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377/2018 Effetto Simondon

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377

marzo 2018

Effetto Simondon

a cura di Veronica Cavedagna e Giulio Piatti

Premessa [G.P., V.C.] 3

Nota bibliografica 6

MATERIALI

Gilbert Simondon Epistemologia della cibernetica

(1953) 12

Gilbert Simondon, Jean Le Moyne Intervista

sulla meccanologia (1968) 36

Xavier Guchet Simondon e la tecno-estetica 76 Andrea Bardin L’epistemologia politica di Simondon 91 Jean-Hugues Barthélémy L’“effetto Simondon”

e le sfide del XXI secolo 106 Giovanni Carrozzini L’addio a Kant di Foucault

e Simondon 123

Francesca Dell’Orto Individuazione, costituzione,

immaginazione 138

Giulio Piatti Filosofia del campo. Tracce bergsoniane

nel pensiero di Simondon 151

Damiano Cantone Haecceitas e soggetto

tra Simondon e Deleuze 163

Carlo Molinar Min L’analogia impossibile. Ontologie della relazione in Simondon e Deleuze 177 Luca Taddio Illusione, direzionalità e stabilità:

da Nietzsche a Simondon 189

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Premessa

Nel contesto di quella vivace stagione “teo- rica” che ha attraversato, a partire da- gli anni sessanta, gli ambienti accademi- ci francesi per poi riversarsi progressivamente in Europa e ne- gli Stati Uniti, il ruolo giocato dal pensiero di Gilbert Simondon (1924-1989) sembra all’apparenza soltanto secondario. Rispetto alle più seducenti analisi di Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Mi- chel Foucault, Jean Baudrillard o Jean-François Lyotard, soltan- to per citarne alcune, le intuizioni simondoniane sulla tecnica e sull’individuazione (che possiamo intendere sinteticamente come concetto in grado di restituire il modo d’essere del reale nei suoi vari ordini e gradi, senza che se ne tradisca la complessità intrin- seca) non hanno certo saputo esercitare in quegli anni un ruolo catalizzatore.

La poca attenzione del pubblico e del mondo editoriale – si ricordi che si è dovuto attendere fino al 2005 per la pubblica- zione integrale della sua monumentale tesi di dottorato, discus- sa alla fine degli anni cinquanta1 – non è stata tuttavia accom- pagnata da una disattenzione dell’accademia francese. Georges Canguilhem, Maurice Merleau-Ponty e Mikel Dufrenne, tra gli altri, seguiranno con attenzione il percorso di studi di Simon- don, così come Derrida, per esempio, intratterrà con lui più di

1. Cfr. la nota bibliografica a seguire.

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un rapporto;2 si sa poi quanto Deleuze – forse l’unico della sua generazione – abbia attinto alle principali innovazioni introdotte dalla sua metafisica,3 determinando, di riflesso, una certa atten- zione verso la sua filosofia.

Ecco dunque che questi rapporti, certo presenti, ma impliciti e spesso autoreferenziali, nonché sovente invisibili al grande pub- blico, hanno saputo progressivamente generare una serie di effet- ti, capaci di regalare al pensiero di Simondon una seconda vita. A partire dalla fine degli anni ottanta, dopo la morte di Simondon e con la pubblicazione di L’individuation psychique et collective (se- conda parte della tesi di dottorato, che completa le sue riflessioni sull’individuazione fisica e biologica), si è infatti innescato un pro- cesso, sotto la supervisione della famiglia Simondon e in particola- re di Nathalie Simondon, che ha portato alla pubblicazione, o ri- pubblicazione, delle principali opere e all’apparizione di corsi e conferenze tenuti da Simondon alla Sorbona a partire dagli anni sessanta, fino a pochi anni fa rimasti inediti.

Tale rinascita, unita a una rinnovata attenzione da parte del- le nuove generazioni di filosofi – si pensi per esempio all’impor- tanza della filosofia simondoniana nell’economia complessiva del pensiero di Bernard Stiegler – ha trasformato Simondon in uno dei più riconosciuti pensatori contemporanei.4 L’“effetto Simon- don” ha determinato la scoperta di un pensatore “integrale”, ir- riducibile all’immagine, fino a quel tempo dominante, di eccen- trico epistemologo delle scienze o di filosofo “informato” della

2. Ci riferiamo qui alle vicende legate alla creazione del Collège international de philo- sophie che determinerà uno scambio di lettere tra Derrida e Simondon. Per l’approfondi- mento di questi punti si rimanda alla nota bibliografica.

3. A L’individu et sa genèse physico-biologique Deleuze dedicherà un’importante recen- sione nel 1966 (cfr. G. Deleuze, L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, trad. di D. Borca, Einaudi, Torino 2007, pp. 106-110). Importante è poi, più in generale, il ruolo della metafisica e del lessico simondoniani nell’impalcatura teorica di opere come Differenza e ripetizione e Logica del senso.

4. Si deve alla meritoria opera di Paolo Virno la prima penetrazione, in Italia, del pen- siero simondoniano. È infatti a sua cura la prima traduzione italiana di L’individuation psy- chique et collective (cfr. G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, DeriveApprodi, Roma 2001). È stato invece Giovanni Carrozzini, più recentemente, a tradurre la tesi di dot- torato nella sua interezza (cfr. Id., L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’infor- mazione, Mimesis, Milano-Udine 2011).

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tecnica. Si è infatti compreso come a guidare le analisi simondo- niane sia un pensiero “a tutto tondo”, vasto ed eterogeno, ampio quanto il reale – un pensiero perfettamente coerente con il suo spirito curioso e libertario.

Dalle analisi concrete e puntuali sullo sviluppo della civiltà tec- nica – presenti anche in quell’Intervista sulla meccanologia del 1968 la cui traduzione italiana appare nel presente fascicolo – al- lo studio dei processi di individuazione attivi nel reale (dalla ma- teria inorganica sino alle più raffinate acquisizioni psicosociali) at- traverso cui egli misura e ripensa le nozioni tradizionali della me- tafisica occidentale, passando per gli spunti innovatori intorno alla cibernetica, alla percezione e all’immaginazione, il pensiero simon- doniano si è via via confermato come una riflessione sistematica e di natura ontogenetica, volta cioè ad analizzare tutti quei processi che hanno portato (e stanno tuttora portando) alla costituzione di ogni differente strato della realtà. Rileggere, oggi, Simondon signi- fica allora interrogarsi sulle sfide poste al pensiero filosofico dalla contemporaneità, la cui risoluzione dipende in gran parte dalla ca- pacità di ridefinire il posto dell’uomo nel cosmo, alla luce di quel- la dimensione preindividuale che Simondon non ha mai smesso di indagare secondo le più differenti angolature.

A partire da tali considerazioni, i contributi che compongono questo fascicolo di “aut aut” si sono dati essenzialmente due obietti- vi: da un lato, andare a misurare le più importanti innovazioni intro- dotte dal discorso di Simondon (nella filosofia come nell’estetica, nella tecnica e nella scienza come nella politica); dall’altro, verifica- re i tratti di continuità e discontinuità della sua riflessione rispetto ad alcuni tra i massimi pensatori del XX secolo, da Nietzsche a Hus- serl, da Bergson a Foucault, passando per Deleuze.

In questo modo, si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripar- tirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contem- po allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente specula- tiva (e per ciò stesso innovatrice): quella cioè di fornire all’inda- gine filosofica una cornice che sia all’altezza del contemporaneo.

[G.P., V.C.]

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6 aut aut, 377, 2018, 6-9

Nota bibliografica

Monografie

Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958 (1969, 1989, 2001, 2012) [tesi complementare del dottorato di stato].

L’individu et sa genèse physico-biologique, Puf, Paris 1964 (riedi- zione aumentata presso Jérôme Millon, Grenoble 1995) [pri- ma parte e inizio della seconda parte della tesi principale per il dottorato di stato, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information].

L’individuation psychique et collective, Aubier, Paris 1989 (2007);

trad. di P. Virno, L’individuazione psichica e collettiva, Deri- veApprodi, Milano 2001 [fine della seconda parte dell’Indi- viduation à la lumière des notions de forme et d’information].

Pubblicazioni postume

Deux leçons sur l’animal et l’homme, Ellipses, Paris 2004 [ritra- scrizione di un corso di Propedeutica registrato a Poitiers tra il 1955 e il 1962].

L’invention dans les techniques. Cours et conférences, Seuil, Paris 2005 [contiene L’invention et le développement des techniques (1968), L’invention dans les techniques (1971), ed estratti da

La presente bibliografia, aggiornata rispetto alle ultime pubblicazioni, è stata compilata sulla base di quella realizzata dalla famiglia Simondon (<gilbert1.simondon.fr/files/biblio- graphie_GS.pdf>) e integrata da quella presente sul sito del Cides - Centre international des études simondoniennes (<mshparisnord.fr/cides/index.php/menu-3.html>). Ove pre- sente, si è fatto riferimento alla traduzione italiana delle opere.

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Imagination et invention (1965-66), Résolution des problèmes (1974) e Invention et créativité (1976)].

L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, prefazione di J. Garelli, Jérôme Millon, Grenoble 2005; trad.

di G. Carrozzini, L’individuazione alla luce delle nozioni di for- ma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011 [prima pubblicazione integrale della tesi di stato di Simondon, ripre- sa dei due volumi parziali usciti per Puf e Aubier, con com- plementi (gli inediti Storia della nozione di individuo e Nota complementare sulle conseguenze della nozione di individuazio- ne) e supplementi (Forma, informazione, potenziali, del 1960, e due testi preparatori all’Individuazione, ovvero Analisi dei criteri dell’individualità e Allagmatica)].

Cours sur la perception (1964-1965), La Transparence, Chatou 2006 (ried. Puf, Paris 2013) [corso].

Imagination et invention (1965-1966), La Transparence, Chatou 2008 [corso].

Communication et information. Cours et conférences, La Tran- sparence, Chatou 2010 [contiene il Cours sur la communica- tion (1970-71), L’amplification dans les processus d’information (1962), Le relais amplificateur (1976), Perception et modula- tion (1968), Cours sur l’instinct (1964) e Attitudes et motiva- tions (1960)].

Sur la technique, Puf, Paris 2014; trad. di A.S. Caridi, Sulla tec- nica, Orthotes, Napoli-Salerno 2017 [contiene le lezioni sulla Psicosociologia della tecnica (1960-61), sulla Nascita della tec- nologia (1970) e su Arte e natura. La padronanza tecnica del- la natura (1980); gli articoli Posizione dell’avviamento tecni- co in una formazione umana completa (1953), Prolegomeni ad una revisione dell’insegnamento (1954), Aspetto psicologi- co del macchinismo agricolo (1959), I limiti del progresso uma- no (1959), L’affetto alone in ambito tecnico: verso una strate- gia della pubblicità (1960), La mentalità tecnica (1961), Cultu- ra e tecnica (1965), Tecnica ed escatologia: il divenire degli og- getti tecnici (1972), Tre prospettive per una riflessione sull’etica e la tecnica (1983); le note Psicosociologia del cinema (inedito)

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(1960), Oggetto tecnico e coscienza moderna (inedito) (1961), Antropo-tecnologia (inedito) (1961), Oggetto economico ed og- getto tecnico (1962), Riflessioni sulla tecno-estetica (1982);1 l’Intervista sulla tecnologia con Y. Deforge (1965), l’Intervista sulla meccanologia con J. Le Moyne (1968)2 e Salvare l’oggetto tecnico (1983)].

Sur la psychologie, Puf, Paris 2015 [contiene l’inedito Fonde- ments de la psychologie contemporaine, Initiation à la psycholo- gie moderne (1967) e La sensibilité (1966-1967)].

Sur la philosophie, Puf, Paris 2016 [contiene i testi preparatori Introduction (1955 ca.), Point de méthode (intorno al 1955), Recherche sur la philosophie de la nature (1955 ca.), e Cyber- nétique et philosophie (1953); i contributi Humanisme cultu- rel, humanisme negatif, humanisme nouveau (1953), Voyage aux États-Units (1952), Le progrès, rythme et modalités, Pour une notion de situation dialectique (1960), Négativité (1955 ca.), Optimisme et pessimisme, Les encyclopédies et l’esprit encyclopédique (1950 ca.), Les grandes courants de la philo- sophie française contemporaine (1962-1963) e Les grandes di- rections de recherche des sciences humaines en France (1962- 1963); gli studi Épistémologie de la cybernétique (1953),3 Étu- de de quelques problèmes d’épistémologie et de la théorie de la connaissance, Histoire des sciences et histoire de la pensée, Sciences de la nature et sciences de l’homme e Introduction à une épistémologie généralisée (1980); gli approfondimenti De l’implication technologique dans les fondements d’une cultu- re, L’objet technique come paradigme d’intelligibilité univer-

1. Si tratta della bozza di una lettera che Gilbert Simondon aveva cominciato in occa- sione della creazione del Collège international de philosophie, in risposta a una lettera cir- colare di Jacques Derrida. Simondon non l’ha mai terminata né tantomeno inviata. Più che una risposta a Derrida, è una riflessione originale sulla tecno-estetica che il suo preca- rio stato di salute gli ha impedito di portare a compimento. È stata la moglie, Michelle Si- mondon, che ritrovando il saggio dopo la sua morte l’ha inviato a Derrida nel 1991, insie- me a un testo del 1954 sull’insegnamento, in ragione del loro legame di amicizia, e ne ha autorizzato così la pubblicazione. Per un approfondimento, cfr. G. Simondon, Sulla tecni- ca, cit., pp. 319-320.

2. In questo fascicolo.

3. In questo fascicolo.

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selle, L’ordre des objets techniques come paradigme d’universa- lité axiologique dans la relation interhumaine (Introduction à una philosophie transductive) e Annexe sur la démarche ana- lectique].

Articoli

Questa lista non contiene i contributi che sono stati successiva- mente inclusi nelle opere già citate.

Notes sur l’objet technique, “Cahiers pédagogiques”, 1954.

Discussion avec Zadou-Naïsky, “Cahiers pédagogiques”, 1954.

“La psychologie moderne” (con F. Le Terrier), in M. Daumas (a cura di), Histoire de la science, Des origines au XXe siècle, Encyclopédie de la Pléiade, Paris 1957.

Revue critique du livre d’Oparine. L’origine de la vie sur terre,

“Revue Philosophique”, 1968.

La perception de longue durée, “Journal de psychologie norma- le et pathologique”, 1969-70 [corso apparso in tre fascicoli].

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Materiali

I testi che qui presentiamo appartengono a due diverse fasi della riflessione di Gilbert Simondon. Il primo, Épistémologie de la

cybernétique, risale al 1953 ed è un manoscritto di lavoro mai pubblicato dall’autore; il secondo, Entretien sur la mécanologie, costituisce la trascrizione di un’intervista televisiva rilasciata a Jean Le Moyne nel 1968. Se il primo testo riguarda una fase giovanile della riflessione di Simondon, di poco anteriore o più probabilmente contemporaneo alla redazione delle sue opere più importanti e nel quale emerge già la volontà di far dialogare il pensiero riflessivo con quello scientifico, il secondo, invece, nel quale il filosofo è interrogato in relazione alle sue più note intuizioni intorno alla tecnica, appartiene a una fase ormai matura.

La scelta di pubblicare questi due testi deriva dall’esigenza di mostrare la varietà di interessi che caratterizza il pensiero di Simondon, nonché la caratura originariamente interdisciplinare del suo sforzo teorico. Prova ne sia la riflessione sulla cibernetica, disciplina a cui Simondon inizia precocemente a interessarsi e nella quale vede la possibilità di costruire una vera e

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propria “assiomatica” delle scienze, ovvero un sistema di relazioni operazionali, ontologiche ed epistemologiche capaci di riunificare

l’enciclopedia dei saperi. Non meno “sistematica”

è poi la riflessione, contenuta nell’Entretien, sullo statuto degli oggetti tecnici e sul ruolo della tecnica nella società contemporanea, anticipatrice di una serie di tendenze che paiono trovare oggi il proprio dominio di applicazione.

La capacità di intravedere, nello sviluppo delle tecnologie – come nel caso della ruota – una continuità in cui si ridisegnano continuamente i confini tra artificiale e umano, tra concreto e astratto, porta così l’analisi di Simondon – agli antipodi rispetto a molte posizioni coeve sulla tecnica, spesso inficiate da uno sguardo pregiudiziale quando non apertamente ostile – verso la definizione di un nuovo umanismo

“allargato”: qui la comprensione dei rapporti conflittuali tra uomo e macchina viene mitigata da un impegno pedagogico, volto a introdurre nella cultura umanistica una sana iniezione di conoscenza tecno-scientifica.

Tanto nel caso della cibernetica quanto in quello della tecnica, emerge insomma il disegno ampio – potremmo dire genuinamente speculativo – del lavoro di Simondon, che ci consegna delle importanti intuizioni su come ripensare (e riunire insieme) i più eterogenei campi del sapere, nell’ottica di riposizionare i confini stessi della cultura umana.

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12 aut aut, 377, 2018, 12-35

Epistemologia della cibernetica (1953)

GILBERT SIMONDON

Manoscritto di lavoro conservato in un dossier dal titolo Recherches philosophiques.1

È difficile considerare la cibernetica come una scienza. La fisica, la biologia, l’astro- nomia, la numismatica si definiscono per il loro oggetto; hanno un solo oggetto e possono impiegare di- versi metodi per studiarlo. Questo primato dell’oggetto sul me- todo nella definizione di una scienza esprime forse un pregiudi- zio sostanzialista: una struttura è, per il pensiero riflessivo, un termine di riferimento più certo di un’operazione. Solo la mate- matica pone un serio problema a un simile principio di classifi-

Questo testo, intitolato “Épistémologie de la cybernétique” e mai pubblicato da Simon- don, è stato raccolto nel volume postumo Sur la philosophie, 1950-1980, edizione stabili- ta da N. Simondon e I. Saurin, prefazione di F. Worms, Puf, Paris 2016, pp. 177-199. (Tut- te le note, tranne dove diversamente indicato, sono dei curatori dell’edizione francese.)

1. Al momento della stesura di questo testo (così come di “Cybernétique et philosophie”), Simondon compie dei tentativi per istituire un gruppo di ricerca in cibernetica che metta in relazione filosofi e scienziati attorno all’École normale supérieure.

Il progetto non ha buon esito, ma la cibernetica e la teoria dell’informazione occupano un ruolo determinante nell’insieme della sua opera. Ne offre un’esposizione approfondita nel 1956 in “Fondements de la psychologie contemporaine”, che appare in Sur la psychologie, Puf, Paris 2015, p. 190 sgg. Nel 1952 Simondon incontra un collaboratore di Norbert Wiener negli Stati Uniti; è incaricato della segreteria e della preparazione degli atti del convegno di Royaumont del 1962 su “Il concetto di informazione nella scienza contemporanea”, dove presenta una relazione (“L’amplification dans les processus d’information”, in Communication et information, Puf, Paris 2015, p. 157). Nell’una e nell’altra delle sue due tesi, dopo un’esposizione attenta e comprensiva, conclude con una posizione critica: cfr. L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (1958), a cura di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, per esempio pp. 299, 329, 716, e Du mode d’existence des objets techniques, Flammarion, Paris 2012 (d’ora in poi: MEOT), pp. 59, 147, 155, 204-208. Cfr. anche il “Cours sur la communication”, in Communication et information, cit., p. 85.

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cazione: la matematica non possiede un oggetto paragonabile a quello della fisica o dell’astronomia; è innanzitutto un metodo – di misura o di trasformazione di misure. Fornisce alle altre scien- ze metodi operativi. L’epistemologia deve ad Auguste Comte una classificazione delle scienze fondata sul primato dell’oggetto, e la corrente definizione delle scienze ha conservato qualcosa del po- sitivismo nell’ammettere che ogni scienza debba avere un ogget- to. Auguste Comte tuttavia aveva serbato, al di fuori delle scien- ze che hanno un oggetto, due pensieri validi e conformi allo spi- rito positivo: la matematica, strumento iniziale di ogni scienza, mezzo fondamentale di espressione, e la riflessione epistemologi- ca, identica al pensiero filosofico, necessaria per assicurare la co- ordinazione di lavori scientifici specializzati e vigilare sulla per- manente oggettività e positività dell’osservazione e dell’esplica- zione. Da una parte e dall’altra del corpo delle scienze oggetti- ve specializzate, il positivismo definisce dunque due conoscenze operative valide: la conoscenza matematica, all’avvio della ricer- ca oggettiva, e la conoscenza epistemologica, al termine provvi- sorio di questa stessa ricerca.

Il postulato del positivismo inerente a questa classificazione può formularsi così: l’operazione, matematica o riflessiva, che pre- cede o che segue il rapporto del soggetto conoscente all’oggetto co- nosciuto, non è parte integrante della conoscenza oggettiva. Que- sto postulato significa che, tra le operazioni che il soggetto cono- scente è portato a compiere per cogliere l’oggetto conosciuto, al- cune sono dotate di un valore “oggettivo”, mentre altre non si trovano affatto investite dello stesso privilegio, in particolare le operazioni di misura e di generalizzazione, di comparazione dei risultati ottenuti nei diversi campi e di scoperte di analogie nel- le formule che esprimono fenomeni differenti. La formulazione dell’ipotesi è un’operazione privilegiata e di essa sola l’esperien- za inficia o conferma la validità. Il positivismo opera dunque una separazione tra due elementi che costituiscono l’assiomatica di una scienza: l’assiomatica strutturale – l’ipotesi che diventa leg- ge mediante la verifica, e che è un rapporto enunciato tra due fe- nomeni – e l’assiomatica operativa, che, sotto forma matematica e

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36 aut aut, 377, 2018, 36-75

Intervista sulla meccanologia (1968)

GILBERT SIMONDON JEAN LE MOYNE

Quest’intervista con Jean Le Moyne1 ebbe luogo nell’agosto 1968 a Tence (Haute- Loire), nella casa di famiglia di Gilbert Simondon. Fu registrata per la televisione canadese da Jacques Pa- rent (Un’intervista sulla meccanologia, Gilbert Simondon, Jean Le Moyne). Diamo qui la versione completa e rivista a partire dal- la trasmissione della trascrizione dell’intervista che Jean Le Moyne aveva stabilito, rivista da Gilbert Simondon (che le aggiunse alcu- ne note e schemi), insieme a un supplemento sulla ruota redatto in una lettera ulteriore (mentre Jacques Parent e Jean Le Moyne pre- paravano un film sulla ruota). Il titolo dell’intervista non è di Gil- bert Simondon, che impiega solo eccezionalmente la parola “mec- canologia” in Du mode d’existence des objets techniques: una volta, come equivalente di “tecnologia generale” (scienza, ancora da fondare, delle correlazioni e delle trasformazioni a partire dal- le compatibilità realizzate negli schemi di funzionamento degli og- getti tecnici concretizzati); un’altra volta, come equivalente di una parte della tecnologia generale (la meccanologia che studia piutto- sto gli individui tecnici completi; l’organologia che studia gli og-

L’intervista, intitolata “Entretien sur la mécanologie”, è contenuta in G. Simondon, Sur la technique, 1953-1983, Puf, Paris 2014; cura e trad. di A.S. Caridi, Sulla tecnica, Orthotes, Napoli-Salerno 2017, pp. 341-374. Si ringrazia la casa editrice Orthotes per l’autorizzazio- ne alla pubblicazione del testo. (Le N.d.C. sono di Nathalie Simondon, curatrice dell’edi- zione francese.)

1. All’epoca regista al National Film Board, in Canada. [N.d.C.]

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getti tecnici al livello dell’elemento). In quest’intervista, la paro- la “meccanologia”, scelta da Jean Le Moyne, deve essere compresa secondo l’impiego che ne fanno i ricercatori di Quebec, i quali, de- finendo la meccanologia “lo studio comparato delle macchine” se- condo Jacques Lafitte (Studio sistematico delle macchine, 1932), includono in essa i “profitti marginali”, cioè “la penetrazione dei gravi problemi attuali creati dalle innovazioni tecnologiche” cer- cando “un nuovo sistema di riferimento nella prospettiva del rap- porto tra l’uomo e la macchina” (cfr. la nota di presentazione del convegno sulla meccanologia organizzato nel marzo 1971 dal Cen- tro culturale canadese a Parigi, rue de Constantine). Quando Jean Le Moyne gli domanda se si iscrive in una corrente “meccanologi- ca”, Gilbert Simondon prende la parola innanzitutto nel senso del- la sensibilità poetica nei confronti dell’esistenza delle tecniche e delle macchine nella natura (l’industria più perfetta nella natura più naturale) come in Jules Verne, sottolineando poi, senza soffer- marsi, la parte dei “filosofi, tecnici o specialisti della meccanologia propriamente detta”.

La pubblicazione del testo di quest’intervista2 richiede alcune osservazioni. Gilbert Simondon si impone di rispettare la questio- ne posta, senza rettificare, se del caso, gli elementi concettuali o i termini che Jean Le Moyne gli attribuisce. Occorre dunque rimane- re prudenti davanti a certe risposte: la prima, soprattutto, che evo- ca delle “coincidenze universitarie” per le sue ricerche, ne è un per- fetto esempio. Allo stesso modo, in un’altra intervista, con Jacques Charbonnier, su France Culture, gli si suggerisce che ha preso co- noscenza di un autore come Lafitte solo qualche settimana prima dell’intervista, cosa che egli non rettifica… mentre ne fa menzione diversi anni prima in uno dei suoi corsi.

Jean Le Moyne. Ho già avuto, professor Simondon, l’occasione di dirle l’impatto straordinario che Du mode d’existence des objets

2. La pubblichiamo con l’autorizzazione di Jean Le Moyne. Il testo è stato depositato nel fondo Jean Le Moyne, Archivi nazionali del Canada, a Ottawa, MG30, D358, ed è stato pubblicato nel marzo 2009 nella “Revue de synthèse”, vol. 130, 1. [N.d.C.]

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techniques ha avuto su tutti coloro che ha raggiunto, ma alla nostra ammirazione si unisce una certa sorpresa. Ci chiediamo spesso come un pensiero così fortemente centrato come il suo sul proble- ma dell’individuazione sia arrivato alla meccanologia, a studiare l’oggetto tecnico in quanto tale?

Gilbert Simondon. Capisco… In effetti, non saprei dire, vi so- no sempre delle casualità universitarie. Tuttavia, una relazione reale mi sembra esistere, nel senso che un oggetto tecnico esi- ste, si costituisce, innanzitutto come un’unità, un’unità solida, un intermediario tra il mondo e l’uomo, un intermediario forse tra due altri oggetti tecnici e che la prima fase del suo sviluppo è, prima di tutto, una fase di costituzione dell’unità, una fase di co- stituzione della solidità.

Prenda uno strumento; che cosa costituisce l’essenziale di uno strumento? È il fatto di essere un rapporto, un interme- diario tra il corpo dell’operatore e le cose sulle quali agisce, ma anche il fatto, innanzitutto, se è un buono strumento, di non poter essere disarticolato, di essere ben costituito. Secondo le diverse culture, si trova, per esempio, un’immanicatura a colla- re, un’immanicatura a manicotto, un’immanicatura a cerchio o a filo; sono diverse soluzioni che sono appropriate al legno du- ro, al legno medio, al legno tenero dei paesi del Nord. Queste diverse soluzioni sono tutte razionali, se si tiene conto dei due elementi costitutivi – cioè, il ferro da un lato e il manico dall’al- tro – e se ci si rende conto d’altra parte che la funzione dello strumento è di stabilire un rapporto costante e non fallace tra il corpo dell’operatore e l’oggetto sul quale agisce. Vi è un’in- dividualità, ma un’individualità interiormente coerente dell’og- getto, anche dello strumento. Non prendiamo, per adesso, altri oggetti tecnici; ho preso il più elementare, quello, per esempio, che Leroi-Gourhan ha studiato in Milieu et techniques o L’hom- me et la matière.

J.L.M. Ma se passiamo adesso alla macchina, lo stesso princi- pio d’individuazione si ritrova, si ritrova lo stesso principio d’in- dividuazione ma, forse, dialettizzato.

G.S. Si ritrova perché il punto di partenza quasi necessario è

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Simondon e la tecno-estetica

XAVIER GUCHET

Introduzione

Simondon non ci ha lasciato una vera e propria teoria estetica,1 sebbene i commentatori si interessino sempre più ai testi del corpus simondoniano che trattano l’argomento, in particolare al concetto di “tecno-estetica”. Se Pascal Chabot2 vede in tale con- cetto una modificazione decisiva dell’attitudine estetica nella sua accezione classica – che abbandona così la contemplazione delle belle forme e si tramuta in sensibilità per le operazioni –, Gilbert Hottois3 vi coglie al contrario una risposta ancora classica alle sfide poste dalle tecno-scienze contemporanee: se queste ultime ci mettono al cospetto di una creazione illimitata di nuovi esseri, la tecno-estetica sarebbe una risposta che, attingendo al vecchio repertorio delle risposte di tipo simbolizzante, si basa sull’ideale di una padronanza del reale attraverso la saggezza contemplativa.

La postura tecno-estetica consisterebbe nel riconfigurare la tecnica mediante un’esperienza estetica, in funzione e all’occasione di una presa in carico etica e politica. Giovanni Carrozzini4 sottolinea,

Xavier Guchet insegna all’Université de Technologie de Compiègne, dove fa parte dell’équipe Costech (Connaissance organisation et systèmes techniques), ed è membro del centro Cetcopra (Centre d’étude des techniques, des connaissances et des pratiques) dell’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne.

1. Cfr. per esempio J. Garrelli, De l’entité à l’événement. La phénoménologie à l’épreuve de la science et de l’art contemporains, Mimésis, Paris 2014, p. 26 nota 46.

2. P. Chabot, La philosophie de Simondon, Vrin, Paris 2003.

3. G. Hottois, “Technoscience et technoesthétique chez Gilbert Simondon”, in P.

Chabot (a cura di), Simondon, Vrin, Paris 2002, pp. 89-105.

4. G. Carrozzini, “Esthétique et techno-esthétique chez Simondon”, in J.-H. Barthélé- my (a cura di), Cahiers Simondon, vol. III, L’Harmattan, Paris 2011, pp. 51-69.

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per suo conto, la prossimità di Simondon e Dufrenne, ma anche come Simondon abbia superato la concezione dell’estetica quale esperienza fenomenologica, per accostarla piuttosto al design industriale, contestando ogni pertinenza alla coppia concettuale bello/utile ai fini di una qualificazione delle produzioni umane – punto sul quale insiste anche Ludovic Duhem,5 ricorrendo a una lettura incrociata di Simondon e Kant e sostenendo così che l’arte è sempre indissolubilmente tecnica ed estetica, tecno-estetica.

Se i commentatori convergono dunque verso la constatazio- ne dell’esistenza di un pensiero estetico in Simondon, così come di una forte articolazione tra tecnica ed estetica, non hanno nota- to in genere, o comunque non in maniera abbastanza netta, che l’estetica è costantemente presente nel corpus simondoniano. Si- mondon torna regolarmente sulla questione dei rapporti tra tec- nica ed estetica, sin dai suoi primi testi concernenti la pedago- gia, nei quali presagisce l’esigenza di sensibilizzare gli studenti alla bellezza delle tecniche, fino all’ormai celebre testo del 1982 sulla tecno-estetica6 (chiamato a torto “Lettera a Derrida”, visto che Simondon non ha mai inviato il suo testo a quest’ultimo). Si- mondon si serve spesso degli stessi identici esempi, per quanto si verifichino diversi spostamenti e i concetti cambino – e quello di tecno-estetica, perlomeno, non appare prima della redazione del testo scritto nel 1982. Il presente articolo intende rintraccia- re le occorrenze della riflessione sull’estetica e i suoi rapporti con la tecnica nell’insieme del corpus simondoniano, per enuclea- re le poste in gioco della tecno-estetica che egli auspicava all’ini- zio degli anni ottanta.

Una decina di anni dopo la redazione del testo sulla tecno- estetica appare un’opera di Jean-Claude Chirollet esattamente su questo tema.7 Chirollet non conosce, verosimilmente, il testo di

5. L. Duhem, Introduction à la techno-esthétique, “Archée. Revue d’art en ligne: arts médiatiques et cyberculture”, <archee.qc.ca/ar.php?page=article&no=343>.

6. In G. Simondon, Sulla tecnica (2014), trad. di A.S. Caridi, Orthotes, Napoli-Saler- no 2017.

7. J.-C. Chirollet, Esthétique et technoscience. Pour la culture techno-esthétique, Mardaga, Liège 1994.

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Simondon pubblicato da Derrida all’inizio degli anni novanta.

Nel suo libro difende la necessità di oltrepassare il divario tra cultura e tecnica e milita a favore del riconoscimento delle ricche potenzialità delle nuove tecnologie informatiche. Chiama “tec- no-estetico” tale riconoscimento, fermento di una cultura infine riunificata. Di conseguenza, senza fare riferimento a Simondon, Chirollet sembra ritrovare quasi parola per parola il program- ma che era stato delineato da Simondon in Du mode d’existence des objets techniques (riunificare la cultura) e che la tecno-esteti- ca recupera ormai quale suo compito proprio. E se Simondon ha evocato in maniera allusiva la tecno-estetica nel testo del 1982 – testo tardivo e, ne conveniamo, senz’altro incompiuto – il pro- gramma si trovava già abbozzato, in ogni caso, nelle prime pagi- ne di Du mode d’existence des objets techniques.

Chirollet non avrebbe fatto altro che seguire l’orientamento indicato da Simondon di una tecno-estetica come cultura com- pleta, che superi il divario tra la cultura ufficiale (quella delle ar- ti e delle scienze umane) e le tecniche. Malgrado sia seducente scorgere il programma di una tecno-estetica sul modello dell’in- troduzione di Du mode d’existence des objets techniques, secondo l’orientamento assunto da Chirollet (e sembrerebbe senza saper- lo, visto che Du mode d’existence des objets techniques non è cita- to), vorremmo prendere un’altra direzione e identificare al titolo di tecno-estetica un problema che non si lascia ricondurre a quel- lo della cultura incompleta – e che ci porterà, almeno, a conte- stare la lettura critica di Hottois (che lega invece la tecno-estetica all’ideale di una padronanza simbolica delle tecno-scienze da par- te di una cultura divenuta completa), oltre che, infine, a difendere la tesi di un significato schiettamente politico della tecno-estetica simondoniana. È il problema dei rapporti tra le tecniche e la vita.

Simondon propone nientemeno che la riconsiderazione del gesto separatore la cui espressione senza dubbio più compiuta si trova in Kant: si tratta di un gesto consistente nell’espulsione della tec- nica dalla facoltà del piacere e del dispiacere, recidendo così l’uo- mo tecnico dal “sentimento della sua stessa vita” – gesto le cui ri- percussioni politiche non possono essere minimizzate.

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L’epistemologia politica di Simondon

ANDREA BARDIN

La filosofia dell’individuazione di Simon- don manifesta ambizioni sistematiche pa- ri a quelle espresse dal progetto ciberne- tico di una teoria generale dell’informazione che, nel corso degli anni cinquanta, il filosofo francese assume criticamente da mo- dello per la sua opera principale, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione.1 Nel suo enciclopedico capo- lavoro, Simondon aspira infatti a elaborare una “assiomatizzazio- ne” delle scienze naturali e sociali basata su una teoria dei pro- cessi informazionali che attraversi tutti i regimi di individuazio- ne: fisico, biologico, tecnico e psichico-collettivo.2 Nel corso del- la sua stesura, però, allestisce, di fatto, un laboratorio di speri- mentazione epistemologica denso di implicazioni politiche che l’orizzonte del sistema non sembra esaurire. Tali implicazioni, perlopiù confinate nella parte della sua opera che affronta il te- ma della tecnica e del suo rapporto con i processi sociali, il cui apice è senz’altro Du mode d’existence des objets techniques,3 ri- mangono in gran parte da esplicitare.

Andrea Bardin è lecturer in Politics alla Facoltà di scienze sociali della Oxford Brookes University.

1. G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (1958), a cura di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011 (d’ora in poi: L’individuazione).

2. Cfr. in particolare Id., “Forma, informazione, potenziali”(1960), in L’individuazio- ne, cit., pp. 731-760.

3. Cfr. Id., Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958. Per un’introduzione generale al tema, cfr. A. De Boever et al. (a cura di), Gilbert Simondon.

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Il mio intento è di offrire in quanto segue una visione sintetica della relazione tra l’ontologia e l’epistemologia elaborate da Si- mondon nell’Individuazione, fornendo in chiusura alcuni accen- ni alla possibile rilevanza politica del suo lavoro nel senso di una critica dell’ideologia che denunci l’illusorietà di un’ontologia so- stanzialista e determinista, senza proporre, per contro, un’onto- logia alternativa che dissolva l’individualità e i nessi causali.4 Per muoversi in questa direzione, sarà necessario fare leva su alcune osservazioni di Gaston Bachelard relative alla fisica quantistica e sulla filosofia della vita di Georges Canguilhem, indiscusso mae- stro di un’intera generazione e directeur de thèse complémentaire di Simondon.5

1. Metodo di una filosofia dell’individuazione

Simondon eredita il proprio progetto da Norbert Wiener, padre della cibernetica, che assume il concetto di informazione quale paradigma da estendere, in linea di principio, a tutti i campi della ricerca scientifica: dalla tecnologia delle comunicazioni alla fisica, dalla biologia alla psicologia, dalla sociologia all’economia politica. Dalla ricerca di Wiener, Simondon ricava non solamente un progetto sistematico, ma anche una concezione dell’individuo che pone innanzitutto un problema di tipo ontologico: “L’indivi- dualità del corpo è piuttosto quella di una fiamma che quella di una pietra, quella di una forma anziché quella di un frammento di sostanza”.6 Tale problema si riflette necessariamente sull’epi- stemologia. In ogni ambito di ricerca, infatti, una “zona oscura”

occulta la genesi di ciò che l’immaginazione filosofica di un

Being and Technology, Edinburgh University Press, Edinburgh 2012. Per uno studio più analitico, che consideri anche i corsi di psicologia, cfr. G. Carrozzini, Gilbert Simondon, filosofo della “Mentalité technique”, Mimesis, Milano-Udine 2011.

4. Per una lettura sistematica della filosofia politica di Simondon in relazione alle sue fonti, cfr. A. Bardin, Epistemology and Political Philosophy in Gilbert Simondon:

Individuation, Technics, Social Systems, Springer, Dordrecht 2015.

5. I referenti per le due tesi di dottorato di Simondon, L’individuazione e il Du mode, furono rispettivamente Hyppolite e Canguilhem.

6. N. Wiener, Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani (1950), trad.

di D. Persiani, Bollati Boringhieri, Torino 2008, p. 125.

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individuo-sostanza ha sempre reso invisibile, ovvero la realtà dei processi di individuazione.

In particolare, una tale concezione dell’individuo nasconde i processi a partire dai quali non solo gli oggetti ma anche i sogget- ti della ricerca scientifica si costituiscono. È per questo che Si- mondon apre l’introduzione all’Individuazione con una doppia critica al dualismo ilomorfico di matrice aristotelica e al materia- lismo riduzionista. Il suo sforzo mira, in entrambi i casi, a dimo- strare l’inadeguatezza dell’apparato concettuale della tradizio- ne filosofica in relazione alle acquisizioni del pensiero scientifi- co del XX secolo che, in particolare nel campo della fisica quan- tistica, contribuiscono a definire il presupposto generale del- la filosofia dell’individuazione ovvero che, “a rigore, non si può parlare di individuo, ma di individuazione”.7 In un certo senso la sua critica attacca, come vedremo, tutta la fondazione filoso- fica della fisica meccanica classica, coinvolgendo in egual misu- ra la teoria moderna della natura come tutto deterministico e i soggetti metafisico-cartesiano e trascendentale-kantiano che ne costituiscono il polo complementare. Con l’intenzione di risali- re a monte della stessa impresa fondativa moderna, la filosofia dell’individuazione di Simondon pone così “il problema della re- altà completa, precedente l’individuazione da cui emerge il sog- getto del pensiero critico e dell’ontologia”.8

A questo fine, Simondon non intende definire univocamen- te un metodo, ma sperimentare piuttosto l’utilizzo di una serie di differenti strumenti teorici atti a descrivere sistemi lontani dall’equilibrio (metastabili) e processi parzialmente discontinui (trasduttivi) anziché “esseri” e “catene causali”. Nelle sue opere un’impressionante varietà di analisi di processi di ogni tipo, dalla produzione di un mattone alla riproduzione di una colonia di ce- lenterati, dal funzionamento di una turbina alla diffusione di una credenza, fino alla circolazione di un oggetto tecnico, accompa- gna il tentativo di ricavare la definizione di una serie di paradig-

7. G. Simondon, L’individuazione, cit., p. 257.

8. Ivi, p. 364.

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L’“effetto Simondon” e le sfide del XXI secolo

JEAN-HUGUES BARTHÉLÉMY

Introduzione

Come riconciliare (a) la tecnica e la natura, (b) la tecnica e la cul- tura, (c) la natura e la cultura? Se vi è oggi, incontestabilmente, un

“effetto Simondon”, questo accade innanzitutto perché il filosofo francese è senza dubbio il solo a poter rispondere contempora- neamente a queste tre domande. Proprio per questo il “nuovo enciclopedismo” – di cui egli ha posto le basi nel 1958 nelle sue due tesi di dottorato e che, sulla sua scia, è necessario riprendere e sviluppare1 – sarà in grado di rispondere tanto alle sfide quanto alle questioni urgenti del XXI secolo:

– abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare (a) in che cosa i soggetti detentori di diritti non siano semplicemente le

“persone” umane e (b) che, tra le numerose cause dell’Antropo- cene, vi è una confusione – ampiamente sostenuta dalla religione – a proposito del posto della nostra specie nell’universo;2

Jean-Hugues Barthélémy è direttore del Centre international des études simondoniennes.

1. J.-H. Barthélémy, La société de l’invention. Essai d’écologie humaine, in corso di pubblicazione. Quest’opera, che ridefinisce i diversi campi della filosofia, con lo scopo di ricostruirli, procede al tempo stesso alla ri-fondazione inglobante (refondation englobante) dell’ontologia di Simondon.

2. Nonostante la sua lettera enciclica ecologista che fa appello a una “ecologia integrale”, malgrado pure il suo riferimento all’amore universale di san Francesco d’Assisi, che si rivolge persino ai fiori, o ancora, malgrado la sua riabilitazione di Pierre Teilhard de Chardin – il cui La place de l’homme dans la nature (1956) venne censurato dal Vaticano –, papa Francesco scrive ancora che “Dio ha consegnato il mondo agli esseri umani” (Laudato si’, Introduzione, § 5). Una simile affermazione indica chiaramente che, nella misura in cui l’uomo viene considerato come creato da Dio “a sua immagine”, l’antropocentrismo è iscritto nel cuore dei monoteismi come prima e ultima illusione. Per questa ragione il più

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– abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare (a) che la cultura prolunga la natura e (b) che essa lo fa già attraverso le protoculture animali;

– abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare che la tecnica, costituendo una dimensione essenziale della cultura, pro- lunga essa stessa la natura;

– più in generale ancora, abbiamo bisogno di un pensiero ca- pace di rifiutare tutte le opposizioni che ancora regnano nel “cam- po di battaglia” (Kant) della filosofia: idealismo/realismo, dogma- tismo/scetticismo, innatismo/empirismo, ma anche meccanici- smo/vitalismo, psicologismo/sociologismo e umanesimo/tecnici- smo, dal momento che è il superamento di queste ultime tre op- posizioni ciò che predilige Simondon.3

Se, a partire da Simondon anziché da altri, perveniamo alla costruzione di questo pensiero, avremo allora – non solo, ma an- che – un’economia politica ecologica per il secolo a venire, ovve- ro quel secolo in cui l’uomo è diventato la suprema minaccia per il futuro del pianeta. Questo comporta di rifondare altrimenti i cosiddetti “diritti”. In Imagination et invention (1965-1966), Si- mondon scrive che “in ogni epoca, le invenzioni normative ope- rano una scoperta di compatibilità per modi d’esistenza che non avevano alcun senso, né punto di innesto, nelle strutture nor- mative precedenti”.4 Vi è qui un appello a fare ciò che i pensie- ri post-marxisti del “sospetto” non hanno mai voluto fare: ripren- dere la questione della fondazione filosofica del diritto, invece di lasciarla ai pensieri del “contratto”, col pretesto che l’economia politica non sarebbe filosofia del diritto – cosa che essa deve di- ventare. Il lavoro di Simondon sarebbe in questo modo ampia- mente prolungato e completato.

Ovviamente, non si tratterà qui di compiere questo lavoro, ma solo di introdurre quei grandi aspetti che in quindici anni

grande trauma che questi monoteismi potrebbero subire sarebbe l’incontro di una forma d’intelligenza non-umana, ma più potente e più saggia della nostra.

3. Si veda il mio Simondon, Les Belles Lettres, Paris 20162.

4. G. Simondon, Imagination et invention (1965-1966), Les Éditions de La Transpa- rence, Chatou 2008, p. 158.

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credo di aver sviluppato nell’opera di Simondon,5 insistendo per questa ragione sul suo enciclopedismo, ma anche sulle specifiche difficoltà della ricezione e della comprensione di un’opera e di un pensiero che sono, allo stesso tempo, mal pubblicati e ricchi di paradossi inesplicati.6

1. Enciclopedismo “genetico” e umanismo “difficile”

Ho denominato “enciclopedismo genetico” la dottrina filosofica di Simondon,7 poiché, da un lato, nella sua tesi complementare per il doctorat d’État (Du mode d’existence des objets techniques)8 egli invocava un “nuovo enciclopedismo” e, dall’altro, perché nella sua tesi principale (L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information)9 egli proponeva un pensiero ontogenetico, che costruisse ponti tra le scienze per mezzo del suo pensiero dei

“regimi d’individuazione”: il fisico, il vitale e lo psico-sociale, o

“transindividuale”. Del resto, Simondon ha redatto un “progetto di enciclopedia genetica”,10 sebbene non abbia mai riunito gli elementi della propria filosofia sotto il nome di enciclopedismo genetico.

5. Per un breve bilancio in lingua inglese, si veda il mio Life and Technology: An Inquiry Into and Beyond Simondon, trad. di B. Norman, Meson Press, [s.l.] 2015. Per un approfondimento si vedano le mie due introduzioni Penser l’individuation. Simondon et la philosophie de la nature e Penser la connaissance et la technique après Simondon (L’Harmattan, Paris 2005).

6. Dopo La société de l’invention, tornerò, in La philosophie du paradoxe, sulla fondamentale differenza tra paradosso e contraddizione, differenza oggi troppo ignorata, proprio come quella tra pensiero analogico (Simondon) e pensiero metaforico (Deleuze).

7. J.-H. Barthélémy, Simondon ou l’encyclopédisme génétique, Puf, Paris 2008. Dato che quest’opera non è stata al momento riedita, potrebbe essere utile consultare il mio Simondon, cit., che presenta tra l’altro il vantaggio di includere tanto un glossario, quanto un sottocapitolo dedicato alle diverse posterità di Simondon e alle interpretazioni errate che queste favoriscono spesso, in particolare, tra alcuni ricercatori influenzati dalle opere di Gilles Deleuze e Bernard Stiegler, ma che rivendicano di lavorare su Simondon. La sua opera resta, al momento, poco capita, e il Centre international des études simondoniennes, che raggruppa dodici ricercatori di sei diverse nazionalità (tra cui due membri italiani:

Andrea Bardin e Giovanni Carrozzini) si è dato come obiettivo quello di spiegare quest’opera rispettandone il senso, al contempo complesso e specifico, del suo testo.

8. G. Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958.

9. Id., L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Jérôme Millon, Grenoble 2005; trad. di G. Carrozzini, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011.

10. Testo rimasto inedito.

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aut aut, 377, 2018, 123-137

L’addio a Kant di Foucault e Simondon

GIOVANNI CARROZZINI

“It is enough.” And these were his last words. It is enough!

Sufficit! Mighty and symbolic words!

Thomas de Quincey, The Last Days of Immanuel Kant (1827)

Le filosofie di Foucault e Simondon, occu- pandosi di genealogia e di genesi, si sono concentrate, fra l’altro, sul ruolo delle re- gole di funzionamento, rispettivamente di campi oggettivi/forma- zioni storiche e processi in atto. Foucault è giunto a designarle co- me a priori, seppur storici, e Deleuze ha intravisto anche per que- sto nel suo pensiero una forma rinnovata di trascendentalismo.1 È possibile condividere questa lettura ampliandola anche alla rifles- sione di Simondon? Si cercherà di rispondere a questo interroga- tivo esaminando dapprima la nozione di “a priori storico” di Fou- cault e in seguito l’indagine di Simondon in L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione. Dal confronto fra le ricerche dei due pensatori, si individueranno le difficoltà connesse alla loro assimilazione al trascendentalismo, seppur rinnovato, e si proporrà, infine, una nuova definizione per queste filosofie.

1. Sugli a priori storici di Foucault:

per una nuova filosofia trascendentale?

Il trascendentale in senso kantiano è una delle nozioni più influenti della storia del pensiero occidentale, al centro di dibattiti sin dai

Giovanni Carrozzini è dottore di ricerca in Discipline storico-filosofiche all’Università del Salento.

1. In merito al trascendentale in Simondon, cfr. A. Bardin, “Gilbert Simondon: trascen- dentale e filosofia dell’individuazione”, in G. Rametta (a cura di), Metamorfosi del trascen- dentale. Percorsi filosofici tra Kant e Deleuze, Cleup, Padova 2008, pp. 301-339.

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tempi della sua formulazione. Nella seconda metà del XIX secolo, sorsero peraltro delle scuole neokantiane che si proposero di analizzare le possibili applicazioni del trascendentale a contesti trasformati dalle svolte culturali. Alcuni dei loro rappresentanti assegnarono al trascendentale una dimensione storica del tutto assente nella sua enunciazione originaria. Questa storicizzazione del trascendentale scaturiva, a sua volta, da quella della nozione di a priori. D’altro canto, a priori e trascendentale sono tradizio- nalmente connessi; Kant, infatti, intese per filosofia trascendentale

“ogni conoscenza che in generale si occupa non tanto degli oggetti quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che tale modo di conoscenza deve essere possibile a priori”.2

Nel contesto filosofico francese degli anni sessanta e settanta, anche Michel Foucault procedette a una singolare storicizzazio- ne dell’a priori. Come osserva, infatti, Gilles Deleuze: “Foucault si propone di individuare gli elementi puri. Questo spiega l’uso di una espressione insolita come ‘a priori’ in L’archeologia del sa- pere. […] Il visibile e l’enunciabile sono gli a priori. Ma di che cosa? Gli a priori di un’epoca, gli a priori di una formazione sto- rica. Di qui l’idea assai bizzarra di Foucault […] secondo cui gli a priori sarebbero storici”.3

Ora, in merito ai suoi a priori Foucault afferma: “Con [essi]

intendo designare un a priori che sia non condizione di validità per dei giudizi, ma una condizione di realtà per degli enunciati”.4 L’a priori foucaultiano è pertanto “l’insieme delle regole che ca- ratterizzano una pratica discorsiva; ma queste regole non s’im- pongono dall’esterno agli elementi che mettono in relazione; so- no implicate proprio in ciò che collegano; e se non si modifica- no col più piccolo di essi, tuttavia li modificano, e si trasformano con loro in certe soglie decisive”.5

2. I. Kant, Critica della ragione pura (1781), trad. di G. Colli, Adelphi, Milano 2001, p. 67.

3. G. Deleuze, Il sapere. Corso su Michel Foucault (1985-1986), vol. I, trad. di L.

Feltrin, ombre corte, Verona 2014, p. 43.

4. M. Foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura (1969), trad. di G. Bogliolo, Rizzoli, Milano 2009, p. 130.

5. Ivi, p. 132.

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Se si considera il menzionato legame fra a priori e trascenden- tale, tutta la ricerca “archeologica” foucaultiana, in quanto in- dagine su degli a priori, potrebbe essere concepita come una fi- losofia trascendentale, seppur modificata perché storicizzata. È Deleuze a proporne questa interpretazione già nel 1967, eviden- ziando in Foucault la sua “nuova ripartizione dell’empirico e del trascendentale dove quest’ultimo si trova a essere definito da un ordine di posti, indipendentemente da coloro che li occupano empiricamente. Lo strutturalismo non è separabile da una nuo- va filosofia trascendentale, dove i posti prevalgono su ciò che li occupa”.6

È possibile condividere questa lettura? Per rispondere, occor- re richiamarsi a cosa Foucault pensi del trascendentale e per far- lo ci si baserà su un suo dibattito con Giulio Preti.7 In questo contesto, il neokantiano pavese sostiene che tutto il metodo dia- gnostico di Foucault si inscriva nell’orizzonte del trascendentali- smo; Foucault, tuttavia, rigetta questa assimilazione, attenuando la centralità del trascendentale nella sua filosofia: “In tutta la mia ricerca io mi sforzo […] di evitare qualsiasi riferimento a que- sto trascendentale, che sarebbe una condizione di possibilità per qualsiasi conoscenza. […] Cerco di storicizzare al massimo per lasciare meno spazio possibile al trascendentale”.8

Sulla scorta di questi rilievi, dunque, non sembrerebbe pos- sibile assimilare il suo pensiero a un trascendentalismo, seppur rinnovato à la Deleuze. Si tratta, allora, di comprendere per qua- le motivo, pur avendo impiegato una nozione come quella di a priori, Foucault si rifiuti di assimilare la sua ricerca a un trascen-

6. G. Deleuze, Lo strutturalismo (1973), a cura di S. Paolini, SE, Milano 2004, pp. 20- 21. Deleuze intravede in Foucault una “nuova filosofia trascendentale” in ragione del suo

“strutturalismo”, corrente rispetto a cui, tuttavia, Foucault evidenzierà a più riprese la propria estraneità. Deleuze, allora, sembrerebbe farne un nuovo trascendentalista perché ne fa, in primo luogo, uno strutturalista.

7. Foucault si era occupato della nozione di trascendentale già nel 1966, configurando, peraltro, l’uomo come “allotropo empirico-trascendentale”. Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane (1966), trad. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1967, p. 343.

8. G. Preti, M. Foucault, Un dibattito Foucault-Preti, a cura di M. Dzieduszycki, “Il Bimestre”, 22-23, 1972, p. 2.

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