell’attivo per settore di attività delle partecipate comunali

(% sul totale, società operative non quotate)

5.1.3 La distribuzione geografica

La presenza delle partecipate dei Comuni sul territori italiano è molto diversifica-ta, sia in termini di numero di società per abitante, sia in termini di specializza-zione settoriale delle stesse partecipate.

Il Nord Ovest è l’area in cui si concentra il maggior numero di società partecipate dai comuni, si contano 1.542 società con sede in quest’area, va specificato che l’analisi viene fatta in base alla sede legale della società e non all’area geografica del comune di riferimento, oltre la metà di queste società ha sede in Lombardi, 845 partecipate, seguono il Piemonte con 460 partecipate, la Liguria con 200 par-tecipate e la Valle d’Aosta con 37 parpar-tecipate. Mentre la specializzazione setto-riale di Lombardia e Piemonte risulta piuttosto in linea con quella nazionale, la presenza delle partecipate in Liguria e Valle d’Aosta riflette le caratteristiche del-le economie di queste due regioni, con un peso più ridel-levante di società che opera-no nel campo delle infrastrutture e di supporto ai trasporti nel caso della Liguria, questo dovuto all’importanza dei trasporti marittimi, e di partecipate che operano nel campo della produzione dell’energia e che gestiscono servizi di trasporto, prevalentemente impianti sciistici, in Valle d’Aosta.

1,1 1,3 2,3 5,5 5,7 6,9 9,2 10,2 10,5 10,5 13 23,7 Commercio al dettaglio Servizi sociali, istruzione e sanità Servizi Altro Attività immobiliari Costruzioni Trasporto pubblico Trattamento e fornitura di acqua Consulenza Smaltimento rifiuti Supporto ai trasporti Energia e gas

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Nel Nord Est si contano 1.379 partecipate comunali non quotate, la regione che ne detiene il maggior numero è il Veneto con 472 partecipate seguito subito dopo dall’Emilia Romagna con 435 partecipate. In Trentino Alto Adige le partecipate comunali giocano un ruolo rilevante, con una forte presenza di società nel campo della produzione dell’energia e nel trasporto pubblico, anche in questo caso lega-ta alla presenza di numerosi impianti sciistici, complessivamente se ne conlega-tano 354, il numero maggiore in rapporto alla popolazione tra tutte le regioni italiane. Infine in quest’area con il numero di partecipate più basso troviamo il Friuli Ve-nezia Giulia che ne conta 118.

Nelle regioni del Centro Italia hanno sede 1.248 partecipate comunali non quota-te. In Toscana operano quasi la metà di queste società, 619, a seguire abbiamo il Lazio con 283 partecipate. Nelle Marche opera un numero leggermente inferiore di partecipate comunali rispetto a quelle osservate nel Lazio, 221, e in Umbria si contano 125 partecipate comunali. La specializzazione settoriale delle partecipate differisce significativamente tra le varie regioni, si osserva una forte presenza di esercizi commerciali, soprattutto farmacie, in Toscana e nel Lazio, regione nella quale è elevata anche la quota di società che operano nei servizi, in Umbria si ha una forte presenza di società che operano in “altri settori”, attività non tipiche dei servizi che offrono le municipalizzate.

Nelle regioni del Sud e sulle isole la presenza di partecipate comunali è significa-tivamente minore rispetto al resto della Penisola, si contano 1.104 società parte-cipate complessive e nessuna regione, ad eccezione della Campania che detiene 264 partecipate, arriva a duecento partecipate. La bassa presenza di partecipate dei comuni del Mezzogiorno è accompagnata da una maggiore presenza relativa delle partecipate in settori diversi da quelli tipici di fornitura dei servizi locali, ad esempio più di un quarto delle partecipate con sede nel Mezzogiorno opera nella consulenza, il 26% contro il 17,7% della media nazionale.

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Tabella 5.9 Numero di partecipate per Regione

Regione Numero Società

partecipate NORD OVEST 1.542 Lombardia 845 Piemonte 460 Liguria 200 Valle d’Aosta 37 NORD EST 1.379 Veneto 472 Emilia Romagna 435

Trentino Alto Adige 354

Friuli Venezia Giulia 118

CENTRO 1.248 Toscana 619 Lazio 283 Marche 221 Umbria 125 SUD E ISOLE 1.104 Campania 264 Puglia 194 Sicilia 183 Abruzzo 149 Sardegna 135 Calabria 119 Basilicata 39 Molise 21 TOTALE COMPLESSIVO 5.273 5.1.4 Le partecipate da cedere

Secondo la Legge 122/2010, poi superata dalla Legge di Stabilità, Legge 147/2013, i Comuni con una popolazione inferiore ai 30 mila abitanti non pote-vano costituire nuove società e dovepote-vano mettere in liquidazione o cedere le par-tecipazioni nelle società già costituite in perdita, si faceva riferimento alle società che non avevano prodotto utili in ognuno degli ultimi tre esercizi, con riduzione di capitale o in cui gli stessi Comuni erano stati gravati dall’obbligo di ripianare le perdite. I Comuni con abitanti compresi tra 30 mila e 50 mila potevano invece detenere una sola partecipazione societaria. La Legge stabiliva anche come ter-mine entro il quale i Comuni minori avrebbero dovuto rispettare l’obbligo di

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ces-sione di liquidazione delle proprie partecipate il 30 settembre 2013. Per il rispetto di tale obbligo però era sufficiente la deliberazione del consiglio comunale di av-vio della procedura di liquidazione o di cessione, delle quote o delle azioni, e non l’effettiva dismissione della partecipazione.

Secondo i dati raccolti dal Cerved, esiste un’ampia presenza di Comuni che non hanno liquidato o ceduto le proprie quote in società partecipate e che rientrereb-bero nella platea di quelle da liquidare o da cedere.

Nel 2013 con la Legge di Stabilità si ha avuto l’abrogazione di queste disposizio-ne e l’introduziodisposizio-ne, a partire dal 2015 dell’obbligo di accantonamento disposizio-nei bilanci degli enti partecipanti le società in perdita.

Se la Legge di Stabilità non fosse intervenuta in questo senso l’obbligo di cessio-ne avrebbe riguardato un numero molto rilevante di Comuni italiani, il 46% dei 7.481 piccoli centri aventi una popolazione inferiore ai 30 mila abitanti avrebbe-ro dovuto cedere o liquidare almeno una società con quote di capitale sociale. La percentuali risultano piuttosto elevate in Toscana, regione in cui il 77% dei pic-coli Comuni era soggetta a questo obbligo, nelle Marche, dove i picpic-coli Comuni sono pari al 72% e in Umbria, dove i piccoli Comuni sono il 67%.

Gli archivi del Cerved permettono anche di individuare le aziende oggetto di questo obbligo. In base all’analisi svolta relativa alle partecipazioni non quotate di primo livello2, avrebbero dovuto essere cedute, entro settembre 2013, 1.472 delle 3.759 partecipate, operative e non, in cui i Comuni hanno una partecipazio-ne diretta.

Tabella 5.10 Comuni con obbligo di cessione e partecipate oggetto dell’obbligo

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Di queste 1.472 società risultano in liquidazione solo 316 partecipate, pari al 21,5% del totale, mentre 64 società sono in procedura concorsuale, pari al 4% del totale. I tre quarti di questi insieme, 1.092 società, risultano ancora attive.

Tabella 5.11 partecipate comunali oggetto dell’obbligo di cessione per stato di

attività

Dal punto di vista geografico le partecipate comunali con obbligo di cessione si concentrano soprattutto in Lombardia, il 14,8% del totale, in Trentino Alto Adi-ge, il 9%, e in Toscana, l’8,9%. Piccoli Comuni con obbligo di vendere le partecipate Piccoli Comuni senza obbligo di vendere le partecipate Partecipate oggetto dell'obbligo di cessione Partecipate di primo livello non

oggetto dell'obbligo di cessione 3.459 1.472 4.022 2.287

Operativa In liquidazione In procedura o cessata 1.092

316

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5.2 Il Piano di Razionalizzazione

5.2.1 La proposta del Ministro Cottarelli

Nel agosto 2014 l’allora Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, propose un programma di razionalizzazione delle partecipate per portarle da 8 mila a mille in tre anni ottenendo cosi efficienza e un risparmio di spesa di 2-3 miliardi di euro.

È difficile stabilire se le partecipate in Italia siano 8 mila, quelle censite diretta-mente dal Mef sono 7.726, o più realisticadiretta-mente 10 mila, come risulta da altre banche dati, il numero reale è incerto e gli amministratori spesso non rispondono ai questionari, quindi si ha difficoltà a comprenderne fino in fondo la portata e il perimetro. In ogni caso risultano essere troppe visto che sono 8 volte di più il numero delle partecipate francesi che ammonta a mille unità.

La strategia proposta dal Commissario si basa su quattro cardini:

 Circoscrivere il campo di azione delle partecipate entro lo stretto perime-tro dei compiti istituzionali dell’ente partecipante, rafforzando quanto pre-visto dalla legge finanziaria del 2008. Questo significa che le partecipate devono esimersi dal produrre beni e servizi che il settore privato può offri-re. In base a questo principio viene proposta una lista di attività rispetto al-le quali la presenza di una partecipata dovrebbe essere consentita dalla so-la delibera dell’ente partecipante, per operare in altri settori so-la partecipata necessiterà dell’autorizzazione di un ente esterno;

 Introdurre vincoli diretti su varie forme di partecipazioni al fine di ridurre il rischio di detenzione di partecipate non essenziali, si propone di limita-re: le partecipazioni indirette, le “micropartecipazioni” perché non posso-no essere considerate strategiche, le “scatole vuote”, le partecipazioni in perdita prolungata e le partecipate dei piccoli comuni. Viene anche propo-sta l’accelerazione del processo di chiusura delle partecipate già in liqui-dazione e norme più restrittive sulle fondazioni;

 Fare ampio ricorso alla trasparenza e alla pressione dell’opinione pubblica adeguatamente informata come strumento di controllo;

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 Promuovere l’efficienza delle partecipate che rimarranno operative attra-verso quattro componenti:

o L’uso diffuso dei costi standard come strumenti di gestione;

o L’aggregazione di partecipate che offrono servizi simili per sfrutta-re al meglio le economie di scala;

o L’adozione di una strategia ad hoc per il trasporto pubblico locale che registra perdite particolarmente elevate e indici di efficienza molto deboli

o Per le venti partecipate con perdite più elevate devono essere defi-niti piani di rientro che devono essere approvati centralmente, con possibilità di commissariamento in assenza di progressi.

Il programma include anche misure dirette a contenere i costi di amministrazione con una ulteriore riduzione del numero e della remunerazione degli amministra-tori.

Infine il programma comprende tre azioni che sono strumentali alla sua concreta realizzazione:

 Incentivi alla razionalizzazione del settore anche attraverso un allentamen-to del patallentamen-to di stabilità e incentivi finanziari alle ristrutturazioni;

 Un percorso non traumatico per risolvere il problema degli esuberi di per-sonale;

 L’applicazione di sanzioni, con responsabilità personali per gli ammini-stratori dell’ente controllante e di quelli della partecipata, in caso di ina-dempienza rispetto agli obblighi fissati dalla normativa.

Uno dei punti focali del programma presentato dal Commissario Cottarelli ri-guarda il perimetro delle partecipate locali, anche perché un programma il cui fi-ne ultimo quello della razionalizzaziofi-ne, dell’efficientamento e della semplifica-zione non può prescindere dal definire quale sia il perimento appropriato dell’attività delle partecipate.

Le domande che ci si pongono sono:

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 “potrebbe l’attività essere svolta direttamente dall’ente partecipante senza ricorrere a una partecipata?”

Per poter prendere una decisione in merito a questi due quesiti, risulta essenziale avere un sistema di governance e di trasparenza tale da garantire che le decisioni riflettano al meglio gli interessi della collettività.

Il Commissario prosegue il documento andando ad analizzare se sia appropriato che il settore pubblico operi in una certa area di attività nella fornitura di beni e servizi a questo proposito la dottrina si divide tra due approcci che possono esse-re seguiti:

 Da un lato c’è chi sostiene che il vincolo principale all’azione di imprese pubbliche debba essere costituito dalla necessità di operare allo stesso li-vello delle imprese private, agendo quindi in modo efficiente e senza rice-vere un supporto da parte del settore pubblico.

 Un altro approccio, più restrittivo, è quello di chi ritiene che il campo dell’azione delle partecipate debba essere strettamente limitato ai compiti istituzionali dell’ente di controllo, che, presumibilmente, non includono la produzione di beni e servizi che possono essere forniti, in quantità ritenute adeguate, dal settore privato.

Il primo approccio risulta troppo elastico e porterebbe alla costituzione di innu-merevoli partecipate per la produzione di ogni tipo di bene e servizio.

Il secondo approccio è quello preferibile ed è quello che è stato scelto dal legisla-tore nella Legge 244 del 2007, articolo 3, comma 27:

“Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le [amministrazioni pubbliche]

non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di mi-noranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che produ-cono servizi di interesse generale e che fornisprodu-cono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lu-cro e di amministrazioni aggiudicatrici … e l’assunzione di partecipazioni in tali

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società da parte [di amministrazioni pubbliche], nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza.”

Questa norma è tuttora in vigore e , tenendo conto anche delle successive modifi-che, richiede la liquidazione delle partecipate non ammesse entro il 31 dicembre 2014, ma non ha sortito l’effetto desiderato infatti dalla sua emanazione sono sta-te costituista-te almeno 1.264 nuove parsta-tecipasta-te, il 16% di quelle tuttora esissta-tenti. Cottarelli sostiene che sono due le direzioni in cui ci si deve muovere, da un lato si devono sottoporre ad un vaglio le decisioni delle amministrazioni, dall’altro si devono rimuovere gli incentivi alla proliferazione delle partecipate.

Una volta stabilito chi debba svolgere l’attività, occorre valutare se la sua gestio-ne richieda la costituziogestio-ne di un’entità separata dall’amministraziogestio-ne controllante e, in particolare, la costituzione di un’entità di diritto privato, cercando sempre di tendere ad una maggiore economicità ed efficienza gestionale.

Vengono proposti interventi specifici per sfoltire il numero delle partecipate, che non necessariamente devono essere considerati complementari tra loro:

 Limiti alle partecipazioni indirette, questo perché la detenzione di queste partecipazioni crea rischi più elevati per la finanza pubblica. Con questa azione si vuole rafforzare il vincolo posto dall’articolo 13 del Decreto Legge 223/2006 che vieta la detenzione di partecipate essenzialmente per le strumentali ed estende il divieto ai servizi pubblici privi di rilevanza economica.

 Limiti alla detenzione da parte di piccoli comuni, questa decisione deriva dal fatto che le partecipate devono avere una certa dimensione minima per giustificare i costi fissi a loro connessi. Potrebbero però essere ammesse partecipate in forma aggregata in casi in cui la popolazione totale dei Co-muni raggiunga una certa soglia. Disposizioni in questo senso avrebbe un effetto molto forte sul numero delle partecipate dato che il 44% delle par-tecipate dei Comuni3 sono relative a comuni al di sotto dei 30.000 abitanti.

 Uscita dalle “micropartecipate”, quello che si propone è l’introduzione di

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un divieto di partecipare in società in cui il pubblico, nel suo complesso, non raggiunga almeno una quota del 10 o 20 percento perché la partecipa-zione largamente minoritaria in società essenzialmente private risulta dif-ficile da giustificare in termini di rilevanza del perseguimento di interessi generali.

 Chiusura delle “scatole vuote”, in circa la metà delle partecipate dei co-muni censite dal Cerved i dipendenti sono nulli o in numero inferiore ri-spetto a quelli che siedono nel Consiglio d’Amministrazione. Si era stabi-lito che al 31 dicembre 2013, queste società e quelle che registravano un fatturato esiguo, dovevano essere dismesse.

 Accelerazione del processo di chiusura, l’attenzione viene posta sulle par-tecipate soggette a liquidazione volontaria, si tratta di 144 parpar-tecipate, per queste occorre effettuare un’analisi delle cause dell’allungamento dei tempi di chiusura e individuare i costi che continuano a sostenere durante la procedura di liquidazione. Per queste si potrebbe richiedere all’ente controllante un piano per la effettiva liquidazione nel giro di 12 mesi.

 Vincoli di rendimento, 438 società ancora operative, 598 incluse quelle in liquidazione, hanno generato perdite in ciascun anno del triennio 2010-2012. Esistono già due disposizioni in merito ai vincoli di rendimento, il Decreto Legge 78/2010 all’articolo 6 e il comma 555 della Legge di Stabi-lità del 2014, ma perché queste si rivelino efficaci è necessario che il prez-zo a cui l’ente di controllo acquista servizi sia un prezprez-zo equo, se i contrat-ti di servizio fossero agganciacontrat-ti ai coscontrat-ti standard, in modo da isolare le perdite a inefficienze gestionale, si potrebbero applicare sanzioni, in pre-senza di perdite ripetute, a tutte le partecipate non solo a quelle strumenta-li.

 Norme per le fondazioni pubbliche, in questo tipo di partecipate il pro-blema principale è che l’organo preposto al controllo e quello costituente coincidono nell’ente pubblico di riferimento, la soluzione potrebbe essere quella di assegnare i compiti di controllo a un soggetto pubblico di livello più elevato.

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Nel documento vengono individuati gli strumenti più specifici che devono essere realizzati per fare in modo che le partecipate operino nel modo più efficiente pos-sibile.

In questa direzione si è mossa la Legge di Stabilità del 2014 con l’introduzione, al comma 553, di un approccio basato su costi e rendimenti standard:

“A decorrere dall’esercizio 2014 [le partecipate locali] concorrono alla realiz-zazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguendo la sana gestione dei ser-vizi secondo criteri di economicità e di efficienza. Per i serser-vizi pubblici locali so-no individuati parametri standard dei costi e dei rendimenti costruiti nell’ambito della banca dati della Amministrazioni pubbliche … utilizzando le informazioni disponibili presso le Amministrazioni pubbliche. Per i servizi strumentali i para-metri standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato.”

Si tratta però di una norma generale e per evitare che resti lettera morta è neces-sario identificare un preciso cronoprogramma, con adeguati finanziamenti, che porti alla definizione di costi e rendimenti standard per le attività svolte dalle par-tecipate.

Un ulteriore fonte di inefficienza sulla quale il Commissario intende lavorare ri-guarda le dimensioni ridotte delle partecipate per poter sfruttare adeguatamente i rendimenti di scala. L’elemento dimensionale è un punto di particolare rilevanza per l’efficientamento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (SPL) e il quadro che è stato portato all’analisi di Cottarelli offe buoni spazi di recupero in termini di riduzione del numero delle partecipate, secondo una stima recentemente effettuata e pubblicata da Utilitatis (nota fondazione che cura studi per conto delle società del settore)l’attivazione del processo di aggregazione tra imprese potrebbe nel tempo portare ad una riduzione del numero di operatori di circa l’80-90%.

La strategia efficacie per favorire l’aggregazione è quella di gestire i servizi pub-blici a rete a rilevanza economica per Ambiti Territoriali Ottimali (ATO)4 “tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare

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l’efficienza del servizio”, successivamente è stato definito il ruolo degli enti di governo degli ATO, ai quali sono affidate, secondo l’articolo 34, comma 23, del-la Legge 221/2012, “Le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a

rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'uten-za per quanto di competenall'uten-za, di affidamento della gestione e relativo controllo ….”. L’adeguamento al nuovo regime non è stato però realizzato

tempestivamen-te in tuttempestivamen-te le Regioni, con ritardi particolarmentempestivamen-te elevati nel Mezzogiorno.

I trasporti pubblici locali sono un caso speciale trattato a se stante perché sono caratterizzati da un elevato livello di costi operativi unitari, bassa qualità di alcu-ni servizi, una bassa incidenza da traffico rispetto ai costi operativi e l’esistenza di un significativo eccesso di offerta rispetto alla domanda. Tutte queste criticità portano ad un settore in costante perdita che richiede un elevato livello di com-pensazioni pubbliche sia in termini di costi unitari, che in termini assoluti.

Gli interventi per risolvere questo problema devono avvenire su due piani, quello dei ricavi, un aumento dei ricavi del settore è fondamentale per ridurre il peso del settore sulla finanza pubblica, e quello dei costi, attraverso l’introduzione, ad esempio, dei costi standard, restringendo o disincentivando il ricorso agli affida-menti in house e diretti oppure riducendo l’eccesso di offerta di servizio rispetto alla domanda dello stesso.

Un ultimo intervento è la richiesta agli enti controllanti le partecipate con perdite più elevate di definire piani di efficientamento che siano resi pubblici e posti al vaglio di una commissione di esperti presso la Presidenza del Consiglio, o il MEF, per valutarne la fattibilità.

Anche l’amministrazione delle partecipate è fonte di elevati costi e di conseguen-za viene presa in considerazione per una riduzione e un taglio dei costi che porti ad un risparmio in futuro. La normativa vigente già prevede dei limiti al numero e all’ammontare dei compensi dei componenti del Consiglio d’Amministrazione designati dai soci pubblici, che variano in funzione dell’entità, della partecipa-zione pubblica, della complessità della società e del tipo di ente partecipante. Ol-tre a quello già previsto dalla normativa con questo documento si propone:

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 l’ulteriore riduzione del numero dei consiglieri di amministrazione, salvo alcune specifiche deroghe;

 l’ulteriore limitazione dei compensi degli organi di gestione sulla base della complessità della realtà societarie e della presenza di deleghe;

 la valorizzazione degli elementi di competenza e indipendenza nella scelta degli amministratori.

I risparmi stimati dall’adozione di questi provvedimenti saranno di circa 30 mi-lioni.

Altro punto cardine portato avanti da Cottarelli nel suo programma di razionaliz-zazione riguarda la trasparenza delle partecipate, a tal proposito vengono fissati tre obiettivi:

1. semplificare la normativa sulle partecipate, per il raggiungimento di que-sto obiettivo si idealizza la realizzazione di un Teque-sto Unico sulle parteci-pate locali contenente tutta la complessa normativa che si è andata via via definendo negli anni.

2. Migliorare la qualità/quantità delle informazioni disponibili e ridurre il costo di alimentazione e gestione delle banche dati, questo potrebbe av-venire attraverso la creazione di una Banca Dati Unica delle Partecipate (BDUP), nella quale convoglierebbero tutte le informazioni raccolte dalle pubbliche amministrazioni e dalla banca dati del MEF consolidata5 con la banca dati del dipartimento della Funzione Pubblica.

3. Fornire informazioni facilmente interpretabili in modo che la pubblica opinione possa esercitare pressioni per l’efficientamento del settore, per perseguire questo obiettivo le banche dati sopra citate devono essere aper-te al pubblico6.

5. Consolidamento attuato con il DL. 90/2014 articolo 7

6. NDR: La Banca dati del MEF è stata appena aperta al pubblico con la pubblicazione dei dati aggiornata al 2012

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Vengono infine presentate dal Commissario Cottarelli alcune misure che risulta-no essere strumentali ed essenziali alla riforma delle partecipate perché per facili-tare le dismissioni delle partecipazioni e favorire i processi di ristrutturazione e aggregazione occorre utilizzare un efficacie sistema di incentivi economici e fi-scali quali:

 Incentivi attraverso modifiche al Patto di Stabilità Interno, per i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti, il Patto di Stabilità Interno prevede il raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario, con l’attuale criterio contabile, le entrate da dismissioni mobiliari - incluse nelle entrate in conto capitale e rilevando quindi in termini di cassa - de-terminano una corrispondente maggiore potenzialità di spesa nell’anno dell’incasso. Per facilitare le dismissioni delle partecipazioni, una propo-sta del MEF prevede di escludere dai vincoli del Patto di Stabilità Interno le entrate provenienti dalle dismissioni e le spese in conto capitale soste-nute a valere su queste risorse. Tale incentivo, da applicare a partire dal 2014, consentirebbe quindi agli enti locali di poter spendere le risorse non più solo nello stesso anno di incasso, ma anche negli anni successivi. Re-sterebbero invece assoggettate ai vincoli del patto le spese sostenute per l’acquisizione di partecipazioni.

 Incentivi regolamentari e finanziari, ad esempio si potrebbe prevedere che l’accesso ad una quota del Fondo infrastrutture, verrebbe riservata agli en-ti territoriali che procedono a dismissioni totali o parziali di partecipazioni finalizzate ad aggregazioni tra società che gestiscono i servizi pubblici lo-cali di rilevanza economica, qualora la società risultante dall’aggregazione fornisca il servizio all’intero ATO, o ad almeno una determinata soglia minima di abitanti, e che la popolazione servita sia almeno il doppio di quella servita nell’ultimo anno di esercizio.

È fondamentale, per incentivare l’adozione di comportamenti virtuosi da parte degli enti locali, l’adozione di un sistema di controlli e sanzioni da applicare nei casi di inadempienza alle norme sulle partecipate

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Gli effetti desiderati sul numero delle partecipate delle misure appena presentate sono illustrati nella tabella che segue, l’effetto sul numero delle partecipate è ri-proporzionato partendo dai dati delle sezioni precedenti per un numero totale del-le partecipate pari a 8.000, del-leggermente superiore a quello della banca dati del MEF:

Tabella 5.12 Da 8.000 a 1.000: effetto di alcune misure sul numero delle par-tecipate

Misure Effetto di ogni misura* Effetto

incrementa-le**

A TOTALE PARTECIPATE LOCALI 8.000 8.000

B Accelerare il processo di chiusura della

par-tecipate già non operative 1.250 1.250

C TOTALE NETTO B 6.750

D Estendere il divieto di partecipazioni indi-rette ai servizi pubblici privi di rilevanza economica

1.000 800

E TOTALE NETTO (C-D) 5.950

F Chiusura delle partecipate che, a una certa data passata avevano dimensioni ridotte in termini di fatturato e/o dipendenti

1.500 900

G TOTALE NETTO (E-F) 5.050

H Divieto di partecipare in società in cui il pubblico, nel suo complesso, non raggiunga almeno una quota del 10 percento

1.900 1.000

I TOTALE NETTO (G-H) 4.050

J Vincolo di detenzione da parte di comuni in cui la popolazione totale non raggiunge i 30.000 abitanti

1.850 650

L TOTALE NETTO (I-J) 3.400

M

Varie misure sui servizi a rete

1.250 400

N TOTALE NETTO (L-M) 3.000

O Limitazione dei settori di attività per cui la semplice delibera da parte

dell’amministrazione controllante è suffi-ciente a rendere possibile il mantenimento di una partecipata

3.650 1.350

P TOTALE NETTO (N-O) 1.650

Q Altre misure della tabella sommario 650

R SOCIETA' CHE RESIDUANO 1.000

* La prima colonna indica l’effetto di ogni misura considerata singolarmente.

** Questa colonna indica la riduzione delle partecipate dovuta alle singole misure se queste fossero prese in modo sequenziale. Questo è utile per illustrare il passaggio da 8.000 a 1.000 partecipate vista la

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so-vrapposizione degli effetti delle diverse misure. Naturalmente, l’effetto incrementale sarebbe differente se le misure fossero presentate in ordine diverso.

Per quanto riguarda l’effetto sul peso delle partecipate per la finanza pubblica, il calcolo dei possibili risparmi risulta più complesso per la scarsità di informazioni sulla dimensione delle attuali inefficienze, ma è possibile comunque ipotizzare dei dati di risparmio che si articolano come segue:

 La riduzione delle partecipate da 8.000 a 1.000 avrebbe come prima con-seguenza una riduzione dei costi di amministrazione che potrebbe collo-carsi intorno ai 300 milioni annui;

 La dismissione delle partecipate porterebbe anche all’eliminazione delle perdite di quelle che presentano risultati di esercizio negativi, che secondo le ricerche fatte ammontano a circa 600 milioni;

 Altri risparmi conseguirebbero dai programmi di risanamento per le parte-cipate con perdite più elevate pari a circa 200-300 milioni escludendo quelle che verrebbero chiuse o efficientate per altre misure di razionaliz-zazione;

 Risparmi ben più consistenti deriverebbero dalla riduzione dei pagamenti che, sotto forma di contratti di servizio e trasferimenti vari, oggi compen-sano le inefficienze esistenti nel settore

Complessivamente si considera non irrealistica una stima di risparmi che possano a regime ammontare ad almeno 2-3 miliardi l’anno. Agli effetti finanziari si ag-giungerebbero i vantaggi per l’economia prodotti dal miglioramento dei servizi forniti a famiglie e imprese che si avrebbe per effetto di una gestione più effi-ciente. Sono anche da valutare le entrate una tantum derivanti dalla dismissione delle partecipate che hanno un valore di mercato positivo che potrebbero essere utilizzate per gestire al meglio il processo di dismissione che potrebbe comporta-re in alcuni casi costi di transizione anche significativi.

(23)

5.2.2 Il Piano di Razionalizzazione alla luce della Legge di Stabilità

Nell’iniziale testo del disegno della “Legge di Stabilità 2015”, approvato nell’ottobre 2014 dal Consiglio dei Ministri, si è riscontrata un evidente esigenza di taglio alla spesa pubblica all’interno della quale trovano “casa” anche norme riguardanti le società partecipate, in particolare all’articolo 43, rubricato “razio-nalizzazione delle società partecipate locali”, dove sono state inserite importanti novità derivanti dall’applicazione del Piano di Razionalizzazione redatto dal Commissario della revisione della spesa, Carlo Cottarelli.

Questo articolo è rivolto anche alle Regioni, alle Camere di Commercio, alle Università, agli istituti di istruzione universitaria pubblici e alle Autorità portua-li. All’interno dell’articolo 43 è possibile individuare due sezioni:

 la prima prevede un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente ed indirettamente possedute;

 la seconda sezione prevede una correzione della disciplina dell’organizzazione delle gestioni dei servizi pubblici locali a rilevanza economica e a rete, con la specifica modificazione dell’art. 3 bis del D.lg. 138/2011.

Gli strumenti previsti dalla norma per il raggiungimento della razionalizzazione sono i seguenti:

 la cancellazione delle società e delle partecipazioni societarie non indi-spensabili al perseguimento delle finalità istituzionali;

 l’eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attivi-tà analoghe o similari a quelle svolte da altre socieattivi-tà partecipate o da enti pubblici strumentali;

 l’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;

 il contenimento dei costi di funzionamento, attraverso una riorganizzazio-ne degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni.

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La normativa prevede che l’attività venga attuata attraverso un piano operativo di razionalizzazione che deve contenere le modalità e i tempi di attuazione e il det-taglio dei risparmi da conseguire.

Il piano operativo di razionalizzazione deve essere accompagnato da una relazio-ne tecnica che dovrà relazio-necessariamente conterelazio-nere:

 le società e le partecipazioni societarie oggetto della razionalizzazione.

 I tempi di attuazione del piano di razionalizzazione, ed è la norma stessa ha dettare i tempi entro i quali procedere: entro il 31 marzo 2015 deve es-sere predisposto il piano operativo di razionalizzazione, entro 31 dicembre 2015 deve essere portato a termine il processo di razionalizzazione, entro il 15 marzo 2016 deve essere predisposta una relazione sull’attuazione e sui risultati conseguiti dal piano operativo.

 le modalità di attuazione della razionalizzazione individuando per ogni singola società o partecipazione azionaria la modalità di razionalizzazione Questi due documenti, una volta adottati, devono essere inviati alle sezioni re-gionali di controllo della Corte dei Conti perché è questo l’organo individuato dalla normativa per il controllo, inoltre, il piano, la relazione tecnica e la relazio-ne di attuaziorelazio-ne debbono essere pubblicati sul sito interrelazio-net istituzionale dell’ente, nella sezione trasparenza.

Per incentivare il processo di razionalizzazione vengono riconfermati:

 gli incentivi fiscali per le operazioni di scioglimento o alienazione;

 le procedure di mobilità del personale per le società che si sciolgono;

 l’esclusione dal Patto di stabilità dei proventi derivanti dalle dismissioni o di quotazione di aziende di servizi pubblici locali, a condizione che le en-trate vengano utilizzate per gli investimenti.

La finanziaria segue le indicazioni del Commissario decidendo di adottare la fi-gura degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), costituiti per consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio, di dimensione almeno provinciale, istituiti dalle regioni, e prevedendone l’obbligatorietà dell’adesione degli enti locali.

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La Legge di Stabilità 2015, Legge 23 dicembre 2014 n. 190, pubblicata in Gaz-zetta Ufficiale il 29 dicembre 2014, riporta quanto sopra descritto e previsto dall’articolo 43 del Ddl.

Precisamente il comma 611 dispone chiaramente una riduzione delle società par-tecipate entro il 31 dicembre 2015, seguendo alcuni criteri indicati nello stesso comma, “Comma 611. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 3, commi da

27 a 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e dall’articolo 1, comma 569, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell’azione amministrativa e la tu-tela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le au-torità portuali, a decorrere dal 1º gennaio 2015, avviano un processo di raziona-lizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indiret-tamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31

dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:

a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili

al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in

li-quidazione o cessione;

b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da

un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività

analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;

d) aggregazione di società’ di servizi pubblici locali di rilevanza economica; e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione

de-gli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attra-verso la riduzione delle relative remunerazioni.”

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Al successivo comma 612 si prevede che gli enti predispongano entro il 31 mar-zo 2015 un piano operativo di razionalizzazione delle società e partecipazioni, da trasmettere alla Sezione Regionale Corte dei conti.

“Comma 612. I presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di

Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui al comma 611, in relazione ai rispettivi ambiti di compe-tenza, definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l’esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire. Tale piano, corredato di un’apposita relazione tecnica, è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicato nel sito internet istituzionale dell’amministrazione interessata. Entro il 31 marzo 2016, gli organi di cui al primo periodo predispongono una relazione sui risultati conseguiti, che è tra-smessa alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicata nel sito internet istituzionale dell’amministrazione interessata. La pubblicazione del piano e della relazione costituisce obbligo di pubblicità ai sen-si del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.”

Per quanto riguarda il personale impiegato nelle partecipate che saranno dismes-se si legge nel comma 614 che nelle procedure di liquidazione si applicano le norme relative alle procedure di mobilità di personale tra società partecipate dalle pubbliche amministrazioni ed il reimpiego del personale in esubero, nonché al regime fiscale delle operazioni di scioglimento e di alienazione delle socie-tà controllate da tutte le pubbliche amministrazioni.

“Comma 614. Nell’attuazione dei piani operativi di cui al comma 612 si

applica-no le previsioni di cui all’articolo 1, commi da 563 a 568-ter, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni, in materia di personale in servizio e di regime fiscale delle operazioni di scioglimento e alienazione. Le di-sposizioni del comma 568-bis dell’articolo 1 della legge n. 147 del 2013 si appli-cano anche agli atti finalizzati all’attuazione dei predetti piani operativi delibe-rati entro il 31 dicembre 2015.”.

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Quello che si nota andando ad analizzare la Legge di Stabilità 2015 è che non viene prevista nessuna sanzione per chi non attua la razionalizzazione, di fatto, la normativa del Governo non fissa criteri oggettivi in base ai quali individuare le società da chiudere, e non recepisce le proposte che prevedevano il taglio degli stipendi per i dirigenti che al 31 dicembre 2015 non avranno portato a termine la razionalizzazione.

Resta quindi solo sulla carta, il dettagliato programma di razionalizzazio-ne presentato lo scorso agosto da Carlo Cottarelli.

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