VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI TBC OCCUPAZIONALE IN AMBITO SANITARIO. ASPETTI CLINICI, EPIDEMIOLOGICI E MEDICO LEGALI.
LA PREVENZIONE NELL’AMBIENTE DI LAVORO.
ASSESSMENT OF OCCUPATIONAL RISK FOR TBC IN HEALTH CARE.
CLINICAL, EPIDEMIOLOGICAL AND FORENSIC ASPECTS.
PREVENTION IN THE WORKPLACE.
Angelo Porrone*
ABSTRACT
L’accesso alle prestazioni sanitarie di qualsiasi genere da parte di soggetti, potenzialmente infetti, pone il medico esaminatore occasionalmente a contatto con soggetti affetti da manifestazioni morbose di tipo tubercolare polmonare, in forma attiva o misconosciuta.
La TBC polmonare e quella extrapolmonare, coesistono, sotto il profilo epidemiologico, negli ultimi anni, nel rapporto di 2/3 per le forme polmonari e di 1/3 delle forme extrapolmonari, essendo, comunque solo le forme polmonari aperte, in fase attiva, quelle realmente in grado di trasmettere l’infezione tubercolare nell’ospite.
Infatti, per definizione le forme di TBC extrapolmonare parrebbero essere non infettive, salvo la possibilità, comunque remota, di contagio dovuto a materiali biologici infetti, con i quali si venga esposti nel corso di interventi chirurgici su sedi extrapolmonari colpite da infezioni tubercolari.
Esiste, pertanto, la teorica possibilità che un sanitario, venuto a contatto con soggetti in fase attiva o in convalescenza per forme tubercolari polmonari, ovvero anche con soggetti affetti da forme misconosciute o croniche, possa a sua volta andare incontro, per contagio diretto, ad infezione tubercolare.
* Coordinatore Medico Centrale, Responsabile UOC Area “Studi, Ricerca e Procedure medico legali”, Coordinamento Generale Medico Legale INPS, Roma.
INTRODUZIONE
Per quanto la TBC si reputi da diversi anni una malattia in larga prevalenza ormai debellata in Italia, grazie all’ottimo lavoro svolto dalle strutture specialistiche esistenti sul territorio nazionale, facendola apparire quasi residuale in ambito nazionale, ciò non toglie che i flussi migratori abbiano, nel tempo, comportato delle recrudescenze anche gravi di forme polmonari tubercolari o di affezioni extrapolmonari tubercolari, sia a carico di cittadini italiani che di soggetti emigrati in Italia.
Si registra, negli ultimi anni, una ripresa consistente specie delle forme extrapolmonari, più difficili da curare ed emendare, in una fascia di età compresa fra i 25 - 30 e i 44 anni.
In totale l’incidenza annuale in Italia di nuovi casi notificati di TBC parrebbe attestarsi intorno a 4000 nuovi casi circa all’anno.
Oltre ai medici dediti all’assistenza, anche il restante personale sanitario parrebbe, anche in misura non inferiore, essere teoricamente soggetto al rischio biologico derivante dal contatto con soggetti affetti da TBC nelle forme polmonari, anche nel caso che si tratti di forme apparentemente non più bacillifere, dopo effettuazione di trattamento antibiotico multiplo specifico da parte dei Centri Specialistici, ciò che di norma già accade dopo appena 2 settimane di trattamento efficace a dosi piene.
Esistono comunque forme cronicizzate, non perfettamente guarite, di TBC polmonare, ovvero farmaco resistenti, o, ancor peggio, misconosciute primitive, in grado di rappresentare, in ogni caso, una notevole fonte di contagio.
In letteratura, appare abbastanza ben codificato il rischio biologico legato al contatto, per motivi professionali, con soggetti affetti da infezioni tubercolari o con materiale infetto di rifiuto.
Esistono, pertanto, numerosi protocolli di tipo internazionale e anche nazionale, emanati a vario titolo anche da diverse Regioni italiane, per la prevenzione del contagio tubercolare e per il trattamento precauzionale dei rifiuti di materiale infetto o potenzialmente tale.
Di fatto, il rischio potenziale di ammalare di TBC da parte dei medici e del restante personale sanitario appare di assai basso tenore, in considerazione del fatto di venire a contatto, per motivi professionali occupazionali, prevalentemente con soggetti convalescenti già trattati per TBC, non più, quindi, in forma bacillifera, salvo che non si tratti di reparti pneumologici o di malattie infettive, dediti, in prima linea al trattamento e alla risoluzione di malattia polmonare tubercolare in fase attiva.
Riguardo alla biologia del bacillo tubercolare, è bene ricordare che questo gruppo di microrganismi è costituito dai tre batteri del cosiddetto Mycobacterium tuberculosis complex, rappresentati, nell’ordine da:
il Mycobacterium tuberculosis che è responsabile della tubercolosi nell’uomo,
il Mycobacterium africanum anche’esso relazionato alla stessa patologia del M.
tuberculosis, sebbene con leggere differenze sotto il profilo biochimico e caratterizzato da una maggiore frequenza epidemiologica in Africa, e
il Mycobacterium bovis che provoca la tubercolosi bovina, una zoonosi che può essere trasmessa all'uomo per via orale alimentare.
Esiste, poi, un nutrito gruppo di micobatteriosi atipiche o non tubercolari, le cui caratteristiche cliniche ed epidemiologiche, pur avendo l’apparato respiratorio come organo bersaglio, appaiono comunque diverse dalla classica infezione tubercolare.
Molto spesso, nell’ambito delle diverse prestazioni sanitarie assistenziali, si tratta di contatti con soggetti che hanno sofferto in epoche precedenti di TBC, contagi ipotetici etichettati in letteratura come a basso o nullo rischio, trattandosi di soggetti in larga prevalenza in situazioni non bacillifere, riammessi in comunità e già trattati con minimo tre diversi tipi di antibiotici specifici, contemporaneamente e con almeno tre esami consecutivi culturali dell’espettorato risultati negativi, ma, in ogni caso, da reputarsi come meritevoli di attenzione sotto il profilo della prevenzione specifica.
Il rischio potenziale di contagio è anche in gran parte legato, infatti, alle caratteristiche dell’ospite, sia che si tratti di personale sanitario che di supporto, per cui nel caso di depressione dell’immunità, possibile in diverse condizioni morbose, come il trattamento con antiblastici antitumorali, cortisonici o altro immunodepressori, ecc., il rischio biologico considerato si può accrescere in maniera esponenziale anche a fronte di una modesta carica batterica.
L’infezione tubercolare è da reputarsi, di per sé, comunque, insidiosa, per la possibilità di contagio piuttosto subdola e per la positività dell’ esame culturale, o diretto microscopico, positivi solo in un ordine del 35 – 40 % dei casi di infezione tubercolare, secondo alcune statistiche, con un margine maggiore di positività, pari al 60 – 70 % secondo altre, con una difficoltà intrinseca, talvolta, nella diagnosi di infezione tubercolare classica, potendo in tal senso, valere, allo scopo, il riconoscimento delle più note manifestazioni sintomatologiche delle condizioni morbose tubercolari o criterio pur valido dell’ “ex iuvantibus”, qualora la terapia antibiotica specifica abbia avuto un evidente successo, ma non essendo ai fini dimostrativi nosologici in senso stretto, sufficiente, di per sé, verificare l’esistenza di bacilli genericamente alcool – acido resistenti nell’espettorato, all’esame diretto microscopico.
Maggiori difficoltà anche sotto il profilo della prevenzione nascono, però, dal fatto che l’infezione tubercolare si può, in modo talvolta drammatico, associare all’infezione HIV, potendo un’infezione tubercolare opportunistica in soggetti con AIDS rappresentare, talvolta, anche l’evento finale precipitante dell’exitus.
In tal modo, al rischio teorico di infezione tubercolare, quale rischio biologico occupazionale, si può, quindi, associare un ulteriore rischio di infezione professionale da HIV.
Esiste in ogni caso un’apparente bassa soglia di rischio occupazionale nei confronti dei medici e del restante personale sanitario, impegnati nelle attività generali di cura, legata al contatto con soggetti affetti da infezione TBC in fase prevalentemente non bacillifera o in soggetti contemporaneamente, eventualmente, portatori di infezione HIV, ma già pretrattati con terapia antiretrovirale, nel corso delle prestazioni mediche assistenziali.
In effetti la sorveglianza sanitaria in lavoratori teoricamente esposti al contagio TBC e anche HIV, in contemporanea, è da prevedersi, eventualmente, solo in soggetti predisposti al contagio e con evidenti deficit immunitari, in ragione, comunque, dell’esistenza verificata di un rischio tubercolare di qualsivoglia tipo e tenore nelle varie condizioni morbose di depressione immunitaria ipotizzabili.
Da ultimo, va analizzata, sotto il profilo giuridico e della dimostrazione del nesso di causalità materiale, l’eventuale richiesta avanzata di malattia professionale o di infortunio sul lavoro, legata ad eventuale contagio professionale tubercolare, intervenuto in forma prolungata od accidentale, ossia occasionale, laddove occorrerà dimostrare, nell’ordine, l’avvenuto contagio in forma diluita o incidentale, la virulenza e l’entità della carica batterica dello stesso, con cui si sia eventualmente venuti a contatto, lo stato anteriore del soggetto in esame, con assenza di infezione tubercolare pregressa, lo stato posteriore al contagio, con le manifestazioni tubercolari intervenute ex novo, secondo il criterio giurisprudenziale più accreditato, in civile, e ai fini della tutela INAIL, del più probabile che non, essendo quindi esclusa la mera possibilità del contagio medesimo.
ASPETTI DIAGNOSTICI, PROGNOSTICI ED EPIDEMIOLOGICI DELLA TBC
Nel corso di un’indagine clinica e sotto il profilo della raccolta anamnestica, gli aspetti critici essenziali riguardano, nel caso della valutazione dei postumi della TBC, in speciale modo:
la sede polmonare o extrapolmonare affetta;
la severità del quadro clinico di esordio;
la durata del ricovero;
la durata della cura ambulatoriale;
la guarigione clinica o la stabilizzazione del quadro morboso,
aspetti discriminanti, questi, da considerare sicuramente per la loro stessa natura e valenza prognostica, da collegare tanto alla durata totale complessiva del ricovero che della cura ambulatoriale, variabili, intuitivamente, a seconda della diversa gravità e complessità dei casi clinici esistenti.
Individuare o meglio, precisare, quindi, il momento della guarigione clinica o della stabilizzazione della malattia tubercolare appare altrettanto fondamentale per poter considerare finalmente conclusa la fase di malattia attiva tubercolare polmonare, trattandosi di una patologia che può virare, in alcuni casi, verso la cronicità, con ulteriore potenzialità infettiva, ai fini della diffusione della malattia medesima.
La conoscenza anamnestica del Paese di origine del soggetto in esame, in base alle conoscenze epidemiologiche della TBC nei vari ambiti e continenti, trova una spiegazione sia da un punto di vista meramente statistico, trattandosi, da un lato di comunitari che hanno maggiore e più facile accesso in Italia, quali quelli provenienti da paesi dell’Est Europa, ovvero di extracomunitari con maggiore presenza nel territorio nazionale, in base ai flussi migratori, che dal punto di vista del semplice approccio alle cure.
In effetti specie nel caso di pazienti provenienti da paesi dell’Est Europa, la cura della infezione tubercolare è assai più problematica.
Le varie espressioni cliniche polmonari ed extrapolmonari della TBC sono dovute ad un gruppo di micobatteri che fanno parte del cosiddetto Mycobacterium tuberculosis complex, che comprende, a sua volta, il Mycobacterium tuberculosis, il Mycobacterium africanum e il Mycobacterium bovis.
Nella stragrande maggioranza dei casi di TBC è implicato il Mycobacterium tuberculosis che è da ritenersi il vero agente patogeno della malattia tubercolare in Italia.
Quest’ultimo è un batterio a forma di bastone, Gram-positivo, acido-resistente, a lento sviluppo, ricco di sostanze lipidiche strutturali.
L’infezione tubercolare si verifica, in base alla carica batterica e alla virulenza, per via inalatoria. Le forme extrapolmonari non sono, quindi, da ritenersi normalmente infettive.
E’ da considerare che, secondo i dati forniti dall’OMS, ancora oggi la TBC compisce circa 1/3 della popolazione mondiale e causa circa 1.700.000 decessi
all’anno, mentre secondo altre stime il numero dei decessi annuali superebbe i 2 milioni.
Secondo quanto riportato dal rapporto dell’Oms “Global tuberculosis control 2010”, si stima che nel 2009 vi siano stati globalmente circa 9,4 milioni di casi incidenti di tubercolosi (equivalente a 137 casi per 100.000 abitanti), 14 milioni di casi prevalenti (pari a 200 casi per 100.000 abitanti), 1,3 milioni di decessi per Tbc tra persone Hiv-negative (20 decessi per 100.000 abitanti) e 380 mila decessi tra persone Hiv-positive (questi ultimi sono classificati nell’ICD10 come decessi per Hiv).
Nello stesso anno, il numero di casi di tubercolosi notificati è stato pari a 5,8 milioni, equivalente a un tasso di rilevazione dei casi (proporzione di casi incidenti notificati) del 63%.
La maggior parte del numero stimato di casi si è verificato in Asia (55%) e Africa (30%), con piccole proporzioni di casi nella Regione del Mediterraneo orientale (7%), nella Regione europea (4%) e nella Regione delle Americhe (3%). In particolare, l'81%
dei casi stimati si è verificato in 22 Paesi. Tra questi, i cinque Paesi con il maggior numero di casi incidenti nel 2009 sono stati: India (1,6-2,4 milioni), Cina (1,1-1,5 milioni), Sud Africa (400-590 mila), Nigeria (370-550 mila) e Indonesia (350-520 mila). India e Cina da sole contano circa il 35% dei casi di tubercolosi di tutto il mondo.
Soprattutto nel caso degli immigrati provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est, specie dalla Romania, i cui nazionali hanno una rilevante presenza nel nostro territorio nazionale, la cura della TBC, sia nelle forme polmonari che extrapolmonari, rappresenta un autentico problema sotto il profilo terapeutico in quanto, pur essendo quasi tutta la popolazione rumena sottoposta a vaccinazione, in realtà l’infezione tubercolare non solo ha una maggiore incidenza rispetto alle altre realtà continentali ma anche una maggiore aggressività nelle forme cliniche riscontrabili nei nosocomi.
Ciò è essenzialmente dovuto alla maggiore evidenza di forme resistenti, ossia farmaco – resistenti che si verificano nella popolazione rumena.
La spiegazione di tale fenomeno è dovuta al fatto che, normalmente, la terapia antibiotica tubercolare si basa sull’assunzione contemporanea di almeno tre diversi farmaci, così come riportato sui protocolli vigenti, mentre la scarsezza delle risorse sanitarie e finanziarie di quel paese fa si che, di norma la terapia per la TBC venga svolta in prevalenza con un unico farmaco, massimo due, dando luogo, quindi, ad un gran numero di casi di farmaco resistenza.
Pertanto il dato epidemiologico della provenienza da paesi dell’est Europa va combinato con il riscontro epidemiologico di forme farmaco – resistenti, in modo tale da avere un quadro completo della situazione.
Quale conseguenza pratica di tale tipo di osservazione, ne deriva la maggiore difficoltà dovuta alla cura delle forme farmaco – resistenti che necessitano:
di particolari e in genere più costosi protocolli di cura;
di trattamenti più prolungati, in genere, talora, di durata non inferiore a 1 anno, come è prassi che avvenga nei centri antitubercolari di riferimento, sempre in ambito nazionale, anche, ovviamente in base all’aggressività della forma morbosa tubercolare in atto.
Tutti i dati indicati e sopra esposti, in questo capitolo, sono ricavati dal
“Protocollo di gestione clinica della tubercolosi” – Revisione n. 3 Agosto 2006 - Gruppo di Lavoro Tubercolosi – I.N.M.I., L. Spallanzani , come anche modificato nel 2007.
In tale ambito di discorso non vanno sottovalutati altri importanti fattori di rischio quali le condizioni igienico sanitarie generali dei paesi di provenienza e l’eventuale contestuale presenza dell’infezione HIV, la cui rilevanza a fini clinici e terapeutici è ben nota in letteratura.
Fra i fattori di rischio dell’infezione tubercolare vanno indicate tutte le condizioni patologiche predisponenti che di norma danno luogo ad una deficienza immunitaria.
Notevole è da ritenersi, quindi, in tal senso, ai fini clinici, terapeutici e prognostici la positività o meno all’infezione HIV.
Quindi di rilievo assoluto va ritenuta, in senso clinico, la circostanza dell’ HIV + e dell’ HIV -, ossia della positività o meno all’infezione HIV, rispetto alle altre variabili terapeutiche considerate, per la gravità constatata nettamente maggiore delle forme tubercolari HIV + rispetto a quelle HIV- e con necessità, soprattutto, nel primo caso di protocolli terapeutici completamente diversi.
In effetti l’infezione da HIV associata a tubercolosi rappresenta un problema di accresciuto rischio sotto vari profili.
Nelle forme di associazione TBC-HIV si è verificata una incidenza più elevata di effetti collaterali da farmaci antitubercolari, presenti dal 18 al 39 % dei casi trattati, con reazioni di vario genere ed epatiti dovute all’utilizzo contestuale delle due terapie, antiretrovirale e antitubercolare, con disturbi gastrointestinali, neuropatie, anemie e leucopenia.
In realtà l’infezione da HIV predispone di fatto ad un incremento consistente dell’infezione tubercolare, con una prognosi sicuramente più severa rispetto a soggetti con semplice infezione di TBC e con necessità di cure più prolungate e più complesse.
In ogni caso i dati della letteratura, dopo trattamenti standard di farmaci antitubercolari, sia in forme tubercolari HIV+ e HIV- non indicano differenze
significative nella farmacocinetica salvo un diverso assorbimento dei farmaci ridotto nelle forme HIV-.
Ai fini prognostici si è verificato però che la sopravvivenza di soggetti con coinfezione TBC-HIV sia minore rispetto a quelli con sola infezione HIV.
Di fatto l’infezione tubercolare può risultare letale per soggetti HIV+.
In relazione al caso di infezione HIV – TBC contestuali appare assai utile conoscere la necessità dell’utilizzo per l’intero periodo del trattamento antitubercolare di un regime a base di rifamicine, specie la rifampicina che appare più efficace per la negativizzazione delle colture e una minore incidenza delle recidive post-trattamento in soggetti HIV+; in effetti si è constatato che è necessario un trattamento di almeno cinque - sei mesi con rifampicina per evitare le ricadute, frequenti dopo trattamenti di soli due – tre mesi di rifampicina.
Il dato epidemiologico da infezione di HIV associato a infezione da TBC dimostra che la stragrande maggioranza dei soggetti non pratica, in occasione dell’infezione tubercolare, il trattamento antiretrovirale, per cui il mancato utilizzo di farmaci antiretrovirali unita ad una mediana di CD4+ pari a circa 120/mm3 in circa il 70% dei casi dimostrano che i soggetti più predisposti HIV+ sono quelli che in assenza di trattamento hanno difese immunitarie più basse.
Tutto ciò rende esattamente l’idea della necessità di associare talvolta la terapia antiretrovirale, nei pazienti HIV+ con diagnosi di tubercolosi attiva, ai farmaci antitubercolari, e ciò in ragione della gravità della malattia tubercolare, della situazione immunologica del soggetto in esame, della risposta iniziale del trattamento antitubercolare, degli effetti indesiderati da farmaci o di altre possibili complicanze.
In ultima analisi i soggetti HIV+ con associata TBC presentano differenze di trattamento in funzione dello stato dei CD4, se maggiore di 350/mm3 o se inferiore a 200/mm3, ovvero della rispondenza iniziale del trattamento tubercolare, degli effetti indesiderati dei farmaci, in grado di interrompere o prolungate le terapie, ovvero della situazione clinica complessiva del soggetto in esame.
Circa gli altri fattori predisponesti di rischio, tali da giustificare sia un congruo prolungamento delle cure antitubercolari, che terapie antibiotiche più intense, che, da ultimo, postumi e/o esiti più evidenti ed incisivi, vanno annoverati sia i trapianti di organo eterologi (allotrapianti), che terapie cortisoniche ed immunosoppressive, eseguite a vario titolo, per la loro assoluta valenza in grado di ridurre drasticamente le difese immunitarie dell’ospite; si tratta di situazioni legate a presidi terapeutici atti a provocare o mantenere situazioni di facilitazione di contagio infettivo, in cui la malattia
tubercolare rappresenta una delle più importanti e frequenti manifestazioni morbose ipotizzabili.
Di identica valenza immunosoppressiva, con lo stesso ordine di considerazioni, vanno considerate malattie come il diabete mellito, la gastrectomia o by-pass digiuno ileale, il malassorbimento o condizioni di denutrizione, o infine malattie neoplastiche come leucemie e linfomi, ovvero tumori di altro tipo, ecc., tutte situazioni meritevoli di essere opportunamente segnalate in quanto capaci di ridurre in maniera consistente le difese immunitarie ovvero di facilitare le infezioni opportunistiche e la tubercolosi.
La silicosi, classica malattia professionale, è in grado di facilitare l’infezione tubercolare sia attraverso un meccanismo di predisposizione d’organo, a livello polmonare, con i classici casi, ben descritti in letteratura di silico – tubercolosi, che attraverso meccanismi indiretti di scadimento delle condizioni generali e di riduzione e compromissione delle difese immunitarie dell’ospite.
I trattamenti di chemioterapia, producendo una netta riduzione dei globuli bianchi, come, ancor più, le chemioterapie ad alte dosi, con trapianto di midollo o anche introduzione di cellule staminali omologhe, di fatto sono in grado di provocare gravi condizioni di riduzione delle difese immunitarie che possono facilitare le infezioni opportunistiche in generale e quella tubercolare in particolare.
Esistono, poi, diverse condizioni morbose capaci di produrre situazioni di deficit immunitari, come diabete, tossicodipendenza, ecc., in grado di agire sia in via diretta che indiretta, sempre con maggiore predisposizione finale a contrarre qualsivoglia tipo di infezione opportunistica.
Assai rilevante è il Protocollo Terapeutico attuato che varia sia in funzione della farmacoresistenza o della farmacosensibilità sia della positività o negatività dell’infezione HIV, che, inoltre, della tossicità dei farmaci utilizzati in funzione delle condizioni preesistenti e comorbilità.
La gravità della malattia tubercolare in fase attiva, in senso terapeutico, è legata essenzialmente alla farmaco resistenza. Nell’ambito della farmaco resistenza si distinguono due forme morbose:
TB MDR – è la tubercolosi multifarmacoresistente dovuta al micobatterio tubercolare contemporaneamente resistente ad almeno HER (isoniazide e rifampicina);
TB XDR - è la forma estremamente farmaco resistente in cui la resistenza oltre ai predetti HER si manifesta anche in rapporto ad un fluorochinolonico e ad almeno uno dei tre farmaci iniettabili di seconda linea (capreomicina, kanamicina, amikacina).
L’aumentato rischio di TB MDR ovvero XDR riguarda essenzialmente:
1. Soggetti già precedentemente trattati per almeno un mese con farmaci antitubercolari;
2. Soggetti provenienti da Paesi ad elevata prevalenza di ceppi MDR, ossia quelli appartenenti ai Paesi dell’Est Europa, della gran parte dell’Africa, dell’America Centrale e Meridionale della gran parte dei Paesi dell’Asia e di molti Paesi dell’Oceania (escluse Australia e Nuova Zelanda)
3. Soggetti sensibili ad esposizioni di casi MDR e soggetti con espettorato persistentemente positivo per BAAR (bacilli alcool-acido resistenti) dopo tre – quattro mesi di adeguato trattamento;
4. Soggetti con infezione di HIV che dal NICE viene considerata come un fattore di rischio per la farmaco resistenza.
Anche una scarsa aderenza del paziente ai trattamenti terapeutici può indurre secondariamente una farmaco resistenza.
In effetti sul primo ceppo isolato vengono effettuati specifici test di farmacosensibilità con metodo classico su terreno solido, valevoli sia per i farmaci di prima linea che per altri di seconda scelta; si può anche adoperare, sempre per testare la sensibilità agli antibiotici, un metodo rapido che utilizza metodiche di rilevazione a fluorescenza ma solo su farmaci di prima linea.
Per le forme MDR o XDR si richiedono test di farmaco sensibilità anche per altri farmaci antitubercolari.
Esiste un trattamento per i casi probabilmente farmaco resistenti, che sono quelli legati, essenzialmente, alle recidive, ai fallimenti terapeutici per farmaci di prima linea, all’interruzione dei trattamenti, ai casi cronici ovvero altre situazioni a rischio come per soggetti provenienti da Paesi ad alta incidenza di ceppi MDR o che hanno avuto contatti con soggetti colpiti da ceppi MDR o residenti in ambienti confinati.
Questo tipo di trattamento è legato, quindi, a eventuali precedenti trattamenti, o anche all’aggressività della malattia tubercolare in atto, ovvero alla presenza di casi MDR nell’area geografica di provenienza.
Dalla ponderazione dei vari fattori legati alla presenza o meno di fattori di farmacoresistenza possono derivare schemi terapeutici di durata media di almeno quattro/sette mesi di trattamento.
A seconda, poi, dei protocolli intrapresi o utilizzabili, ovvero della farmaco sensibilità o resistenza a singoli antibiotici, può variare la durata dei diversi schemi di trattamento adottati, anche a seconda delle condizioni del soggetto da trattare.
Bisogna notare che la contestuale presenza di positività HIV comporta un prolungamento delle terapie superiore a mesi tre per un periodo di cura complessivo che nel caso della resistenza alla rifampicina può variare tra i dieci e i sedici mesi complessivi a seconda degli scemi di trattamento utilizzabili e in base alla resistenza e alla tossicità.
In pratica l’uso di un cocktail di farmaci che prevede l’utilizzo, ad es., di due farmaci in luogo dei tre convenzionali, può prolungare di molti mesi la terapia.
Gli aspetti clinici e prognostici, in caso di TBC, sono quindi essenzialmente da collegare a:
Gravità della forma tubercolare in termini di aggressività;
HIV positività o negatività dei soggetti trattati;
Farmacoresistenza a uno o più farmaci o tossicità;
Interruzione o mancata aderenza agli schemi terapeutici intrapresi in prima battuta;
Condizioni cliniche generali e situazioni di immunodeficienza in vario tipo associata;
Utilizzo di schemi terapeutici con due o più farmaci ovvero di trattamenti antitubercolari più o meno incisivi o adeguati;
Esito favorevole o meno degli stessi trattamenti intrapresi ovvero recidività o anche solo persistenza di bacilli alcool – acido resistenti o tipizzati.
In effetti ai fini pratici le considerazioni precedenti riguardano soprattutto i casi probabilmente farmaco resistenti, relativamente alle tipologie degli schemi di trattamento e alla loro durata.
Vista la rilevanza del problema, si ricorda, come anche anticipato in precedenza, in ultima analisi, a tal riguardo, che per casi probabilmente Farmaco Resistenti si intendono:
Le recidive, i fallimenti terapeutici ritrattati, i casi cronici;
I soggetti provenienti da Paesi ad alta incidenza di ceppi MDR;
I soggetti esposti a infezioni dovute da ceppi MDR;
I soggetti residenti in ambienti confinati.
Il trattamento invece dei casi MDR/XDR merita in ogni caso un discorso diverso.
Gli schemi terapeutici in questi casi risentono dei seguenti aspetti:
Farmaci anti TBC assunti in precedenza, anche quelli di seconda linea;
Efficacia antitubercolare dei farmaci intesa in senso terapeutico;
Gravità della malattia tubercolare;
Alta incidenza della farmaco resistenza nell’area geografica considerata.
In effetti la TB MDR si caratterizza sotto il profilo clinico per i seguenti aspetti:
Inefficacia della terapia fino al 50% dei casi, anche dopo farmaci di seconda linea;
Elevata mortalità, fino al 90% dei casi specie nei soggetti HIV+;
Resistenza anche a un fluorochinolonico per le TB XDR.
Si tratta in tutti questi casi di situazioni molto difficili da affrontare sotto il profilo terapeutico e con schemi appropriati che comprendano almeno cinque farmaci nei trattamenti di prima linea ovvero altri tipi assai mirati di trattamento.
In tutti i casi la fase iniziale di terapia con 5/7 farmaci non deve essere inferiore a sei mesi e va protratta fino alla negativizzazione dell’esame microscopico diretto.
La fase di continuazione della malattia, dopo negativizzazione dell’esame microscopico diretto, deve proseguire con almeno 4 farmaci per almeno altri dodici mesi o per almeno 18 mesi, dopo la negativizzazione dell’esame colturale, nei soggetti HIV+.
Di conseguenza la durata complessiva del ciclo terapeutico nei soggetti TB MDR/XDR non deve essere inferiore a 18/24 mesi.
L’OMS raccomanda la durata di almeno 18 mesi dopo la negativizzazione dell’esame colturale.
Un cenno a parte merita, quindi, a scopo di delucidazione, la classificazione delle forme di gravità della malattia tubercolare da cui dipende in larga misura la durata del trattamento intrapreso.
In genere la gravità della TB è determinata, nell’ordine, generalmente da:
Condizioni cliniche del paziente;
Carica bacillare;
Sede ed estensione della malattia tubercolare.
L’OMS considera gravi le seguenti forme di TB extrapolmonare:
meningea, spinale, miliare disseminata, pericardica, peritoneale, pleurica estesa o bilaterale, intestinale, genito-urinaria;
forme meno gravi sono considerate quelle:
linfonodali, pleurica monolaterale, osteoarticolare, cutanea.
In base al criterio radiologico la forma polmonare si può definire molto avanzata nei casi di lesione polmonare che superi con l’estensione i 2/3 di un singolo polmone o di entrambi in maniera omnicomprensiva.
Da ultimo va considerato che l’OMS definisce una priorità di trattamento in ordine decrescente, della TB nelle seguenti condizioni:
Nuovi casi di forme polmonari bacillifere, sotto il profilo infettivologico, ovvero forme polmonari estese non bacillifere, forme HIV+ ed extrapolmonari gravi;
Recidive o fallimenti terapeutici ovvero trattamenti interrotti in forme polmonari bacillifere;
Nuovi casi di forme polmonari non estese non bacillifere, e di forme extrapolmonari non gravi;
Casi cronici.
Una situazione assai rilevante ai fini della durata della terapia è sicuramente legata al trattamento della tubercolosi extrapolmonare.
In questo caso le indagini diagnostiche, a seconda delle diverse sedi coinvolte che riguardino, nell’ordine, i linfonodi ovvero determinati organi o apparati, sono essenzialmente da ritenersi la TC con o senza MDC, l’Ecografia, la RM, da effettuare con MDC in caso di localizzazione alla colonna vertebrale, le RX grafie, per la valutazione iniziale in taluni casi, l’URO TAC con MDC ovvero l’URO RM, per le forme genito-urinarie.
Per quanto riguarda nello specifico le terapie delle forme extrapolmonari è da considerare che i principi di base sono gli stessi delle forme polmonari.
La TBC extrapolmonare farmaco sensibile prevede un trattamento della durata di 2 mesi con quattro farmaci seguita da una fase di continuazione di 4/7 mesi con due soli farmaci per un periodo complessivo di terapia di 6/9 mesi salvo che non si tratti di situazioni meritevoli di un più intenso trattamento quali le forme osteoarticolari che arrivano fino a 12 mesi di trattamento nei soggetti HIV+, così come pure esattamente nella malattia disseminata e nella diffusione miliare, specie sempre nei soggetti HIV+; tutte le forme meningee necessitano di 12 mesi di trattamento.
Molto importanti ai fini diagnostici sono da ritenersi sia l’esame microscopico diretto che quello batteriologico della TBC.
In effetti il ruolo del laboratorio si rivela fondamentale nei protocolli diagnostici di casi di tubercolosi polmonare attiva o sospetta.
La diagnosi di certezza della tubercolosi è legata prioritariamente ad una diagnosi microbiologica ovvero ad un esame microscopico confermato da un esame colturale.
In caso di sospetta TBC polmonare si inviano 3 campioni di espettorato spontaneo, di almeno 5 ml per i quali viene richiesto l’esame microscopico e colturale per micobatteri.
In caso di forte sospetto clinico il laboratorio richiederà sui primi 2 campioni di espettorato i test di amplificazione degli acidi nucleici.
L’esecuzione dell’emocoltura per micobatteri è indicata solo nei seguenti casi:
Sospetta malattia disseminata e quadro radiologico di TBC miliare;
Positività HIV con forte sospetto clinico di TBC, per febbre prolungata, maggiore di sette giorni, CD4+ inferiore a 100/mm3, assenza di profilassi antitubercolari.
Nelle forme di sospetta localizzazione extrapolmonare l’esame colturale e i test di amplificazione degli acidi nucleici, a stretto giudizio del clinico, possono essere effettuati anche su altri campioni biologici; ad es. nelle sospette forme genito-urinarie la ricerca può essere effettuata sulle urine.
In tutti i casi di sospetta TBC extrapolmonare ci si può avvalere di biopsie e/o ago aspirati.
In caso di esame microscopico diretto positivo per BAAR il laboratorio provvede in ogni caso ad eseguire l’esame colturale con metodo classico, che necessita, purtroppo, di circa - 4-8 settimane o ancor più per la risposta, o anche utilizza un metodo rapido a rilevazione fluorimetrica, ovvero esegue, per accelerare i tempi della diagnosi, soprattutto nelle forme sospette tubercolari, indagini molecolari, quali il test di amplificazione degli acidi nucleici, utile ad identificare la specie di micobatterio.
In caso di esame microscopico diretto negativo per BAAR si eseguono tutti i predetti esami ad eccezione del test di amplificazione del acidi nucleici.
Tale ultimo test si effettua di norma su 2 campioni e sul loro esito va detto quanto segue:
Nel caso che entrambi i campioni risultino positivi la diagnosi di TBC attiva è confermata;
Nel caso di discordanza dei due campioni l’inizio del trattamento e dell’isolamento respiratorio si deve basare sul giudizio del clinico;
Nel caso di negatività di entrambi i campioni per il micobatterio tubercolare l’ipotesi di infezione tubercolare si allontana ma non è da escludersi a priori e ancora una volta ci si deve basare sul giudizio del clinico.
Mentre il test di amplificazione, ovvero l’utilizzo di metodiche di diagnostica molecolare si può effettuare sul campione di lavaggio bronco alveolare, lo stesso test non va utilizzato per monitorare l’efficacia della terapia antitubercolare.
E’ altresì vero che la negatività dello stesso test, eseguito su campioni non respiratori per le forme extrapolmonari, parimenti non esclude a priori la diagnosi di TBC.
L’evidenza scientifica della forte risposta immunitaria cellulo – mediata, che comporta un’alta produzione di interferone Y (gamma), in caso di infezione da parte del Micobatterio tubercolare, ha permesso di sviluppare nuovi test relativi alla diagnosi di infezione della malattia tubercolare.
E’ già in fase avanzata di validazione un test sul sangue che misura la quantità di IFN-Y, testato con metodo ELISPOT ed immuno – enzimatico, prodotto quale risposta dai linfociti T a delle componenti specifiche del micobatterio della tubercolosi, come ESAT – 6 e CFP – 10, presenti in ogni caso solo nel micobatterio tubercolosis e non in altri.
E’ stato, infatti, dimostrato che la risposta in vitro ai predetti peptidi selezionati, ESAT – 6 e CFP – 10, si associa alla tubercolosi in fase attiva, mentre nel caso di soggetti con TBC latente, già identificati dalla positività all’intradermoreazione alla tubercolina, Test di Mantoux, si verifica che gli stessi sono in grado di riconoscere solo la proteina intera di ESAT – 6 e CFP – 10, mentre non sono in grado di riconoscere i peptidi selezionati.
Pertanto la positività o la negatività del test, ossia l’esecuzione del test ELISPOT ed immunoenzimatico, utile alla diagnosi immunologica di infezione da malattia tubercolare, rappresentano un valido ausilio diagnostico per il clinico, pur non sostituendosi tale esame all’intradermoreazione tubercolinica, per la verifica della presenza di infezione tubercolare latente.
Ma sotto il profilo clinico, e ai fini dell’intrapresa del trattamento, va sottolineato che lo stesso test, dotato di elevata sensibilità e soprattutto di elevata specificità rispetto all’intradermoreazione di Mantoux può, in effetti, contribuire a confermare la diagnosi di TBC in fase attiva sia polmonare che extrapolmonare, laddove positivo, nei pazienti
con esclusivo sospetto clinico – radiologico di malattia tubercolare e con esami batterioscopici (microscopici diretti) e colturali negativi.
Un ulteriore uso nella clinica è altresì legato al monitoraggio dell’efficacia della terapia antitubercolare.
Il test attualmente più usato, basato sulla quantizzazione dell’IFN-Y che viene rilasciato dai linfociti T nel sangue periferico in risposta agli antigeni specifici del micobatterio tubercolosis attualmente disponibile in commercio è il QuantiFERON – TB Gold che utilizza il metodo ELISA su sangue intero.
Anche disponibile in commercio ma meno usato è il test T-SPOT.TB , che è il metodo ELISPOT su cellule mononucleate del sangue, che in qualche studio ha dimostrato una maggiore sensibilità nella diagnosi di infezione latente tubercolare, in caso di stretti contatti con pazienti affetti da TBC in fase attiva, rispetto al QuantiFERON – TB Gold.
E’ da considerare che anche il tempo occorso per fare diagnosi di malattia tubercolare è una variabile assai rilevante ai fini del buon esito del trattamento, in quanto più la diagnosi è precoce e più è efficace a fini terapeutici.
Ripercorrendo, quindi l’intero protocollo diagnostico è possibile sinteticamente verificare l’esatto iter diagnostico della malattia tubercolare sin dal primo sospetto.
Un semplice test cutaneo è rappresentato dall’intradermoreazione di Mantoux che, come noto, consiste nell’iniezione sotto cute di una sostanza chiamata tubercolina PPD, la cui risposta è normalmente ottenibile nello spazio di qualche giorno, dalle 48 alle 72 ore, con comparsa di gonfiori e chiazze eritematose nella zona di iniezione, ciò che rappresenta il segno della positività del test; le dimensioni in mm delle lesioni a chiazza, insieme ad un oculato esame dei fattori di rischio esistenti, legati alla presenza e progressione della malattia tubercolare in atto, ovvero all’eventuale presenza di contestuali infezioni in altri soggetti conviventi o, ancor più di manifestazioni cliniche nello stesso soggetto esaminato, possono rendere l’esatta misura dell’accuratezza diagnostica.
Del ruolo del test QuantiFERON – TB Gold e similari si è già discusso in precedenza, anche in relazione alla diversità del significato della risposta rispetto all’intradermoreazione di Mantoux, test che se positivo va correlato a tutti gli aspetti di tipo clinico, diagnostico e terapeutico, oltre a rappresentare il gold standard della prevenzione, per l’individuazione almeno delle forme di TBC latente.
Esso appare in ogni caso utile a confermare il sospetto diagnostico di TBC in fase attiva.
Il test di Mantoux può dare luogo a falsi positivi in caso di infezioni da micobatteri atipici, denotando in tal caso la sua non elevata specificità.
Se taluno di questi test preliminari risulta positivo, resta da verificare sia lo stadio della malattia tubercolare che la eventuale resistenza agli antibiotici.
Una radiografia del torace sarà, in tutti i casi, in grado di fornire più di una risposta al riguardo.
L’esame radiologico è in grado di individuare sia la presenza di piccole opacità, lesioni biancastre nel radiogramma, caratteristiche il più delle volte per sede e per aspetto, che la eventuale presenza di lesioni escavate più o meno estese, segno di una forma tubercolare polmonare in fase di attività batterica e con presenza di cavità aperte.
Sono predilette le zone apicali ma il clinico esperto sa che non è nemmeno da escludere in ogni caso un interessamento basale.
Un esame colturale è in grado di confermare la presenza del micobatterio della tubercolosi nell’escreato.
Il campione biologico dell’escreato del paziente viene, di norma, inviato in appositi laboratori dove i bacilli vengono fatti crescere in uno specifico terreno di coltura e sottoposti ad antibiogramma, per valutare la sensibilità ai vari antibiotici.
Purtroppo questa operazione, proprio per la nota lentezza dell’accrescimento dei batteri tubercolari può necessitare, come già anticipato, da 4 a 8 settimane per la risposta.
Ai fini di anticipare la risposta, si utilizzano test di amplificazione genica degli acidi nucleici sul cui significato e valore ci si è ampiamente soffermati in precedenza, potendo già gli stessi, in caso di positività sui due campioni, fornire la diagnosi di certezza dell’esistenza di una malattia tubercolare polmonare in atto.
Tale test viene anche utilizzato per verificare l’esistenza di geni associati alla resistenza batterica nel micobatterio tubercolare.
Nel caso in cui venga confermata la positività all’infezione tubercolare si procede al ricovero in ambiente ospedaliero specialistico per essere isolati e sottoposti ad opportuna terapia antibatterica tubercolare.
Già dopo pochi giorni di terapia antibiotica, la negatività della presenza di batteri nell’escreato potrà consentire di sospendere l’isolamento del malato.
Il paziente può poi, quindi, essere riammesso in comunità, come noto, dopo negativizzazione sull’escreato bronchiale di almeno 3 campioni in giorni successivi, ciò che rappresenta la fine del periodo di contagiosità del malato.
Va comunque considerata la possibilità, non infrequente, di falsi negativi, ovvero di risposta ritardata, fin oltre le 8 – 10 settimane, in caso di severa anergia dovuta a grave deficit immunitario, vaccinazione ravvicinata con virus vivi, forma grave tubercolare in fase avanzata, ecc., o, infine, anche errori di esecuzione dei test.
In ultima analisi la diagnosi di certezza di malattia tubercolare da micobatterio della tubercolosi tipica non appare sempre semplice e di immediata lettura, dal momento che solo in circa il 40 - 70 % dei casi, come già accennato in precedenza, l’esame colturale risulta positivo.
Pertanto la diagnosi di certezza di malattia tubercolare, considerati tutti i possibili elementi di cognizione a disposizione, va essenzialmente riservata ai seguenti casi:
Soggetti con malattia tipica tubercolare con esame colturale classico positivo ovvero con test di amplificazione degli acidi nucleici positivo nei due campioni esaminati;
Soggetti pur con esame colturale negativo ovvero con test di amplificazione degli acidi nucleici dubbio ( positività in un solo campione ) o anche negativo ma con manifestazioni cliniche molto espressive di patologia tubercolare in atto, sia relativamente alle forme polmonari che extrapolmonari, e che a giudizio del clinico siano state considerate e trattate come forme tubercolari tipiche e con esito favorevole, dopo trattamento antitubercolare secondo protocollo, sotto il profilo dei risultati clinici, classico criterio ex iuvantibus;
Soggetti già in precedenza etichettati come affetti da malattia tubercolare in caso di riaccensioni di malattie croniche o di recidive, sia in sede polmonare che extrapolmonare, in cui l’anamnesi e il contesto clinico ovvero la diagnosi del centro clinico di riferimento depongano in maniera pressoché univoca per una forma tubercolare tipica recidivata in atto, giovatasi nettamente del trattamento protocollare antitubercolare intrapreso.
Ai fini concettuali e definitori il cosiddetto “ criterio ex adjuvantibus “ è da reputare valido solo nel caso in cui, dopo adeguate terapie antitubercolari, si possa dimostrare, anche strumentalmente, un efficace miglioramento clinico entro 90 giorni dal trattamento, anche se lo stesso concetto può essere ancor più avvalorato, se rapportato ad un decorso e a manifestazioni cliniche tipiche della malattia tubercolare.
Il giudizio sull’avvenuta stabilizzazione o guarigione dalla malattia tubercolare, ai fini dell’interruzione della terapia antibiotica, richiede una ponderata disamina degli elementi di carattere anamnestico, clinico, prognostico, laboratoristico e radiodiagnostico tale da apparire inequivocabile, a tutti gli effetti.
Il giudizio clinico di stabilizzazione, ovvero guarigione clinica va rapportato, quindi, alla durata e intensità del trattamento e alla presenza o assenza di tutte le predette condizioni morbose, quali l’infezione HIV, la farmaco resistenza, la gravità e l’estensione della malattia tubercolare, particolari localizzazioni di sede di tipo extrapolmonare, ecc., tutti aspetti prognostici già citati in precedenza.
In effetti, l’indagine che si compie, in prima battuta, in caso di sospetto di malattia tubercolare, in presenza di sintomi più o meno tipici polmonari e sistemici, astenia, febbricola, ecc., è la radiografia del torace integrata o meno dalla TC, con o senza mezzo di contrasto, ovvero dalla TC ad alta risoluzione per le forme di più difficile diagnosi.
In realtà la diagnosi di certezza di malattia tubercolare è legata all’effettuazione di un esame microscopico sull’escreato del paziente, confermato da un esame colturale, il quale ultimo è l’unico in grado di dare una prova assoluta dell’infezione dovuta al M.
Tubercolosis.
In considerazione del fatto che l’esame colturale necessita di un tempo variabile tra le 4/8 settimane per la sua effettuazione e che il risultato non è positivo nella totalità dei casi, con una incidenza significativa, quindi, di molti falsi negativi appare quindi indispensabile seguire in tutti i casi l’intero iter diagnostico prescritto.
Pertanto, ad un esame microscopico diretto sull’escreato del soggetto ovvero su altri campioni biologici, di lettura più o meno immediata e in grado di accertare o meno la presenza di bacilli alcool acido resistenti (BAAR), fanno immediatamente seguito altri riscontri fra cui la rilevazione fluorimetrica e in particolare i test di amplificazione degli acidi nucleici di tipo molecolare in grado di anticipare una risposta positiva, in attesa dell’esito dell’esame colturale entro 4/8 settimane.
Un test di Mantoux alla tubercolina e meglio ancora l’esecuzione di test quali il QuantiFERON – TB Gold, con metodo ELISA o similari possono dare, unitamente alla sintomatologia clinica, sicuramente maggiore conforto all’ipotesi diagnostica di una TBC polmonare in fase attiva.
E’ da considerare in tutti i casi che la negatività di taluno dei test attuati non è in grado di escludere a priori l’esistenza di una malattia tubercolare per cui il quadro clinico di esordio, con manifestazioni cliniche molto espressive di malattia tubercolare in atto, sia per decorso che per criterio di sede, oltre al cosiddetto criterio ex iuvantibus, devono guidare l’indagine diagnostica.
La diagnosi microbiologica di certezza serve anche a distinguere le forme di micobatteriosi atipica dalla TBC classica, apparendo la tipizzazione del micobatterio tubercolare perciò indispensabile dopo l’esame colturale.
In definitiva, da un’analisi correlata di tutti gli elementi di cognizione e documentali esistenti è possibile risalire alla diagnosi di malattia tubercolare tipica.
ASPETTI CLINICI GENERALI E DATI EPIDEMIOLOGICI DELLA TBC IN ITALIA
Da un articolo dal titolo “Tubercolosi, sintomi, cause e contagio”, tratto dal sito
“Incontriamoci online!”, stampato 2011, è possibile sintetizzare gli aspetti salienti sotto il profilo infettivo e clinico inerenti, in generale, la malattia tubercolare.
Come è noto i sintomi principali che accompagnano un’infezione tubercolare sono dati da:
tosse o tossicola presistente, anche con escreato sanguigno (emoftoe);
calo ponderale, perdita dell’ appetito;
astenia;
febbricola, specie pomeridiana o serale;
dolori puntori toracici, a mo’ di fitte.
E’ possibile una diffusione della TBC per via ematica, con disseminazione, a volte miliarica, in altre parti del corpo rispetto ai polmoni, TBC extrapolmonare, con localizzazione specifica ai reni, al sistema linfatico, alla colonna vertebrale, con segni di compressione midollare in molti casi e dolori persistenti al rachide, alle meningi, alla cute, ecc..
La TBC renale si accompagna frequentemente ad ematuria.
Le forme extrapolmonari sono sempre di tipo secondario, successive, quindi, ad una prima infezione polmonare.
La diffusione della TBC in sedi extrapolmonari è più tipica dei bambini e delle persone immunodepresse.
La localizzazione primitiva è polmonare, la diffusione secondaria extrapolmonare avviene per via ematica.
Se non viene trattata in modo specifico e adeguato, la TBC può essere letale.
I danni polmonari sono irreversibili come anche quelli extrapolmonari, con possibili grosse complicanze cerebrali in caso di meningite.
La forma di infezione tubercolare più grave è, in ogni caso, la cosiddetta tubercolosi miliare o disseminata, che rappresenta una situazione di malattia diffusa generalizzata tubercolare.
Assai interessante, soprattutto sotto il profilo della prevenzione, è la disamina dei fattori di rischio, potendo la TBC colpire soggetti di qualsiasi età, sesso e classe sociale.
Esistono, comunque, degli importanti fattori di rischio in grado incrementare notevolmente il rischio di infezione e di condizionare anche lo sviluppo e la gravità della malattia tubercolare.
Un ruolo di primo piano, in tal senso, è rivestito da numerose condizioni endogene, ovvero dipendenti dall’ospite umano, capaci di deprimere il sistema immunitario, al punto da renderlo inidoneo a contrastare l’infezione tubercolare in modo efficace, trattandosi, in prevalenza di:
infezione da HIV (AIDS);
malattie autoimmuni;
condizioni di malnutrizione associate a concomitante immunodepressione
diabete mellito;
insufficienza renale cronica;
silicosi;
terapia sistemica cortisonica o altri farmaci immunodepressivi;
agenti farmacologici in grado di bloccare il Fattore di Necrosi Tumorale (TNF).
Esistono poi diversificati fattori di rischio generale o esogeno prevalentemente costituiti da:
stretto contatto con persone infette, come nel caso del personale sanitario, dove l’uso della mascherina ed il frequente lavaggio delle mani, limita, comunque, il rischio di contagio;
nascita o provenienza da Paesi dove l’incidenza della TBC è assai elevata;
età molto anziana, ovvero terza età;
abuso di sostanze stupefacenti;
malnutrizione a vario titolo;
mancanza o carenza di cure mediche adeguate.
Come accennato in precedenza, l’agente eziologico della TBC è il Mycobacterium Tubercolosis che si propaga, per contagio interumano, più raramente dai bovini infetti, ovvero che si trasmette, di norma, da persona a persona, attraverso le goccioline della saliva emesse, in prevalenza attraverso:
starnuti;
colpi di tosse;
fonazione;
baci, ecc. (goccioline di Flugge, che sono bollicine di vapore acqueo sospese nell’aria insieme agli altri gas).
Nel caso in cui una persona sana inali, attraverso i “droplets” o “droplets” nuclei, i bacilli della TBC, si possono verificare 4 diverse evenienze:
1. l’organismo, in virtù della capacità di una forte risposta immunitaria, è in grado di debellare prontamente l’infezione, per cui nel giro di qualche settimana riesce ad eliminare la totalità dei germi, grazie ad una robusta risposta immunitaria associata ad una reazione di tipo allergico;
2. l’organismo non è in grado di eliminare totalmente l’infezione TBC, per cui si sviluppa un’infezione latente, in modo tale che in alcune settimane il sistema immunitario riesce a contenere l’infezione, confinandola in uno stretto ambito biologico, grazie ai macrofagi infettatisi che costruiscono una specie di baluardo di aggregati di cellule immunitarie, che costituiscono il cosiddetto “granuloma”; i batteri rimasti vivi possono essere uccisi successivamente o restare quiescenti per mesi all’interno del granuloma, per cui il paziente risulta positivo ai test cutanei, non accusando sintomi e non essendo contagioso; qualora, però, intervenga una delle condizioni di accresciuto rischio, in modo acquisito, i germi si possono riattivare e provocare una malattia TBC anche a distanza di molti anni;
3. l’organismo appare debole, a fronte della carica batterica tubercolare del contagio, per cui si sviluppa, in tempi relativamente brevi, un’infezione attiva; in questo caso, se il sistema immunitario non appare in grado di debellare l’infezione, gli stessi batteri della TBC sono in grado di sfruttare le cellule macrofagiche o quelle infettate, ai fini della propria sopravvivenza; in tal modo all’interno del parenchima polmonare si possono formare delle vere e proprie cavità piene di germi (tisi) dove ristagna l’ossigeno per la loro sopravvivenza e riproduzione, che si aprono, successivamente, nei bronchi, dando luogo, in tale modo, alla cosiddetta TBC polmonare aperta; è a quel punto che può avvenire la diffusione dei batteri nell’ambiente esterno, proveniente dal materiale della cavitazione polmonare, che si propaga attraverso l’emissione di piccole goccioline di saliva, con la tosse, lo starnuto o il semplice atto di parlare; se la popolazione microbica raggiunge una carica sufficientemente consistente, allora può avvenire la propagazione, per via ematica, in tutto il corpo, con un tasso di mortalità di ben il 50 % nelle forme non sottoposte ad adeguato trattamento antibiotico; la malattia, da ultimo, può esitare in cronicità, con la presenza dei
tipici sintomi, in caso di riaccensione e progressione polmonare, con febbre, tosse ed emottisi, ovvero, in virtù dei trattamenti specifici farmacologici, andare ancora incontro ad una completa remissione clinica;
4. l’organismo, che non è stato in grado di debellare completamente l’infezione tubercolare, va incontro, a varia distanza di tempo, ad un processo di riattivazione di una TBC polmonare silente, con una recrudescenza clinica e sintomatologica della malattia TBC; ciò può, in particolare, accadere in concomitanza ad una temporanea o cronica debilitazione del sistema immunitario dovuta, ancora:
ad un abuso di alcool o di stupefacenti,
ad uno stato di denutrizione,
ad un trattamento chemioterapico antitumorale,
a malattie autoimmuni,
ad infezione HIV, con una maggiore gravità clinica, in questo caso,
ad un uso prolungato di corticosteroidi,
a denutrizione,
all’utilizzo di inibitori del TNF, sempre in caso di terapie antitumorali, ossia a tutta una serie di fattori precipitanti o predisponenti.
In effetti la TBC polmonare rappresenta una delle principali cause di morte in caso di AIDS conclamata, sia favorendo la diffusione dell’infezione che limitando le possibilità terapeutiche e le probabilità di sopravvivenza.
L’incidenza dei processi di riattivazione nelle forme silenti tubercolari è mediamente pari a 1/ 10 casi.
Infatti, dopo una fase di drastica riduzione dei casi di TBC polmonare, in toto, intervenuta nel corso dei decenni, grazie allo sviluppo di adeguati protocolli di terapia antibiotica, con uso contemporaneo di più farmaci, a partire dagli anni ‘80, grazie alla crescente diffusione del virus dell’HIV, si è assistito ad una netta recrudescenza di casi di TBC attiva.
Una ulteriore preoccupazione, sotto il profilo dell’incidenza epidemiologica, è derivata dall’aumento dei ceppi resistenti, ossia della cosiddetta “farmaco resistenza”, in rapporto a mutazioni casuali intervenute sui germi o all’ingresso di soggetti già farmaco resistenti, in quanto trattati in modo incongruo con mono somministrazioni antibiotiche nei rispettivi Paesi di provenienza, come quelli dell’Est, ciò che anche innescato ulteriori rimescolanze genetiche nei batteri della TBC.
Si distinguono, come anche indicato in precedenza, al riguardo, due principali ceppi di batteri resistenti che sono, nell’ordine:
la MDR – TB, ossia la forma multi resistente;
la XDR – DB, ovvero la forma estesamente resistente, ancora più pericolosa e difficile da trattare.
La forma MDR – TB, multi resistente, può essere debellata dai due più potenti antibiotici esistenti contro la TBC, ossia la rifampicina e l’isoniazide.
La forma può essere curata con successo ma il trattamento richiede una maggiore durata di somministrazione, fino a 2 anni complessivi di cura, con farmaci più costosi e maggiori effetti collaterali.
Ancora più difficile da trattare è la forma XDR – TB, estremamente resistente, meno comune della precedente, ma comunque in grado di resistere alla maggior parte dei farmaci antibiotici disponibili, anche a quelli di II^ Linea, con evidenti problemi di trattamento ed un’alta percentuale di insuccessi terapeutici.
Il costo complessivo di un singolo caso di XDR – TB, in USA, si stima nell’ordine di oltre 100 mila dollari, in termini di trattamento terapeutico.
Sono stati, di recente, segnalati, a tal proposito, in letteratura, casi di totale resistenza farmacologica.
Proprio in ordine alla limitazione della diffusione della malattia TBC e della riduzione dei danni organici indotti, appare di ovvia ed estrema rilevanza strategica ed epidemiologica, ancora una volta, una diagnosi quanto mai precoce di malattia tubercolare, esistendo, al riguardo, vari test.
Nel caso, quindi, di sospetto di malattia TBC polmonare occorre operare una completa valutazione del caso in specie, sullo stato di salute generale.
In Italia vige l’obbligo di notifica e di denuncia del caso diagnosticato.
Questa notifica da luogo, in genere, ad una serie di indagini epidemiologiche e a dei provvedimenti sanitari atti alla limitazione della diffusione della malattia tubercolare.
Il primo e più comune strumento diagnostico è dato da un semplice test cutaneo, che può essere condotto secondo due diverse metodiche.
La prima è il cosiddetto test di Mantoux, per cui viene iniettata, sotto cute, sull’avambraccio, una piccola quantità di una sostanza chiamata tubercolina PPD.
Entro le prime 48 – 72 ore dall’inoculazione viene valutata la comparsa, eventuale, di gonfiori e chiazze eritematose nella zona d’iniezione, ciò che rappresenta un indice della probabile positività del paziente.
In base alla grandezza delle chiazze rivelate e in rapporto ai dati salienti anamnestici e di possibile rischio infettivo si può stabilire l’accuratezza diagnostica del test, anche se non mancano casi di falsi positivi in soggetti del tutto sani da infezione TBC.
Ciò può accadere per infezione di TBC atipica, in caso di pregressa infezione completamente risoltasi clinicamente, per cui il test ne testimonia solo l’avvenuto precedente contagio, ovvero una pregressa vaccinazione con BCG (Bacillo di Calmétte e Guerin), più frequente in Paesi ad alta incidenza TBC.
Gli esami del sangue, fra cui il test al Gamma Interferone, servono per confermare l’avvenuta infezione da TBC.
Test di questo tipo utilizzano sofisticate tecnologie in grado di misurare la reazione del sistema immunitario al Mycobacterium Tubercolosis, fornendo un risultato più veloce e preciso del classico test cutaneo di Mantoux.
Qualora i test preliminari indichino la presenza di infezione tubercolare, è necessario eseguire successivi test, di II Livello, in grado di determinare lo Stadio della malattia, ossia forma attiva o non attiva, e, in particolare, capaci di determinare lo stato di resistenza o meno dei batteri agli antibiotici.
Il gold standard di questa fase diagnostica, per antonomasia, è costituito dalla radiografia standard del torace, in grado di evidenziare la presenza di piccole opacità calcifiche nelle regioni polmonari, prevalenti nelle regioni ilari con strie linfangitiche concomitanti (complesso primario) nel caso in cui il sistema immunitario sia stato in grado di limitare la diffusione dell’infezione TBC, nelle forme silenti inattive.
Inoltre la Rx standard del torace è in grado di individuare bene la presenza di caverne tubercolari, di natura verosimilmente secondaria, essendo la cavitazione estremamente rara nelle forme primarie che non siano molto aggressive e in tumultuosa evoluzione, di TBC polmonari in forma attiva.
In aggiunta, la TC, con ulteriore valore diagnostico, è in grado di individuare lesioni cavitarie di TBC attiva più piccole e di più difficile riconoscimento alla Rx standard del torace.
In ogni caso, la conferma diagnostica deriva solo dalla dimostrazione della presenza del micobatterio tubercolare, ossia dell’agente patogeno, nell’escreato.
Talvolta, con una broncoscopia, si può rendere necessario prelevare un campione di materiale batteriologico o istopatologico su cui potere compiere varie analisi.
Un esame culturale dell’escreato, in caso di positività della radiografia, può permettere di confermare o meno la presenza di micobatteri infettivi, laddove i bacilli vengono fatti crescere in uno specifico terreno di cultura e sottoposti ad antibiogramma, per valutare la sensibilità agli antibiotici.
Purtroppo questo tipo di esame, seppur valido, necessità di un tempo di almeno 4 – 8 settimane per ottenere una risposta al quesito diagnostico di infezione tubercolare attiva, essendo la velocità di crescita, ossia il tempo di divisione, dei batteri tubercolari particolarmente lenta, pari a 18 – 24 ore se confrontata con alcuni batteri che hanno un tempo di divisione di circa 1 ora.
Al riguardo esiste, perciò, un test diagnostico particolarmente avanzato che è costituito dall’amplificazione genica, ossia dall’amplificazione dell’acido nucleico batterico, ciò che permette di riconoscere anche i geni associati alla resistenza ai farmaci nel micobatterio tubercolare.
Un esame diretto microscopico, con evidenza di bacilli alcool – acido resistenti, spesso non appare sufficiente per una diagnosi di malattia tubercolare tipica, potendo lo stesso risultare positivo anche in caso di positività ai micobatteri atipici, che non rientrano fra le classiche infezioni tubercolari.
Nei Paesi in via di sviluppo si utilizza un test più semplice costituito dall’osservazione diretta microscopica della suscettibilità al farmaco, MODS, che consente di rivelare la presenza dei batteri tubercolari nell’escreato in appena 7 giorni.
Una volta confermata la positività al batterio della tubercolosi, si procede al ricovero del paziente in un ambiente specializzato, in isolamento.
Anche dopo pochi giorni di trattamento antibiotico specifico, è possibile assistere alla scomparsa dei batteri dall’escreato, ciò che giustifica la sospensione dell’isolamento.
La terapia andrà, però, protratta, per lungo tempo, secondo il piano terapeutico previsto dai protocolli internazionali, per la forma attiva in atto.
E’ bene notare che la riammissione scolastica e sociale è consentita solo dopo la negativizzazione dell’escreato almeno in tre campioni in giorni successivi, il che consente di sancire la fine della fase contagiosa della malattia tubercolare.
Talvolta il problema diagnostico può apparire di non facile soluzione in quanto le persone colpite da TBC possono risultare negative ai test diagnostici, in funzione di:
infezione recente, in quanto occorrono circa 8 – 10 settimane perché l’organismo reagisca ai test cutanei;
grave debilitazione del sistema immunitario;
recente vaccinazione con virus vivi;
TBC grave in fase avanzata;
errori nell’esecuzione del test, come un’iniezione troppo profonda.
Riguardo alle cure e ai trattamenti, va ben considerato che la terapia antibiotica, nel caso dell’infezione TBC, va protratta molto più a lungo rispetto agli altri trattamenti.
Il periodo di cura richiesto varia, di norma, a seconda dei casi, fra 6 e 9 mesi, potendo arrivare, nei casi più complessi e difficili, fino a 2 anni di trattamento consecutivo.
Il computo del periodo di cura viene debitamente pianificato dallo specialista medico in rapporto a:
età,
stato generali di salute,
gravità e localizzazione della malattia,
eventuale resistenza al ceppo batterico.
Nel caso di TBC latente, si può optare per il trattamento antibiotico preventivo di chemioprofilassi.
Ciò appare assai importante, soprattutto, nei soggetti più vulnerabili, ossia nei bambini piccoli e nei soggetti affetti da infezione HIV.
La chemioprofilassi prevede due schemi eventuali di trattamento, a base di sola Isoniazide TB, a dosi quotidiane o bisettimanali, per un periodo complessivo di 9 mesi, allo scopo precipuo di distruggere i batteri inattivi, onde evitare future possibili infezioni di TBC.
Nel caso di TBC attiva si preferisce optare per una terapia di multipli antibiotici specifici, basata, in genere su 4 antibiotici, ossia:
rifampicina,
etambutolo o streptomicina,
isoniazide e
pirazinamide.
Qualora la terapia non sortisca l’effetto voluto, con la guarigione clinica del soggetto, tali associazioni possono variare, con una diversa combinazione degli stessi farmaci, ovvero con l’associazione di farmaci di seconda scelta, Levofloxacina, Kanamicina, ecc., di tipo chinolonico o di altro genere.
Spesso, vista la lunghezza dei trattamenti, sono possibili effetti collaterali epatotossici, neurotossici o di altro tipo.
Esistono, poi, altre specialità farmacologiche utilizzate, accanto ai farmaci di I^
scelta, nei casi delle forme MDR – TB, multi resistenti, o XRD – TB, estremamente resistenti.
La terapia varia, in tali casi, dai 18 ai 24 mesi di trattamento, con costi di cura assai elevati, in tali situazioni cliniche.
Esistono, poi, dei problemi per la cura della TBC attiva nei soggetti sieropositivi o affetti da infezione HIV conclamata, in trattamento antiretrovirale, per le interferenze dei farmaci antitubercolari, in grado di ridurre l’efficacia dei predetti farmaci antivirali.
L’esito favorevole dei trattamenti dipende da:
entità della resistenza del ceppo batterico;
gravità della malattia TBC;
livello di compromissione del sistema immunitario del paziente.
In genere dopo poche settimane dall’inizio del trattamento, la maggior parte dei pazienti è da ritenersi non più contagiosa e le condizioni cliniche migliorano in modo apprezzabile.
Allo scopo di arginare la resistenza batterica, è stato messo a punto un protocollo di trattamento detto DOT (directly observed therapy) che prevede l’assistenza continua al paziente di un infermiere o di un operatore sanitario che controlla sistematicamente:
la progressione della malattia TBC,
la corretta e regolare assunzione dei farmaci,
gli effetti e l’efficacia degli stessi farmaci.
Alcune osservazioni sull’unico vaccino esistente per la TBC, ossia per il BCG, consentono di verificare che:
la vaccinazione con BCG è obbligatoria in molti Paesi del mondo;
ha un’efficacia di prevenzione assai prossima al 80 % dei casi, nei confronti delle forme infantili gravi;
la protezione conferita è massima solo nelle zone ad alta o altissima endemia TBC, mentre decresce nelle aree geografiche dove le infezioni da micobatteri TBC sono meno prevalenti;
il vaccino BCG risulta inefficace in età adulta.
Vista, in ogni caso, la notevole diffusione dell’infezione TBC nel mondo, sono in fase di sperimentazione diversi ulteriori vaccini anti TBC.
Un interessante contributo alla conoscenza della diffusione epidemiologica della TBC in Italia, sia rispetto al passato che allo stato attuale, anche in rapporto alle forme morbose prevalenti, oltre a quelle polmonari, deriva da un lavoro scientifico di raccolta dei dati esistenti dal titolo “La tubercolosi in Italia – Rapporto 2008”, a cura del Ministero della Salute e della Regione Emilia Romagna – Servizio Regionale Sanitario, dal quale è possibile desumere degli spunti assai interessanti sul tema epidemiologico trattato.
In base al rapporto indicato, si evidenzia come la malattia TBC sia una malattia relativamente rara in Italia, essendosi mantenuta l’incidenza della patologia a livelli più o meno costanti nell’ultimo decennio, pari a circa 10 / 100 mila abitanti o ancor meno, limite che rappresenta la soglia per definire un Paese a bassa incidenza sotto il profilo epidemiologico.
Dal rapporto, aggiornato alla fine del 2008, si evince che:
nel 2008 si sono verificati 4.418 casi notificati di TBC, in ambito nazionale;
si è avuta una diminuzione del 2,7 % dei casi rispetto al 2007;
nelle regioni del Nord si sono verificati il maggior numero di casi segnalati, con un trend della TBC apparentemente in aumento nel Nord e in calo nel Sud;
i casi concernenti le Regioni del Sud e le Isole sono meno del 10 % dei casi totali nazionali;
ben il 73 % dei casi segnalati riguardano Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia – Romagna e Piemonte;
il 25 % dei casi segnalati riguarda, da solo, le province di Roma e Milano;
il tasso standardizzato di incidenza è stato pari al 7,66 / 100 mila abitanti, nel 2008, rispetto al 7,88 / 100 mila abitanti, rilevato nel 2007, mentre il tasso grezzo nelle regioni a maggiore incidenza ha raggiunto il 10,0 / 100 mila;
nell’ultimo decennio si è rilevato un tasso standardizzato medio di incidenza del 9,6 / 100 mila, per i maschi, e uno di 5,9 %, per le femmine;
nell’ultimo decennio si è osservata una diminuzione dell’incidenza negli ultrasessantacinquenni, un lieve incremento nelle classi d’età di 15 – 24 anni e di