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1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.

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Academic year: 2022

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Vangelo del 20 settembre 2020

25°domenica del Tempo Ordinario - anno A – Mt 20,1-16

Trascrizione del videocommento del biblista p. Fernando Armellini non rivista dall’autore

1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.

2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7 Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.

11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a

quest’ultimo quanto a te: 15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

Tra poco ascolteremo una parabola di Gesù che ci lascerà un po’ di amaro in bocca. Faremo molta fatica ad accettare il messaggio che lui ci vuole comunicare. Del resto quando devo commentare, facendo l’omelia di questo brano evangelico, inizio a volte chiedendo alla gente in chiesa: “ma siete d’accordo con quello che dice la parabola?” e vedo che tutti scuotono la testa, non sono d’accordo.

Come mai Gesù la racconta? Perché Pietro gli ha chiesto: Maestro, vedi, noi abbiamo lasciato tutto, perché abbiamo deciso di costruire quel mondo nuovo, il Regno di Dio che tu vuoi portare avanti. Noi ci vogliamo impegnare, ma vogliamo sapere che cosa otterremo e Gesù risponde: “avrete il centuplo e in eredità la vita eterna” e poi aggiunge una frase misteriosa” Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi”

Una frase che viene ripresa alla fine della parabola: così gli ultimi saranno i primi; i primi, ultimi.

Qual è il tema che viene affrontato?

È quello che Pietro ha sollevato, il tema del salario. Quando si fa un contratto di lavoro, il salario è l’argomento che sta in primo piano e Pietro ha fatto bene a sollevare il problema perché è una

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questione che coinvolge anche noi. Come Pietro e come gli apostoli anche noi abbiamo dato l’adesione a Cristo, ci impegniamo a costruire un mondo nuovo, a darci da fare perché le cose nel mondo vadano meglio secondo il suo Vangelo, ma vogliamo sapere che paga ci darà alla fine.

Nello stipulare un contratto vogliamo che le cose siano fatte con giustizia. E qual è la giustizia che noi vogliamo? Esattamente quella che voleva Pietro, quella che avevano in mente tutti gli israeliti quando stipulavano un contratto.

Per esempio ci sono delle parabole rabbiniche molto simili a quella di Gesù.

Ci fu un rabbino che morì molto giovane a 28 anni. E quando un grande rabbino fece l’elogio funebre, raccontò una parabola e disse:

C’era un re il quale aveva degli operai. uno lavorò due ore soltanto, gli altri

lavorarono tutta la giornata e li pagò tutti uguali. Quelli che avevano lavorato tutta la giornata si lamentarono e il padrone rispose: in due ore, lui ha reso molto di più di voi. Ho quindi giustamente dato la stessa parte a tutti.”

Questa è la giustizia che va bene, quando si stipula un contratto: in base al lavoro che uno ha fatto, viene pagato. Sentiamo adesso come la pensa Gesù che risponde appunto con una parabola:

1 Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4 e disse loro:

“Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5 Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7 Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

La parabola che abbiamo cominciato ad ascoltare ci colloca nel contesto sociale del tempo di Gesù, che è quello di una società contadina. E’ il momento della vendemmia, è il tempo in cui i vignaioli sono tutti molto tesi, preoccupati, perché quando l’uva è matura va raccolta e pigiata con rapidità e quindi devono scegliere il giorno giusto, che sia un giorno in cui non piove. Per i proprietari dei grandi vigneti c’è una preoccupazione in più, perché devono trovarsi dei lavoratori da mandare nei loro campi, dei braccianti che non hanno un lavoro fisso.

Questa è un’occasione da non perdere, perché giocando sulla premura dei vignaioli, i braccianti possono spuntare un salario più elevato e difatti noi troviamo che c’è un gruppo di questa gente volenterosa che ha voglia di guadagnare e che prestissimo si presenta sulla piazza del villaggio nell’attesa che arrivi qualche vignaiuolo a prenderli a giornata.

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È a questo punto che comincia, in modo molto realistico, la nostra parabola. Iil primo personaggio che entra in scena è il padrone di un vigneto che arriva sulla piazza alle 5.30 del mattino, ma lui è in piedi dalle tre, perché vuole organizzare tutto il lavoro. Avrebbe potuto mandare il suo fattore, ma forse il fattore sta ancora dormendo. È lui che va direttamente sulla piazza, è molto interessato a trovarsi degli operai e difatti trova un primo gruppo, con cui contratta un denaro per le dodici ore di lavoro della giornata.

Poi esce altre quattro volte a cercare operai, alle nove del mattino, a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio e con questi non contratta un denaro, dice: andate a lavorare, quello che è giusto ve lo darò.

Per comprendere ciò che Gesù vuole dirci con questa parabola, dobbiamo fare un accenno al simbolismo biblico della vite, della vigna e del vino cui fa riferimento spesso anche Gesù.

Ricordiamo il vino delle nozze di Cana oppure quando Gesù dice:” io sono la vite, voi tralci che devono produrre uva.”

La vigna è uno dei simboli del popolo d’Israele e troviamo questa immagine nei salmi e nei profeti.

Al capitolo cinque del profeta Isaia c’è il celebre Canto della vigna, quando il Signore ha piantato una vigna di cui era orgoglioso, si aspettava uva gustosa - dice il profeta – ma ha avuto uva acida,

immangiabile, non quei frutti che lui si aspettava, frutti di amore, di giustizia.

Come mai l’uva è il simbolo di questo popolo che deve produrre questo frutto? Perché l’uva dà il vino.

Nella Bibbia è condannata l’ebbrezza. Il Siracide al capitolo 31 dice: “non fare il forte, con il vino”.

Anche nel profeta Osea al capitolo 4 : vino e mosto tolgono il senno”.

Non ci si deve ubriacare, il vino è una creatura che ha una sua ragione di esistere se usato con moderazione, come si deve, il vino è il simbolo della gioia e della festa.

Nel Salmo 104 la preghiera rivolta al Signore:” Tu fai crescere le piante per l’uomo, l’uomo le coltiva per trarre il cibo e il vino che allieta il suo cuore”

Il libro del Siracide al capitolo 40:” vino e musica rallegrano il cuore”, sempre il Siracide al capitolo 31:” che vita è quella di chi non ha vino” e anche il Qoelet al capitolo 10:” il vino allieta la vita”.

Ecco, il vino è un di più, non è indispensabile per la vita. L’acqua sì, del vino si può farne a meno. Il vino è il simbolo della gratuità della festa, della gioia, dell’amore….

Bene, troviamo in questa parabola il padrone di una vigna che deve produrre uva, deve produrre vino, cioè che deve produrre gioia. Questo padrone rappresenta chiaramente Dio, che è molto premuroso, gli preme che la sua vite dia frutto abbondante, cioè che dia gioia. Questa è l’immagine della vigna.

I cristiani l’hanno subito applicata non più a Israele ma alla comunità cristiana. Loro si sono sentiti la vigna del Signore ed erano ben coscienti di ciò che Dio si aspetta da questa vigna. Che cosa? Una cosa sola: la gioia, perché Dio vuole soltanto la gioia dei suoi figli.

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Siamo stati noi a ricoprire il Vangelo con un velo di tristezza, ma se noi dai Vangeli togliamo le pagine che ci parlano della gioia, rimaniamo con le due copertine, perché il Vangelo è proprio la notizia che ci deve riempire, colmare di gioia.

In questa premura del padrone si nota che lui vuole che si realizzi presto questo disegno della gioia, della pace, dell’armonia in tutta l’umanità: questo è il mondo nuovo che vuole costruire. Lavorare nella vigna quindi significa impegnarsi a costruire questo regno.

E veniamo adesso alla paga, che è ciò che ci preme.

Con i primi abbiamo visto che ha concordato un denaro, con gli altri ciò che è giusto.

Alle cinque del pomeriggio entra in scena un altro gruppo, perché il padrone esce quando manca soltanto un’ora alla conclusione della giornata e con questi lavoratori lui fa un discorso più lungo rispetto agli altri e dice loro:” ma perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare niente? e loro gli rispondono: “nessuno ci ha presi a giornata.”

Quest’ultimo gruppo sono proprio gli scarti, quelli che nessuno ha voluto, forse perché più deboli, più fragili, un po’ malati, oppure perché, quando arrivavano, i vignaioli se ne accorgevano: questi sono degli sfaticati, questi non li prendiamo o forse il padrone della vigna non li ha trovati sulla piazza perché loro forse erano all’osteria e quando lo vedono arrivare dicono: quello è un proprietario che ci fa lavorare troppo, e tornavano dentro.

Alla fine, quando sono usciti, li ha colti quasi di sorpresa e il padrone li ha mandati nella vigna a lavorare un’ora soltanto! Fin qui nulla di strano, tutto si è svolto in un modo molto realistico.

Adesso viene il momento della paga. Proviamo a dare noi la paga, nel modo giusto.

La giornata si è svolta molto bene, il proprietario è contento perché i tini sono pieni di mosto, l’uva è stata raccolta tutta con rapidità, nessun cesto si è rotto.

Allora raduna tutti i lavoratori e comincia dai primi. Avevamo concordato un denaro, ma ve ne do due perché avete lavorato davvero bene, vi vedo stanchi e poi con gli altri un po’ a scalare, un denaro e mezzo, poi un denaro, sino ad arrivare a mezzo denaro. Agli ultimi arrivati vorrebbe anche a loro dare mezzo denaro però non spendetelo nell’osteria, andate a casa…. non avete molta voglia di lavorare però fate festa anche voi.

Direi che questo è il modo giusto di pagare chi ha lavorato. Invece Gesù non conclude la parabola in questo modo, sentiamo:

8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.

11 Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12 dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

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13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a

quest’ultimo quanto a te: 15 non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”.

Giunge la sera e gli operai tornano dalla vigna. Il padrone che è un uomo giusto, osservante della legge, sa che deve consegnare lo stipendio alla fine della giornata non il giorno dopo e deve darlo prima del tramonto del sole perché il salariato, che è povero e bisognoso, ha passato tutta la giornata ad attendere con impazienza quel denaro e lo deve contemplare quando c’è ancora il sole.

Dice la parola di Dio e continua nel libro del Deuteronomio:” stai attento, non defraudare, perché alzerebbe il grido verso di me, lui è povero e sarebbe grande il tuo peccato”.

Il padrone della vigna è una persona onesta, buona e dice al fattore: metti in fila gli operai e consegna a ciascuno un denaro, cominciando dagli ultimi.

Questo non lo doveva fare! Se volevi essere una persona generosa, fallo di nascosto, perché tu hai di fronte quelli della prima ora che nemmeno stanno più in piedi dalla stanchezza e li costringi ad

assistere a una scena irridente. Contemplano increduli i colleghi che sono lì, rilassati e ricevono la loro stessa paga. Addirittura notano dei sorrisini sul volto di questi ultimi che quasi li prendono per fessi perché hanno lavorato con impegno e quando giungono a ricevere quel denaro cominciano a contestare duramente questa strana giustizia del padrone.

Ci chiediamo per quale ragione lo contestano, come noi contestiamo perché capiamo che questo padrone è Dio che alla fine dà a tutti un denaro Lo contestiamo perché questo significa incoraggiare il disimpegno, significa favorire i fannulloni, quelli che si sono goduti la vita mentre noi ci siamo

impegnati. Dicono gli operai della prima ora al padrone: Tu li hai fatto uguali a noi quelli hanno lavorato un’ora soltanto.

Chi sono coloro che si arrabbiano di fronte a questa ingiustizia?

Siamo noi, sono i cristiani devoti, buoni, quelli che hanno osservato tutti i comandamenti fin

dall’infanzia, sono coloro che alla sera, prima di addormentarsi, si compiacciono con il Signore per le opere buone che hanno fatto perché così stanno accumulando meriti in paradiso e raccomandano al Signore:” verifica che sia stato scritto tutto nel libro” e adesso si sentono dire che alla fine la paga è uguale per tutti.

Notiamo, sono proprio i cristiani più fervorosi che fanno fatica ad accogliere questa giustizia di Dio.

Alla fine Gesù dice:” perché siete invidiosi della mia bontà?”

Sono i cristiani fervorosi che non sono contenti che alla fine anche chi è arrivato tardi a capire il Vangelo e a vivere secondo il Vangelo, anche lui sia ugualmente felice. Se poi sentono dire che chi, oltre a non aver lavorato, ha intralciato gli altri, hanno creato un sacco di problemi a tutti e non vengono castigati allora si arrabbiano.

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Assomigliano a quel fratello maggiore della parabola, che era convinto che il fratello minore si fosse goduta la vita, Lui ha bighellonato, lui sì che è stato felice! Io invece ho dovuto lavorare con impegno, obbedire a denti stretti a tutti gli ordini del padrone!

Come se la fortuna fosse quella di non avere incontrato il padrone, come se la fortuna fosse quella di non aver conosciuto il Vangelo, così anch'io avrei potuto godermi la vita.

Pensano che chi fa la volontà del Padre si sacrifica, soffre, porta pesi e quindi merita una ricompensa.

Bene, questa è la nostra giustizia. La giustizia di Dio è completamente diversa e noi non possiamo obbligare Dio a praticare la nostra giustizia. Noi avremmo pagato in un modo diverso.

Perché? Lo dice Isaia al capitolo 55:” I pensieri del Signore non sono i nostri pensieri; come il cielo è lontano dalla terra, le sue vie sono lontane dalle nostre”

Una certa spiritualità ha inculcato nei cristiani la religione dei meriti, che è pari pari la religione dei farisei. È stato insegnato che dobbiamo fare del bene perché così accumuliamo meriti in paradiso, ma questo non è amore! Questo è egoismo, è pensare a sé stessi e una delle condizioni che Gesù pone a chi lo vuole seguire è dimenticare sé stessi, pensare solo a donare gioia al fratello.

Cerchiamo di identificare l’errore su cui si fonda la nostra giustizia. È che questi cristiani, devoti, giusti non hanno capito che il Vangelo non è un peso, una fatica, un insieme di doveri, di cui si farebbero volentieri a meno, ma è un tesoro e che è stata una fortuna l’averlo conosciuto e accolto.

Questi cristiani devoti non dicono: “Che bello avere incontrato il Signore all’alba della mia vita, che fortuna ho avuto a nascere in una famiglia, che mi ha educato ad accogliere la proposta di un uomo, che Gesù fa nel suo Vangelo e che grazia è stata per me essere stato coinvolto fin da piccolo nel regno di Dio, essermi impegnato nella vigna del Signore, nella costruzione del mondo nuovo. Sono felice di essere vissuto così, una vita impegnata, certo. Che ha comportato anche sacrifici, ma una vita bella, perché se non avessi trovato il Vangelo, sarei rimasto anch'io, come tanti altri a cincischiare sulla piazza per tutta la vita”.

Allora, chi ha capito la grazia e la gioia che ha avuto trovando fin da piccolo il Vangelo, come vede coloro che arrivano dopo?

Coloro che arrivano alle 9 del mattino, il tempo della giovinezza.

Coloro che arrivano alle 12, nella pienezza della vita.

Coloro che arrivano le 15, quindi in età matura e qualcuno che arriva proprio nella vecchiaia, quando forse ha trascorso la vita, cercando la gioia sulla piazza, senza trovarla.

Quando li vedo arrivare, io che sono felice, dico: “che bello che arrivi anche tu adesso, tra l’altro arrivi al momento giusto, ci darai una mano preziosa adesso nella costruzione del regno di Dio. Il padrone tu l’hai conosciuto tardi, ma guarda che alla fine ci fa sedere tutti alla sua cena, non importa chi è

arrivato prima, chi è arrivato tardi. Lui vuole che tutti partecipino alla sua festa”.

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Chi è arrivato tardi cosa dice? “Che peccato non avere scoperto prima la bellezza del Vangelo! Peccato che non ho incontrato prima il Signore”.

E' questo il peccato, non è altro. Il peccato - dicono i giusti - è godersi la vita. No!

Colui che arriva alla fine dice “Che peccato, io non ho scoperto prima la bellezza di vivere, come indica Gesù di Nazareth nel suo Vangelo”.

Questo è il peccato, il peccato non è una fortuna, è una perdita!

Con questa parabola Gesù vuole demolire definitivamente la religione dei meriti.

Le parole che impiega il padrone della parabola sono durissime.

Dice: “Amico, io non ti faccio alcun torto, tu hai concordato con me un denaro, prendi il tuo e vattene”.

Sta parlando a quelli che difendono la religione dei meriti. Ti piace questa religione dei meriti?

Tientela, prendi il tuo e vattene a crogiolarti nel tuo egoismo che ti fa immusonire, ti rende scostante nella comunità dei fratelli. Sarai un cristiano dal cuore meschino, incapace di gioire della gioia del fratello e addirittura, se senti dire che il Signore non manderà un suo figlio all'inferno, tu ti arrabbi.

Lo dirà alla fine Gesù: “perché il tuo occhio è cattivo” della mia bontà.

E poi c’è la frase di Gesù che incornicia questa parabola:” Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno ultimi”.

Chi sono i primi? Sono i cristiani devoti, quelli che hanno faticato fin dalla prima ora e sono tristi che alla fine anche i fratelli abbiano questa pienezza di gioia. Non capiscono. o capiscono per ultimi, quella che è la giustizia di Dio. Invece gli ultimi arrivano a capire prima l’amore gratuito e incondizionato di Dio e sono tristi per non averlo scoperto fin dalla prima ora.

La parabola non è conclusa. Il Vangelo non ci dice che risposta hanno dato gli operai della prima ora, quando il padrone ha detto loro:” prendi il tuo e vattene”. È l’invito a concludere noi questa parabola.

Se noi non arriviamo a capire che siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra giustizia e aderire alla giustizia del Padrone, noi siamo ancora dei buoni giudei, delle persone impegnate, generose, ma non siamo ancora cristiani!

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