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IL NORMATIVISMO GIURIDICO

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<L'indifferenza è veramente la morte dell'uomo. Ripeto: non sono alla portata della mente umana le grandi risposte. Tali sono soltanto le

grandi domande. Il compito della filosofia oggi è di tenere in vita queste grandi domande, perché impediscano alla massa degli

indifferenti di divenire preda del fanatismo di pochi>1.

Norberto Bobbio

1 N. BOBBIO, Contributo, in AA. VV., Che cosa fanno oggi i filosofi?, a cura della Biblioteca Comunale di Cattolica, Fabbri-Bompiani, Sonzogno, Etas, Milano 1982, p. 169;

per non parlare di quello che Russell considerava il vantaggio più grande del sapere

"inutile", il suo indurci ad un abito contemplativo della mente: B. RUSSELL, Elogio dell'ozio, Longanesi, Milano 1984, p. 37. Con buona pace del Filosofo Universale fabbricato dall'orologiaio Amet di Wilcock, poderoso ingranaggio a ruote dentate in grado da solo di generare proposizioni oscure che prima o dopo diverranno sintesi di concezioni filosofiche all'avanguardia: cfr. J. R. WILCOCK, La sinagoga degli iconoclasti, Adelphi, Milano 1990, p. 67 ss. Forse Wilcock non si rende conto che è proprio nella filosofia il vero antidoto al rischio che si finisca ostaggio di tragiche forme di monopolizzazione della conoscenza, rischio peraltro incarnato da un altro protagonista dello stesso romanzo, quel Lawson che fonda un'università da lui retta e sovvenzionata e guidata, dove <lo studente deve rinunciare a tutte le scienze ufficialmente riconosciute, ritenute frivole e menzognere>

(ibidem, p. 202). Una società aperta, cioè una società basata sull'idea che non solo si deve tollerare le opinioni dissenzienti, ma le si deve anche rispettare, e una democrazia, cioè una forma di governo votata alla protezione della società aperta, non possono fiorire se la scienza diventa il possesso di un circolo esclusivo di specialisti: cfr. K. POPPER, Scienza e filosofia. Cinque saggi, tr. it. di M. TRINCHERO, Mondadori, Milano 2008, p. 730.

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INTRODUZIONE

<Che cosa è diritto?

Questa domanda potrebbe ben mettere il giureconsulto, che non vuol cadere in una tautologia o che invece di dare una soluzione generale vuole rimandare alle leggi positive di un paese qualunque in un qualunque tempo, appunto nello stesso imbarazzo in cui la celebre domanda Che cos'è la verità? mise il logico>

(I. KANT, La metafisica dei costumi, Laterza, Roma-Bari 1991, pp. 33-34).

<Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:

“Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?”.

I due pesci giovani nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa:

“Che cavolo è l'acqua?”>2.

Così Wallace introduceva nel 2005 il discorso per un conferimento di lauree al Tenyon College, negli Stati Uniti. Con un aneddoto adatto anche alla nostra situazione di laureandi in giurisprudenza3: debitamente parafrasato, s'intende.

2 D. F. WALLACE, Questa è l'acqua, Einaudi, Torino 2009, p. 143.

3 Quando la matricola di giurisprudenza inizia il corso di studi, in cattedra c'è un professore

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Che "cavolo" è il diritto? Pur all'esito di un percorso accademico che ci ha guidati, “pesci” dapprima inesperti, nel mare magnum del giuridico, dotandoci di ogni strumento necessario a scandagliare gli abissi del diritto, i reconditi meandri delle più farraginose legislazioni; ed alle soglie di carriere più o meno attinenti al nostro ambito di studi, chi di noi non percepirebbe una punta d'imbarazzo se gli fosse richiesto di rispondere4? Tanto più che la legislazione si va da tempo frammentando in una proliferazione incontrollata di norme, disordinate e sovente confuse5. L'ordinamento normativo statale ha ormai perso la sua unicità, caratteristica che fino a ieri agevolava l'identificazione del diritto con lo Stato e l'utilizzo dell'equazione in risposta alla domanda che ci poniamo. Contingenze che vanno evidentemente ad alimentare la difficoltà a definire il diritto in modo univoco, il modo che si presume conveniente ad un concetto percepito come unitario, per l'appunto: e ciononostante comprensivo di una miriade di fenomeni tra loro eterogenei. <Noi giuristi siamo dentro questo mondo>6. Il giurista sta al diritto come il verme alla mela: <sa muoversi perfettamente all'interno della sua mela, il suo diritto; ma non sa arrivarci; per esercitare la sua conoscenza deve esserci già>7. E infatti, una volta squarciato il velo di una sbadata - e probabilmente incolpevole - noncuranza, si delinea un

che gli dice di comperare certi testi e studiarli, perché quello è il diritto: non dice la ragione per cui quello è diritto. Si tratta di un atteggiamento acritico quanto ai fondamenti inevitabile, e per molti praticanti anche professionali di qualunque disciplina giuridica non si va mai al di là dell'accettazione acritica di questo modo di procedere: cfr. M. JORI, Del diritto inesistente. Saggio di metagiurisprudenza descrittiva, Edizioni ETS, Pisa 2010, p.

65.

4 <Il vocabolo "diritto" è tra i più ambigui e polisenso tra quelli impiegati nelle scienze politiche> (G. TARELLO, Diritto, enunciati, usi. Studi di teoria e metateoria del diritto, Il Mulino, Bologna 1974, p. 10).

5 <Nell'affannarsi a disciplinare le molteplici attività dello Stato ed i nuovi rapporti che le trasformazioni sociali creano, la legislazione si frammenta in infinite leggi e leggine, disordinate, confuse, cambiate e ricambiate, una giungla di norme ove nemmeno lo specialista entra sicuro> (U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, Edizioni di Comunità, Milano 1965, p. 136). <Alla polverizzazione della legge si aggiunge l'eterogeneità dei suoi contenuti. Il pluralismo delle forze politiche e sociali in campo conduce all'eterogeneità dei valori e degli interessi espressi nelle leggi> (G.

ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, Einaudi, Torino 2004. cit., p. 45).

6 N. IRTI, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 11.

7 M. JORI, Del diritto inesistente, cit., p. 53.

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intero universo di tentativi di risposta, che si sono susseguiti nel corso dei secoli, fin dagli albori della civiltà. <Che cos'è il diritto? Questo è un problema su cui sono state scritte intere biblioteche, senza che si sia giunti a risultati concreti>8.

Ancora: sapremmo pur solo immaginarlo, un mondo privo di diritto? Proviamo a farlo: è istintivo risalire con la mente ad epoche primitive, lontane millenni dalla nostra. Eppure l'antropologia moderna non è riuscita ad individuare una società, per quanto appunto primitiva e conseguentemente poco organizzata, totalmente scevra da tecniche di organizzazione della convivenza umana9. Persino fantasticare di un mondo senza diritto, privo di un pur embrionale tentativo di regolamentazione dei rapporti umani, ci è difficoltoso, se non addirittura impossibile. Riuscire in un simile sforzo immaginativo implicherebbe rinunciare ad un filtro attraverso il quale si è soliti guardare alle cose del mondo. Sarebbe come sognare, e in particolare sognare uno spazio con una dimensione in meno rispetto a quello in cui siamo soliti muoverci. Come se, abituati come siamo ad un mondo tridimensionale, o almeno abituati a vedere il nostro mondo in una prospettiva di questo tipo, d'un tratto fossimo costretti a rinunciare totalmente ad una dimensione. Nel 1884 (fine Ottocento, non a caso) fu dato alle stampe a Londra un volumetto in brossura di poche pagine, dal titolo “Flatlandia. Storia fantastica a più dimensioni"10: non un

8 H. KANTOROWICZ, La definizione del diritto, Giappichelli, Torino 1962, p. 37. È stato parimenti osservato come il problema della definizione del diritto sussista di fronte ad ogni approccio, teoretico o pratico, al mondo giuridico: cfr. F. BONSIGNORI, Fini cogenti, norme imperanti, valori? Il diritto "giusto" fra giusnaturalismo, positivismo giuridico e costituzionalismo, in AA. VV., Interrogativi sul diritto "giusto, a cura di E. RIPEPE, Edizioni PLUS, Pisa 2001, p. 15.

9 E questo benché una realtà prenormativa ed extranormativa sia postulata dallo stesso normativismo, in conseguenza della netta separazione epistemologica ed ontologica tra il piano della norma e quello dei fatti: cfr. G. CARCATERRA, Il principio di normatività.

Riflessioni sul normativismo, Bulzoni Editore, Roma 1984, pp. 40-41.

10 Cfr. G. MANGANELLI, Un luogo è un linguaggio, in appendice a E. A. ABBOTT, Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni, Adelphi, Milano 1966. <L'impianto generale di Flatlandia è utile ancora oggi; e se il matematico, abituato a ragionare sui concetti astratti, non proverà forse più di un'indulgente curiosità a carattere storico, è assai

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mero divertissement, non una facezia fine a se stessa. È evidente in primis l'intento polemico nei confronti della società del tempo, quella vittoriana. Ma c'è di più: c'è il riflesso di un universo culturale in vivo fermento; aspetto che avremo modo di approfondire più avanti nel corso della presente trattazione.

L'autore, dietro lo pseudonimo geometrico A Square (“un quadrato”), ci introduce in un mondo completamente diverso dal nostro, in uno spazio concepito in due sole dimensioni: abitato da creature che hanno l'aspetto di figure geometriche piane. Si va dalla donna-linea retta per salire nella scala sociale (appunto, parodia di un tempo), fino a giungere, man mano che aumenta l'ampiezza degli angoli, agli “individui” più nobili, figure dagli innumerevoli lati, simili a cerchi. In sogno, il nostro quadrato è condotto in uno spazio completamente diverso da quello cui è abituato: uno spazio che egli chiama "Linealandia", in quanto unidimensionale. Si tratta di un cambio di prospettiva a tal punto radicale che il protagonista non comprende quanto gli sta accadendo, e si ostina a voler indovinare in quello che i suoi occhi gli mostrano le sagome familiari di un mondo incompatibile con quello che adesso si trova davanti. A parere di chi scrive, non è azzardato un confronto tra questa onirica visione d'un mondo unidimensionale, ed un tentativo da parte nostra di immaginare uno spazio privo della dimensione normativa. Esplorando un'ipotesi simile di universo, saremmo colpiti dal medesimo sconcerto che ha investito il Quadrato, quando si è trovato a fare i conti con una dimensione in meno. Il Quadrato di Abbott sta a Linealandia come noi uomini staremmo ad un mondo senza diritto11.

probabile che la stragrande maggioranza dei lettori, che si trova assai più a suo agio davanti a una rappresentazione concreta di quei concetti, vi troverà un interesse e un profitto non inferiori a quelli dei loro predecessori di ottant'anni fa> (M. D'AMICO, Prefazione, in Flatlandia. Storia fantastica a più dimensioni, Einaudi, Torino 2011, p. 17).

11 <Viviamo sotto l'impero del diritto. Tuttavia, benché consapevoli di questa onnipresenza del diritto e benché capaci di applicare e produrre regole giuridiche, abbiamo spesso difficoltà a definire il diritto> (M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, tr. it. di R.

GUASTINI, presentazione di M. BARBERIS, Giuffré, Milano 2003, p. 1).

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Il diritto però non è che un artificio. Non è dato naturalmente all'uomo, ma è dall'uomo posto, "positum", e per l'uomo. La difficoltà che incontriamo a volerci immaginare l'alternativa di un mondo scevro dal fenomeno giuridico è emblematica di quanto esso sia parte del nostro stesso modo di vedere le cose:

ma non per questo indicativa della impossibilità dell'alternativa medesima.

Siamo rispetto al diritto esattamente come i due pesciolini dell'aneddoto di partenza rispetto all'acqua in cui nuotano. Noi respiriamo diritto12; tuttavia nel momento in cui cerchiamo di oggettivarlo, definendolo, corriamo comunque il rischio di cadere in affermazioni contraddittorie, oppure tautologiche (nel senso di Wittgenstein: tautologia intesa quale “centro insostanziale delle proposizioni”; <la tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla>13).

Ecco perché una definizione del diritto, o almeno una sua concezione idiosincratica14, è base di partenza di ogni ricostruzione dottrinaria, di qualsivoglia esercizio di scienza giuridica: ecco perché ad essa qualsiasi dottrina filosofico-giuridica ritorna, ed è da essa influenzata, come in matematica gli assiomi di partenza condizionano l'elaborazione del teorema, ed anzi sono scelti, più o meno dichiaratamente, esattamente al fine di garantire correttezza alla costruzione nel suo insieme: <il concetto di diritto è il luogo geometrico delle scelte primitive di ciascuna concezione del diritto>15.

12 Al punto che <si avrebbe la tentazione di concludere che la scienza giuridica non ha alcun bisogno di definire il suo oggetti: le è sufficiente riprodurre le definizioni date dal diritto stesso> (M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 35).

13 L. WITTGENSTEIN, Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di A.

G. CONTE, Einaudi, Torino 1980, proposizioni 5.142-5.143, p. 44; L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. VI, Garzanti, Milano 1981, p. 184 ss.

14 Così definisce tali concezioni di partenza Jori: cfr. M. JORI, Del diritto inesistente, cit., p.

77. In senso fortemente critico lo stesso aggettivo si ritrova in Nietzsche: <Mi chiedete tutto quel che è idiosincrasia nei filosofi... Per esempio la loro mancanza di senso storico, il loro odio per l'idea stessa del divenire...Questi signori idolatri del concetto diventano un pericolo per ogni cosa, quando adorano> (F. W. NIETZSCHE, Crepuscolo degli idoli (o Come si filosofa col martello), Newton Compton, Roma 2010, p. 112). Tornando a noi:

<una definizione, e vieppiù una definizione generale del campo di un universo di discorso, non è mai neutrale, indifferente, ha sempre una portata orientativa> (U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, cit., p. 124).

15 M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1995, p. 35 (corsivo aggiunto). Ancora: <quasi tutte le grandi alternative metodologiche della

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Dunque tutte le definizioni sono essenzialmente ad hoc16. Ma concediamoci un piccolo esperimento: sfogliamo un dizionario e consultiamo la voce che ci interessa. Diritto: <fra tutti i molteplici significati della parola diritto, il significato che è più strettamente connesso con la teoria dello Stato o della politica è quello del diritto come ordinamento normativo, cioè come insieme di norme di condotta e di organizzazione, costituenti una unità, aventi per contenuto la regolamentazione di rapporti fondamentali per la convivenza e la sopravvivenza del gruppo sociale>17. Si tratta di una definizione destinata ad un settore specifico di indagine, quello politico: ma ciò che rileva ai nostri fini è la sua incontestabilità, e di tale incontestabilità il carattere assolutamente temporaneo. È una nozione di diritto figlia del nostro tempo18, condivisibile

filosofia del diritto contemporanea possono essere analizzate proficuamente con riferimento alla definizione del diritto che esse propongono o presuppongono> (ibidem, p. 41). <Una teoria dell'oggetto giuridico normativo non può non essere anche una dottrina della natura dell'oggetto del posto che gli spetta fra le cose del mondo> (F. BONSIGNORI, Diritto, valori, responsabilità, Giappichelli, Torino 1997, p. 161).

16 Cfr. H. KANTOROWICZ, La definizione del diritto, cit., p. 45. La definizione del concetto di diritto prefigura il discorso intero, è vestibolo introduttivo a tutti i piani: cfr. U.

SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, cit., p. 32. <È innegabile che è precisamente la posizione assunta da un pensatore nella filosofia politica e giuridica che influenza la sua metafisica e la sua epistemologia> (H. KELSEN, L'idea del diritto naturale e l'essenza del diritto positivo, in appendice a H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello stato, Edizioni di Comunità, Milano 1952, p. 450). <La definizione del diritto non si trova nel diritto in vigore, ma dipende da scelte filosofiche> (M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 3).

17 N. BOBBIO, N. MATTEUCCI, G. PASQUINO, Dizionario di Politica, UTET, Torino 1983, p. 334. È stato inoltre osservato: <alla base di una teoria della norma giuridica non può esservi altro che una teoria del linguaggio in funzione precettiva> (G. TARELLO, Diritto, enunciati, usi, cit., p. 135); anche qui, è evidente il carattere contingente e affatto non astorico di una simile considerazione del fenomeno giuridico, influenzata com'è dalla filosofia analitica del linguaggio di cui l'autore recepisce le istanze fondamentali. In definitiva, <ciò che conta e da cui tutto dipende è l'idea del diritto, della Costituzione, del codice, della legge, della sentenza> (G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite. Legge diritti giustizia, cit., p. 3). Ancora un esempio: <la definizione generale del diritto, quale che sia, non può prescindere dal riconoscimento che il diritto contiene in sé "comunque" una dimensione normativa: l'ente "regola" è da intendere come un contenuto del campo referenziale del concetto di diritto> (F. BONSIGNORI, Diritto, valori, responsabilità, cit., p. 97).

18 La concezione normativistica del diritto è uno dei presupposti stessi del lavoro degli interpreti, uno dei "ferri del mestiere": cfr. N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Edizioni di Comunità, Milano 1984, p. 89.

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perché strutturata sulle più recenti risultanze di un dibattito che non cesserà mai di evolversi; presto o tardi, una simile definizione perderà la sua incontrovertibilità19. Il nostro intento è in definitiva comprendere in che modo si sia giunti ad una simile considerazione del diritto: riavvolgere la matassa d'un pensiero, di più pensieri, che intrecciandosi e talora aggrovigliandosi hanno formato la filigrana uniforme sottostante ad un evolversi vorticoso del quadro gnoseologico di riferimento. Come già accennato, molto è cambiato dal periodo in esame: l'ordinamento sovranazionale assume sempre più i connotati caratteristici di quello statale; lo Stato, contestualmente, ha perso quella inoppugnabile sovranità che fino a qualche decennio orsono lo definiva. Dal che è derivata una decisa internazionalizzazione del dibattito, con conseguente ampliamento dell'ambito tematico di riferimento20. Ecco solo alcune delle ragioni per cui presto potrebbe rivelarsi necessario cambiare qualcosa, in questa definizione normativistica del concetto di diritto. Nel frattempo quanto possiamo fare è individuare e ricostruire di questa nostra visione del diritto le origini, sia storico-culturali sia eminentemente filosofico-giuridiche.

19 Assistiamo ad una <crisi di trasformazione delle categorie generali del positivismo giuridico tradizionale, ovvero del formalismo legalistico che, agli albori della modernità, ha intronizzato lo Stato-macchina secolarizzato come unico detentore del potere legittimo di produzione normativa> (A. CARRINO, Il problema della sovranità nell'età della globalizzazione. Da Kelsen allo Stato-mercato, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2014, pp. 89-90).

20 Inoltre, dopo il fiorire del neopositivismo giuridico, le istanze positivistiche hanno perso nuovamente terreno: si è assistito ad una rinnovata apertura a considerazioni valoriali, e ad indagini prettamente fattuali/sociologiche dettate da un approccio gnoseologico tipicamente realista: cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 351 ss. E anche nuove frontiere si sono aperte al dibattito: basti pensare alle problematiche collegate ai campi della bioetica, dell'informatica, alle istanze di un multiculturalismo ormai caratteristico del nostro tempo: cfr. ibidem, p. 400 ss. <Lo Stato come titolare del più straordinario di tutti i monopolii, cioè del monopolio della decisione politica, questa fulgida creazione del formalismo europeo e del razionalismo occidentale, sta per essere detronizzato> (G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 7).

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CAPITOLO 1

IL NORMATIVISMO GIURIDICO

1.1 Caratteri essenziali.

Si suole indicare col lemma normativismo giuridico l'indirizzo del pensiero che riduce il diritto al concetto di norma: norma intesa come proposizione, atto semantico esprimibile – laddove non ancora espresso – in enunciati21. La funzione della norma è intesa come causativa della realtà giuridica: essa non prende semplicemente atto di qualità ontologicamente insite negli oggetti che definisce, bensì conferisce loro l'attributo di giuridicità22. Ma il fatto regolato esiste anche prima della norma che lo riguarda, e quindi quest'ultima è intesa storicamente ed il suo innesto nella realtà è cronologicamente e spazialmente individuabile. Fatto e norma sono così due sfere di realtà distinte, pur essendo passibili di intersecarsi: dunque la prospettiva è dualistica. Questa concezione del diritto postula la negazione completa di qualsiasi forma di naturalismo23,

21 Cfr. G. CARCATERRA, Il principio di normatività, cit., p. 5 ss. <L'opinione che il diritto sia composto di norme è chiamata normativismo> (M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 242).

22 <Il normativismo è la dottrina secondo la quale un fatto è giuridico quando è preso in considerazione da una norma giuridica che gli attribuisce determinate conseguenze> (N.

BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, cit., p. 88).

23 Cfr. G. CARCATERRA, Il principio di normatività, cit., p. 12 ss. Analoga evoluzione anti- essenzialistica si riscontra nella stessa nozione di definizione attualmente più diffusa, quella nominale, per la quale essa non è che un enunciato tramite il quale si indica il significato di un'espressione linguistica. Si tratta di una concezione sviluppata dalla filosofia analitica e che si oppone a quella tradizionale di origine platonico-aristotelica, secondo la quale esistono anche definizioni reali, riguardanti non le parole ma le cose designate dalle parole, e in grado per questo di portarci addirittura a conoscere le caratteristiche essenziali dell'oggetto designato dal definiendum: cfr. M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 2.

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intesa con tale qualifica ogni concezione che rinvenga il fondamento del fenomeno giuridico in qualcosa di immanente all'oggetto considerato, alla sua natura o "essenza", appunto, o come esito della relazione intercorrente tra il medesimo e altre cose. Esempi di essenzialismo sono riscontrabili in quasi tutte le declinazioni assunte dalla dottrina del diritto naturale: non a caso, al normativismo giuridico è lecito guardare come all'acme del positivismo giuridico24, per quanto le due etichette non coincidano affatto, ed anzi normativisti siano anche alcuni pensatori giusnaturalisti (e normativista sia l'odierno più diffuso indirizzo costituzionalistico, come vedremo di seguito).

Ma in effetti una prima fase di sviluppo, ancorché embrionale, del normativismo coincide proprio con il culmine dell'imperativismo eminentemente giuspositivista – allorquando la norma è concepita come atto di volontà e la norma fondamentale del sistema giuridico come atto di volontà del sovrano legibus solutus. L'indirizzo normativistico, ancorché trasversale e non rivendicabile in senso esclusivo da alcuno dei paradigmi tradizionali del pensiero giuridico, si delinea e diffonde insomma quando le dottrine del diritto naturale perdono terreno in favore delle istanze giuspositivistiche.

1.2 Il quadro storico-culturale d'origine della concezione normativistica del diritto.

La definizione normativistica del diritto non è universale ma è ricavata da una particolare situazione storica, che tuttora si protrae e vede nella sovranità dello

24 La fase più matura ed evoluta del giuspositivismo sviluppa i suoi principi in una visione ampiamente normativistica, sistematica e gerarchica del diritto, con prevalente connotazione statualistica e legislativa: cfr. F. BONSIGNORI, Fini cogenti, norme imperanti, valori?, cit., p. 19. Ancora: <La teoria generale del diritto giuspositivistica considera il diritto un insieme di norme, connesse tra loro da un legame di validità> (E.

PATTARO, Rivisitazione dei luoghi classici del pensiero giuridico. Lezioni per l'anno accademico 2002-2003, Gedit, Bologna 2002, p. 23 - corsivo aggiunto).

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Stato un suo prerequisito tipico e caratterizzante25. In conseguenza di ciò un'altra costante del pensiero normativista (insieme alla riduzione del concetto di diritto a quello di norma giuridica), appare l'idea che ogni diritto sia un insieme di norme, un ordinamento26 gerarchicamente disposto e culminante in una norma fondamentale. Quest'idea di sistema chiuso e in qualche modo bastevole a sé è infatti figlia di una precisa conformazione degli assetti di potere, che si delinea in concomitanza con la nascita ed il consolidarsi dello Stato come modernamente inteso27. È allora che dai pluralismi28 della società medievale si passa ad una struttura monistica e centralizzata, che monopolizza in sé tutti i poteri e in particolare il potere di creare diritto29. Parallelamente i

25 Lo statualismo è posizione diffusa tra i teorici del positivismo giuridico ottocentesco, tanto che taluni giungono ad identificare il positivismo giuridico delle origini con lo statualismo giuridico tout court: cfr. M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 90. Sul principio cardinale della sovranità è stato costruito il diritto pubblico dello Stato moderno dell'Europa continentale. Il secolo XIX è stato il suo apogeo e il suo compimento nello "Stato di potenza", insieme all'inizio del suo declino: cfr. G.

ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 5.

26 Cfr. G. CARCATERRA, Il principio di normatività, cit., p. 18.

27 <Nel positivismo giuridico è latente una scelta politica generale in favore del diritto dello Stato moderno> (U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, cit., p. 91). Ancora: <il positivismo giuridico comincia ad affermarsi specialmente in ambito anglosassone alla fine del secolo XVIII – anche se le origini di alcuni suoi motivi risalgono a molto prima> (F.

BONSIGNORI, Fini cogenti, norme imperanti, valori?, cit., p. 18). <Il diritto statuale scaturisce da una grande e profonda rivoluzione, ovvero dall'abbandono della concezione tradizionale – classica e medievale – della civiltà europea e specificamente della tradizione consociativa o corporativa del diritto, ovvero dei diritti e degli obblighi dei singoli entro il gruppo sociale, a favore di una visione accentrata del sistema dei diritti e doveri> (A.

CARRINO, Il problema della sovranità nell'età della globalizzazione, cit., p. 90).

28 <Tutto il progetto della modernità può essere interpretato come un tentativo di risposta ai problemi creati dalla dissoluzione della Respublica Christiana, dal formarsi di Stati indipendenti in sostituzione degli antichi regna e dal riconoscimento dottrinale della loro autonomia, dalla progressiva perdita di punti di riferimento stabili e di un'autorità legittima> (ibidem, pp. 34-35).

29 <Verso la fine del XVIII secolo i giuristi si volgono a poco a poco dal diritto naturale allo studio scientifico del diritto positivo e il diritto positivo è quello ormai unificato dal potere statale delle monarchie assolute> (U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, cit., p.

25): cfr. N. BOBBIO, Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto, a cura di N.

MORRA, Giappichelli, Torino 1996, p. 15 ss. L'iter della riflessione sul diritto si può suddividere in poche tappe: dal diritto naturale si passa (con la positivizzazione del diritto naturale sette-ottocentesca) alla filosofia del diritto in senso stretto, caratterizzata dal problema della definizione del diritto, alla terza tappa, rappresentata dalla teoria del diritto (in due versioni, quella angloamericana e quella europeo-continentale). Il problema del sistema giuridico appare invece caratteristico di una quarta tappa, la sociologia del diritto;

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giudici, che prima disponevano d'una piena libertà in ordine alla scelta della fonte cui attingere per dirimere le controversie, vengono incardinati nelle rigide maglie del nuovo organismo statale: il diritto posto dallo Stato diviene l'unico diritto a loro disposizione30. Dunque la modernità31 si afferma nel mondo giuridico attraverso la proclamazione della fine di un dualismo32 che ha caratterizzato fino a quel momento l'intera tradizione giuridico-filosofica, seppur declinato in innumerevoli forme: il diritto positivo prima non era mai lasciato solo, veniva sollevato sempre contro di esso un altro diritto, via via collocato in luoghi diversi ma sempre concepito come distinto da quello umano, e per fonte e per rango. Ora, a cavallo tra XVII e XVIII secolo questo dualismo è ancora presente, ma si configura – più che come distinzione tra diritto positivo e diritto d'origine sovrannaturale - come antitesi tra diritto positivo e diritto di ragione, ricercandosi la fondazione del diritto nell'immanenza del regno secolare e mondano. Ma questo giusrazionalismo, una volta tagliati i legami con la teologia e col piano provvidenziale di Dio, finisce per distruggere se stesso: la ragione infatti può indicare norme di validità universale – sostituendosi alle precedenti matrici teologiche o sovrannaturali – ma norme vuote di contenuti determinati33. Si fa via via più

mentre la maggior parte dei filosofi odierni rifiuta questa soluzione sociologizzante e vede nel sistema giuridico semplicemente il risultato della sistemazione ad opera dei giuristi: cfr.

M. BARBERIS, Presentazione, in apertura a M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., pp. VIII-IX.

30 Niente di più lontano dalle celebri parole dell'ultimo grande autore che ha riassunto in forma sistematica le idee della scuola del diritto naturale, Kant: <si può immaginare dunque una legislazione esterna, che contenga solo leggi positive; ma allora bisognerebbe presupporre comunque una legge naturale, la quale stabilisca l'autorità del legislatore (cioè la facoltà di costringere gli altri unicamente per mezzo del suo volere)> (I. KANT, La metafisica dei costumi, cit., p. 27): cfr. M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 159.

31 <La sovranità si legittima storicamente contro le pretese teologiche del mondo medievale di fondare la politica sulla religione> (A. CARRINO, Il problema della sovranità nell'età della globalizzazione, cit., p. 14).

32 Fino al termine del Settecento il diritto viene definito individuando due specie di diritto, quello naturale e quello positivo: cfr. N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, cit., p. 13. Si può dire che gli autori di questa corrente – il giusnaturalismo – abbiano almeno un tratto in comune, il dualismo: cfr. M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 10.

33 Cfr. N. IRTI, Nichilismo giuridico, cit., p. 18 ss.

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aspro il conflitto tra ius commune – lemma col quale si era diffuso il diritto romano nel medioevo, diritto considerato appunto comune a tutti i popoli – e ius proprium, il diritto delle istituzioni sociali: e gradualmente il diritto posto dall'ente politico organizzato prevale sul primo. Se per secoli il diritto era stato considerato una sorta di "logica" immanente ai rapporti umani, le grandi trasformazioni ottocentesche ribaltano queste idee: il diritto diviene frutto specifico della volontà umana, per ciò stesso mutevole. Il positivismo giuridico finisce così per cancellare il dualismo diritto naturale – diritto positivo e con esso la preminenza del ius commune34.

Il termine finale di questo contrasto è l'epoca delle codificazioni, attraverso le quali il diritto comune viene completamente assorbito dal diritto statale e il positivismo giuridico raggiunge i suoi massimi sviluppi35. Nell'idea di codice36 sono riposte aspirazioni non più dilazionabili: contro lo strapotere sino ad allora detenuto dai giudici37 e dai giuristi, finalmente si ha a che fare con un documento normativo meno incompleto rispetto al diritto giudiziario e scientifico, e tendenzialmente inalterabile; il diritto codificato è inoltre accessibile a tutti. Il principio di completezza dell'ordinamento giuridico e la

34 Cfr. F. BONSIGNORI, Il realismo giuridico, in AA.VV., Prospettive di filosofia del diritto del nostro tempo, Giappichelli, Torino 2010, pp. 245-247. L'autore osserva inoltre come esattamente in concomitanza con i ribaltamenti culturali e sociali consumatisi nel corso del XIX secolo si registri un generale passaggio da una visione spirituale-razionale ad una volontaristico-strumentale del diritto: cfr. ibidem, p. 246.

35 In particolare, in Francia si ha una grande codificazione agli inizi del XIX secolo, derivata dall'ispirazione del giusnaturalismo razionalistico ed illuministico: in Germania, al contrario, gli atteggiamenti giuspositivistici matureranno dopo una rottura aperta con il giusnaturalismo, debellato dalla scuola storica, e qui la codificazione giunge tardi. In Inghilterra, ove il positivismo giuridico costituisce una tradizione assolutamente prevalente, le proposte di codificazione rimangono inascoltate: cfr. U. SCARPELLI, Cos'è il positivismo giuridico, cit., pp. 97-98.

36 <Nel codice è espressa la volontà del legislatore, che ha positivizzato in tal modo il diritto naturale> (E. PATTARO, Rivisitazione dei luoghi classici del pensiero giuridico, cit., p.

152).

37 <Il principio illumistico che, accolto quasi incidentalmente, esercitò un'efficacia storica grandissima sia nel campo pratico sia in quello teorico, non toccò il contenuto normativo del codice, bensì la sua struttura formale; e fu quello della limitazione dei poteri dei giudici, che condusse alla formulazione della tesi della completezza dell'ordinamento giuridico> (G.

FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 15).

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conseguente riduzione di tutto il diritto alla sola legge vengono assolutizzati dalla cosiddetta école de l'éxégesè, che fiorisce in Francia per tutto il secolo XIX38. Ecco perché <il positivismo giuridico nasce dalla spinta storica verso la legislazione e il suo risultato ultimo è rappresentato dalla codificazione>39. La preminenza della fonte legislativa è significativa del desiderio di dare un ordine a tutto il materiale giuridico accumulatosi nel corso dei secoli, ma anche del desiderio di rinnovamento della società, rinnovamento che soltanto procedure prestabilite di modificazione della legge possono avallare. Alla crisi dell'illuminismo – dalle cui tradizionali istanze era scaturito questo generalizzato bisogno di sistematicità40, e che proprio nel concretizzarsi di questo obiettivo vede la dissoluzione dei suoi principî di riferimento – si accompagna il consolidarsi del potere della borghesia, che diviene il ceto d'importanza e peso maggiori. Ed è proprio in concomitanza con l'affermarsi di questo nuovo assetto politico sulle ceneri dell'ordine previgente ormai distrutto – l'ançien regime - che la prima embrionale concezione normativistica del diritto, quella imperativistico-volontaristica41, comincia a vacillare: poiché in

38 Cfr. ibidem, p. 17.

39 N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, cit., p. 118. Non in tutti i paesi si è verificata la codificazione ma ovunque si è realizzata la supremazia della legge, anche in Inghilterra ove si è ormai affermata la prevalenza del diritto legislativo sul common law: cfr. ibidem, pp.

118-119.

40 <La codificazione costituisce l'involontario ponte tra giusnaturalismo e positivismo giuridico> (G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 20).

41 L'imperativismo è teoria del diritto che configura la norma giuridica come imperativo, comando di fare o astenersi dal fare alcunché: previa – appunto – riduzione del concetto di diritto a quello di norma giuridica: cfr. M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 57. Tale concezione, formulata esplicitamente da J. AUSTIN, riassume bene ogni forma di normativismo volontaristico e imperativistico, insieme a gran parte della teoria medievale della sovranità, a partire almeno da Bodin e da Hobbes. Poiché la norma è atto di imperio, la norma fondante non potrà essere che espressione della massima forza di imperio esercitabile, cioè la volontà imperativa del sovrano politico non abituato ad obbedire a nessuno e al quale tutti gli altri cittadini hanno l'abitudine ad obbedire: cfr. G.

CARCATERRA, Il principio di normatività, cit., pp. 52-53; G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 25 ss. Per contro, il giuspositivismo normativista per antonomasia – quello kelseniano – presenterà il diritto non più come l'insieme delle leggi volute da una o più persone, ma come un insieme di norme impersonali, collegate ad una volontà normativa metaforica, che si riduce al significato oggettivo attribuito ad atti e situazioni da norme giuridiche: cfr. M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto , cit., p. 65.

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una visione simile l'autorità sovrana è sì un'entità di fatto, storicamente determinata, ma si tratta di un sovrano non soggetto al diritto, ed una figura simile non è compatibile con una struttura come quella dello Stato di diritto ormai consolidatosi.

1.3 Positivismo filosofico e positivismo giuridico. Dai decenni d'oro delle scienze alla crisi dei fondamenti d'inizio '900.

Contro quell'illuminismo la cui dottrina era stata il giusnaturalismo ma che aveva condotto alla negazione di quest'ultimo, si sviluppa lo storicismo d'impronta romantica, che si caratterizza per la considerazione del diritto come creazione spontanea del popolo. Da esso prende forma una corrente che ha in Puchta il suo più eminente rappresentante42: pur ispirandosi anch'egli, come Savigny prima di lui, al pensiero organologico ereditato dai romantici e da Schelling, il suo schema piramidale informato a rigidi criteri di logica formale decide la definitiva evoluzione della scienza giuridica verso una giurisprudenza formale-concettuale che porterà all'avvento di principî giuspositivistici.

L'aspirazione sottesa a simili ricostruzioni del fenomeno giuridico è evidente:

conferire alla giurisprudenza il carattere di vera e propria scienza43. Del resto le scienze naturali progrediscono come mai prima d'allora e vengono prese a modello anche da quanti si occupano di società, e di diritto in modo particolare:

si comincia così a considerare quest'ultimo come entità definita

42 Cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, cit., p. 45 ss; F. TODESCAN, Metodo diritto politica. Lezioni di storia del pensiero giuridico, Monduzzi, Bologna 2004, p. 247 ss. Quasi tutti i maggiori giuristi tedeschi del XIX secolo, dal Savigny in poi, apprezzarono il valore scientifico del sistema, che fu la grande realizzazione della pandettistica: cfr. K.

LARENZ, Storia del metodo nella scienza giuridica, a cura di S. VENTURA, Giuffré, Milano 1966, p. 19 ss.

43 <Il giuspositivismo concepisce la scienza giuridica come una scienza costruttiva e deduttiva> (N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, cit., p. 229).

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concettualmente, da comprendere e da spiegare entro sé stessa44, astenendosi da qualsiasi atteggiamento valutativo – così fa lo scienziato, appunto: osserva, descrive, riporta quanto osservato, e nient'altro45.

Il periodo che va dalla metà del XIX secolo ai primi decenni del seguente è infatti contrassegnato a livello culturale da un imponente aumento di peso specifico delle ricerche scientifiche, in parallelo ad un progressivo declino dell'importanza tradizionalmente attribuita alle speculazioni metafisiche e più in generale filosofiche46(47). Nel pieno della Rivoluzione Industriale, cresce la rilevanza delle cosiddette scienze applicate: si fa contestualmente più fitta la rete di collaborazioni tra imprenditori e scienziati. Fiducia nella scienza e nel progresso sono i toni fondamentali del quadro culturale europeo, in misura particolare presso il ceto borghese. Si suole riferirsi a tale diffuso atteggiamento col termine di positivismo filosofico. Più che di una corrente filosofica specifica, si tratta di un'atmosfera sottesa alla vita culturale europea di questi decenni, in ogni campo del sapere, e segnata da una ammirata contemplazione dei successi della scienza e delle sue innumerevoli declinazioni tecnologiche48. In particolare, il pensiero scientifico si evolve

44 Cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 180 ss. Von Jhering <ha vissuto coscientemente come pochi lo smembramento spirituale del XIX secolo> (K.

LARENZ, Storia del metodo nella scienza giuridica, cit., p. 27); <il formalismo era nato in origine ad opera dei pandettisti come elaborazione di concetti ricavati per astrazione dal dato storico. Ma serviva un principio qualificatore della giuridicità dal quale i vari contenuti ricevessero la forma di questa. I giuristi della "giurisprudenza dei concetti" lo avevano trovato nella statualità della norme, donde l'identificazione di formalismo e positivismo giuridico> (G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 274).

45 Per giunta, non c'è più un diritto altro – divino, naturale, o genericamente razionale – che possa assurgere a parametro di valutazione del diritto statale e positivo.

46 <La filosofia, ridotta a una "teoria della conoscenza", non è più in realtà che una timida epochistica e una dottrina dell'astinenza, una filosofia che resta sulla soglia e nega a se stessa il diritto d'entrare> (F. NIETZSCHE, Al di là del bene e del male, intr. e tr. di A.

ROMAGNOLI, Lorenzo Barbera Editore, Siena 2006, p. 115). Epochistica è neologismo di Nietzsche, come fa notare il traduttore: ποχή significa in greco arresto, e (specialmente nel linguaggio degli scettici) sospensione di giudizio, stato di dubbio: cfr. ibidem, p. 115.

47 <L'espressione "teoria generale del diritto" è apparsa alla fine del XIX secolo, sotto l'influenza del positivismo e dell'empirismo, e per reazione alla filosofia del diritto che si praticava fino ad allora> (M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 5 ss).

48 Cfr. L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. VI, cit., p. 7 ss.

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passando da una concezione essenzialistica ad una relazionale: le qualità degli oggetti osservati non sono più intese come intrinseche alla loro essenza ma come dipendenti da esterne relazioni con altre entità (un processo che si può definire "di relativizzazione"). E così è anche per la scienza del diritto e per il giuspositivismo normativistico in particolare: quest'ultimo non fa quindi che accogliere una tendenza generale del pensiero gnoseologico moderno. Tra l'altro, questo principio di relazione può assumere essenzialmente due forme, una naturale e l'altra semantica. Ed è esattamente su questa distinzione che si basa una delle grandi partizioni di quei tempi, ma in auge ancora oggi, quella tra scienze spirituali e scienze naturali. È una distinzione basata sulle differenze del nesso rinvenuto nella realtà osservata e tramite il quale quest'ultima viene interpretata: mentre le scienze della natura spiegano la realtà attraverso il nesso di causalità, quelle dello spirito devono necessariamente ricorrere a categorie diverse49. La scienza del diritto viene collocata tra queste ultime, anche se il suo oggetto d'indagine è evidentemente peculiare, essendo il diritto passibile di essere concepito o come fattore culturale reale o come complesso di significati più o meno sganciati dalla realtà50. Dai maggiori esponenti delle scuole neokantiane, il diritto continua così ad essere considerato un concetto logicamente anteriore all'esperienza del diritto stesso, una categoria formale del pensiero. Altri autori a cavallo tra i due secoli più che a Kant rimettono mano in verità all'idealismo di Hegel51; altri ancora continuano a concepire il diritto secondo i canoni della tradizione giusnaturalistica, riproponendo quindi un dualismo evidentemente solo in apparenza sconfitto52. Si tratta in ogni caso di prime reazioni contrarie, pur tra loro dissimili, alla medesima impostazione

49 Cfr. G. CARCATERRA, Il principio di normatività, cit., pp. 31-37.

50 Cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 218 ss. Fu ad opera di due diramazioni specifiche del neokantismo, la scuola sud occidentale tedesca e quella di Marburgo, che la stessa distinzione fu presentata sotto un binomio diverso, quello della distinzione tra scienze generalizzanti e scienze individualizzanti: cfr. ibidem, p. 220 ss.

51 Ad esempio, J. KOHLER (1849-1919) concepiva il diritto come realtà varia e mutevole dominata dall'Idea, che la guida e le dà unità: cfr. ibidem, p. 223 ss.

52 Cfr. ibidem, p. 253 ss.

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gnoseologica, quella che aveva accompagnato sul versante della scienza giuridica il trionfo del positivismo filosofico e del metodo scientifico genericamente inteso.

Sul finire del XIX secolo si sviluppano scienze nuove, sulla scia d'un desiderio sempre più pressante di replicare i successi delle ricerche scientifiche anche in campi di sapere che mai prima d'allora erano stati sottoposti ai medesimi metodi d'indagine. La sociologia53, ad esempio, sorge in questi decenni: se la Rivoluzione Francese aveva ratificato in Europa un nuovo assetto economico e segnato a livello politico la vittoria della classe borghese, la Rivoluzione Industriale segna il definitivo ingresso sulla scena di un ceto nuovo, il proletariato. In un simile contesto, una scienza sociale è ciò che nasce in risposta ad esigenze sempre più pressanti di ripristino della coesione sociale, esigenze reazionarie finalizzate al mantenimento del dominio ormai vacillante della borghesia su una nuova classe, sempre più imponente e rilevante. Verso la fine del secolo la cultura positivistica, che pur ai suoi primordi era stata un vettore di istanze progressiste54 e in certo modo rivoluzionarie, si è ormai cristallizzata55 in una stasi segnata da un atteggiamento quasi dogmatico56. Per la situazione delle scienze a cavallo tra XIX e XX secolo si sono coniate

53 <La sociologia giuridica assunse rapidamente la fisionomia di scienza autonoma> (ibidem, p. 201).

54 <L'illuminismo tentò un'operazione i cui effetti furono certo profondamente innovativi, ma lo spirito del movimento complessivo dei lumi fu quello di una restaurazione del valore della legge come qualcosa che si sottraesse all'arbitrio e alla disposizione del "sovrano">

(A. CARRINO, Il problema della sovranità nell'età della globalizzazione, cit., p. 59).

55 Oggi, il fenomeno della globalizzazione ha segnato <la perdita della sovranità della classe media, di quella borghesia che aveva per lungo tempo legato le sue sorti a quelle dello Stato nazionale, che aveva condiviso i destini della nazione fattasi Stato con i propri destini di classe sociale "generale". Questo legame si è in certa fase trasformato in nazionalismo, con tutti i guasti ben noti di un nazionalismo cieco> (ibidem, pp. 103-104).

56 Cfr. L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. VI, cit., p. 46 ss.

Mentre <una società politica monista o monoclasse come quella liberale del secolo XIX le condizioni del proprio ordine le portava dal suo interno> (G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 36). <Il progetto fondato sulla volontà di potenza della scienza moderna è un progetto che per il soggettivismo che lo fonda, per la convenzionalità che lo anima, non è in grado di costruire un cosmo sostanzialmente ordinato, essendo stata radicalmente rimossa l'idea stessa di una sostanza del cosmo> (A. CARRINO, Il problema della sovranità nell'età della globalizzazione, cit., p. 40).

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formule inequivocabili, come crisi della civiltà, o tramonto dello spirito scientifico: in realtà non è un periodo di declino della razionalità scientifica, quanto piuttosto l'inizio di una fase molto più matura e feconda della stessa. In particolare, si afferma il neopositivismo57. Col conforto della scoperta delle geometrie non euclidee58, quest'ultimo si fa artefice di una revisione metodologica rivoluzionaria; il punto di partenza dell'indagine conoscitiva non è più oggettivo, bensì convenzionale. Un esempio di questo rinnovato spirito è il dibattito scientifico tra Hilbert e Frege59: mentre il secondo si propone di definire in termini strettamente logici i concetti della matematica pura a partire da principî anch'essi meramente logici60, il primo affronta la conclamata crisi

57 <Come quasi tutte le cose dell'Ottocento, raggiunse la sua perfezione nel Novecento> (J. R.

WILCOCK, La sinagoga degli iconoclasti, cit., p. 205).

58 Cfr. ibidem, p. 404 ss. Nella Lezione di Abilitazione intitolata Sulle ipotesi che stanno a fondamento della geometria, che Bernhard Riemann discute nel 1854 all'Università di Gottinga, è punto di svolta per il pensiero moderno tout court: Vi è delineata infatti una teoria generale nella quale, facendo ricorso al concetto di "varietà", diviene possibile studiare un'infinità di geometrie diverse, definite su spazi a un numero qualunque di dimensioni. Questa prospettiva conduce ad un ripensamento critico delle premesse fondanti della filosofia kantiana. Le nuove idee geometriche hanno risonanza anche presso filosofi, fisici, psicologi, teologi, semplici curiosi. Nel 1869, il matematico inglese J. J. Sylvester accenna alle nuove concezioni geometriche servendosi di un'immagine particolare, quella della possibilità di uno spazio bidimensionale popolato di esseri infinitamente piccoli, simili a "pidocchi dei libri infinitamente rimpiccioliti su una pagina infinitamente sottile":

cfr. C. BARTOCCI, Geometrie Vittoriane, in apertura a E. A. ABBOTT, Flatlandia. Storia fantastica a più dimensioni, cit., p. VI ss.

59 G. FREGE, Senso e significato, in Id., Logica e aritmetica, a cura di C. MANGIONE, Boringhieri, Torino 1965, pp. 374-404. Per illustrare tale distinzione Frege utilizza vari esempi, il più noto dei quali è quello delle due espressioni "la stella del mattino" e "la stella della sera": un tempo impiegate rispettivamente per indicare l'ultima stella che scompare dopo l'alba e la prima a comparire dopo il tramonto, oggi sappiamo che entrambe designano lo stesso corpo celeste – Venere – ma questo non ci impedisce di riconoscere che dicono cose diverse: cfr. M. RICCIARDI, Diritto e natura, Edizioni ETS, Pisa 2008, p. 101.

60 Frege cerca di ricondurre la matematica alla logica: nel suo articolo più celebre, Senso e significato ("Über Sinn und Bedeutung") del 1892, egli afferma la possibilità di un ampliamento della conoscenza tramite la formulazione di giudizi analitici, possibilità giustificata dal fatto che l'uguaglianza è un rapporto tra nomi di oggetti e non tra oggetti.

Quindi mentre la proposizione a = a vale a priori, la proposizione a = b non sempre può venire fondata allo stesso modo. Con questa tesi peraltro il logico polemizza contro Kant, che aveva considerato i giudizi analitici delle semplici tautologie: inoltre, ancora in polemica contro i fondamenti del trascendentalismo kantiano, egli insiste sul fatto che senza oggetto la conoscenza non è possibile o è manchevole, ragion per cui non esistono quei giudizi sintetici a priori che Kant aveva rinvenuto proprio nelle proposizioni apodittiche riferite agli assiomi matematici e geometrici: cfr. P. GENESINI, Friedrich Gottlob Frege.

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dei fondamenti della geometria attraverso l'elaborazione di un approccio completamente nuovo al suo oggetto di studi, fondando un sistema ipotetico- deduttivo inteso in senso puramente formale e sintattico. La vera innovazione sta nel taglio reciso con la realtà: le proposizioni fondamentali della geometria, gli assiomi che Hilbert pone a base del suo sistema, non esprimono alcun contenuto che non sia quello dato dalle loro mutue relazioni di tipo puramente logico. La geometria in questo modo diventa matematica, all'esito di un processo di generale assiomatizzazione61. Se per secoli ci si era attenuti al metodo d'indagine euclideo (per il quale è necessario ad un certo punto della dimostrazione d'un teorema fermarsi, e accettare di avere a che fare con concetti non definitivi, cosiddetti primitivi, ad esempio quelli di punto o retta), si assiste così a cavallo tra XIX e XX secolo ad un cambiamento di portata epocale. Nella concezione di Euclide infatti gli assiomi sono verità evidenti e i concetti primitivi sono concetti condivisi che non necessitano di definizioni.

Per secoli, dalla lontana Grecia antica, matematica e geometria si occupano di oggetti visti come astrazioni del reale, e il motivo ispiratore d'ogni indagine è la ricerca della verità: ma ad un certo punto ci si rende conto che si può fare della matematica parimenti valida anche con oggetti non intuitivi e poco legati al reale, addirittura a partire da assiomi controintuitivi62 – le cosiddette geometrie non euclidee. Cade dunque l'ideale di verità63 e prende il suo posto quello di validità: ecco che si può fare una geometria dove non esistono ad esempio rette parallele, oppure dove data una retta R e un punto P esterno ad essa, esistono due rette parallele a R passanti per P. La ragione ha valore non più

Senso e Significato, Padova 1998, p. 8.

61 Cfr. L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Vol. VI, p. 419 ss.

62 Contravvenendo anche a Kant, che aveva scritto: <tutte le proposizioni geometriche sono apodittiche, ossia legate alla coscienza della loro necessità: tale è per esempio la proposizione che lo spazio ha tre dimensioni> (I. KANT, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1994, par. 3).

63 <Un nichilista si pone di fronte a ogni cosa con un atteggiamento critico. Non si inchina davanti all'autorità di nessuno e non accetta nessun principio, anche se si tratta di un principio cui tutti obbediscono> (I. S. TURGENEV, Padri e figli, Garzanti, Milano 2000, p.

25).

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contenutistico, ma solo strumentale.

Naturalmente la crisi che investe la scienze tutte a cavallo tra XIX e XX secolo coinvolge anche quella giuridica64. Il sentore diffuso è che il diritto cristallizzato dai codici65 – che erano stati soprattutto un'opera di ricezione di materiale giuridico preesistente – non sia più sufficiente, così come non basti più una dogmatica puramente formale, troppo lontana dal dato storico66. Si sviluppa la giurisprudenza pragmatica del secondo Jhering67: lo scopo comincia ad essere considerato il vero creatore d'ogni diritto, e in questa nuova visione del fenomeno giuridico non c'è più nessuna proposizione giuridica che non proceda da un motivo pratico. È il tramonto delle teorie formalistiche che, originatesi dai movimenti per la codificazione, avevano rinvenuto proprio in questo diritto un oggetto d'indagine sicuro e ben delimitato; la scienza del diritto si sente ora in dovere di ricercare gli interessi che oggettivamente permeano la società - spingendosi ben oltre le pagine dei codici.

A ciò fa seguito anche la rinascita di varie forme di irrazionalismo68 e

64 <La stessa parola positivismo, che era stata l'orgogliosa bandiera di una società fiera delle grandi conquiste della sua scienza, passò a significare questa limitatezza di visuale, e cadde in discredito, fino ad essere usata, magari a sproposito, per liquidare dottrine sgradite> (G.

FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, Vol. III, cit., p. 214).

65 Nel XIX secolo i partigiani della consuetudine vedono in essa uno strumento attraverso il quale il popolo si assoggetta ad un diritto autonomo, per sottrarsi al dominio della legge, concepita come espressione della classe dominante: cfr. M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 73.

66 Cfr. F. TODESCAN, Metodo diritto politica, cit, p. 251. Si osserva anche un mutamento nella conformazione stessa dello Stato. Il secolo XIX è il secolo dello "Stato di diritto", così definito per distinguerlo dallo Stato assoluto caratteristico del XVII secolo ma anche dallo

"Stato sotto il regime di polizia", cioè quello dell'Assolutismo illuminato caratteristico del XVIII secolo: cfr. G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 20.

67 Cfr. G. FASSÒ, Storia della filosofia del diritto, cit., p. 188 ss. ; cfr. M. JORI, A.

PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 78. Dalla giurisprudenza degli interessi si sviluppa la allgemeine Rechtslehre, cioè l'equivalente tedesca della general jurisprudence analitica anglosassone, salvo che, mentre questa presume di addivenire ai concetti fondamentali del diritto prendendo in considerazione i diversi ordinamenti giuridici, quella presume di addivenire ai concetti fondamentali del diritto prendendo in considerazione i diversi rami dell'ordinamento giuridico tedesco: cfr. E. PATTARO, Rivisitazione dei luoghi classici del pensiero giuridico, cit., p. 159 ss.

68 Ricordiamo, in via indicativa d'un diffuso atteggiamento di sconforto e scetticismo, l'aforisma 459 – Necessario il diritto arbitrario – del nietzschano Umano, troppo umano:

<dove il diritto non è più, come da noi, tradizione, esso può essere solo imposto, solo

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pessimismo69: la relativizzazione della conoscenza, il valore di verità non perseguito in quanto considerato non afferrabile dalla mente umana, gettano l'uomo europeo di fine secolo in una nuova stagione di sfiducia nella propria razionalità.

1.4 La crisi della scienza giuridica all'indomani delle due guerre mondiali70. L'odierno costituzionalismo.

Tali visioni catastrofiche sembrano trovare conferma nei gravi eventi storici prodottisi tra 1914 e 194571: il loro concretizzarsi pare negare definitivamente qualsiasi fiducia in un progresso reale dell'umanità72. La letteratura giuridica

costrizione: noi tutti non abbiamo più un senso tradizionale del diritto, perciò dobbiamo accontentarci di diritti arbitrari, che sono espressione della necessità che esista un diritto>

(F. NIETZSCHE, Umano, troppo umano, Mondadori, Milano 2008).

69 <Ebbre di un incerto qualcosa che chiamarono "positività", quelle generazioni criticarono ogni tipo di morale; e da questo conflitto di teoria non restò che la certezza che non c'erano teorie e il dolore per quella certezza> (F. PESSOA, Il libro dell'inquietudine - di Bernardo Soares, Feltrinelli, Milano 2010, p. 226).

70 <Il distacco dal positivismo nella prassi del diritto è stato provocato dalle scoraggianti esperienze che sono state fatte in Germania ed altrove con il "positivismo" prativo di una dittatura che non si riteneva legata a nulla> (K. LARENZ, Storia del metodo nella scienza giuridica, cit., p. 177). Ancora: <la rinata (o forse, meglio, rinvigorita) corrente del giusnaturalismo critica gli aspetti ideologici del giuspositivismo, mettendo in rilievo le funeste conseguenze pratiche che ne derivarono> (N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, cit., p. 235). <Secondo i suoi critici, il giuspositivismo sarebbe colpevole di prestare adesione morale al diritto positivo solo in quanto positivo> (M. JORI, A. PINTORE, Manuale di teoria generale del diritto, cit., p. 105). All'indomani della seconda guerra mondiale, le dottrine giusnaturalistiche conoscono, soprattutto in Germania, un rinnovato interesse, e l'espressione "filosofia del diritto" è di nuovo utilizzata come titolo di libri e insegnamenti universitari: cfr. M. TROPER, Cos'è la filosofia del diritto, cit., p. 6.

71 <Ma cosa frullava nella testa degli uomini d'Occidente cent'anni fa? Erano convinti d'essere alle soglie d'una era nuova dell'umanità e non si potevano affatto immaginare che da lì a poco si sarebbe rovesciata sul loro mondo entusiasta la tempesta d'acciaio che poi ci ha raccontato Ernst Jünger , che avrebbe sepolto il loro Occidente di lusso nel fango delle trincee prima e vent'anni dopo ancora nel gas dei campi di concentramento> (P. DAVERIO, Il museo immaginato. Il secolo spezzato delle avanguardie, Rizzoli, Milano 2014, p. 15).

<L'Europa correva verso la catastrofe esattamente come il Titanic incosciente navigava verso l'iceberg, e sulle terrazze d'Europa, come nelle sale lussuose del Titanic, si continuava a ballare> (ibidem, p. 21).

72 <È invero difficile negare la manifesta inconciliabilità tra la vecchia nozione di progresso e la tragica realtà del primo conflitto mondiale. Che dire poi delle mostruosità del fascismo e

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