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Gli obiettivi terapeutici nei pazientidiabetici: più facili da stabilire cheda raggiungere?

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Academic year: 2021

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Rassegna

Gli obiettivi terapeutici nei pazienti diabetici: più facili da stabilire che da raggiungere?

RIASSUNTO

Numerose evidenze sperimentali dimostrano come un rigoroso controllo metabolico e pressorio possa prevenire o almeno ritar- dare l’insorgenza delle complicanze croniche del diabete. Questi dati costituiscono il razionale scientifico alla base delle linee guida stilate dalle principali società scientifiche internazionali, che indicano precisi obiettivi terapeutici da raggiungere in tutti i pazienti diabetici. Tuttavia tali raccomandazioni sono spesso disattese nella pratica clinica.

Questa rassegna intende valutare l’effettivo ottenimento dei tar- get terapeutici nei pazienti diabetici descritti nelle casistiche della letteratura, analizzando inoltre i fattori associati al raggiungimen- to o meno degli obiettivi stessi.

SUMMARY

Therapeutic goals in diabetic patients: easier to declare than to achieve?

Tight metabolic and blood pressure control may prevent or delay the onset of diabetes related complications, as proven by several epidemiologic and intervention studies. Such evidence provides the rationale behind the guidelines produced by international scientific societies, which indicate precise therapeutic targets to be achieved in all patients with diabetes. However, guideline recommendations are often disregarded in clinical practice.

This review article aims at assessing the rates of diabetic patients actually reaching official therapeutic goals, as reported in the literature, and to analyze the factors associated with suc- cess in achieving these targets.

Introduzione

Il diabete, con un’incidenza e una prevalenza in continua cre- scita, è tra le patologie più diffuse al mondo e le sue compli- canze hanno costi sociali ed economici molto elevati, con milioni di persone che ogni anno perdono la vita o subisco- no gravi menomazioni quali cecità, amputazioni, necessità di

A. Piselli, M. Porta

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino

Corrispondenza: prof. Massimo Porta, Dipartimento di Medicina Interna, Università di Torino,

corso AM Dogliotti 14, 10126 Torino e-mail: massimo.porta@unito.it G It Diabetol Metab 2010;30:108-117 Pervenuto in Redazione il 16-06-2010 Accettato per la pubblicazione il 01-07-2010

Parole chiave: diabete, obiettivi terapeutici, linee guida, pratica clinica, raggiungimento degli obiettivi

Keywords: diabetes, therapeutic goals, guidelines, clinical practice, achieving targets

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dialisi, esiti di infarto e di ictus. Negli ultimi anni gli sforzi della ricerca e della clinica si sono orientati sulla definizione di obiettivi terapeutici tali da evitare o quantomeno ritardare l’in- sorgenza delle complicanze del diabete.

Numerosi studi osservazionali e trial clinici hanno evidenzia- to l’importanza di un buon compenso glicemico nel preveni- re o ritardare le complicanze di tipo microvascolare (retinopa- tia, nefropatia, neuropatia) e macrovascolare sia nel diabete di tipo 1 sia in quello di tipo 2.

L’ormai classico Diabetes Control and Complications Trial1, condotto su 1441 pazienti affetti da diabete di tipo 1, ha evi- denziato i benefici di un trattamento insulinico intensivo (emoglobina glicata, HbA1cmedia 7%) rispetto al trattamen- to allora considerato convenzionale (HbA1c9%) nella preven- zione delle complicanze microvascolari; il gruppo trattato più aggressivamente ebbe una riduzione del rischio di sviluppa- re retinopatia del 76%, mentre tra i pazienti già affetti da reti- nopatia la progressione della stessa fu rallentata della metà.

Anche l’insorgenza di neuropatia diminuì del 60% e l’inciden- za di micro- e macroalbuminuria diminuì rispettivamente del 39% e 54%. Non si evidenziarono invece effetti significativi in termini di prevenzione cardiovascolare, verosimilmente a causa del basso numero di eventi.

Risultati simili sono stati osservati in pazienti con diabete di tipo 2 nel corso dello studio Kumamoto2, che ha evidenziato una netta riduzione dell’insorgenza e della progressione di tutte le complicanze microvascolari nei soggetti trattati inten- sivamente. Il trial UK Prospective Diabetes Study3(UKPDS) ha seguito 3867 pazienti con nuova diagnosi di diabete di tipo 2, randomizzati a trattamento convenzionale o intensivo con sulfoniluree o insulina. Anche in questo caso, nel corso di 12 anni di osservazione, il trattamento intensivo (HbA1c media 7%), rispetto al trattamento standard (HbA1c media 7,9%), si è tradotto in un decremento del 25% degli endpoint microvascolari.

Da questi lavori è emerso un rapporto di proporzionalità diretta tra valore di HbA1ce rischio di insorgenza delle com- plicanze microvascolari, senza tuttavia dimostrare l’esistenza di un valore “soglia” al di sotto del quale le complicanze stes- se non si manifestano.

Il ruolo del controllo glicemico nella riduzione del rischio car- diovascolare non è altrettanto ben definito. Diversi studi osservazionali hanno suggerito una stretta correlazione tra valori glicemici e complicanze macrovascolari. Una metana- lisi4ha evidenziato come a ogni aumento dell’1% del valore di HbA1ccorrisponda un incremento del 18% del rischio car- diovascolare. Tuttavia queste osservazioni hanno trovato un riscontro solo parziale, e a volte contraddittorio, nei trial clini- ci di intervento.

Da quanto emerso nello studio UKPDS3, infatti, nei pazienti sottoposti a terapia intensiva il rischio di infarto del miocardio è diminuito del 16%, ai limiti della significatività (p = 0,052), mentre il rischio di ictus non è variato.

Il trial PROactive5ha coinvolto 5238 pazienti per valutare l’effi- cacia del pioglitazone nel ridurre il rischio cardiovascolare.

Dopo un tempo medio di osservazione di 34,5 mesi, durante i quali l’HbA1cmedia era 7,0% tra i pazienti trattati con piogli- tazone e 7,6% fra i controlli, è stata osservata una riduzione

non significativa del 10% dell’endpoint primario, comprenden- te mortalità per ogni causa, infarto non fatale del miocardio, ictus, sindrome coronarica acuta, interventi di rivascolarizza- zione e amputazioni (hazard ratio, HR = 0,90; intervallo di con- fidenza al 95%, IC 95% 0,80-1,02). È stata inoltre evidenziata una riduzione significativa del 16% dell’endpoint secondario, comprendente solo mortalità per ogni causa, infarto miocardi- co non fatale e ictus (HR = 0,84; IC 95% 0,72-0,78).

Lo studio ACCORD6, svolto in collaborazione tra 77 centri statunitensi e canadesi, ha preso in esame 10.251 pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare valutan- do l’effetto di un trattamento intensivo sulle complicanze macrovascolari. L’outcome primario, che comprendeva infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale e mortalità cardiovascolare, ha subito una riduzione, non significativa, del 10% nel gruppo trattato intensivamente. Tuttavia lo stu- dio è stato interrotto dopo 3,5 anni, con 17 mesi di anticipo, a causa di un significativo aumento della mortalità nel ramo sottoposto a regime intensivo (HR = 1,22; IC 95% 1,01- 1,46). Il trattamento intensivo era associato a un decesso in più ogni 95 pazienti (number needed to harm, NNH = 95 su 3,5 anni) e determinava un netto aumento dei casi di incre- mento ponderale e degli episodi di ipoglicemia.

Lo studio ADVANCE7, condotto in oltre 200 centri distribuiti in tutto il mondo, ha reclutato 11.140 pazienti affetti da dia- bete di tipo 2 con lo scopo di verificare l’effetto del controllo glicemico sulle complicanze micro- e macrovascolari. Lo stu- dio non ha evidenziato benefici significativi in termini di mor- talità cardiovascolare o eventi cardiovascolari non fatali tra i pazienti trattati aggressivamente. Infatti gli eventi cardiova- scolari si sono ridotti del 6% (HR = 0,94; IC 95% 0,84-1,06) e le morti per cause cardiovascolari del 12% (HR = 0,88;

IC 95% 0,74-1,04), entrambi in modo non significativo.

Risultati simili sono emersi nel corso del trial VADT8, che ha preso in esame 1791 pazienti con diabete di tipo 2 di lunga data e controllo metabolico non ottimale. Dopo 6 anni di osservazione il ramo trattato intensivamente ha raggiunto un valore medio di HbA1cpari a 6,9%, contro 8,4% nel gruppo a terapia standard. Tuttavia l’incidenza di eventi cardiovasco- lari non è cambiata in modo significativo: rispettivamente 235 e 264 (HR = 0,88; IC 95% 0,74-1,05). Gli eventi avver- si, principalmente episodi di ipoglicemia, si sono verificati nel 17,6% dei pazienti trattati in modo standard e nel 24,1% dei pazienti sottoposti a trattamento intensivo. Un’analisi sepa- rata del rischio di mortalità cardiovascolare ha evidenziato un aumento non significativo della mortalità nel ramo trattato intensivamente (HR = 1,32; IC 95% 0,81-2,14; p = 0,47).

Va infine ricordata l’esistenza di una sorta di “memoria meta- bolica”, evidenziata nel follow-up degli studi UKPDS3 e DCCT1. A 10 anni dal termine del primo, infatti, persisteva la riduzione del rischio microvascolare, mentre diventava signi- ficativa la differenza della mortalità cardiovascolare. Anche nel follow-up del DCCT (DCCT-EDIC)9a 10 anni dal termine dello studio, i pazienti che erano stati trattati intensivamente hanno mantenuto una riduzione del rischio di progressione di retinopatia superiore al 50%, nonostante il riavvicinamento dei valori di HbA1ca quelli che erano stati trattati con approc- cio convenzionale.

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Combinando i dati dei cinque trial citati qui sopra (UKPDS3, PROactive5, ACCORD6, ADVANCE7e VADT8) in una metana- lisi10, Ray e coll. hanno evidenziato come il controllo glicemi- co intensivo possa effettivamente ridurre il rischio cardiova- scolare: in 5 anni di trattamento un abbassamento del valo- re di HbA1cdello 0,9% ha determinato una riduzione signifi- cativa del 17% degli infarti miocardici non fatali e del 15% di tutti gli eventi coronarici, nonché una riduzione non significa- tiva del 7% degli ictus. Tuttavia questi benefici non si sono tradotti in una riduzione della mortalità per tutte le cause, per la quale non si sono osservate differenze significative tra i due gruppi di pazienti.

Le suddette osservazioni hanno dimostrato l’importanza di mantenere un rigoroso controllo glicemico fin dalla diagnosi di diabete e anche come siano necessari lunghi anni per ottenere risultati significativi in termini di prevenzione. Inoltre, per ridurre il rischio cardiovascolare, è necessario mantene- re un controllo ottimale anche della pressione arteriosa e del quadro lipidico al più presto possibile dopo la diagnosi di dia- bete. Le principali società scientifiche internazionali hanno perciò stabilito una serie di obiettivi terapeutici da raggiunge- re in tutti i pazienti diabetici. Gli obiettivi raccomandati dall’ADA11e dagli Standard di cura italiani12sono:

HbA1c< 7%;

pressione sistolica < 130 mmHg e diastolica < 80 mmHg;

colesterolo LDL < 100 mg/dl (< 70 mg/dl nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare);

colesterolo HDL > 40 mg/dl negli uomini e > 50 mg/dl nelle donne;

trigliceridi < 150 mg/dl.

Tuttavia, è osservazione comune della pratica clinica quoti- diana come questi obiettivi, o target, spesso non siano rag- giunti. Questa rassegna vuole mettere in evidenza i risultati riferiti nella letteratura internazionale e analizzare le possibili cause di insuccesso.

La ricerca bibliografica è stata condotta su PubMed utiliz- zando le parole chiave “diabetes”, “clinical practice”, “tar- gets”, “achievement”. Inoltre sono stati presi in esame lavori raccolti con approccio opportunistico. Per le valutazioni di risultati trasversali sono stati inclusi nell’analisi studi basati sull’osservazione di casistiche cliniche. Per le valutazioni lon- gitudinali sono state prese in considerazione casistiche rac- colte con criteri di studio di popolazione. Per la valutazione dei fattori associati al raggiungimento o meno degli obiettivi sono invece stati inclusi anche i dati di trial clinici randomiz- zati e controllati. In tutti i casi sono state raccolte serie di dati pubblicate a partire dall’anno 2000.

Il raggiungimento degli obiettivi

terapeutici nelle casistiche internazionali

Evidenze da studi trasversali (Tab. 1)

Uno studio pubblicato da Harris negli Stati Uniti13ha osserva- to 733 pazienti con diabete di tipo 2 nel periodo 1991-1994.

Solamente il 42,3% dei soggetti aveva raggiunto il valore di 7% di HbA1c, mentre il 40,7% aveva fatto registrare valori superiori all’8%. Il target pressorio era stato raggiunto dal 60,1% dei pazienti, benché all’epoca dello studio questo fosse meno stretto (140/90 mmHg). Il 15,4% dei partecipan- ti allo studio era a target per il colesterolo LDL, mentre per colesterolo HDL e trigliceridi gli obiettivi prefissati, pur essen- do anche in questo caso meno severi di quanto raccoman- dato dalle attuali linee guida (> 45 mg/dl per l’HDL e < 200 mg/dl per i trigliceridi), venivano raggiunti rispettivamente nel 37,9% e nel 58,4% dei casi.

In un successivo studio americano14, Beaton e coll. avevano valutato 7114 pazienti diabetici di età maggiore o uguale a 18 anni. Di questi solamente il 37,2% aveva valori di HbA1c inferiori a 7%, mentre il 32,7% era sopra 8%. Il 28,6% dei pazienti aveva valori pressori entro 130/80 mmHg. Solo il 33,8% era a target per i trigliceridi e meno di un quarto (22,5%) per il colesterolo LDL. Le raccomandazioni sui valo- ri di colesterolo HDL erano soddisfatte dal 37% dei pazienti.

Simili risultati sono stati evidenziati in un altro studio collabo- rativo fra 30 centri accademici americani15nel quale, su un totale di 1765 pazienti adulti affetti da diabete di tipo 1 o 2, solo il 34% aveva HbA1cinferiore a 7%, mentre il target di 130/80 mmHg veniva raggiunto dal 33%. Migliore la situa- zione per quanto concerne il controllo lipidico: il 65% dei pazienti era a target per il colesterolo totale (< 200 mg/dl) e il 46,1% per il colesterolo LDL. Solamente un paziente su 10 raggiungeva gli obiettivi raccomandati per tutti e tre gli obiet- tivi.

In un ulteriore studio americano basato sui dati NHANES16 Resnick ha preso in esame il periodo 1999-2002. L’obiettivo del controllo glicemico era raggiunto dal 49,8% dei pazienti, quello pressorio dal 39,6%. Il 36% dei pazienti era a target per il colesterolo LDL e il 27,4% per il colesterolo HDL, men- tre il valore di trigliceridi era conforme a quanto raccomanda- to nel 65% dei soggetti, anche se all’epoca le linee guida indicavano un obiettivo di 200 mg/dl.

In Italia, in una casistica raccolta da Comaschi e coll. su 253 ambulatori di diabetologia e 12.222 pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2 da almeno 6 mesi ed età compresa tra i 35 e i 70 anni17, il 50,3% dei pazienti aveva valori di HbA1cinfe- riori a 7,2%, mentre il 23,7% si attestava su valori superiori a 8,5%. Il 74,4% dei soggetti aveva pressione sistolica supe- riore a 130 mmHg e il 33,2% la diastolica superiore a 85 mmHg. Il 55,5% dei pazienti aveva il colesterolo totale superiore a 200 mg/dl, il 47% colesterolo LDL superiore a 128 mg/dl e il 9,6% colesterolo HDL inferiore a 35 mg/dl.

Valori di trigliceridi inferiori a 150 mg/dl si erano riscontrati nel 39,4% dei soggetti.

Uno studio belga18 ha reclutato 120 medici di medicina generale per studiare lo stato di salute di 2495 pazienti con diabete di tipo 2. Un controllo glicemico soddisfacente (HbA1c< 7%) era raggiunto nel 54% dei casi. La metà dei pazienti rientrava nei target pressori raccomandati dalle linee guida, mentre valori di colesterolo LDL entro i limiti prestabi- liti (100 mg/dl) sono stati registrati nel 42% dei casi.

Nella popolazione australiana dello studio AusDiab19, basato su 439 pazienti con diagnosi di diabete di tipo 2, il 57% dei

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pazienti aveva HbA1c inferiore a 7%. Il target pressorio (140/90 mmHg) veniva raggiunto dal 45,3% dei pazienti, mentre il 52,8% aveva valori di colesterolo totale inferiori a 215 mg/dl.

Un altro studio australiano dal titolo emblematico Diabetes guidelines: easier to preach than to practise?20ha seguito per un anno 96 pazienti affetti da diabete di tipo 1 e 509 pazienti affetti da diabete di tipo 2. Solamente il 13% dei dia- betici di tipo 1 e il 30% di quelli di tipo 2 rimanevano al di sotto di 7% di HbA1c. Il valore era superiore a 8% rispettiva- mente nel 47% e nel 34% dei pazienti. Il 35% dei diabetici di tipo 1 e il 71% di quelli di tipo 2 riceveva un trattamento anti- pertensivo. Tra quelli trattati, solamente il 29% (diabete di tipo 1) e il 24% (diabete di tipo 2) raggiungeva valori di 130/80 mmHg. Tra i pazienti non trattati, quelli a target erano rispettivamente il 60% e il 38%. Il target per il colesterolo LDL era raggiunto dal 60% dei diabetici di tipo 1 trattati con far-

maci ipolipemizzanti e dal 36% di quelli non trattati. Simili risultati anche tra i pazienti con diabete di tipo 2, rispettiva- mente 58% e 40% nei trattati e nei non trattati. Valori di cole- sterolo HDL entro i limiti raccomandati sono stati riscontrati nel 90% dei diabetici di tipo 1 e nel 70% di quelli di tipo 2, mentre i livelli di trigliceridi erano a target rispettivamente nell’80% e 40% dei pazienti.

In Brasile21, su 2233 pazienti con diabete di tipo 2, il 46%

aveva HbA1cinferiore a 7% e solo il 28,5% e il 19,3% aveva valori di pressione rispettivamente sistolica e diastolica alli- neati alle raccomandazioni (130/80 mmHg). Il 42,9% dei soggetti risultava a target per il colesterolo totale, il 20,6%

per il colesterolo LDL e il 38,6 per il colesterolo HDL.

L’obiettivo terapeutico per i trigliceridi era raggiunto dal 54,8% dei pazienti. Solamente lo 0,2% dei pazienti aveva tutti i parametri entro i limiti raccomandati e l’11,4% non ne aveva neanche uno a target.

Tabella 1 Raggiungimento degli obiettivi terapeutici in studi trasversali.

Studio Paese Tipo Numero % di pazienti % di pazienti % di pazienti % di pazienti % di pazienti % di pazienti

di diabete di pazienti a target a target a target a target a target a target

per HbA1c per press. per col. per LDL per HDL per trigliceridi

(target arteriosa totale (target (target (target

prestabilito) (target (target prestabilito) prestabilito) prestabilito) prestabilito) prestabilito)

Harris13 USA 2 733 42,3 60,1* 32,1 15,4 37,9 58,4

2000 (≤ 7%) (< 140/90 mmHg) (< 200 mg/dl) (< 100 mg/dl) (> 45 mg/dl) (< 200 mg/dl)

Beaton14 USA 1 e 2 7114 37 28,6 – 22,5 37 33,8

2004 (< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 100 mg/dl) (> 45 mg/dl) (< 150 mg/dl)

Grant15 USA 1 e 2 1765 34 33 65,1 46,1 – –

2005 (< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 200 mg/dl) (< 100 mg/dl)

Resnick16 USA 2 998 49,8 39,6 – 36 27,4 65

2006 (< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 100 mg/dl) (> 45/55 mg/dl) (< 200 mg/dl)

Comaschi17 Italia 2 12222 50,3 Sist. 28,6 44,5 53 90,4 39,4

2005 (≤ 7%) Diast. 69,1 (< 200 mg/dl) (< 130 mg/dl) (> 35 mg/dl) (≤ 150 mg/dl)

(< 130/85 mmHg)

Goderis18 Belgio 2 2495 54 50 – 42 – –

2009 (< 7%) (≤ 130 mmHg) (< 100 mg/dl)

Kemp19 Australia 2 439 57 45,3 52,8 – – –

2005 (< 7%) (< 140/90 mmHg) (< 215 mg/dl)

Bryant20 Australia 1 96 13 29/60* 63/83* 60/36* 70 80

2006 2 509 30 24/38* 81/70* 58/40* 90 40

(< 7%) (≤ 130/80 mmHg) (< 215 mg/dl) (< 100 mg/dl) (> 45 mg/dl) (< 150 mg/dl)

Gomes21 Brasile 2 2233 46 Sist. 28,5 42,9 20,6 38,6 54,8

2006 (≤ 7%) Diast.19,3 (< 200 mg/dl) (< 100 mg/dl) (> 40/50 mg/dl) (< 150 mg/dl)

(< 130/80 mmHg)

Mendes22 Brasile 1 979 10 – – – – –

2010 2 5692 27

(< 7%)

Moreira Jr23 Venezuela 1 349 12,6 – – – – –

2010 2 3726 25

(< 7%)

*Le cifre indicano rispettivamente i pazienti trattati e non trattati per ipertensione e dislipidemia.

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Una situazione simile è emersa in altri due setting sudameri- cani. Un recente studio svolto in collaborazione fra 32 centri venezuelani22ha studiato il controllo glicemico di 349 pazien- ti con diabete di tipo 1 e 3726 con diabete di tipo 2. I sog- getti con valori di HbA1cinferiori a 7% erano rispettivamente il 12,6% e il 25%, situazione analoga a quanto evidenziato in un altro lavoro brasiliano23che ha preso in esame 979 sog- getti con diabete di tipo 1 e 5692 con diabete di tipo 2; in questo caso il target glicemico veniva raggiunto rispettiva- mente nel 10% e nel 27% dei casi.

Evidenze da studi longitudinali (Tab. 2)

Uno studio svedese24 ha seguito l’evoluzione del controllo metabolico in una popolazione di pazienti con diabete di tipo 1 nel periodo 1997-2004, utilizzando dati raccolti dallo Swedish National Diabetes Register. I pazienti osservati, tutti di età superiore ai 18 anni, sono passati da 9424 nel 1997 a 13.612 nel 2004. Nel periodo preso in esame la percentuale di soggetti con HbA1cinferiore a 7% è aumentata dal 17,4%

al 21,2%, con un valore medio sceso da 8,16% a 7,96%.

Anche il raggiungimento del target pressorio è migliorato leg- germente, passando dal 35,2% al 39,3%.

Un altro lavoro svedese25, sempre basato sui dati dello Swedish National Diabetes Register, si è focalizzato sui casi di diabete di tipo 2 nel periodo 1996-2003. I pazienti studia- ti sono stati 17.547 nel 1996 e 57.119 nel 2003. Nel corso del periodo preso in esame la percentuale di soggetti a tar-

get per il valore di HbA1c, fissato a 7,3%, è passata dal 40,5% al 58,3%. Il valore medio di HbA1c è diminuito dal 7,78% nel 1996 al 7,24% nel 2003. Un miglioramento è emerso anche per quanto concerne il raggiungimento degli obiettivi pressori, passato dal 7,6% al 13,4% nella totalità nei pazienti, e dal 4,1% al 10,4% tra i pazienti che hanno ricevu- to terapie con agenti antipertensivi.

Uno studio italiano26 ha valutato in due tempi successivi il raggiungimento dei target terapeutici nei pazienti con diabe- te di tipo 2 della città di Casale Monferrato. Sono state svol- te due indagini con metodi simili nel 1988 (2340 pazienti) e nel 2000 (3488 soggetti). È emerso un netto miglioramento del controllo glicemico, con il target di 7% raggiunto dal 36,8% dei pazienti nel 1988 e dal 54,6% nel 2000. La per- centuale di pazienti con HbA1c superiore a 8% si è invece ridotta da 44,3% a 26%. Nel tempo è migliorata anche la percentuale di soggetti a target (100 mg/dl) per il colestero- lo LDL, passata da 16,6% a 20,9%. Differenze minori si sono registrate per quanto concerne trigliceridi (i pazienti che hanno raggiunto l’obiettivo prefissato di 150 mg/ml sono passati da 62,1% nel 1988 a 64,1% nel 2000), mentre c’è stato un lieve peggioramento, non significativo, nel raggiun- gimento dell’obiettivo per il colesterolo HDL, da 71% a 70,3%. L’obiettivo per la pressione sistolica (130 mmHg) è stato raggiunto dal 9,3% dei pazienti nel 1988 e dal 12,3%

nel 2000, mentre quello per la pressione diastolica (80 mmHg) è passato da 13,8% a 20%.

Uno studio americano27 ha paragonato il raggiungimento

Tabella 2 Raggiungimento degli obiettivi terapeutici in studi longitudinali.

Autore Paese Tipo di Numero % di pazienti a % di pazienti a % di pazienti a % di pazienti a % di pazienti a % di pazienti

Anni diabete di pazienti target per HbA1c target per target per target per target per a target per

(target press. arteriosa col. totale LDL (target HDL (target trigliceridi prestabilito) (target (target prestabilito) prestabilito) (target

prestabilito) prestabilito) prestabilito)

Eeg-Olofsson24 Svezia 1

1997 9424 17,4 35,2 49,9 38,3 87,5 75,9

2004 13612 21,2 39,3 58,8 48,1 87,8 80,9

(< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 175 mg/dl) (< 100 mg/dl) (> 40/50 mg/dl) (< 150 mg/dl)

Eliasson25 Svezia 2

1996 16641 40,5 7,6 – – – –

2003 55625 58,3 13,4

(< 7,3%) (< 130/80 mmHg)

Bruno26 Italia 2

1988 2340 36,8 9,3/13,8 – 16,6 71 62,1

2000 3309 54,6 12,3/20 20,9 70,3 64,1

(< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 100 mg/dl) (> 45 mg/dl) (< 150 mg/dl)

Saydah27 USA 2

1988-1994 1265 44,3 29 66,1 – – –

1999-2000 441 37 35,8 51,8

(< 7%) (< 130/80 mmHg) (< 200 mg/dl)

Ford28 USA 2

1999-2000 404 37 – – – – –

2001-2002 446 49,7

2003-2004 484 56,8

(< 7%)

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degli obiettivi terapeutici in due popolazioni di pazienti che hanno partecipato alle indagini NHANES III (1988-1994) e NHANES 1999-2000. Il numero di soggetti presi in esame è stato rispettivamente 1265 e 441. Nel periodo 1988-1994 il target glicemico di 7% HbA1cè stato raggiunto dal 44,3% dei pazienti, scesi a 37% nel periodo 1999-2000. È stato evi- denziato un peggioramento anche nei valori di colesterolo totale: nel periodo 1988-1994 valori inferiori a 200 mg/dl erano stati raggiunti dal 66,1% dei soggetti e nel periodo 1999-2000 dal 51,8%. Risultati migliori sono stati registrati per quanto riguarda il controllo pressorio: la percentuale di pazienti a target è passata dal 25% al 35,8%.

Peraltro, un altro studio statunitense28ha paragonato il con- trollo glicemico analizzando i dati NHANES nel corso di tre bienni (1999-2000, 2001-2002, 2003-2004). Nel corso degli anni si è osservato un miglioramento nella percentuale di pazienti con valori di HbA1cinferiore a 7, passata dal 37% nel periodo 1999-2000, al 49,7% nel periodo 2001-2002, al 56,8% nel periodo 2003-2004.

Fattori associati al mancato

raggiungimento degli obiettivi terapeutici

Variazioni nel raggiungimento dei target terapeutici sono associate a diversi fattori. Questi possono essere di natura socioeconomica (livello di scolarità, tipo di assistenza ricevu- ta), legati a caratteristiche del paziente (sesso, etnia, durata di malattia) o relativi alla gestione della patologia (aderenza alla terapia, inerzia clinica). In un’ottica di miglioramento del raggiungimento degli obiettivi tali fattori possono essere sud- divisi in non modificabili e modificabili: mentre sui primi non è possibile agire, i secondi possono essere oggetto di inter- venti volti ad aumentare l’aderenza ai target raccomandati dalle linee guida.

Fattori non modificabili

Durata di malattia

La lunga durata di malattia è associata a un peggior raggiun- gimento del target glicemico: solo il 40% dei pazienti con una durata di malattia superiore ai 14 anni raggiunge il target glicemico, mentre a meno di un anno dalla diagnosi di dia- bete il 70% dei soggetti risulta a target16.

Etnia

Notevoli differenze nel raggiungimento degli obiettivi sono state osservate anche in relazione all’etnia: in un trial statuni- tense16i soggetti afroamericani hanno raggiunto più frequen- temente il target per il colesterolo HDL rispetto ai pazienti caucasici e messicani americani. Questi ultimi hanno avuto i migliori risultati nel raggiungimento dei valori pressori racco- mandati, mentre i caucasici si sono differenziati per quanto riguarda l’HbA1c, raggiungendo l’obiettivo in oltre il 50% dei casi, contro circa il 45% degli afroamericani e poco più del 40% dei messicani americani.

Risultati simili erano emersi in un precedente studio29 che

aveva preso in esame l’influenza dell’etnia nell’accesso alle cure e nel raggiungimento dei target terapeutici: questo era più frequente nei caucasici per quanto riguarda il controllo glicemico (HbA1c< 7% nel 44,9% dei casi, contro il 34,5%

raggiunto tra gli afroamericani e il 41,8% dei messicani ame- ricani). Gli afroamericani raggiungevano più frequentemente i target per il colesterolo HDL (il 59% contro il 46% dei messi- cani americani e il 38,4% dei caucasici) e per i trigliceridi (il 74,8% contro il 57% degli altri gruppi).

Sesso

In un setting brasiliano21 è chiaramente emerso come le pazienti di sesso femminile abbiano maggiori difficoltà a rag- giungere gli obiettivi terapeutici. Nel corso dello studio valori di HbA1cinferiori a 7% sono stati ottenuti dal 50,9% degli uomini e dal 42,8% delle donne. Sono state evidenziate maggiori difficoltà anche nel controllo del colesterolo totale, per il quale il target è stato raggiunto dal 39,2% delle donne contro il 48,3% degli uomini. Le donne hanno fatto registra- re risultati peggiori anche per quanto concerne colesterolo LDL (17,2% contro il 25,7% degli uomini) e HDL (30,8 con- tro 49,8%), mentre differenze non significative si sono regi- strate per i valori pressori e di trigliceridi.

Scolarità

Secondo uno studio americano16 una maggiore scolarità correla con una migliore aderenza ai target pressori, mentre sembra essere ininfluente sul controllo glicemico.

Fattori modificabili

Tipo di assistenza

Il controllo glicemico può variare in base al tipo di assistenza sanitaria ricevuta; uno studio canadese30ha esaminato l’in- fluenza di cure specialistiche rispetto all’assistenza primaria su due coorti di pazienti. I soggetti seguiti da specialisti pre- sentavano valori medi di HbA1cinferiori (7,9% contro 8,3%), ma comunque lontani dalle raccomandazioni delle linee guida: solo il 29,3% dei pazienti seguiti da specialisti scen- deva sotto il 7% di HbA1c, contro il 27,2% di quelli seguiti dai non specialisti, anche se è verosimile che questi ultimi seguissero pazienti mediamente meno problematici.

Uno studio italiano31ha confrontato la qualità dell’assistenza ricevuta e i risultati raggiunti da 779 pazienti seguiti da medi- ci di medicina generale e 2658 soggetti assistiti presso ambulatori di diabetologia. Questi ultimi ricevevano cure più aderenti alle linee guida in quanto a visite periodiche e moni- toraggio dei parametri clinici, mentre i medici di medicina generale si erano rivelati meno attenti nel controllo, prescri- vendo meno frequentemente verifiche semestrali di HbA1ce annuali di microalbuminuria e colesterolo HDL. Sono risulta- ti meno frequenti anche i controlli annuali del piede e gli esami del fondo dell’occhio, mentre, per quanto riguarda le verifiche annuali di creatinina, trigliceridi e colesterolo totale, i risultati erano simili a quelli fatti registrare dagli ambulatori di diabetologia. Tuttavia queste differenze nella gestione dei pazienti non si traducevano in sensibili miglioramenti dei valori clinici: il target relativo al colesterolo totale veniva rag-

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giunto più frequentemente dagli specialisti, mentre, per quanto concerne i valori pressori, l’HbA1c e il colesterolo LDL, non si osservavano differenze significative.

Una situazione analoga era emersa da uno studio statuniten- se15: nel raggiungimento del target glicemico non è stata osservata alcuna differenza tra i pazienti seguiti da medici generici e quelli seguiti da endocrinologi e diabetologi. In entrambi i gruppi il target veniva raggiunto nel 34% dei casi.

L’assistenza specialistica ha invece portato a un migliora- mento del target pressorio, raggiunto dal 30,4% dei pazien- ti senza assistenza specialistica e dal 38,2% dei soggetti curati da endocrinologi e diabetologi. Anche per il colestero- lo totale e LDL si sono registrate differenze a favore delle cure specialistiche: i tassi di raggiungimento sono stati del 64,2% e 66,9% (colesterolo totale) e 45,8% e 52,9% (cole- sterolo LDL), rispettivamente nei pazienti seguiti con cure pri- marie e con assistenza specialistica.

Tipo di trattamento anti-diabete

Nel corso di uno studio brasiliano21i pazienti trattati con la sola dieta hanno raggiunto i valori di HbA1craccomandati nel 67% dei casi, quelli trattati con ipoglicemizzanti orali in monoterapia nel 56,4%. I pazienti trattati con combinazioni di ipoglicemizzanti hanno raggiunto il target glicemico nel 43% dei casi; quelli trattati con ipoglicemizzanti e insulina nel 39%. Infine i pazienti trattati con sola insulina sono risultati a target nel 39% dei casi.

Dati simili sono emersi nel corso di uno studio statunitense32, nel quale valori di HbA1cinferiori a 7% sono stati ottenuti dal 73,2% dei pazienti trattati con sola dieta, dal 37,7% dei pazienti con terapia ipoglicemizzante orale e dal 26,5% dei pazienti trattati con insulina.

Solitamente i lavori clinici concentrano l’attenzione sul tratta- mento farmacologico, senza dedicare la dovuta attenzione all’intervento sullo stile di vita, trattandolo in modo margina- le o non considerandolo affatto. Tuttavia la modificazione delle abitudini dei pazienti, alimentari e non, può portare a risultati estremamente positivi, come dimostra il recente stu- dio ROMEO (Rethink Organization to iMprove Education and Outcomes)33. Questo trial ha reclutato 815 pazienti con dia- bete di tipo 2 senza trattamento insulinico ed età inferiore a 80 anni provenienti da 13 centri di diabetologia italiani. I pazienti sono stati randomizzati e divisi in un gruppo di inter- vento, sottoposto a sedute di gruppo volte a modificare lo stile di vita, e un gruppo di controllo che ha invece usufruito del tradizionale modello di cura individuale. Dopo 4 anni di follow-up i risultati sono stati estremamente positivi: la per- centuale di pazienti con valori di HbA1cinferiore a 7% è pas- sata da 35,7% a 42,9% nel gruppo di intervento, mentre è scesa da 30,9% a 3,7% in quello di controllo. l pazienti a tar- get per i valori pressori (< 130/80 mmHg) sono passati da 22,6% a 35,6% nel gruppo di intervento e da 25,6% a 27,8% in quello di controllo. Ottimi i risultati ottenuti anche per quanto riguarda il quadro lipidico, con la percentuale di pazienti a target per il colesterolo totale (< 175 mg/dl) salita da 17,6% a 34,7% nel gruppo di intervento e scesa da 19,5% a 14% in quello di controllo. Per il colesterolo LDL (target < 100 mg/dl) si è passati dal 19,6% al 37,7% di

pazienti a target nel gruppo di intervento e dal 23,9% al 20,2% nel gruppo di controllo. Il raggiungimento del target per i trigliceridi (< 150 mg/dl) è passato dal 59,6% al 73,1%

nel gruppo di intervento e dal 53,8% al 54,9% in quello di controllo. Infine la percentuale di pazienti a target per tutti i parametri è passata dal 2,4% al 4,9% nel gruppo di interven- to, mentre nel gruppo di controllo è scesa dal 2,5% allo 0,4%.

Inerzia clinica

L’inerzia clinica è definita come la difficoltà a iniziare o inten- sificare un trattamento terapeutico quando indicato: il curan- te riconosce e identifica il problema, ma a ciò non consegue un’adeguata azione terapeutica34.

Uno studio statunitense35 ha preso in esame 438 pazienti seguiti da ambulatori di medicina generale e 2157 seguiti da ambulatori di diabetologia. I pazienti dei due gruppi erano simili per età, durata della malattia e indice di massa corpo- rea, tuttavia i loro valori medi di HbA1ccambiavano in relazio- ne al tipo di assistenza ricevuta, confermando quanto riferito in precedenza15,30,31: i livelli di HbA1csono risultati costante- mente più alti nei pazienti curati negli ambulatori di medicina generale rispetto a quelli seguiti dagli ambulatori di diabeto- logia: 7,3% contro 6,8% nei pazienti trattati con la sola dieta, 8,4% contro 7,2% nei pazienti trattati con ipoglicemizzanti orali e 8,2% contro 9,3% nei pazienti trattati con insulina. Tali risultati trovano una possibile spiegazione nella condotta dei medici in occasione delle visite. Lo studio ha valutato quan- to spesso i curanti intensificassero la terapia in presenza di valori casuali di glicemia superiori a 150 mg/dl. I medici generici si sono rivelati meno inclini all’intensificazione del trattamento, intervenendo solamente nel 32% dei casi, men- tre i diabetologi sono intervenuti nel 65% dei casi. La fre- quenza di intensificazione della terapia è stata stratificata in base ai livelli glicemici dei pazienti. I medici generici intensifi- cavano la terapia solamente nel 24% dei casi di glicemia casuale compresa tra 151 e 200 mg/dl. Con valori di glice- mia superiori a 300 mg/dl il trattamento era reso più aggres- sivo nel 52% dei casi. I diabetologi hanno fatto registrare tassi di intervento decisamente più alti, andando dal 47% in caso di glicemia compresa tra 151 e 200 mg/dl al 91% in caso di valori superiori a 300 mg/dl.

Uno studio canadese36, tramite l’uso di dati amministrativi, ha studiato una popolazione di pazienti diabetici dell’Ontario orientale. Lo scopo dello studio era osservare la frequenza di intensificazione della terapia in pazienti con scarso controllo glicemico da parte di specialisti e medici generici. Ancora una volta gli specialisti si sono rivelati meno inclini all’inerzia clinica, intervenendo più frequentemente per migliorare il controllo glicemico. Lo studio ha evidenziato che gli specia- listi intervenivano nel 45% dei casi, contro il 37% dei medici generici. In particolare gli specialisti si sono dimostrati più solerti nell’iniziare il trattamento con insulina (8,6% contro 1,7% nel caso dei medici generici). Differenze minori si sono rilevate nell’aggiunta di un nuovo ipoglicemizzante orale (21,7% contro 20,7%) e nell’aumento della dose di un farma- co già in corso (21,7% contro 18,6%).

Dati sconfortanti circa l’intensificazione della terapia sono

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emersi anche in una rete di 30 centri accademici statuniten- si15: in presenza di valori di HbA1csuperiori a 7% la terapia è stata modificata solo nel 40,4% dei casi, e solamente nel 48,5% dei casi in presenza di valori superiori a 9%. Tassi di intervento ancora minori si sono riscontrati in presenza di valori pressori superiori a quanto indicato dalle linee guida:

solamente il 13,9% dei pazienti con valori superiori a 150/100 mmHg ha ricevuto un intervento di intensificazione della terapia.

Questi studi mostrano chiaramente come l’inerzia clinica possa contribuire a compromettere il controllo glicemico dei pazienti diabetici. Da questi lavori emerge anche come i medici con una formazione specifica sul diabete siano meno inclini all’inerzia clinica rispetto ai medici generici.

L’inerzia clinica non basta tuttavia a spiegare del tutto lo scarso raggiungimento degli obiettivi terapeutici; questo infatti è risultato deludente anche in studi clinici finalizzati a migliorare il profilo metabolico dei pazienti mediante tratta- menti aggressivi e rigorosi, nei quali l’inerzia clinica è esclusa dal protocollo di intervento. Da uno studio inglese di inter- vento durato 2 anni37è emerso che un trattamento intensivo migliora il controllo pressorio, ma ha scarso effetto sul com- penso glicemico: solo il 20% dei pazienti trattati intensiva- mente raggiungeva valori di HbA1cinferiori a 7% e solo nel gruppo trattato con sola dieta era ancora possibile ottenere miglioramenti del controllo metabolico, mentre in quelli a trat- tamento farmacologico, orale o con insulina, non si ottene- vano miglioramenti. Risultati analoghi sono stati evidenziati dallo studio STENO-238: dopo quasi 8 anni di trattamento intensivo multifattoriale solo il 15% dei pazienti era a target (fissato a 6,5%) per l’HbA1c. Lo stesso studio UKPDS3ha dimostrato come, nei pazienti trattati intensivamente, l’au- mento progressivo dei valori di HbA1cnon possa essere evi- tato, ma venga solo ritardato di qualche anno rispetto ai pazienti trattati in modo convenzionale.

Scarsa aderenza alla terapia

Anche il paziente può avere un ruolo nel mancato raggiungi- mento degli obiettivi terapeutici, qualora non aderisca perfet- tamente alla terapia prescritta. Questo fenomeno è estrema- mente frequente e può incidere in modo considerevole sul controllo glicemico.

Nel corso di uno studio messicano39ben il 41% dei pazienti non seguiva la terapia insulinica prescritta, nonostante le precise raccomandazioni ricevute. L’aderenza rappresenta un fattore critico anche per quanto riguarda gli interventi sullo stile di vita, almeno quando “prescritti” in modo tradizionale:

in uno studio tailandese40la percentuale di pazienti con una buona aderenza alle raccomandazioni su esercizio fisico e regime alimentare è stata rispettivamente del 31% e 54%.

I motivi che spingono i pazienti a non seguire scrupolosa- mente le terapie prescritte sono molteplici. Storicamente la medicina ha rivolto in gran parte l’attenzione ai sintomi del paziente acuto, basando su questi l’impostazione della tera- pia. Tuttavia nel caso del diabete ci si trova di fronte a una patologia cronica che può rimanere asintomatica per anni.

Anche per questo motivo i pazienti sono portati a sottovalu- tare o addirittura negare la severità della patologia, trovando

inutile o persino dannoso assumere i farmaci. I pazienti pos- sono essere intimoriti dai costi delle terapie o dai loro effetti collaterali. Può esserci diffidenza nei confronti del medico oppure una comunicazione inadeguata tra clinico e pazien- te. La scarsa aderenza può anche dipendere da motivi più banali: molti pazienti diabetici presentano diverse comorbili- tà e si trovano a gestire terapie molto complesse, il che può portare a errori di assunzione e dimenticanze. Alla base della scarsa aderenza possono esserci anche patologie psichiatri- che, specialmente la depressione41.

Conclusioni

Trial clinici come DCCT1, UKPDS3, ACCORD6, ADVANCE7e VADT8hanno dimostrato che un trattamento intensivo può garantire un buon controllo glicemico e che questo può tra- dursi in un beneficio tangibile per il paziente, riducendo in modo sensibile l’insorgenza delle complicanze microvasco- lari del diabete. I risultati di questi studi sono alla base delle raccomandazioni delle linee guida. Tuttavia dagli studi osser- vazionali emerge una situazione molto diversa.

Gli studi presi in esame evidenziano come il raggiungimento degli obiettivi terapeutici nei pazienti diabetici sia ancora lon- tano dall’essere ottimale. Meno della metà dei pazienti sod- disfa le raccomandazioni delle linee guida per quanto riguar- da i valori di HbA1ce solo una frazione estremamente esigua dei soggetti affetti da diabete risulta a target anche per i valo- ri pressori e il quadro lipidico. I dati delle casistiche seguite in senso longitudinale in vari Paesi, peraltro, mostrano qualche segno di miglioramento nel tempo.

Tali risultati scoraggianti trovano solo parziale spiegazione nell’insufficiente impegno da parte di medici e pazienti.

L’inerzia clinica può essere ridotta introducendo corsi di for- mazione specifica sul diabete rivolti ai medici di medicina generale, meno inclini all’intensificazione della terapia rispet- to agli specialisti. Verifiche periodiche dei risultati ottenuti tra i propri pazienti diabetici potrebbero aiutare i medici a esse- re maggiormente consapevoli del problema e costituire uno stimolo ad aumentare l’impegno terapeutico. La scarsa ade- renza alla terapia può essere migliorata intervenendo sulla comunicazione medico-paziente: è necessario che i pazien- ti sviluppino piena coscienza della malattia e dei rischi a essa connessa, arrivando a comprendere l’importanza della tera- pia in un’ottica di prevenzione a lungo termine. Tali nozioni, tuttavia, non dovrebbero essere imposte dogmaticamente dal medico, ma piuttosto essere il risultato di interventi edu- cativi strutturati e continuati nel tempo. È in particolare fon- damentale intensificare l’intervento sullo stile di vita e sulle abitudini alimentari, senza limitarsi alla prescrizione rigida di una dieta, ma fornendo al paziente gli strumenti necessari a gestire autonomamente la propria alimentazione e la propria terapia. Lo studio ROMEO33 ha dimostrato chiaramente, proprio in Italia, le potenzialità di un simile approccio.

Inerzia clinica e scarsa aderenza alla terapia tuttavia non bastano a spiegare lo scarso raggiungimento degli obiettivi evidenziato nel corso di studi caratterizzati da trattamenti

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estremamente aggressivi e rigorosi come lo STENO-238 e l’UKPDS3. Questo ridimensiona l’importanza di questi fattori e ricorda che la storia naturale del diabete di tipo 2 compren- de un inesorabile peggioramento che le attuali terapie pos- sono rallentare, ma non arrestare. L’adozione di trattamenti aggressivi inoltre può peggiorare il rapporto costo-benefici.

Gli effetti collaterali e i costi delle terapie infatti aumentano enormemente a fronte di vantaggi spesso modesti: studi come ADVANCE7e VADT8hanno dimostrato come l’inciden- za di complicanze macrovascolari non diminuisca in modo significativo e tutti gli studi citati in precedenza mostrano che l’insorgenza di complicanze microvascolari è solo ritardata.

D’altra parte studi come DCCT-EDIC9e lo stesso UKPDS3 hanno evidenziato la persistenza dell’effetto protettivo dalle complicanze microvascolari anche a distanza di 10/15 anni dall’inizio del trattamento e come compaia un beneficio significativo anche per quanto riguarda quelle macrovascola- ri. La possibile esistenza di una “memoria metabolica” che ne mantiene i vantaggi anche a lungo termine ricorda come puntare al miglior controllo glicemico possibile fin dalla dia- gnosi possa effettivamente tradursi in un beneficio tangibile, che diventa sempre più importante col passare del tempo.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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