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SANITÀ AL FUTURO STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA. Una nuova terapia contro l'obesità. UROLOGIA Tumore al testicolo

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SANITÀ FUTURO AL

Numero 52 - Autunno 2021

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica

UROLOGIA

Tumore al testicolo

CHIRURGIA VASCOLARE

Donne e trombosi

NUOVE TECNOLOGIE

Radioterapia all'avanguardia

MAMMA & BAMBINO

Mamme over 40

STIMOLAZIONE MAGNETICA

TRANSCRANICA

Una nuova terapia contro l'obesità

(2)

indice

editoriale

ATTIVITÀ DI TELERIABILITAZIONE CON APPROCCIO

MULTIPROFESSIONALE

1

mamma e bambino DIVENTARE MAMMA

DOPO I 40 ANNI

12

Sanità al Futuro

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica Reg. Tribunale di Milano n. 336 del 19 maggio 2003

Direttore responsabile: Francesca Scollo, Direttore Comunicazione e Marketing, Gruppo MultiMedica Redazione: E. Bielli, L. De Giovanni, M. Hassan, S. Paganini, A. Perego, P. Villa

Editore: Fondazione MultiMedica ONLUS e-mail della redazione: info@multimedica.it

Seguici su: Progetto grafico e impaginazione: Stampa:

Gruppo MultiMedica Gruppo MultiMedica Ospedale San Giuseppe MultiMedicaONLUS

in-dolore ALLUCE VALGO:

UN PASSO AVANTI

CONTRO IL DOLORE

14

buono & sano

COME LEGGERE LE ETICHETTE DEGLI ALIMENTI SENZA

LASCIARSI INGANNARE

16

parlami di te

RICOSTRUIRE IL FUTURO

18

22

MultiMedica FLASH

21 20

ospedale amico IL BED MANAGER

IN PRONTO SOCCORSO

20

20

la posta del cuore

23

D

a diversi anni ormai i moderni percor- si riabilitativi si av- valgono sempre più di strumentazioni tecnologiche avan- zate che consentono ai pazien- ti di effettuare esercizi robotizzati, di utilizzare realtà virtuali e immer- sive adattative, fornendo un bio- feedback immediato dei risultati raggiunti.

In quest’ottica, il Dipartimento di Riabilitazione Neurologica del Gruppo MultiMedica si è sempre distinto per l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia e da circa un anno, presso il suo presidio di Limbiate, sta collaborando ad un importante progetto di Teleriabilitazione Multi- professionale. Inoltre, ha recente- mente sviluppato e implementato un sistema innovativo di Teleriabi- litazione che permette di erogare servizi di riabilitazione nei suoi di- versi ambiti (motoria, respiratoria, cognitiva, logopedica, sostegno psicologico e consulti in telemedi- cina) a pazienti e caregiver, diretta- mente al loro domicilio.

L’attività svolta da remoto permette a noi specialisti di proseguire il per- corso riabilitativo in tutta sicurezza, perché ogni fase viene monitorata e le possibilità di intervento, laddove necessario, sono immediate. I van- taggi per i pazienti sono altrettan- to tangibili e sempre più apprezzati, come il superamento delle difficol- tà logistiche che spesso inibiscono la possibilità di proseguire il tratta- mento stesso. Inoltre, questa “con- tinuità” consente il mantenimento dei risultati raggiunti al termine del ricovero riabilitativo e, conseguen- temente, un minor rischio di rica- dute e/o riospedalizzazione. A que- sti si uniscono anche i vantaggi per la collettività: riducendo i ricoveri per possibili ricadute, si abbassa- no i costi legati alla riospedalizza- zione e, quando queste tecnologie saranno utilizzate in modo più ca- pillare, registreremo anche un no- tevole abbattimento dei costi legati al trattamento riabilitativo in regime ambulatoriale.

Le modalità di funzionamento in Te- leriabilitazione sono due.

On-line. L’operatore del team ria- bilitativo è in grado di assumere il

controllo del sistema da remoto e di interagire in tempo reale con il pa- ziente tramite il sistema integrato di video conferenza bidirezionale.

Off-line. È possibile predisporre un programma di esercizi specifici che il paziente dovrà eseguire a domi- cilio, personalizzato sulla base del- le proprie difficoltà cognitive, logo- pediche e motorie. L’operatore del team può collegarsi in ogni momen- to al dispositivo domiciliare per rive- dere le prove eseguite e modificare il programma riabilitativo in funzio- ne della condizione del paziente.

L’utilizzo nella pratica clinica di mo- derni dispositivi interattivi può of- frire allo specialista la possibilità di seguire il percorso riabilitativo, co- gnitivo ed emotivo del paziente, non più solo a breve e medio termi- ne, ma anche a lungo termine.

Dunque la Telemedicina, e in parti- colare la Teleriabilitazione, possono contribuire ad avviare, proseguire e consolidare un legame di fidu- cia specialista-paziente, elemento fondamentale della presa in carico duratura di una Struttura Sanitaria verso il proprio assistito.

ATTIVITÀ DI TELERIABILITAZIONE CON APPROCCIO

MULTIPROFESSIONA LE

Bruno Conti e Franco Cosignani

Direttori del Dipartimento di Riabilitazione Specialistica e Neuromotoria, Gruppo MultiMedica

2

ricerca

LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS): UN INNOVATIVO TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ

2

ricerca

BIOMARKERS PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER:

DAL LIQUOR AL SANGUE

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chirurgia vascolare TROMBOSI:

PERCHÉ AMA LE DONNE?

6

urologia

TUMORE AL TESTICOLO:

DALLA DIAGNOSI

ALL'INTERVENTO

8

nuove tecnologie

RADIOTERAPIA: TECNOLOGIA ALL'AVANGUARDIA

AL SERVIZIO DEI PAZIENTI

10

SANITÀ FUTURO

AL

Numero 52 - Autunno 2021

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica UROLOGIA Tumore al testicolo CHIRURGIA VASCOLARE Donne e trombosi NUOVE TECNOLOGIE Radioterapia all'avanguardia MAMMA & BAMBINO Mamme over 40

STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA

Una nuova terapia contro l'obesità

20

cardiologia

MALATTIE CARDIOVASCOLARI:

L’IMPORTANZA

DELLA PREVENZIONE

22

(3)

LA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS):

UN INNOVATIVO TRATTAMENTO DELL’OBESITÀ

Livio Luzi

Direttore Dipartimento di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche, Gruppo MultiMedica/Università degli Studi di Milano

L’

obesità rappresenta un’emergenza sani- taria e sociale sia per il numero di vittime, in crescita costan- te, sia per i significa- tivi costi che la malattia e le com- plicanze cardio-metaboliche ad essa correlate comportano per la comunità. I dati più recenti parla- no, solo per l’Italia, di 18 milioni di adulti in sovrappeso  (35,5%) e  5 milioni di obesi, ovvero 1 persona su 10. Poter offrire a questi pazien- ti una terapia efficace e di sempli- ce somministrazione è sicuramen- te una sfida cruciale.

La stimolazione magnetica tran- scranica (TMS) è  una delle tec- niche di stimolazione neurale più impiegate nella cura delle dipen- denze, come quelle da fumo o al- col. Si tratta di un trattamento non invasivo né doloroso, eseguito ap- poggiando sul cuoio capelluto un casco o una bobina che applica una sollecitazione elettromagneti- ca a regioni ben precise del cervel- lo, generando a livello dei neuroni una microcorrente elettro-magneti- ca in grado di ripristinare gli equili- bri alterati. Nel 2019 un nostro stu- dio aveva dimostrato l’utilità della TMS per favorire la perdita di peso

negli obesi, senza tuttavia riusci- re a spiegare in dettaglio i mecca- nismi neurofisiologici che ne sono alla base, né l'efficacia a lungo ter- mine (fino ad un anno) di sole 5 set- timane di trattamento. 

Il trattamento con TMS consiste in 3 sessioni settimanali di 30 minu- ti per 5 settimane (quindi un totale di 15 sessioni) e viene praticato sia presso l’Ospedale San Giuseppe che presso l’IRCCS di Sesto San Giovanni. Durante il trattamento, il paziente indossa un caschetto leg- gero che viene centrato sulla cor- teccia prefrontale (area del cervel- lo che regola le azioni volontarie) e genera un campo elettromagnetico di frequenza ed intensità predeter- minate in modo tale da avere un ef- fetto eccitatorio sull’area cerebrale trattata. La metodica è assoluta- mente indolore e scevra di effetti collaterali, se si eccettua una mo- desta cefalea in una piccola per- centuale di pazienti che si risolve in genere spontaneamente in 1-2 ore.

L’esperienza finora maturata nei pazienti obesi trattati con TMS di- mostra che il trattamento di 5 set- timane determina un calo pondera- le medio del 9% del peso corporeo iniziale. Tale riduzione pondera- le perdura fino ad almeno un anno dall’inizio del trattamento TMS.

L’effetto a lungo termine può ave- re diverse spiegazioni: in primis, la TMS determina neuroplasticità a li- vello delle aree cerebrali stimolate.

Tale meccanismo spiegherebbe si- curamente il perdurare dell’effetto del trattamento oltre il termine del- lo stesso (5 settimane). Un nostro studio recente in cui i soggetti obe- si sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI) prima e dopo le 5 settimane, pubblica- to sulla rivista internazionale Nutri- tion, Metabolism & Cardiovascular Diseases, ha permesso di studia- re l’attivazione e le connessioni di specifiche aree del cervello (coin- volte nella regolazione del compor- tamento alimentare), in risposta a stimoli visivi correlati al cibo, prima e dopo il trattamento con TMS. Lo studio, randomizzato verso un trat- tamento Sham e in doppio cieco, è stato condotto in un sottogrup- po di 17 pazienti (6 dei quali affet- ti da diabete di tipo 2), sottoposti a 3 sessioni di TMS a settimana, cia- scuna di circa 30 minuti, per un to- tale di 5 settimane. L’interpretazio- ne dei risultati dello studio indica che la stimolazione elettromagne- tica bilaterale della corteccia pre- frontale attiva quella regione ce- rebrale, andando ad aumentare il controllo inibitorio sul consumo di

cibo e, indirettamente, attraverso un aumento delle connessioni ce- rebrali della medesima area, a re- golarizzare la produzione di  do- pamina. Ma non è tutto. Rispetto all’ipotesi iniziale, lo studio ha mes- so in luce un altro dato importante e inaspettato: la TMS provoca con- temporaneamente  anche un’inibi- zione della corteccia visiva, che porta il cervello a escludere la vi- sione di cibi appetitosi verso i qua- li il paziente aveva sviluppato una forma di dipendenza. Infatti, du- rante l’esecuzione della risonan- za magnetica funzionale, i pazien- ti sono stati esposti alla visione di immagini di cibi, precedentemen- te selezionati come preferiti, e han- no eseguito dei test per valutare la reattività verso tali stimoli. Nel cor- so della ricerca, ci siamo resi conto che la stimolazione magnetica an- dava ad agire anche sulla corteccia visiva, riducendo la sua attivazione e di conseguenza l’attenzione ver- so il cibo e la sua attrattiva. Que- sta scoperta, tanto sorprenden- te quanto affascinante, potrebbe stimolare ulteriori studi sulla rego- lazione dell’equilibrio fame-sazie- tà, che nell’obesità risulta alterato, mediante lo studio dell’effetto della TMS su altri sensi, come ad esem- pio l’olfatto e il gusto.

Altro meccanismo potenzialmen- te alla base dell’effetto a lungo ter- mine è una normalizzazione della composizione del microbiota inte- stinale. È infatti noto che sogget- ti affetti da obesità hanno una ri- duzione generalizzata delle specie batteriche che colonizzano l’in- testino e, soprattutto, hanno una prevalenza di quelle specie inte- stinali che producono molecole e composti ad azione pro-infiamma- toria i quali, passando dall’intestino al circolo sanguigno, contribuisco- no a determinare un’infiammazio- ne sistemica di lunga durata che è alla base delle complicanze cardio- vascolari dell’obesità. È altresì noto che esiste una connessione ed un

“dialogo” bi-direzionale tra cervello ed intestino: tali connessioni sono in massima parte dovute alla libe- razione di ormoni e neurotrasmet- titori. In un’ulteriore nostra ricerca appena pubblicata sull’Internatio- nal Journal of Molecular Sciences, abbiamo dimostrato come 5 setti- mane di trattamento con TMS de- terminano una normalizzazione del contenuto batterico intestinale spiegando quindi, almeno in parte, l’effetto prolungato nel tempo.

La terza ipotesi che stiamo va- lutando per giustificare scientifi- camente l’effetto a lungo termine

della TMS è un’azione sulla termo- regolazione. I soggetti obesi han- no un’alterata termoregolazione che determina da un lato un’altera- ta dissipazione di calore, dall’altro una ridotta spesa energetica per mantenere la normale temperatura corporea. Utilizzando una termo- camera a raggi infrarossi, abbia- mo valutato l’effetto di 5 settima- ne di trattamento mediante TMS sulla capacità di termoregolare dei soggetti obesi dimostrando, anche in questo caso, una tendenza alla normalizzazione.

In conclusione, il trattamento con TMS è efficace e determina con vari meccanismi un effetto duraturo sul calo ponderale in soggetti obesi.

Può essere utilizzato come singolo trattamento o può essere associato ad altri trattamenti dell’obesità (die- ta, farmaci o anche in caso di falli- mento di chirurgia bariatrica). Il no- stro Centro, che è stato il primo al mondo a proporre la TMS come te- rapia dell’obesità, è ora in grado di offrire questa nuova terapia alla po- polazione adulta dei soggetti affet- ti da obesità.

ricerca

Per appuntamenti SSN: 02-86.87.88.89

A pagamento: 02-999.61.999

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ancora lontani dalla definizione di uno standard di procedura.

I livelli di beta-amiloide (42 e 40) su liquor, che hanno dimostrato la consistenza maggiore nel diagno- sticare l’AD, sono stati ovviamente studiati anche nel sangue dei ma- lati, ma durante la prima decade degli anni 2000 i risultati in questo senso sono stati deludenti e ancora una volta contraddittori.

La tecnologia biochimica più avanzata dell’ultimo decennio ha consentito di evidenziare alcu- ni parametri (bassi livelli di beta- amiloide42 e ancor più bassi livel- li del rapporto fra beta-amiloide42 e altre forme di beta-amiloide non tossiche), che sembrano poter diagnosticare l’AD in modo suffi- cientemente accurato.

Anche il dosaggio ematico di pro- teina tau ha seguito le innovazioni tecnologiche più recenti divenendo via via più sensibile e specifico nel- la diagnosi di Malattia di Alzheimer.

In ogni caso sembra che la dimi- nuzione di beta-amiloide42 com- binata con l’incremento di proteina tau181 sia un pattern tipico della prima fase della malattia.

Sono in corso numerosi studi vol- ti ad analizzare il comportamento di altre proteine, lipidi e metaboli- ti ematici.

Attualmente non esistono terapie in grado di fermare la progressione della Malattia di Alzheimer, mentre è chiaro che le terapie in grado di prevenire lo sviluppo della malat- tia (ad esempio gli anticorpi mono- clonali) devono essere iniziate nella fase preclinica. È quindi necessa- rio indirizzare la ricerca ad appron- tare nuovi target per una diagnosi il più precoce possibile di un pro- cesso di malattia in corso, magari privilegiando campioni meno inva- sivi (sangue) o addirittura non inva- sivi (urine e saliva) in grado di esse- re utilizzati nella popolazione sana.

È facile pronosticare che i biomar- kers ematici costituiranno nei pros- simi anni gli oggetti privilegiati di studio per una diagnosi precoce e uno screening di rischio AD.

BIOMARKERS PER LA MALATTIA DI ALZHEIMER:

DAL LIQUOR AL SANGUE

Marta Zuffi

Direttore

Armando Gavazzi

Unità di Neurologia,

Ospedale MultiMedica Castellanza

Per appuntamenti SSN: 02-86.87.88.89

A pagamento: 02-999.61.999

F

ino ai primi anni 2000 la diagnosi di Malattia di Alzheimer dipendeva dai sintomi, dall’esame delle funzioni cogniti- ve e dall’esclusione di altre possibili cause di demenza.

Una diagnosi definitiva di Malattia di Alzheimer (Alzheimer’s Disease, AD) poteva essere posta solo post- mortem con l’esame autoptico del cervello che permetteva di rilevare la presenza delle placche senili (de- posizione di beta-amiloide) e grovi- gli neurofibrillari intracellulari.

Successivamente, l’immagine strut- turale dell’ippocampo mediante Risonanza Magnetica è diventata parte integrante del percorso dia- gnostico di un paziente con AD. Più recentemente è stata approvata a uso clinico una specifica applica- zione della Tomografia ad Emissio- ne di Positroni (PET-PiB) in grado di tracciare la presenza di beta-ami- loide nel cervello.

I farmaci attualmente in uso (riva- stigmina, donepezil, galantamina, memantina) hanno un effetto solo sintomatico che non sempre viene raggiunto.

Le più recenti sperimentazioni di farmaci contro la Malattia di Alzhei- mer si sono pertanto concentra- te su potenziali farmaci in grado di inibire la beta-secretasi, oppure ini-

bire la gamma-secretasi (gli enzimi che trasformano l’APP in una forma tossica di BetaAmiloide), oppure anticorpi monoclonali che si lega- no alla beta-amiloide per favorirne l’eliminazione per via renale (clea- rance).

Numerosi di questi studi, in uno dei quali è stata coinvolta anche l’U.O.

di Neurologia dell’Ospedale Mul- tiMedica Castellanza, sono arriva- ti fino alla fase 3 (di cui tutti abbia- mo sentito parlare a proposito delle sperimentazioni di vaccini anti-Co- vid), cioè la fase che coinvolge un

largo numero di pazienti.

Purtroppo questi studi hanno quasi tutti fallito nell’identificare un arre- sto o un sostanziale rallentamento della malattia, ma l’analisi attenta dei dati ha rilevato come l’errore sia costituito dalla scelta di trattare con queste molecole i pazienti già sin- tomatici, cioè quando il cervello è

già in sofferenza per la presenza di placche senili e grovigli neurofibril- lari e la malattia si è già manifestata nel quotidiano.

La strategia vincente sembra esse- re quella di trattare con questi com- posti i pazienti prima che sviluppino i sintomi della Malattia di Alzheimer (fase preclinica) oppure in una fase molto precoce della malattia (Mild Cognitive Impairment - MCI, carat- terizzato da sintomi lievi ed isolati di memoria).

Ecco quindi che nel prossimo futu- ro diventa fondamentale individua- re dei biomarkers in grado di iden- tificare i pazienti nella fase molto iniziale di malattia o addirittura nel- la fase di pre-demenza, cioè in per- sone che abbiano sintomi molto lie- vi o non abbiano ancora sviluppato sintomi.

Allo stato attuale, le metodiche ri- conosciute dalle Società Scienti- fiche americane ed europee qua- li markers biologici affidabili per i criteri da utilizzare nella diagnosi di AD, nella differenziazione fra AD e MCI e nella predizione di un suc- cessivo esordio di AD sono:

- la volumetria dell’ippocampo (tra- mite Risonanza Magnetica);

- la PET FdG (cioè quell’applicazio- ne della PET che utilizza il traccian- te glucosio alla ricerca di un ipome- tabolismo del cervello, tipicamente nelle regioni posteriori del cervello);

- la PET amiloide (che usa il trac- ciante chiamato PiB alla ricerca delle placche di BetaAmiloide);

- l’analisi del liquor cefalorachidia- no per la ricerca di diminuzione di beta-amiloide42 e l’incremento di proteina tau e tau iperfosforilata.

Tra queste, l’ultima è la metodica più facilmente applicabile e più so- stenibile nei costi per il Sistema Sa- nitario Nazionale.

Il liquido cefalorachidiano (CFS o liquor) è in contatto con lo spazio cerebrale extracellulare e quindi i cambiamenti biochimici nel cervel- lo trovano un riflesso nel CSF stes- so.

Un marcato decremento di beta- amiloide42 e un marcato aumento di proteina tau nel liquor sono at- tualmente usati per diagnosticare la Malattia di Alzheimer, anche se at- tualmente il parametro più accura- to nel differenziarla da altre malattie neurodegenerative (Malattia a corpi di Lewy diffusi, la Demenza Fronta- le, la Demenza Vascolare) sembra essere il rapporto ridotto fra beta- amiloide42 e beta-amiloide40.

Uno studio su persone affette da forme familiari della Malattia ha in- dicato che la riduzione di beta-ami- loide42 nel liquor inizia circa 25 anni prima dell’esordio dei sintomi, e che l’aumento di proteina tau nel liquor e i depositi di amiloide rilevati da PET PiB possono essere deter- minati 15 anni prima dell’inizio del- la malattia.

In conclusione, si può certamen- te dire che i biomarkers sul liquor sono stati studiati ormai per più di 20 anni e alcuni markers consisten- ti e solidi sono stati identificati per la diagnosi, la prognosi e in alcuni casi anche per la predizione della Malattia di Alzheimer.

La determinazione su liquor di que- sti biomarkers aumenta sensibil- mente l’accuratezza diagnostica ma non si può pensare di utilizza- re una metodica come questa su larga scala sulla popolazione sana, per l’invasività della puntura lomba- re per prelevare liquor.

Le analisi su sangue ovviamente sarebbero le perfette candidate per uno screening di massa, ma siamo

ricerca

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sfunzioni dell’endotelio della parete del vaso sanguigno. I fattori della coagulazio- ne del sangue (da I a XIII) sono proteine che servono a formare un coagulo che ha la funzione di arrestare un’emorragia o di guarire una ferita; ogni fattore attiva “a cascata” quello successivo, ma nello stesso tempo allerta gli anti-coagulanti, che debbono impedire una coagulazione eccessiva.

Se i fattori pro-coagulanti sono imperfetti o troppo abbondanti, o se gli anticoa- gulanti sono scarsi o malfunzionanti, il sistema può sfuggire al controllo e produr- re un eccesso di coagulazione, che porta alla formazione di un trombo. Un fat- tore V mutato (mutazione Leiden) può non essere in grado di allertare il sistema degli anticoagulanti, soprattutto in concomitanza con fattori di rischio interferen- ti, come la pillola, il fumo, la gravidanza, la circolazione venosa rallentata: la pro- babilità di trombosi in donne con la mutazione è più alta rispetto alle donne con un fattore V normale. Circa 2 donne su 100 hanno questa mutazione nella popolazio-

ne generale, ma non tutte debbono per forza sviluppare una trombosi: la mutazio- ne non è una malattia, è un difetto e provoca malattia solo se si accompagna ad

altri fattori di rischio. Quanto detto per il fattore V Leiden vale anche per la muta- zione della Protrombina.

La Metilen Tetra Hidro Folato Reduttasi o MTHFR è un enzima, uno spazzino che deve eliminare dal sangue l’eccesso di omocisteina, derivato dalla metio-

nina che assumiamo con il cibo. Se lo spazzino è difettoso (mutato), oppure non ha sufficiente “carburante” a disposizione (vitamine B) può non riusci-

re a far bene il suo lavoro: i livelli di omocisteina nel sangue aumentano con un conseguente aumento del rischio trombotico. Se l’omocisteina si mantiene bassa, anche in presenza di un enzima difettoso, il rischio di trombosi è uguale a quello di coloro che non hanno il difetto. Ele-

vati livelli di omocisteina possono essere normalizzati con l’utilizzo di vitamine del gruppo B. L’omocisteina sembra aumentare nelle fumatrici. Con il passare degli anni la parola d’ordine diventa pre-

venire. Con l’invecchiamento, naturale, inevitabile e progressi- vo, la pressione del sangue può aumentare: fra i 30 e i 45 anni

25 donne su 100 sviluppano ipertensione. Se viene identifi- cata presto, potrà essere corretta con interventi sullo stile di

vita senza ricorrere ai farmaci: consumando meno sale, ridu- cendo il peso, eliminando il fumo, aumentando l’attività fisi- ca. Negli ultimi 20 anni in Italia le donne fumano di più: 24

su 100. Non a caso si sono registrati più casi di trombosi coronarica nelle donne. Il fumo danneggia tutti gli orga-

ni, le arterie, i denti, le corde vocali e aumenta il rischio di sviluppare il diabete. Inoltre, riduce la riserva di os-

sigeno necessaria a tutte le cellule, alle fibre musco- lari, al cuore, al cervello, a tutti gli organi e provoca

l’aumento di alcuni fattori procoagulanti nel san- gue (VII, VIII, fibrinogeno).

Un recente studio ha sottolineato che le donne sot- to stress, scontente ed oberate di impegni e di

responsabilità (soprattutto se con bassi livel- li di autostima) corrono il rischio di andare

incontro a depressione: questo stato co- stituisce un ulteriore fattore di rischio.

In conclusione, penso che oggi essere donna sia una sfida con- tinua con gli impegni sociali, pro- fessionali e familiari; questo mette a dura prova l’universo femminile che come abbiamo detto è predisposto alla trombosi. Ma se la “trombosi ama le donne”, è anche vero che si può far fronte a questa con- dizione se “le donne amano se stesse” e la pro- pria salute.

TROMBOSI:

PERCHÉ AMA LE DONNE?

Massimiliano Martelli

Direttore Unità di Chirurgia Vascolare, IRCCS MultiMedica

F

ino a pochi anni fa le ricerche epidemiolo- giche avevano rassi- curato le donne sull’ag- gressività delle malattie vascolari, evidenzian- done una maggiore incidenza negli uomini, e lasciando supporre che le donne fossero protette, probabil- mente dagli ormoni femminili. Oggi è sempre più chiaro che le don- ne sono meno colpite dalle malat- tie vascolari fino ai 50 anni, ma con il passar degli anni perdono questo vantaggio.

Dopo la menopausa la protezio- ne legata all’assetto ormonale vie- ne meno, e lascia le donne espo- ste al rischio di incorrere in un ictus o in un infarto, spesso sottovaluta- to. Le arterie e le vene delle donne si ammalano quanto e come quel- le degli uomini: e quando la trom- bosi colpisce ha una prognosi net- tamente più sfavorevole. Le donne colpite da infarto o da ictus muo- iono più degli uomini: forse anche per un ritardo nella diagnosi e quin- di nella cura, legato alla diffusa ed errata convinzione che queste ma- lattie nelle donne siano meno pro- babili. In Europa 55 donne su 100 muoiono per malattie vascolari, e 40 uomini su 100: l’ictus è nell’uo- mo la terza causa di decesso, nella donna la seconda. Eppure solo 13 donne su 100 considerano le ma- lattie da trombosi come un nemico da combattere: la trombosi è inve-

Per appuntamenti

SSN: 02-86.87.88.89 A pagamento: 02-999.61.999 ce la minaccia più grave per la qua-

lità e per la durata della loro vita fu- tura. Credendo di essere protette, le donne fanno meno attività fisi- ca, non controllano il livello del co- lesterolo (40% oltre i 55 anni l’han- no elevato), né la pressione (oltre i 45 anni solo metà l’ha accettabi- le), fumano e non vogliono smet- tere, sono in sovrappeso, hanno il diabete e non lo sanno. Le don- ne sono diverse dagli uomini, non soltanto per l’aspetto anatomico, ma anche per le loro caratteristi- che biologiche e fisiologiche: sof- frono più spesso di anemia, hanno arterie più piccole che si ammala- no in modo più subdolo. Gli ormo- ni naturali che circolano nel san- gue di una donna in età fertile sono protettivi verso ogni forma di trom- bosi, mentre quelli sintetici (pillo- la, terapia ormonale sostitutiva) al contrario sono pro-trombotici. Il sovrappeso e l’obesità sono fatto- ri di rischio per malattie da trombo- si arteriosa e venosa. Inoltre, la gra- vidanza e la pillola contraccettiva aumentano la trombofilia (eccessi- va tendenza del sangue a coagula- re) per le under 30. La gravidanza provoca un rallentamento del circo- lo nelle vene delle gambe, perché il progressivo e inevitabile aumen- to di volume dell’addome compri- me le vene che riportano il sangue al cuore; gli ormoni della gravidan- za alterano l’equilibrio fra fattori pro e anti-coagulanti. Questo disordi- ne può, in alcune donne che hanno

una familiarità per trombosi o han- no un sistema della coagulazione già tendente a coagulare troppo, provocare una trombosi, di soli- to nelle vene delle gambe, a volte in altri organi. La trombosi comun- que anche in gravidanza può esse- re curata, con farmaci che non ol- trepassano la barriera placentare (EPBM) e non raggiungono il feto.

Le donne inoltre sono soggette a sviluppare un’insufficienza venosa cronica agli arti inferiori con vere e proprie vene varicose con una inci- denza 3-4 volte maggiore che nel sesso maschile. I contraccettivi or- monali possono favorire la trombo- si. Su 1000 donne che li utilizzano 5 rischiano di avere una trombo- si: essa si può manifestare in qua- lunque distretto, più spesso quel- lo venoso. Ogni donna può ridurre il rischio di trombosi correlato, sa- pendo, per esempio, che il fumo di sigaretta quadruplica il rischio di trombosi venosa in giovani don- ne che fanno uso della pillola anticoncezionale.

La triade di Virchow descrive le tre grandi categorie di fattori di rischio che si ritiene con- tribuiscano sinergicamente alla  trombosi: l’ipercoagu- labilità del sangue, le varia- zioni  emodinamiche  (il ral- lentamento di flusso, la stasi, le turbo-

lenze come nelle vene va- ricose) e le di-

chirurgia

vascolare

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vivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 67% dei casi nel gruppo a progno- si peggiore e del 96% nel gruppo a prognosi migliore. Si tenga pre- sente che la maggior parte dei casi alla diagnosi rientrano nel gruppo a prognosi migliore.

Dato che il principale fattore che definisce la prognosi è la diffusione della malattia, è vitale la diagnosi precoce (prevenzione secondaria).

In considerazione di quanto espo- sto, l'autopalpazione dei testicoli è di fondamentale importanza e do- vrebbe essere regolarmente ese- guita dai giovani adulti a cadenza periodica.

I

l tumore del testicolo rappre- senta l'1% di tutte le neoplasie dell'uomo. In realtà, per quan- to possa apparire diversamen- te, è una percentuale significa- tiva, in quanto riguarda per lo più i giovani adulti. Infatti, la sua in- cidenza è concentrata nella terza e nella quarta decade di vita.

Non esiste alcun stile di vita o fattore ambientale noto collegato all'insor- gere della malattia. Si sa solo con certezza che se un testicolo non è disceso alla nascita (condizione de- finita criptorchidismo) ha una mag- giore probabilità di sviluppare la ne- oplasia nel corso della vita. Invece l'impatto dell'ipospadia (ovvero la presenza del meato uretrale in posi- zione ventrale sul pene, un’anoma- lia congenita dell'apparato urina- rio), la sub/infertilità, la familiarità tra consanguinei di primo grado, sono fattori di rischio con un impatto de- cisamente minore e comunque non acclarato con certezza.  

Diagnosi

La diagnosi di solito è fatta dal me- dico su indicazione del paziente.

Infatti, nella maggior parte dei casi, la neoplasia si presenta come una massa intrascrotale, indolente, di nuova insorgenza, che insospetti- sce il paziente e lo porta alla visi- ta dal Medico di Medicina Generale prima e all'Urologo dopo. La dia- gnosi di sospetto è quindi esclusi-

vamente clinica. L'alfafetoproteina e la beta gonadotropina corionica sono dei marcatori dosabili trami- te prelievo ematico che, se elevati, rendono certa la natura neoplastica di una massa testicolare, prima an- cora dell’asportazione del tumore e dell’esame istologico da parte del Patologo. A supporto del sospetto clinico, in assenza di marcatori ele- vati, c’è l'ecografia doppler del te- sticolo, che solitamente dimostra una nodulazione intratesticolare ben vascolarizzata meno ecogena rispetto al tessuto sano circostan- te. Ulteriori indagini quali la tomo- grafia assiale computerizzata, la ri- sonanza magnetica nucleare o la tomoscintigrafia globale corporea servono a capire se la neoplasia è confinata al suo sito di origine, il te- sticolo, o diffuso altrove (stadiazio- ne della neoplasia).

Trattamento

Il trattamento del tumore del testi- colo è chirurgico e comporta l'a- sportazione del testicolo, dei suoi annessi e del cordone che lo col- lega all'addome che si chiama fu- nicolo spermatico. Raramente, in particolare per i pazienti con un solo testicolo e masse di dimensio- ni contenute totalmente intratesti- colari, è percorribile una chirurgia di risparmio con l'asportazione selet- tiva del nodulo. L'accesso chirurgi- co si ha attraverso un’incisione in- guinale centimetrica che consente

TUMORE AL TESTICOLO:

DALLA DIAGNOSI ALL'INTERVENTO

Angelo Naselli

Co-Direttore Unità di Urologia, Gruppo MultiMedica

l'accesso diretto al funicolo e quin- di ai vasi sanguigni che irrorano il testicolo. In caso di diagnosi dub- bia si procede a estrarre il testicolo e i suoi involucri dallo scroto e quin- di effettuare una biopsia del nodulo che viene immediatamente esami- nata dal Patologo. Diversamente, se la diagnosi è certa, si procede direttamente a legare i vasi, sezio- nare il deferente ed asportare funi- colo e testicolo. Alla fine della pro- cedura può essere introdotta una protesi in silicone nello scroto che simula la presenza del testicolo con finalità estetica e per limitare l’im- patto psicologico dell’asportazione dell’organo.

Prima e dopo l'intervento si esegue il dosaggio di marcatori di neopla- sia.  Il fatto che siano normali non esclude mai la presenza di una ne- oplasia ma se sono elevati la pro-

gnosi può peggiorare, in particolare se non si azzerano dopo l'asporta- zione del tumore.

Asportato il testicolo sarà esegui- to un esame istologico che servi- rà a tipizzare la malattia. Esistono 2 grandi gruppi di tumori al testi- colo, i seminomi e i non seminomi;

in generale i seminomi hanno una prognosi migliore a parità di diffu- sione della malattia rispetto ai non seminomi. Se la neoplasia interes- sa le linfoghiandole o si ha il ragio- nevole dubbio che possano essere interessate, sarà eseguita una che- mioterapia o una radioterapia. Se sono interessati altri organi la che- mioterapia rimane l'unica opzione.

In caso di persistenza di malattia la chirurgia rimane ancora una vali- da opzione per l'asportazione delle metastasi. In ogni caso la prognosi è sempre molto buona. La soprav-

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urologia

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bilità di cura per i nostri pazienti.

MultiMedica è da sempre attenta a questi aspetti e la sua struttura or- ganizzativa bene si presta a imple- mentare percorsi condivisi interdi- sciplinari”.

“Gli Stakeholders regionali”, con- clude Catalano, “vigilano costan- temente affinchè le Strutture Sani- tarie private accreditate si integrino adeguatamente alle Aziende Ospe- daliere pubbliche, in modo da ga- rantire percorsi di diagnosi e cura ottimizzati. Posso dire che la no- stra Radioterapia è da tempo un ri- ferimento costante per le altre real- tà del territorio, grazie a specifiche convenzioni stipulate con gli Enti ove questa risorsa non è disponi- bile. Per tale motivo considero que- sto aggiornamento non solo un im- portante risultato nell’immediato, ma anche un significativo punto di partenza a medio-lungo termine, allo scopo di consolidare la posi- zione che il nostro Gruppo ha rag- giunto in ambito oncologico nelle Province di Milano e Varese”.

RADIOTERAPIA: TECNOLOGIA ALL'AVANGUARDIA AL SERVIZIO DEI PAZIENTI

U

n’importante novi-

tà per tutti i pazien- ti oncologici dell’a- rea ovest milanese e della provincia di Varese. Nel corso dell’estate sono terminati i lavori di ristrutturazione e aggiornamento tecnologico del Servizio di Radio- terapia dell’Ospedale MultiMedica di Castellanza. Lavori che sono sta- ti fortemente voluti dal Direttore in- teraziendale della Radioterapia del Gruppo MultiMedica, dr. Gianpie- ro Catalano, e che hanno trovato il supporto della Proprietà e della Di- rezione del nostro Gruppo, anche in un periodo molto delicato come quello che stiamo vivendo.

In particolare, l’Acceleratore Linea- re (LINAC) del reparto è stato so- stituito con un macchinario di ulti- missima generazione. “Il Gruppo MultiMedica ha, da sempre, inve- stito ingenti risorse per dotarsi del- la migliore tecnologia disponibile”, spiega il dr. Catalano, “e questo nuovo macchinario ne è la confer- ma. Analogamente a quanto fatto qualche anno fa a Sesto San Gio- vanni, si è deciso di fornire ai nostri

pazienti quanto di meglio il mercato possa offrire.

Il nuovo LINAC, un Versa HD pro- dotto dalla multinazionale anglo- svedese Elekta, è attrezzato per l’esecuzione delle più moderne modalità di irradiazione; potranno essere quindi proposte tecniche a modulazione di intensità (Intensity Modulated Radiotherapy – IMRT), trattamenti di Radioterapia guida- ta dalle immagini (Image-guided Radiotherapy – IGRT) e di Radio- terapia stereotassica (Stereotactic Radiotherapy – SRT). Queste tec- niche sono oggi raccomandate per buona parte delle patologie onco- logiche, con grande risparmio dei tessuti sani e ridotta tossicità dei trattamenti. In aggiunta, l’elevata selettività offerta da queste meto- diche consente in molti casi di ese- guire la cura in un numero più ridot- to di sedute, con evidenti vantaggi biologici e logistici.

Un’ulteriore caratteristica di questa apparecchiatura è legata alla possi- bilità di emettere fasci di radiazione più “concentrati”, con una riduzione dei tempi di erogazione delle sedu- te. In tutti i LINAC è infatti presen- te un dispositivo, il “Flattening Fil-

ter” (filtro di attenuazione - FF), che serve a omogeneizzare l’energia e l’intensità del fascio di Raggi X du- rante l'erogazione di un trattamen- to convenzionale. Nei trattamenti stereotassici, per i quali è neces- sario somministrare in poche sedu- te (anche una sola sessione come nel caso della Radiochirurgia) ele- vate dosi di radiazioni ad un volu- me molto limitato, il FF condiziona la durata di ciascuna seduta e limi- ta l’efficienza del fascio di radiazio- ni. Il nuovo LINAC consente di eli- minare quando necessario questo dispositivo, con un aumento della dose erogata al secondo; ciò è par- ticolarmente vantaggioso nelle te- rapie polmonari, in cui è possibile eseguire il trattamento in un tempo molto limitato, minimizzando l’im- patto dei movimenti del tumore le- gati al respiro.

È evidente che queste metodiche siano molto più complesse rispet- to ai tradizionali trattamenti e per questo motivo, durante il periodo di sospensione dell’attività, è sta- to pianificato un training per tutto il personale sanitario coinvolto, sfrut- tando anche le competenze già acquisite nella sede di Sesto San

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rapie sono già sviluppate.

L’aggiornamento non ha riguardato solo il LINAC, poiché è stato ese- guito un upgrade complessivo dei sistemi di pianificazione dei tratta- menti e di tutta la piattaforma infor- matica che regola e controlla l’inte- ro processo di cura; queste attività sono state condotte in comunione con la sede di Sesto San Giovanni in modo da poter disporre in futuro di un Dipartimento di Radioterapia che, pur dislocato in due sedi, sia nei fatti una realtà tecnologicamen- te avanzata e omogenea”.

“Questo aspetto è di particolare im- portanza”, continua il dr. Catalano,

“poiché è noto quanto la tecnologia in Radioterapia sia fondamentale e che ancora oggi esista una grossa eterogeneità in questo senso lun- go il territorio nazionale. È giusto ricordare che la Radioterapia è in- dicata in oltre la metà dei malati di cancro, con uno scenario destinato ad aumentare; entro i prossimi cin- que anni, secondo una stima del- la Società Europea di Radioterapia, le indicazioni cliniche ai trattamen- ti radioterapici subiranno infatti un incremento di oltre il 15% rispetto

alle richieste attuali ed è necessario che le strutture dispongano di ap- parecchiature performanti. In ambi- to nazionale l’Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clini- ca, del cui Direttivo nazionale fac- cio parte, è molto attenta a que- ste problematiche e collabora con le Istituzioni per garantire un omo- geneo aggiornamento tecnologico e un adeguato sviluppo del know- how necessario. Proprio recente- mente il Ministero della Salute ha presentato i risultati di un rappor- to dal quale emerge che più del 30% delle apparecchiature per Ra- dioterapia abbia un’età superiore a 10 anni con un significativo impat- to sulla capacità di eseguire tratta- menti di ultima generazione.

Non va, inoltre, dimenticato che, sebbene le risorse economiche necessarie a implementare que- sto tipo di trattamenti siano ingen- ti, le voci di spesa per la Radiote- rapia sono di gran lunga inferiori a quanto richiesto per molti farmaci di nuova generazione.

In quest’ottica è importante ragio- nare con logiche di rete, integrazio- ne di competenze e di tecnologia, allo scopo di migliorare le possi-

Margherita Hassan

nuove

tecnologie

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DIVENTARE MAMMA DOPO I 40 ANNI

mamma e bambino

N

egli ultimi anni ab-

biamo assistito ad un evidente aumen- to dell’età mater- na, soprattutto per quanto riguarda la prima gravidanza. Tale fenomeno emerge chiaramente anche dai dati ISTAT che mostrano come nel 2018 l’età media delle mamme al loro pri- mo parto fosse di 31,2 anni, supe- riore di ben 3 anni alla media regi- strata nel 1995.

Nello stesso periodo i tassi di fe- condità sono cresciuti sensibilmen- te nelle donne di età superiore ai 30 anni, in contrapposizione alla con- tinua diminuzione tra le donne più giovani. Il fenomeno è ancora più accentuato considerando le sole cittadine italiane. Le ragioni di que- sto cambiamento sono comples- se e probabilmente alla base anche del marcato declino delle nascite nel nostro paese. Una delle conse- guenze dell’aumento dell’età ma- terna media consiste, almeno teo- ricamente, nell’aumento del rischio ostetrico, ovvero delle complicanze che possono verificarsi nel corso della gravidanza e del parto. Infat- ti l’età materna avanzata è consi- derata un fattore di rischio indipen- dente e significativo per molteplici complicanze ostetriche. Il tema è in realtà dibattuto, ed i dati scientifici ed epidemiologici non sono sempre facilmente ed univocamente inter- pretabili. Innanzitutto è importante sottolineare che non esiste un con-

senso unanime sulla definizione di età materna avanzata, generalmen- te definita come età materna supe- riore ai 35 anni, mentre al di sopra dei 40 anni si parla di età mater- na molto avanzata e dai 45 anni si parla di età materna estremamen- te avanzata. Questa stratificazio- ne anagrafica dovrebbe corrispon- dere a differenti profili di rischio, ma non sempre la frequenza delle com- plicanze ostetriche risulta distribui- ta in modo significativamente diver- so nelle tre fasce di età.

La maggior parte degli studi con- corda sul fatto che l’età materna avanzata sia legata ad un aumento di esiti avversi sia materni che peri- natali, come l’aborto spontaneo, la preeclampsia, il diabete gestazio- nale, le anomalie placentari, il ritar- do di crescita intrauterino (IUGR), la prematurità, la morte endouterina del feto (MEF) e il taglio cesareo ur- gente o di necessità.

L’età materna è certamente un fat- tore di rischio significativo ed indi- pendente per l’aborto spontaneo, che dopo i 40 anni si osserva in cir- ca il 25% delle gravidanze. Esiste una spiegazione biologica estrema- mente plausibile di questo fenome- no, che viene attribuito alla maggior frequenza di errori di separazione del materiale genetico nel processo che porta alla formazione dei game- ti femminili, la cellula uovo o oocita, che si verificano più frequentemen- te con l’avanzare dell’età mater- na. I feti che hanno nel loro mate- riale genetico questo tipo di errori

vanno più frequentemente incon- tro ad aborto, anche se una parte di essi, in modo particolare quelli af- fetti dalla cosiddetta Sindrome di Down, possono sopravvivere sino alla nascita e avere una vita adulta.

Ad oggi non conosciamo una solu- zione a questo problema ma dob- biamo limitarci allo studio del feto in utero mediante le cosiddette tecni- che di diagnosi prenatale, tecniche che possono essere diagnostiche o di screening. Queste ultime han- no conosciuto importanti progressi nell’ultimo decennio ed oggi sono considerate molto affidabili anche se non possono sostituire le classi- che procedure diagnostiche invasi- ve, come l’amniocentesi ed il pre- lievo dei villi coriali. Le tecniche di screening consistono nel test com- binato, ovvero la sintesi matema- tica dei risultati di un’ecografia e dell’analisi sul sangue materno di due molecole di origine placentare, e nell’analisi dei frammenti di DNA fetale presenti nel sangue materno, che permette mediante sofistica- te tecniche di genetica molecolare di stabilire il rischio di anomalie cro- mosomiche in modo molto accura- to. Queste tecniche possono esse- re impiegate anche nelle donne con età più avanzata, ma solo dopo una consulenza che spieghi in modo adeguato quale sia effettivamente il test più adatto al rischio specifico.

Le complicanze ostetriche diver- se dall’aborto nelle gestanti di età avanzata sono correlate non solo al processo di invecchiamento, ma

anche a fattori coesistenti come la gestazione multipla (spesso associata a tecniche di procreazione medicalmen- te assistita), una parità più elevata, e condizioni mediche croniche che hanno meno probabilità di essere osserva- te nelle donne più giovani. Infatti la prevalenza di malattie cardiovascolari, metaboliche, renali e autoimmuni, aumen- ta con l'avanzare dell'età. Queste condizioni rappresenta- no tutte fattori di rischio per la gravidanza e, insieme al sovrappeso, anch’esso più frequente nelle donne meno giovani, giustificano in buona parte l’aumento di esiti oste- trici e perinatali sfavorevoli osservati nelle donne con età più avanzata, in particolare dopo i 40 anni.

Un contributo significativo al notevole aumento di mamme con età al primo figlio superiore ai 40 e spesso anche ai 45 anni è dato certamente dalle tecniche di riproduzione as- sistita. In particolare il ricorso alle tecniche di procreazione eterologa ha permesso a molte donne di età vicina o su- periore a quella del fisiologico esaurimento del potenzia- le riproduttivo di ottenere uno o più concepimenti, renden- do relativamente frequente l’osservazione di gravidanze in età prima considerata ai limiti delle possibilità biologiche.

Nella sala parto dell’Ospedale San Giuseppe, situato in una zona centrale di Milano, città che è tra i centri con il più frequente ricorso alle tecniche di riproduzione assisti- ta, abbiamo osservato negli ultimi anni un crescente nu- mero di donne gravide in età avanzata. In particolare negli ultimi due anni 304 donne di età superiore ai 40 anni sono state seguite ed hanno partorito in San Giuseppe. L’ana- lisi degli esiti ostetrici e perinatali ha permesso di conclu- dere che la frequenza di complicanze significative non era chiaramente superiore in questo gruppo di donne rispet- to a quelle più giovani che hanno partorito nello stesso pe- riodo, pur registrando alcune differenze nelle complicanze minori. In particolare, nel gruppo di donne con età supe- riore a 40 anni è stata registrata una frequenza più elevata di ipertensione gestazionale, nati pretermine e tagli cesarei urgenti, ma non abbiamo osservato un aumento di casi di preeclampsia, diabete gestazionale, episiotomia, necessi- tà di trasfusione materna e ipossia fetale. Il maggior ricor- so al taglio cesareo in questa popolazione è apparso giu- stificato dalla maggior frequenza di induzione del travaglio e dalla propensione del medico, e della stessa paziente, a ricorrere più prontamente al taglio cesareo in presenza di potenziali elementi di rischio.

Dobbiamo quindi concludere che la gravidanza ed il parto dopo i 40 anni siano sicuri quanto nelle donne più giovani?

La risposta appare condizionata da due fattori principa- li: la popolazione in esame e le strategie preventive. Il bas- so tasso di patologie croniche preesistenti alla gravidanza nelle nostre mamme over 40 può in parte spiegare perché l’età materna avanzata non abbia avuto effetti significativi sulla maggior parte degli esiti ostetrici analizzati. In secon- do luogo tutte le pazienti meno giovani sono state seguite come gravidanze “a rischio” e strettamente monitorate nel corso della gravidanza.

In conclusione, possiamo ritenere che la gravidanza dopo i 40 anni possa essere un’esperienza sostanzialmente sicu- ra e con pochi rischi nelle donne che non presentano pa- tologie o condizioni di rischio note preesistenti, e a condi- zione che sia possibile effettuare un controllo attento della gravidanza e garantire un’assistenza adeguata al momen-

to del parto. Per appuntamenti: sportello.nascite@multimedica.it

Stefano Bianchi

Direttore del Dipartimento Materno-Infantile,

Ospedale San Giuseppe/Università degli Studi di Milano

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ALLUCE VALGO:

UN PASSO AVANTI CONTRO IL DOLORE

in-dolore

Andrea Berardi

Direttore dell’Unità di Ortopedia e Traumatologia, IRCCS MultiMedica

L'

alluce valgo  è una patologia evoluti- va molto comune dell’avampiede ca- ratterizzata da una deformazione a cari- co del primo dito del piede.

L’alluce appare deviato lateralmen- te verso le altre dita, con contempo- ranea sporgenza mediale del primo osso metatarsale.

Il cattivo allineamento assiale dell’alluce verso l’esterno gradual- mente provoca un’usura della car- tilagine articolare e una deformità interna dell’articolazione metatar- so-falangea, con comparsa di dolo- re e riduzione di movimento.

Cause

Le cause possono essere molteplici e si distinguono in congenite e ac- quisite.

Le congenite comprendono malfor- mazioni alla nascita (es. piedi piat- ti), ipoplasie delle ossa metatarsali, vizi assiali delle ginocchia (ginoc- chio valgo), ipotonie muscolari se- condarie a malattie neurologiche, predisposizione genetica (anamne- si familiare positiva).

Le acquisite sono da ricondurre ad utilizzo di calzature improprie per la fisiologia del piede (punta stretta, pianta stretta o tacco troppo alto) che costringono l’alluce a rimanere in una posizione innaturale, esiti di fratture a carico del piede, aumento ponderale di peso, alterazioni di po-

palpabili medialmente all’alluce. La patologia può evolvere con devia- zione laterale del primo dito sempre maggiore, sottraendo spazio al 2° e 3° dito del piede fino a sovra o sot- toporsi alle stesse o addirittura cau- sando un 2° dito a martello.

L’evoluzione della patologia eviden- zia sempre più frequentemente il dolore anche per attività e richieste funzionali modeste fino a presentarsi anche a riposo. La mobilità dell’allu- ce gradualmente si riduce per l’alte- razione elastica della capsula arti- colare, per la riduzione del mantello cartilagineo e per la formazione di asperità ossee della metatarso-fa- langea, chiamate osteofiti.

Una delle complicanze dell’alluce artrosico non trattato è l’alluce rigido con radicale modifica dell’eventua- le trattamento chirurgico (artrodesi).

È sempre più difficile utilizzare le calzature, che gradualmente produ- cono alterazioni di forma e obbliga- no il paziente a ricercare scarpe de- dicate o compatibili con la propria deformità.

Diagnosi

Generalmente, l'osservazione  clini- ca è sufficiente per diagnosticare l'alluce valgo, in quanto la deformi- tà risulta chiara e ben evidente. La valutazione clinica con l’anamne- si e con l’esame obiettivo deve evi- denziare la qualità elastica dell’ar- ticolazione metatarso-falangea dell’alluce, lo stato di libertà delle stura o importante regressione del

tono muscolare, retrazioni elasti- che del tendine achilleo, patologie reumatiche come l’artrite reumatoi- de o la gotta, alcune malattie neuro- muscolari o del tessuto connettivo spesso su base autoimmune.

Manifestazione

È una patologia che colpisce più fre- quentemente le donne rispetto agli uomini e si manifesta maggiormen- te in età evoluta o comunque dopo la quinta decade di vita.

Le fasi iniziali della patologia si ma- nifestano con progressiva deformi- tà dell’asse meccanico dell’alluce con modesta sintomatologia doloro- sa, spesso indotta dall’utilizzo di cal- zature con tacco rialzato e avampie- de stretto. Posizioni a lungo in piedi, lunghe camminate o attività sportive come il running possono scatenare fasi dolorose. Tale condizione, spes- so intermittente, soprattutto nella donna può durare anni. Con il pro- gredire della patologia la deformità si evidenzia sempre di più accompa- gnandosi ad ispessimento mediale della pelle alla base dell’alluce.

La pelle appare dura e callosa, oc- casionalmente arrossata a cau- sa della formazione di una borsite metatarso-falangea secondaria alla sporgenza ossea.

L’osso della testa del primo me- tatarso gradualmente aumenta di spessore e volume, producendo deformità e protuberanze visibili e

Per appuntamenti SSN: 02-86.87.88.89

A pagamento: 02-999.61.999 dita limitrofe, delle articolazioni del

meso e retropiede.

È importante rilevare le caratteristi- che posturali del paziente, le linee di lavoro in carico e in dinamica del piede e della caviglia. La diagnosti- ca radiologica deve essere eseguita con radiografie in carico con proie- zioni dorso–plantari ed eventualmen- te con l’ausilio di una risonanza ma- gnetica nucleare (RMN) per valutare al meglio la vascolarizzazione os- sea delle teste dei metatarsi o lo sta- to di usura della cartilagine articola- re, qualora vi fosse il sospetto di una necrosi ossea metatarsale.

Trattamento

La scelta del trattamento dipende dalla genesi della deformità, dalla gravità del disturbo e dalla quanti- tà del dolore provocato.

Nei casi meno gravi si può prevede- re un trattamento conservativo che consiste nell’uso di calzature como- de che permettano alle dita dei pie- di di avere molto spazio.

Trattare alterazioni posturali con te- rapia fisica e ginnastiche di allun- gamento muscolotendineo dell’a- chilleo e tonificazione dei muscoli cavizzanti del piede, ginnastiche as- sistite e autogestite di mobilizzazio- ne articolare delle dita del piede.

Nelle fasi iniziali possono essere utili tutori separadito di neutralizza-

zione delle deformità per rilassare la capsula articolare alla notte, uti- lizzare dei cuscinetti separa dita e plantari correttivi di sostegno del- la volta plantare per distribuire uni- formemente il peso del corpo e la pressione nella deambulazione.

Utilizzare farmaci antidolorifici, po- mate antinfiammatorie (FANS) ed eventuali trattamenti locali con FANS in presenza di borsite meta- tarso-falangea.

La terapia definitiva in condizioni non migliorabili o correggibili con il trattamento conservativo diventa chirurgica con l’intento di restituire all'alluce il suo asse e la posizione anatomicamente corretta attraver- so la rimozione del tessuto osseo in eccesso e la correzione ossea me- tatarsale e/o falangea (osteotomia).

L’ospedalizzazione può essere ge- neralmente in regime di Day Hospi- tal, l’anestesia è generalmente lo- coregionale o spinale. La chirurgia prevede una attenta e corretta pia- nificazione pre-intervento per poter eseguire la tecnica chirurgica più appropriata.

La correzione metatarsale preve- de un’incisione cutanea per poter esporre l’articolazione ed esegui- re la resezione ossea (osteotomia) nella sede ritenuta più opportuna.

Sono a disposizione del chirurgo svariate metodiche per effettuare

l’osteotomia. La stabilizzazione os- sea della nuova e corretta posizione si ottiene con l’infissione (osteosin- tesi) di vitine o fili metallici in titanio.

Oggi sono possibili tecniche con metodica tradizionale definita a cie- lo aperto e tecniche di mini invasivi- tà che riducono l’incisione cutanea e favoriscono la velocità di guarigio- ne. Ovviamente le metodiche sono molto soggettive, opinabili dal chi- rurgo e dal grado di deformità e cor- rezione ossea da eseguire.

Il trattamento post operatorio pre- vede un carico immediato con scar- pe/pantofole post-operatorie  dedi- cate da portare per 4 settimane ed un’eventuale assistenza delle stam- pelle in base alle capacità di coor- dinazione e di equilibrio del pazien- te. A 4 settimane viene eseguito un controllo radiografico e clinico, si valuta il corretto decorso delle osteotomie, si abbandona la scar- pa post-operatoria per tornare gra- dualmente ad una calzatura como- da. Il ripristino di condizioni normali in assenza di gonfiore e una piena ripresa dell’attività fisico-sportiva non avviene generalmente prima di 3 mesi circa dall’intervento.

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catturare il vostro interesse.

Le informazioni presenti sull’eti- chetta descrivono sia le sostan- ze nutritive che le calorie in esso contenute: essere educati ad una spesa consapevole è un atto di re- sponsabilità sia verso il nostro be- nessere che a tutela di chi con noi condivide il pasto. Un corretto regi- me alimentare migliora infatti lo sta- to di salute sia in termini di terapia che di prevenzione di molte pato- logie, come l’obesità e le patologie metaboliche correlate.

COME LEGGERE LE ETICHETTE DEGLI ALIMENTI SENZA LASCIARSI INGANNARE

buono

& sano

Angela Valentino

Biologa - Nutrizionista,

Ospedale MultiMedica Castellanza

prodotti può determinare un mag- gior introito di grassi che, se ecces- sivo, può aumentare il rischio car- diovascolare.

I prodotti senza lattosio sono “pre- digeriti”, non presentano il latto- sio ma le sue unità già digerite (glucosio+galattosio). Per evitare quindi spiacevoli sintomi, essi sono indicati solo nei soggetti intolleran- ti che non hanno la lattasi, ovvero l’enzima utile a digerirli.

Quindi, quale prodotto è migliore?

Innanzitutto, scegliete alimenti con una lista degli ingredienti breve, in- dice di un prodotto di buona qua- lità e non processato. Visto che le patologie più presenti nella nostra popolazione sono obesità, diabe- te di tipo 2, dislipidemie e iperten- sione, è bene cercare di consumare alimenti con un valore medio-bas- so relativamente a zuccheri, gras- si e sale. Questo è importante an- che nella scelta delle merendine e snack per i più piccoli.

Quindi, prestate attenzione al con- tenuto di grassi saturi, zuccheri e sale e prediligete alimenti che ri- spettano le indicazioni riportate nella tabella che trovate inquadran- do il QR Code (vali-

da per i prodotti che hanno tutti i nutrienti e non sono sbilancia- ti verso uno solo: non

si può applicare ad esempio per la marmellata).

Inoltre, non fatevi ingannare dal- la dicitura “light”: spesso è meglio mangiare quantità inferiori del pro- dotto originale che doppie del cor- rispettivo.

Non fidatevi delle scritte “senza/a ridotto contenuto di… ad es. zuc- cheri”, meglio rileggere l’etichetta poiché se tra gli ingredienti com- pare sciroppo di glucosio/fruttosio/

d’agave, miele, destrosio, mal- tosio o amido di mais, l’alimento contiene indirettamente zucche- ro. Confrontate sempre il prodot- to specifico con il prodotto norma- le, valutando se davvero l’alimento è migliore.

Inoltre, in assenza di intolleranze non ha alcun senso utilizzare pro- dotti senza lattosio o senza glutine, che per altro sono anche più costo- si.

Infine, non fatevi ingannare dal packaging studiato a tavolino per

L’

etichetta alimentare è come la carta d’i- dentità del prodotto:

in essa, il produttore descrive le caratteri- stiche, le informazio- ni essenziali e non, e nello stesso tempo orienta il consumatore nel- la scelta del prodotto stesso in ter- mini di qualità e consapevolezza.

In questo modo, il consumatore da passivo diviene attivo nella scel- ta degli alimenti che andranno a condizionare la sua educazione ali- mentare.

Avete mai provato a leggere un’eti- chetta alimentare?

Accade spesso di acquistare un alimento per gusto, piacere o “in- fluenza pubblicitaria” e non perché sia stata visualizzata la sua etichet- ta riportata sulla confezione. Altre volte ancora è la confezione stes- sa del prodotto a catturare l’atten- zione, riportando un’indicazione approssimativa e non necessaria- mente riferita all’aspetto reale del prodotto.

È importante leggere con attenzio- ne l’etichetta, ma spesso la fretta, la pigrizia, i caratteri piccoli, le im- magini ingannevoli e l’ampia offer- ta dello stesso prodotto prendono il sopravvento e quel piccolo elenco che custodisce informazioni davve- ro importanti non viene considera- to.

Questa piccola guida ci permette- rà di acquistare i prodotti con la fi- nalità di perseguire un acquisto in-

formato e incline alla qualità degli alimenti e delle loro caratteristiche nutrizionali e organolettiche.

L’etichettatura dei prodotti alimen- tari è disciplinata da una serie di provvedimenti europei e nazionali:

per permettere al consumatore di accedere facilmente alle informa- zioni sul prodotto, l’etichetta deve essere chiara, leggibile e compren- sibile, e deve riportare una serie di indicazioni obbligatorie. Ecco alcu- ne utili regole da seguire.

1. Attenzione alla scadenza!

La data di scadenza è una delle pri- me indicazioni da guardare, permet- te di limitare lo spreco, ottimizzan- do la spesa e il successivo utilizzo a casa. È fondamentale controllarla soprattutto se il prodotto non verrà utilizzato nel breve periodo e ricon- trollarla prima del consumo.

È opportuno distinguere tra:

- data di scadenza: indicata con

“Da consumare entro il…”. Rappre- senta il limite massimo oltre il qua- le il prodotto molto deperibile non deve essere consumato per non in- correre in rischi legati alla salute;

- termine minimo di conservazio- ne (TMC): indicato con “Da consu- marsi preferibilmente entro il…”. In questo caso il prodotto può esse- re consumato anche qualche giorno dopo la data riportata senza rischi per la salute, in quanto si verifica solamente un cambiamento delle proprietà organolettiche come sa- pore e odore.

Per appuntamenti SSN: 02-86.87.88.89

A pagamento: 02-999.61.999 2. Leggi l’elenco degli ingredien-

ti, indice di qualità sensoriale È importante osservare la lista de- gli ingredienti con cura poiché sono riportati in ordine decrescente di quantità. Ciò significa che il primo ingrediente dell’elenco è più ab- bondante del secondo, il secon- do del terzo e così via. Paragonan- do l’ordine degli ingredienti di due prodotti simili è possibile farsi un’i- dea su quale dei due sia qualitati- vamente migliore. Ad esempio, me- glio stare alla larga da una crema spalmabile che ha come primo in- grediente lo zucchero, meglio pre- ferirne una che ha come primo in- grediente le nocciole.

Inoltre, questo elenco è importan- te anche per identificare gli allerge- ni riportati in grassetto, soprattutto nel caso di allergie.

3. Conserva correttamente gli ali- menti come indicato sull’etichet- ta

È importante conservare corretta- mente gli alimenti dopo l’apertura al fine di preservare l’integrità del prodotto ed evitare sprechi.

4. Controlla il peso netto/sgoc- ciolato dell’alimento

Spesso le dimensioni delle confe- zioni possono ingannare.

5. Leggi la dichiarazione nutrizio- nale, indice di qualità nutrizionale Oltre agli ingredienti, sull’etichetta è riportata la tabella con i valori nu- trizionali: valore energetico (espres-

so sia in kJ che kcal), grassi (di cui saturi), carboidrati (di cui zuccheri), fibra, proteine e sale, sia per 100g di prodotto che per la singola por- zione (ad es. una barretta, un va- setto di yogurt).

Il consumo eccessivo di grassi sa- turi, zuccheri e sale ha una correla- zione con problemi nel campo car- diovascolare, per questo meglio limitare il consumo di grassi saturi a non più del 10% dell’apporto ener- getico totale, gli zuccheri semplici a non più del 12% e il sale a meno di 6 gr al giorno.

Inoltre, ogni produttore può inte- grare l’etichetta con informazio- ni facoltative (“claims”, indicazioni nutrizionali e sulla salute), in modo da valorizzare il proprio prodotto e dare la possibilità al consumatore di fare scelte mirate alle sue neces- sità, ad esempio “senza zucche- ri aggiunti”, “a basso contenuto di grassi saturi”.

In sintesi:

- “a basso contenuto…”: l’alimento contiene quel nutriente in quantità maggiore rispetto ad alimenti con la dicitura “senza”.

- “a ridotto contenuto…”: l’alimento contiene quel nutriente in quantità inferiore del 30% rispetto alla ver- sione classica.

- “senza…”: l’alimento contiene quel nutriente in quantità vicina allo zero.

Inquadrando il QR Code con il vostro cellulare potrete vi- sualizzare una tabel- la di approfondimen-

to con il significato delle principali indicazioni nutrizionali.

Miti da sfatare

Light, senza glutine e senza lattosio è più sano?

La dicitura “Light” non è indice di più “sano”; infatti, per rendere un alimento light si va a togliere un in- grediente per poi aggiungerne un altro (zucchero/grassi/sale). Spes- so, togliendo i grassi si necessi- ta l’aggiunta di zuccheri per rende- re il prodotto più appetibile. Quindi, seppur meno calorico, un prodotto light potrebbe contenere un ecces- so di zuccheri o sale.

Così come i prodotti light, i prodot- ti senza glutine hanno un’aggiun- ta in grassi per migliorarne la con- sistenza, per cui prediligere questi

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