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Giornate di Studio Interdisciplinare IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI NELLE AZIENDE SANITARIE, NELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE E NEI SERVIZI.

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Giornate di Studio Interdisciplinare

IL RISCHIO DA AGENTI BIOLOGICI NELLE AZIENDE SANITARIE, NELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE E NEI

SERVIZI.

Torino 14-15-16 Settembre 2000

RISCHIO DA EPATITE VIRALE B E C NEL

COMPARTO SANITA'. ESPERIENZA IN UNA AZIENDA SANITARIA DELLA SICILIA ORIENTALE

Dr.ssa L. Proietti, Dr. S. Giarrusso, Dr. B. Longo, Dr. D. Duscio Sezione di Medicina del Lavoro Università di Catania

Riassunto

Sono stati sottoposti a controllo dei marcatori per l’epatite virale B e C 1800 dipendenti di una Azienda Sanitaria della Sicilia Orientale. La positività per i markers dell’epatite C è stata del 2.1%, valore vicino alla media nazionale; quella per HBV, con 1.3% di positività per HbsAg e 5.8%

di positività per HBcAb, appare superiore alla media. Bassa è risultata essere la percentuale di vaccinati : 25%.

Parole chiave: Marcatori epatite, rischio biologico Summary

Hepatitis B and C markers were determined in 1800 hospital workers exposed to biological risk. Prevalence of hepatitis C markers were 2.1%, not different from average, whereas hepatitis B markers showed a prevalence higer than average: HbsAg 1.3%, HBcAb 5.8%.

Sensitization to hepatitis vaccination was low, in fact percentage of vaccinated subjects was 25%.

Key words: Hepatitis markers, biological risk

Ricercatore Medicina del Lavoro Università di Catania

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Introduzione

Il rischio, cioè la probabilità matematica che un certo evento si verifichi, è presente nella vita di tutti i giorni e quindi anche nell’attività lavorativa.

Per rischio lavorativo, in particolare, si intende una noxa peculiare del ciclo produttivo o una noxa non specifica cui una determinata categoria di lavoratori è esposta con maggiore probabilità rispetto alla popolazione generale; è questo il caso del rischio biologico per il quale esistono differenti categorie di esposizione alcune delle quali hanno livelli di rischio che confinano con quelli della popolazione generale.

Le attività lavorative nelle quali si è esposti ad agenti biologici vengono distinte in due grandi categorie:

1. Attività che comportano uso od impiego diretto di agenti biologici: i microrganismi vengono deliberatamente introdotti nel ciclo lavorativo per essere manipolati, o per sfruttarne le proprietà.

In questo caso gli agenti biologici costituiscono la materia prima della lavorazione stessa.

2. Attività a potenziale rischio di esposizione: in questo caso gli agenti biologici non costituiscono uno specifico oggetto di lavoro, sono indesiderati, ma inevitabili in certe attività lavorative.

Indagini siero-epidemiologiche effettuate in varie regioni europee e negli Stati Uniti hanno dimostrato che la tubercolosi e le infezioni da epatiti B e C sono significativamente più frequenti nei lavoratori del comparto sanitario che nella popolazione generale, in particolare i lavoratori della Sanità hanno un rischio di contrarre epatite C tre volte più alto rispetto alla popolazione generale. Sempre secondo questo studio il rischio è aumentato non solo nel personale addetto all'assistenza, ma anche nel personale dei laboratori analisi.

In Italia il numero dei lavoratori potenzialmente esposti al rischio biologico in varie attività lavorative: settore sanitario, agricolo, forestale, zootecnico, alimentare, veterinario, nel trattamento e smaltimento dei rifiuti, è elevato ed è stimato sui 3-4 milioni. In particolare in alcune attività avviene un uso deliberato di agenti biologici ed in altre esiste una potenziale esposizione. Negli ultimi anni sono aumentati i lavoratori impiegati nelle biotecnologie, nelle attività di trasformazione degli alimenti, nel trattamento dei rifiuti, nell’industria zootecnica, mentre sono diminuiti quelli del settore dell’agricoltura e della pastorizia.

Il rischio biologico all’interno delle strutture sanitarie è dovuto

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soprattutto alle infezioni trasmissibili per via ematica. Tra queste particolare attenzione viene posta alle infezioni da epatite B e C, questo sia per la notevole entità della diffusione di queste infezioni nella popolazione generale che costituisce il bacino di utenza degli ospedali, sia per le numerose occasioni di esposizione che gli operatori sanitari hanno nel corso della loro attività lavorativa.

Le infezioni da HBV e HCV sono diffuse in tutto il mondo con caratteristiche endemiche, in particolare l'infezione da epatite C è considerata la maggiore causa di malattie epatiche nel mondo (Tab. n.° 1).

Tab. n.° 1 Cause della cirrosi epatica

ƒ Virus C 47.7%

ƒ Virus B .1%

ƒ Virus D 3.4%

ƒ Virus B+C 3.2%

ƒ Virus C+alcool 21.2%

ƒ Virus B+alcool 3%

ƒ Alcool 8.7%

ƒ Altre cause 8.7%

Una valutazione, sicuramente approssimata per difetto, della prevalenza di infezione da epatite B e da epatite C con studi condotti su donatori di sangue, ha dimostrato una prevalenza di infezione da epatite B del 2% al Nord e del 4% al Sud; quella da HCV dell’1% al Nord e del 3% al Sud.(Tab. n° 1) ; nei politrasfusi e nei tossicodipendenti, classi di soggetti definite a rischio, la prevalenza può variare dal 7 al 4%

Tab. n° 2 Prevalenza di infezione da epatiti nella popolazione generale

Epatite B C

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Nord 2% 1%

Sud 4% 3%

Il rischio di contrarre infezioni a trasmissione ematica (HIV, HBV, ecc.) in ospedale è legato soprattutto alla contaminazione con sangue infetto e con altri fluidi corporei infetti, della cute delle mani e delle mucose degli occhi, del naso, della bocca. Tale contaminazione si verifica in seguito a ferite causate da strumenti taglienti o al contatto con materiale infetto. Il rischio da infezione da HIV in seguito a puntura percutanea da ago si aggira tra lo 0.13% e lo 0.5%. Invece il rischio da infezione da HBV in seguito ad uno stesso incidente è 45-120 volte maggiore.

Le procedure che comportano un rischio di potenziale esposizione sono rappresentate da manovre chirurgiche, dalla raccolta di campioni di sangue o di altri liquidi biologici, dal trasferimento dei campioni all'interno della struttura sanitaria, dalla esecuzione delle prove di laboratorio, dalla pulizia dello strumentario.

Alcuni studi epidemiologici, hanno dimostrato una maggiore prevalenza di HBV correlata alla anzianità professionale e al numero di contatti avuti con sangue ed altri liquidi organici atti a trasmettere HBV negli operatori sanitari, rispetto alla popolazione generale. Nel gruppo ad alta prevalenza erano compresi gli operatori sanitari con maggiore anzianità di servizio e frequenza di infortuni a rischio infettivo. Sull’argomento c’è però una certa discordanza tra i vari Autori.

La trasmissione dell’infezione avviene per via parenterale (percutanea, mucosa, attraverso cute non integra) e parenterale inapparente, cioè attraverso lesioni difficilmente individuabili di cute e mucose contaminate da sangue e liquidi biologici infetti. L’esposizione parenterale determina un rischio di trasmissione per l’epatite B variabile da una media del 6% in caso di contatto percutaneo con sangue da soggetto con HbsAg pos.

(portatore sano) al 20-40% da soggetto con replicazione virale in atto e per l’epatite C dal 2 al 10%. La natura del virus, la viremia del soggetto infettante, la quantità di materiale trasmesso con la puntura, la profondità della puntura, il tipo di ago, condizionano la probabilità di infezione.

Si ignorano ad oggi i dati relativi al rischio di trasmissione attraverso mucose o cute lesa.

Scopo del lavoro

Alla luce di quanto detto ci è sembrato importante valutare la prevalenza di epatite virale B e C nell’ Azienda Sanitaria per la quale

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svolgiamo attività di medico competente; a questo scopo abbiamo intrapreso uno studio volto a stimare la prevalenza della sieropositività verso HBV e HCV in funzione della qualifica nei lavoratori esposti rispetto alla popolazione comune

Questo non per fini meramente conoscitivi, ma per valutare il rischio biologico la cui stima viene essenzialmente fatta sulla base di criteri epidemiologici che tengono conto dell'incidenza nella popolazione lavorativa, della morbilità a seguito ad esposizione presunta o misurata all'agente biologico e degli eventi infortunistici, e per effettuare la prevenzione primaria (somministrazione di vaccini a quanti non siano risultati immunizzati), e la prevenzione secondaria per quanti non sapendo di essere portatori non usufruiscono di un opportuno monitoraggio ed eventuale terapia, molti sono i portatori sani asintomatici pertanto inconsapevoli del loro stato.

Materiali e metodi

Abbiamo applicato a tutti gli esposti a rischio biologico protocolli diagnostici finalizzati alla ricerca dei markers per il virus dell’epatite B e C al fine di evidenziare una eventuale infezione, la eventuale copertura vaccinale ed il controllo del titolo anticorpale da pregressa infezione, secondo le linee guida del Documento del Ministero della Sanità n° 109

“Linee guida per la diagnosi, la terapia ed il controllo delle epatiti" ed in ottemperanza del D.Lgs. 626, titolo VII, capo II, art. 78. L'alto costo di tali indagini, in un momento di gravi problemi di bilancio delle Aziende Sanitarie, ci ha spinti ad elaborare un protocollo che prevede la ricerca dei markers dell'epatite B e C non "a tappeto" ma seguendo un "grading diagnostico" che conciliasse le necessità diagnostiche con quelle economiche.

Per i dipendenti non vaccinati lo screening da noi applicato ha previsto la ricerca dei seguenti markers per il virus dell’epatite B: HbsAg, HbsAb, HbcAb con una periodicità biennale, salvo infortuni di tipo biologico;

in caso di positività di HbsAg si procede al controllo di HBcAb-IgM, HbeAg, HBeAb; in caso di positività di HbeAg e/o HBcAb-IgM si ricerca HBV- DNA. Per il controllo della viremia la tecnica della reazione polimerasica a catena (PCR) è estremamente sensibile e consente di rilevare quantità piccolissime di virus.

Per i dipendenti vaccinati lo screening prevede la ricerca di HbsAb e HBcAb con una periodicità triennale, salvo infortuni di tipo biologico, in caso in cui il titolo anticorpale risulti maggiore di 100 MU/ml. In caso di positività

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di HBcAb con HbsAb negativo si controllano tutti i markers necessari a chiarire lo stato sierologico e si eseguono le prove di funzionalità epatica.

In caso di positività di HbsAg, HbeAg e/o HBcIgM è indicata la ricerca dell'HBV DNA, oltre alle prove di funzionalità epatica.

Per quanto riguarda l’infezione da HCV abbiamo effettuata la ricerca degli anticorpi anti HCV. In caso di debole positività del test di screening ELISA (ricerca degli anticorpi contro gli antigeni strutturali del virus HCV (C100-3, 51-1,C33, C22, NS5 con metodica immunoenzimatica ) è stato eseguito il test RIBA (Recombinant Immunoblotting Assay); in caso di positività di quest’ultimo si è proceduto alla ricerca dell’HCV RNA con la metodica del PCR. In caso di positività dell’HCV RNA abbiamo approfondito le indagini sia cliniche che bioumorali con un monitoraggio nel tempo delle transaminasi.

Questo in quanto la presenza degli anticorpi anti HCV non significa immunizzazione, ma si associa spesso alla presenza di HCV nell'organismo..

In tutti casi di infezione da virus epatite B o C il protocollo da noi adottato prevede un approfondimento della funzionalità epatica :

Transaminasi GammaGT

Fosfatasi alcalina

Bilirubinemia totale e frazionata Protidemia totale ed elettroforetica

Questo protocollo diagnostico è molto importante ai fini preventivi dato che il 60% circa delle epatiti C evolve verso la cronicizzazione fino alla cirrosi epatica.

Ci pare opportuno comunque precisare che la nostra attività di sorveglianza sanitaria non si esplica solo sul controllo sistematico e periodico dei markers, che sono indubbiamente importanti in quanto forniscono dati utili sul monitoraggio del gruppo di esposti, e che sono l'oggetto del nostro studio, ma comprende oltre un accurato controllo medico, l’informazione sulla natura del rischio, sulla adozione di mezzi e procedure che limitino la possibilità di "contatti efficaci" negli esposti.

I dipendenti controllati sono stati in tutto 1800, i risultati degli accertamenti diagnostici raccolti in forma anonima sono trattati in modo informatico con il foglio di calcolo Microsoft Excel ci hanno consentito di avere interessanti informazioni che abbiamo riportate sotto forma di tabelle e grafici.

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Risultati

Sono stati sottoposti a sorveglianza sanitaria con controllo per i markers per il virus dell’epatite B e C 1800 dipendenti di una Azienda Sanitaria .

Del campione esaminato 450 dipendenti, pari al 25%, sono risultati vaccinati. (tab. n.° 3)

Tab. n.°3 Positività per anticorpi anti HBS

Totale Pos. per anti HBS

1800 450 (25%)

Tab. n°4 Positività per uno qualsiasi dei markers per HBV e HCV

N° Totale Positività per qualsiasi markers

1800 180 (10%)

Tab. n°5 Operatori sanitari risultati positivi per pregressa infezione.

Mansione N.° degli esaminati per qualifica

Positivi Pos. per qualifica

Inf.Prof. 650 63 (35.2%) 9.6 %

Ausiliari 350 49 (27.2%) 14 %

Chirurghi 300 30 (16.6%) 10 %

Medici 200 18 (10.5%) 9%

Altri 300 20 (11.6) 6.6%

Totale 1800 180

*Tecnici, biologi, ostetriche, terapisti della riabilitazione.

La percentuale di positività per pregressa infezione a virus dell’epatite B o C è risultata essere del 10% circa (tab. n.°4 e fig. n.° 1), 180 dipendenti infatti sono risultati positivi per uno qualsiasi dei markers del virus dell'epatite B o C, al di sopra di quella della popolazione generale ed apparentemente non del tutto correlata con il rischio nelle singole mansioni,

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il che sembra deporre per una influenza anche extraprofesssionale sull'incidenza dell'epatiti B e C. Infatti la mansione con la più alta positività è stata quella degli ausiliari con una positività nella mansione del 14%, seguita da quella dei chirurghi con una positività del 10% dagli infermieri professionali con una positività del 9.6% dai medici con il 9%, dal gruppo comprendente biologi, ostetriche, terapisti della riabilitazione, tecnici con il 6.6%.(tab.n° 4 e fig.n°2)

Nel gruppo dei soggetti risultati positivi abbiamo identificato 10 soggetti con una doppia positività per HBV e HCV pari allo 0.5% della popolazione presa in esame; 39 positivi per HCV pari a 2.1%, dei quali 30 positivi anche alla ricerca dell'RNA virale; 25 positivi per HbsAg, (portatori sani ); 106, pari al 5.8% con quadro sierologico caratteristico di pregresso contatto da virus dell'epatite B (tab. n°6 e fig.n°3).

Tab. n°6 Positività per i markers epatite B e C

Doppia pos. HCV pos. HBsAg pos HBcAb pos

10 (0.5%) 39(2.1%) 25 (1.3%) 106(5.8%)

Per la maggior parte dei soggetti risultati positivi il dato è stato riscontrato in occasione degli accertamenti previsti dalla sorveglianza sanitaria preventiva periodica e non si è stati in grado di risalire ad un evento causale specifico in ambito lavorativo. Questo comunque non ha impedito agli interessati di ottenere il riconoscimento di malattia professionale e di essere ammessi all’indennizzo con inversione dell’onere della prova. La Corte di Cassazione ha infatti escluso (sentenza n.3090/92), in caso di epatite in operatore sanitario l’obbligo di provare il nesso causale, sostenendo che l’attività stessa espone al contagio, spesso inapparente o inapprezzabile, con agenti biologici.

Considerazioni conclusive

I dati raccolti confermano come le infezioni da virus a trasmissione parenterale, HBV e HCV rappresentano una problematica importante nelle nostre Aziende Sanitarie. Mentre però per quanto riguarda l’infezione da virus HCV abbiamo avuto dei valori abbastanza vicini a quelli della popolazione generale, per quanto riguarda l’infezione da HBV abbiamo avuto una positività, tra portatori sani e quelli con pregresso contatto, del

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7.1%, valore che è superiore a quelli della popolazione generale.

Si rende necessario quindi attuare nuove strategie di promozione della vaccinazione , potenziare le attività di formazione ed informazione peraltro già attivate. Proprio nel corso di tale attività comunque ci siamo resi conto che nelle Aziende sanitarie in genere l’applicazione del D.Lgs 626 è più difficile rispetto alle altre Aziende per il particolare tipo di rapporto che si è recentemente instaurato tra medico e paziente. Oggigiorno il paziente ha delle attese che sono ben al di la delle concrete possibiltà che il sanitario può erogare: esige dal medico non solo un impegno di mezzi, ma un obbligo di guarigione che quando non avviene ha come conseguenza l’insorgere di un contenzioso con frequenti richieste di risarcimento indipendentemente dalla effettiva responsabilità del medico. Il paziente può essere esso stesso una fonte di rischio biologico e se è vero che la sicurezza del paziente deve procedere di pari passo con quella degli operatori sanitari, e che il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere alla sicurezza del lavoratore, è anche vero che in pratica pur nel rispetto della sicurezza comune, la necessità di assistere i pazienti pone inevitabilmente una gerarchia di valori, nella quale vale la regola di etica sanitaria: “the patient first”, il paziente cioè viene prima di tutto. L’etica sanitaria, le preoccupazioni di natura medico legale, cioè il timore di essere citati in giudizio in caso di insuccesso anche dopo un comportamento più che corretto, costituiscono inevitabilmente un fattore di distorsione nella applicazione di misure di prevenzione e sicurezza in genere, e comunque generano nei medici quasi un senso di ineluttabilità del rischio. Il tutto è aggravato da una normativa poco chiara sulla tutela della riservatezza, sui diritti dell’individuo e sulla tutela della salute pubblica. Infatti da una parte l’infetto da HIV non deve essere discriminato però si impone la tutela della salute pubblica; per l'esecuzione del test HIV è obbligatorio il consenso dell'interessato, ma non per i test HBV e HCV. C’è quindi una notevole mancanza di chiarezza e molte contraddizioni che rendono alla fine difficile la tutela del lavoratore.

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