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Simulazione prima prova Testo narrativo

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Academic year: 2022

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Allegato Simulazione prima prova Testo narrativo

Tip. A – Analisi del testo

GIOVANNI VERGA, Pentolaccia ( Vita dei campi)

Adesso viene la volta di «Pentolaccia» ch'è un bell'originale anche lui, e ci fa la sua figura fra tante bestie che sono alla fiera, e ognuno passando gli dice la sua. Lui quel nomaccio se lo meritava proprio, ché aveva la pentola piena tutti i giorni, prima Dio e sua moglie, e mangiava e beveva alla barba di compare don Liborio, meglio di un re di corona.

Uno che non abbia mai avuto il viziaccio della gelosia, e ha chinato sempre il capo in santa pace, che Santo Isidoro ce ne scampi e liberi, se gli salta poi il ghiribizzo di fare il matto, la galera gli sta bene.

Aveva voluto sposare la Venera per forza, sebbene non ci avesse né re né regno, e anche lui dovesse far capitale sulle sue braccia, per buscarsi il pane. Inutile sua madre, poveretta, gli dicesse: - Lascia star la Venera, che non fa per te; porta la mantellina a mezza testa, e fa vedere il piede quando va per la strada. I vecchi ne sanno più di noi, e bisogna ascoltarli, pel nostro meglio.

Ma lui ci aveva sempre pel capo quella scarpetta e quegli occhi ladri che cercano il marito fuori della mantellina: perciò se la prese senza volere udir altro, e la madre uscì di casa, dopo trent'anni che c'era stata, perché suocera e nuora insieme ci stanno proprio come cani e gatti. La nuora, con quel suo bocchino melato, tanto disse e tanto fece, che la povera vecchia brontolona dovette lasciarle il campo libero, e andarsene a morire in un tugurio; fra marito e moglie erano anche liti e questioni, ogni volta che doveva pagarsi la mesata di quel tugurio.

Quando infine la povera vecchia finì di penare, e lui corse al sentire che le avevano portato il viatico, non potè riceverne la benedizione, né cavare l'ultima parola di bocca alla moribonda, la quale aveva già le labbra incollate dalla morte, e il viso disfatto, nell'angolo della casuccia dove cominciava a farsi scuro, e aveva vivi solamente gli occhi, coi quali pareva che volesse dirgli tante cose. - Eh?... Eh?... -

Chi non rispetta i genitori fa il suo malanno e la brutta fine.

La povera vecchia morì col rammarico della mala riuscita che aveva fatto la moglie di suo figlio; e Dio le aveva accordato la grazia di andarsene da questo mondo, portandosi al mondo di là tutto quello che ci aveva nello stomaco contro la nuora, che sapeva come gli avrebbe fatto piangere il cuore, al figliuolo. Appena Venera era rimasta padrona della casa, colla briglia sul collo, ne aveva fatte tante e poi tante, che la gente ormai non chiamava altrimenti suo marito che con quel nomaccio, e quando arrivava a sentirlo anche lui, e si avventurava a lagnarsene colla moglie - Tu che ci credi? - gli diceva lei. E basta. Lui allora contento come una pasqua.

Era fatto così, poveretto, e sin qui non faceva male a nessuno. Se gliel'avessero fatta vedere coi suoi occhi, avrebbe detto che non era vero, grazia di Santa Lucia benedetta. A che giovava guastarsi il sangue? C'era la pace, la provvidenza in casa, la salute per giunta, ché compare don Liborio era anche medico; che si voleva d'altro, santo Iddio?

Con don Liborio facevano ogni cosa in comune: tenevano una chiusa a mezzeria, ci avevano una trentina di pecore, prendevano insieme dei pascoli in affitto, e don Liborio dava la sua parola in garanzia, quando si andava dinanzi al notaio. «Pentolaccia» gli portava le prime fave e i primi piselli, gli spaccava la legna per la cucina, gli pigiava l'uva nel palmento; a lui in cambio non gli mancava nulla, né il grano nel graticcio, né il vino nella botte, né l'olio nell'orciuolo; sua moglie bianca e rossa come una mela, sfoggiava scarpe nuove e fazzoletti

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di seta, don Liborio non si faceva pagar le sue visite, e gli aveva battezzato anche un bambino. Insomma facevano una casa sola, ed ei chiamava don Liborio «signor compare» e lavorava con coscienza. Su tal riguardo non gli si poteva dir nulla a «Pentolaccia». Badava a far prosperare la società col «signor compare» il quale perciò ci aveva il suo vantaggio anche lui, ed erano contenti tutti.

Ora avvenne che questa pace degli angeli si mutò in una casa del diavolo tutt'a un tratto, in un giorno solo, in un momento, come gli altri contadini che lavoravano nel maggese, mentre chiacchieravano all'ombra, nell'ora del vespero, vennero per caso a leggergli la vita, a lui e a sua moglie, senza accorgersi che «Pentolaccia» s'era buttato a dormire dietro la siepe, e nessuno l'aveva visto. - Per questo si suol dire «quando mangi, chiudi l'uscio, e quando parli, guardati d'attorno».

Stavolta parve proprio che il diavolo andasse a stuzzicare «Pentolaccia» il quale dormiva, e gli soffiasse nell'orecchio gl'improperii che dicevano di lui, e glieli ficcasse nell'anima come un chiodo. - E quel becco di «Pentolaccia»! - dicevano, - che si rosica mezzo don Liborio! - e ci mangia e ci beve nel brago! - e c'ingrassa come un maiale! -

Che avvenne? Che gli passò pel capo a «Pentolaccia»? Si rizzò a un tratto senza dir nulla, e prese a correre verso il paese come se l'avesse morso la tarantola, senza vederci più degli occhi, che fin l'erba e si sassi gli sembravano rossi al pari del sangue. Sulla porta di casa sua incontrò don Liborio, il quale se ne andava tranquillamente, facendosi vento col cappello di paglia. - Sentite, «signor compare», - gli disse - se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la festa! -

Don Liborio lo guardò negli occhi, quasi parlasse turco, e gli parve che gli avesse dato volta al cervello, con quel caldo, perché davvero non si poteva immaginare che a «Pentolaccia»

saltasse in mente da un momento all'altro di esser geloso, dopo tanto tempo che aveva chiuso gli occhi, ed era la miglior pasta d'uomo e di marito che fosse al mondo.

- Che avete oggi, compare? - gli disse.

- Ho, che se vi vedo un'altra volta in casa mia, com'è vero Dio, vi faccio la festa! -

Don Liborio si strinse nelle spalle e se ne andò ridendo. Lui entrò in casa tutto stralunato, e ripetè alla moglie:

- Se vedo qui un'altra volta il «signor compare» com'è vero Dio, gli faccio la festa! -

Venera si cacciò i pugni sui fianchi, e cominciò a sgridarlo e a dirgli degli improperi. Ei si ostinava a dire sempre di sì col capo, addossato alla parete, come un bue che ha la mosca, e non vuol sentir ragione. I bambini strillavano al veder quella novità. La moglie infine prese la stanga, e lo cacciò fuori dell'uscio per levarselo dinanzi, dicendogli che in casa sua era padrona di fare quello che le pareva e piaceva.

«Pentolaccia» non poteva più lavorare nel maggese, pensava sempre a una cosa, ed aveva una faccia di basilisco che nessuno gli conosceva. Prima d'imbrunire, ed era sabato, piantò la zappa nel solco, e se ne andò senza farsi saldare il conto della settimana. Sua moglie, vedendoselo arrivare senza denari, e per giunta due ore prima del consueto, tornò di nuovo a strapazzarlo, e voleva mandarlo in piazza, a comprarle delle acciughe salate, che si sentiva una spina nella gola. Ma ei non volle muoversi di lì, tenendosi la bambina fra le gambe, che, poveretta, non osava muoversi, e piagnucolava, per la paura che il babbo le faceva con quella faccia. Venera quella sera aveva un diavolo per cappello, e la gallina nera, appollaiata sulla scala, non finiva di chiocciare, come quando deve accadere una disgrazia.

Don Liborio soleva venire dopo le sue visite, prima d'andare al caffè, a far la sua partita di tresette (1); e quella sera Venera diceva che voleva farsi tastare il polso, perché tutto il giorno si era sentita la febbre, per quel male che ci aveva nella gola. «Pentolaccia» lui, stava zitto, e non si muoveva dal suo posto. Ma come si udì per la stradicciuola tranquilla il passo lento del dottore che se ne venìa adagio adagio, un po' stanco delle visite, soffiando pel

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caldo, e facendosi vento col cappello di paglia, «Pentolaccia» andò a prender la stanga colla quale sua moglie lo scacciava fuori di casa, quando egli era di troppo, e si appostò dietro l'uscio. Per disgrazia Venera non se ne accorse, giacché in quel momento era andata in cucina a mettere una bracciata di legna sotto la caldaia che bolliva. Appena don Liborio mise il piede nella stanza, suo compare levò la stanga, e gli lasciò cadere fra capo e collo tal colpo, che l'ammazzò come un bue, senza bisogno di medico, né di speziale.

Così fu che «Pentolaccia» andò a finire in galera.

Da Tutte le novelle, Milano Mondadori 1979 (1) tresette: gioco di carte

L’AUTORE

Giovanni Verga nacque a Catania nel 1840, la sua prima produzione comprendeva romanzi di carattere romantico, scritti a Firenze e a Milano. La novella Nedda (1874) anticipa la stagione del Verismo, che si apre con Rosso Malpelo (1878) che appartiene alla raccolta di novelle Vita dei campi, espressione dei capisaldi della nuova poetica verista fra cui l’impersonalità del narratore l’attenzione per “i vinti”, il pessimismo nei confronti di un “progresso” che travolge i singoli individui, sottomettendoli alla dura legge del profitto economico. I Malavoglia (1881), Le novelle rusticane ( 1883) e Mastro Don Gesualdo (1889) esprimono, da parte dell’autore, una visione dell’esistenza via via più cupa e disperata.Verga, tornato a Catania nel 1893, fu nominato senatore nel 1920 e due anni dopo morì.

1- COMPRENSIONE

1.1 Riassumi il contenuto della novella in non più di sei righe 2- ANALISI

2.1 Dividi la novella in sequenze e indicane la tipologia 2.2 Che significato ha il soprannome del protagonista

2.3 Delinea un breve profilo psicologico dei protagonisti della novella 2.4 Qual è la causa dell’improvviso cambiamento del protagonista?

2.5 Come reagiscono Don Liborio e Venera?

2.6 Il testo è ricco di similitudini, individuale e spiegane la funzione

2.7 Ci sono in questa novella esempi di discorso indiretto libero? Se sì quali sono?

2.8 La voce del narratore coincide con quella dell’autore? Motiva la tua risposta

2.9 Rintraccia nel testo espressioni e modi di dire propri del parlato e spiega a quali principi della poetica verghiana si possono collegare

3- INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI

3.1 Contestualizza la novella all’interno della produzione verghiana evidenziando i nuclei tematici e le particolarità linguistiche e stilistiche comuni ad altre opere che hai letto.

3.2 Confronta il protagonista di questa novella con quello di Jeli il pastore. Individua somiglianze e differenze.

3.3 La vecchia madre di Pentolaccia simboleggia la saggezza degli anziani, che rimane inascoltata.

In quali altre opere di Verga hai trovato espresso questo tema? Metti a confronto la madre di padron ‘Ntoni dei Malavoglia

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Testo poetico

Tip. A – Analisi del testo

GIOVANNI PASCOLI, Novembre (Myricae)

Gèmmea l'aria,[3] il sole così chiaro che tu ricerchi gli albicocchi in fiore, e del prunalbo l'odorino amaro

senti nel cuore...

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti

.

L‘AUTORE

Pascoli ( 1855-1912) nacque a san Mauro di Romagna, quarto di dieci figli. Ben presto la sua vita fu segnata da vari lutti familiari, tra cui nel 1867 la morte del padre, ucciso in circostanze misteriose.

Frequentò l’Università di Lettere a Bologna, in questi anni entrò in contatto con alcuni gruppi socialisti anarchici e prese parte a manifestazioni studentesche che gli costarono tre mesi di carcere nel 1879. Nel 1895 si trasferì con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga. Gli ultimi anni lo videro impegnato nell’insegnamento universitario , prima a Messina, poi a Pisa, quindi a Bologna.

1. COMPRENSIONE

1.1 Svolgi la parafrasi della lirica 2. ANALISI

2.1 La costruzione sintattica di questa lirica è un chiaro esempio di frantumazione del verso, con riferimenti al testo sviluppa tale giudizio, chiarendo quale immagine della realtà il poeta fornisce.

2.2 Dopo aver individuato i termini che evocano sensazioni visive, olfattive e uditive, analizza l’immagine di natura che emerge dal testo.

2.3 L’aggettivo “fragile”da una connotazione simbolica alla caduta delle foglie, spiegala nel contesto del significato dell’ultima strofa.

2.4 In quale strofa è espresso il tema del fascino della vita? Esso è totalmente illusorio. Spiega questa affermazione in riferimento al testo

2.5 Individua quali sensazioni uditive creano il paesaggio e il sentimento della morte nell’ultima strofa

3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI

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3.1 Secondo la poetica pascoliana del “fanciullino”la natura è carica di significati simbolici che solo il poeta sa cogliere e decifrare: spiega i un breve testo, come questa lirica sia un chiaro esempio di tale poetica.

GIOSUE’ CARDUCCI, Nevicata (Odi barbare)

Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinereo: gridi, suoni di vita più non salgono da la città,

non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d'amor la canzon ilare e di gioventù.

Da la torre di piazza roche per l'aere le ore gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dì.

Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli amici spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore – giù al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò

L’AUTORE

Giosuè Carducci (1835-1907) è il principale rappresentante del ritorno al classicismo tipico di fine Ottocento: estraneo all’ansia di ribellione propria della Scapigliatura, riuscì a fondere nella sua opera realismo e rigore formale. Insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1906, è autore di varie raccolte poetiche, saggi di critica letteraria e un ricco epistolario.

1. COMPRENSIONE

1.1 Svolgi la parafrasi della lirica ricostruendo l’ordine corretto delle parole nella frase 2. ANALISI

2.1 Analizza la struttura tematica della poesia mettendo in luce i passaggi dalle sensazioni visive a quelle uditive, nel momento introspettivo degli ultimi versi.

2.2 In alcuni punti è particolarmente evidente la ricerca di effetti di suono prodotti dall’allitterazione. Individuali nel testo e riportali analizzando l’effetto che il poeta vuole raggiungere.

2.3 Rintraccia i termini e le espressioni che fanno riferimento al campo semantico della morte, che indicazioni puoi trarre circa il tema della lirica? Perché il poeta ha individuato questo particolare momento dell’anno per affrontare una tale riflessione?

2.4 La lirica presenta una particolare costruzione sintattica e ricerca lessicale; tenendo conto che fa parte della raccolta Odi Barbare, quali indicazioni puoi trarre circa la sperimentazione poetica di Carducci ?

3. INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI

3.1 Come si può definire il rapporto paesaggio-stato d’animo del poeta ? Indica altre poesie basate sulla relazione tra mondo esterno e mondo interiore accostabili a questa lirica per affinità o per differenza.

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ALLEGATO

Tip. C – Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità

1^ Traccia Umberto Galimberti, uno tra i più noti e influenti filosofi italiani dei nostri tempi, ha

approfonditamente analizzato il fenomeno dell’ analfabetismo emotivo, soprattutto tra i giovani. Come egli stesso scrive:

“Nel nostro tempo caratterizzato da sovrabbondanza di stimoli esterni e da carenza di

comunicazione, si avvertono i segnali di quella indifferenza emotiva per effetto della quale non si ha risonanza emozionale di fronte a fatti a cui si assiste o a gesti che si compiono”.

La violenza diventa pratica normale, è aggressività indefinibile, futile, casuale. Manca un’educazione emotiva e quindi un’educazione ai comportamenti e alle relazioni

E così, estendendo tale visione anche agli adulti a cui è mancata un’adeguata educazione emotiva, è facile spiegare come mai si assiste a una sempre più rabbiosa e aggressiva difesa verso chi mostra pensieri contrari ai nostri, a partire dai social network fino alla vita reale.

Esponi le tue considerazioni, riguardo il tema sopra indicato. Inserisci un titolo coerente allo svolgimento e organizzare il tuo personale commento attraverso una scansione interna, con paragrafi muniti di un titolo.

2^ traccia Il primo articolo della Dichiarazione universale dei Diritti umani recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Ritieni che si sia oggi giunti ad un livello di civiltà che dia realmente la stessa dignità a tutti, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, dalla propria etnia e dal proprio credo religioso?

Articola la struttura della tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presenta la trattazione con un titolo complessivo che ne esprima in una sintesi coerente il contenuto.

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