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I have a dream: il quorum degli psicologi

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Academic year: 2022

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I have a dream: il quorum degli psicologi

Chi non ha mai ascoltato il famoso discorso di Martin Luther King? A Washington, in occasione della grandiosa ‘marcia per il lavoro e la libertà’ che portò in piazza 250.000 americani di tutte le etnie contro la segregazione razziale, King pronunciò un discorso che ripeteva: ‘I have a dream’. Più volte, con forza e convinzione: ‘I have a dream’.

Era un sogno nitido, concreto, tangibile e necessario. Un sogno che aveva portato migliaia di persone a partecipare nelle piazze, nelle strade, nei boicottaggi dei mezzi pubblici che segregavano la gente in base al colore della pelle. Il movimento per i diritti civili aveva portato la gente ad alzare la testa, per sentirsi parte di un disegno e di una visione più grandi.

Ecco, di questa partecipazione e del senso di appartenenza ad una grande comunità unita da un sogno, noi Psicologi abbiamo bisogno oggi.

La nostra comunità professionale soffre di isolamento: ce lo dicono i colleghi e le colleghe che ogni giorno incontriamo, che ci scrivono, che commentano sul web ma ce lo dice anche la difficoltà che la professione trova ad affermarsi nel rapporto con la società allargata, con i mezzi di comunicazione, con i decisori politici ed amministrativi del nostro paese.

Il mancato raggiungimento del quorum elettorale in due grandi regioni nelle ultime elezioni per gli Ordini è forse il segnale di un senso di solitudine, di estraniamento, di isolamento che non hanno trovato modo di emendarsi nella

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partecipazione attiva, nell’appartenenza ad una comunità professionale che trascenda l’individualità.

Gli Psicologi, come i cittadini, sono stanchi di sentirsi strattonati e chiamati in causa solo come portatori di voto nei mercanteggiamenti elettorali: sentono fortissima l’esigenza di qualcosa di ulteriore rispetto alle pressioni da campagna elettorale.

Gli psicologi hanno bisogno di risposte – ideali e concrete – a domande restate inevase per troppo tempo.

Noi riteniamo che queste risposte si possano trovare solo nell’attivazione di un’identità professionale condivisa, di quella PARTECIPAZIONE attiva alla vita della comunità e delle istituzioni professionali che da sempre è uno dei pilastri dell’azione di AltraPsicologia.

L’azione dei gruppi regionali di AP si è concretamente orientata in questo senso, per esempio con i progetti centrati sull’attivazione dei Comitati d’Area; le riflessioni sull’inclusività richiesta ad un Ordine che voglia legittimarsi nella società; la capacità di sviluppare interazioni costruttive con tutti gli iscritti.

Queste intuizioni di AP, che il nostro

compianto Giuseppe Tessera ha forse più

di chiunque altro sostenuto, sono oggi i

capisaldi cui agganciare la rifondazione

dell’Ordine degli Psicologi e di tutte

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le istituzioni della professione.

Gli Psicologi hanno ancora un sogno. Un sogno che va interpretato con quella partecipazione costruttiva che non si esaurisce nel voto ma che può essere concretizzato nella realizzazione condivisa di una vera community degli Psicologi.

Per questo AltraPsicologia rilancia la sua proposta di apertura delle istituzioni professionali a tutti i colleghi:

con le iniziative forti di informazione e trasparenza ma anche con l’attivazione di percorsi condivisi di ideazione e realizzazione della professione di domani.

È questo l’unico cammino che può dare senso agli Ordini professionali in questa epoca. Un’istituzione ha senso solo in relazione alla sua utilità sociale e alla sua capacità di attivare appartenenza e partecipazione, altrimenti si estingue: ci pensa la storia. Il nostro futuro è andare oltre tutti i limiti che ancora impediscono agli Psicologi di sentirsi parte di una comunità, di ritrovarsi nelle radici comuni, di scoprire l’appartenenza ad una realtà più grande dei riferimenti di scuola a cui si può chiedere e dare secondo le proprie possibilità.

Non ci illudiamo che sia facile: ci vorrà ancora molto impegno perché gli Ordini e l’ENPAP diventino il volano per sanare la condizione marginalità sociale e culturale che mette in ginocchio, anche lavorativamente, più di metà degli Psicologi italiani e li inchioda a redditi troppo bassi per vivere, ma non può essere l’impegno solo di un piccolo gruppo.

E’ l’ora della PARTECIPAZIONE, da

costruire e salvaguardare: nessuno può

mancare.

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Il vero costo della politica.

Il costo della politica non è solo il denaro che spendo per lo stipendio di un parlamentare, un ministro o un consigliere, ma il peso che la sua incompetenza può avere nell’economia generale del posto in cui esercita il suo ruolo.

Da quando sono vicepresidente

dell’ENPAP, molti colleghi mi dicono di

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essere contenti perché ‘sembro una persona onesta’. Ecco, secondo me non basta.

Non basta che al governo degli enti, grandi o piccoli che siano, ci siano persone oneste: dobbiamo essere persone capaci. Garantire l’onestà è il minimo sindacale, ma quello che davvero è difficile è garantire capacità: è faticoso, complesso, richiede sforzi costanti.

Il costo della politica è soprattutto nella stupidità.

Da Nord a Sud, da destra a sinistra, i membri di Consigli e Giunte Regionali sono stati beneficiari di rimborsi scandalosi, emersi nei mesi passati. Spese ingiustificate e non connesse all’incarico: sigarette, noccioline, persino cartucce da caccia. Ma c’è sempre un concorso di colpa, una complicità meschina, fra chi dalla politica trae benefit che non c’entrano nulla con il proprio compito, e chi questi benefit li vede e li consente.

I r i m b o r s i g o n f i a t i s o n o i l risultato di un sistema di regole stupido e disonesto, che non prevede vincoli alla natura degli scontrini che io posso presentare ai funzionari amministrativi.

Perché sia possibile un simile metodo di gestione dei rimborsi, servono pochi disonesti e molti stupidi, che non si pongono troppi problemi ed approfittano. Serve anche una commistione fra politica

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e dirigenza degli enti che ancora resiste nonostante tutto, in uno spoils system all’italiana.n

Ma un politico può costare moltissimo anche quando rinuncia a compensi e rimborsi.

Basta che il suo comportamento sia stupido, che le sue mozioni siano inutili, che la sua rinuncia ad essere pagato costi alla collettività anche un solo minuto non dedicato al suo compito.

Può costarci molto, se la sua rinuncia ai compensi lo fa sentire legittimato a sparare a casaccio, nel mucchio, a far casino, come abbiamo visto in questi giorni alla Camera, ma pure altrove.

Carlo Cipolla, in ‘Le leggi fondamentali della stupidità umana‘, attribuisce alla stupidità e non all’avidità la maggior potenzialità di produrre danno. Vale la pena di leggere questo ironico e breve trattato, perché illumina certi drammi della politica e della vita come poche altre opere hanno saputo fare.

Che sia un deputato del Movimento Cinque Stelle o l’ultimo dei consiglieri comunali, un politico che rinuncia ai compensi e poi non studia e così fa perdere tempo a tutti, disturbando i processi nobili della democratica, ci costa molto più del suo equivalente in compensi e rimborsi.

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Il confronto politico non è un costo, ma uno strumento perché ciascuno di noi abbia la possibilità di far sentire la sua voce. Diventa un costo quando l’arena politica è un pollaio e non un consesso di cervelli.

Poco o tanto che sia pagato, un politico deve svolgere bene il suo lavoro. Questo io chiedo: quando sono un elettore, io non compro il suo tempo ma il suo interesse per il bene comune, la sua capacità di fare meglio di quanto potrei fare io, il suo impegno per comprendere e studiare ciò che non conosce, la sua tenacia nell’affermare ciò in cui crede, la sua speranza e la sua capacità di vedere oltre.

Il costo della politica basato solo sulle cifre assolute è una menzogna, un mito, una falsità, se non è comparato con il grado di capacità. O di stupidità.

Vediamo le cifre e ci scandalizziamo. E intanto il vero problema sta altrove: dal primo dei parlamentari all’ultimo dei sottosegretari, non è il denaro speso, ma la mancanza di idee, volontà, sudore e studio, a fare brutta una certa politica.

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Omosessualità, terapie

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riparative e psicanalisi: il silenzio dell'Ordine Psicologi Veneto.

Quando si chiede di discutere un argomento in un Ordine, lo si dovrebbe fare in tempi ragionevoli. Questa è la storia di due argomenti caldi, forse indigesti, che hanno atteso oltre due anni e alla fine non sono stati discussi. Succede in Veneto.

Sono state presentate all’Ordine Psicologi Veneto due richieste di discussione: la posizione in tema di terapie riparative dell’OMOSESSUALITÀ, e la questione della PSICANALISI E ABUSIVISMO, alla luce di una sentenza del 2011.

Si tratta di due temi importanti, su cui ritengo necessario fare un bilancio finale. Con un trucco, che va spiegato: il presidente dell’Ordine riceve le richieste e stabilisce la lista di argomenti da discutere in ogni riunione. L’Ordine del Giorno in Veneto ha assunto un’importanza particolare: su 30-50 punti presenti, se ne discutevano 3, forse 4, in media.

Chiaramente, il posizionamento di un argomento fatto ad arte, permette di non discuterlo mai, se uno vuole. Ecco, questo strumento è stato totalmente nelle mani del presidente.

OMOSESSUALITA’ e TERAPIE

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RIPARATIVE

Nel 2012 fa tappa in Italia il tour di Joseph Nicolosi, il famoso e discusso terapeuta americano che dichiara senza alcuna remora che lui aggiusta gli omosessuali e li fa ritornare normali, cioè eterosessuali! Sembra una cosa bizzarra, a dirla così. Lui la spiega sicuramente meglio, e infatti non mancano proseliti.

Molti condannano senza appello le terapie che pretendono di riparare l’omosessualità: Ordini degli Psicologi, svariate associazioni scientifiche e culturali, si schierano in prima linea contro queste pratiche pseudo scientifiche. Prima di tutto perché l’omosessualità non è una malattia. Ma questo è pacifico.

Il motivo importante della condanna è però sociale, culturale:

riparare l’omosessualità con la psicoterapia è solo il vestito buono con cui si è travestito uno degli ultimi retaggi razzisti che stiamo cercando di lasciarci alle spalle da un secolo.

Mi sarebbe piaciuto che il mio Ordine Veneto avesse contribuito a questa battaglia culturale. Che fosse protagonista di questi dibattiti. Non avrebbe dovuto essere molto complicato.

E così nel Maggio 2012 presentiamo una richiesta al Presidente come consiglieri di Altrapsicologia: vogliamo discutere la ‘Posizione dell’Ordine in tema di Terapia Riparative dell’Omosessualità’.

L’idea è di concordare rapidamente una posizione condivisa e poi di assumerla pubblicamente, sui media, mentre l’argomento

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è di attualità. Come altri importanti Ordini degli Psicologi.

INIZIA COSI’ UN VIAGGIO DI UN ANNO E MEZZO fra i punti all’Ordine del Giorno: l’argomento viene piazzato dal presidente Nicolussi in 30° posizione il 14 Giugno 2012. Cade in 33° il 16 Luglio 2012. Guadagna la 26° il 15 Ottobre 2012, la 24° il 19 Dicembre. Torna in 25° posizione a Gennaio 2013.

Nicolosi nel frattempo ha finito il tour, la gente ha lasciato la sala da sei mesi.

Il 2 Luglio 2013 l’argomento è 19° all’Ordine del Giorno, ma il 23 Settembre 2013 cade al 21°. Il 17 Dicembre 2013, nell’ultima riunione di consiglio di questa tornata, in 18°

posizione termina la corsa.

In Veneto la faccenda è ancora indecisa:

ma l’omosessualità la ripariamo o no?

Altrapsicologia la risposta ce l’ha ben chiara da sempre, vorrei sapere la posizione degli altri che oggi si ri- candidano all’Ordine, visto che per un anno e mezzo non si sono espressi. Una di quelle domande scomode a cui la gente non ama rispondere?

LA PSICANALISI E LA SUA LAICITA’

L’argomento è complesso, affascinante. Una sfida etica e giuridica. Succede che nel 2011 una psicanalista non iscritta all’Ordine degli Psicologi subisce una condanna per abusivismo professionale. Il caso specifico è netto: non c’è stata chiarezza con la paziente. Ma il giudice, complici le CTP sul caso, apre ad un discorso più generale sull’appartenenza della psicanalisi al campo delle psicoterapie, e quindi alla professione di Psicologo.

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Si tratta di un nervo scoperto, e di un tema fertile che attraversa cent’anni di storia. Che pone degli interrogativi non banali. Io assumo una mia posizione personale nell’articolo UNA SENTENZA CONTRO LA PSICANALISI? pubblicato su Altrapsicologia. Anche altri ne parlano.

E giustamente anche alcuni iscritti interrogano l’Ordine degli Psicologi del Veneto. Sono membri di una nota associazione di psicanalisi di Padova, e chiedono al proprio Ordine che si possa affrontare il tema della psicanalisi alla luce della recente sentenza.

La richiesta arriva il 25 Giugno 2011. In Settembre, non avendo ricevuto risposta, la collega che l’ha inviata sollecita. Dato che la conosco personalmente e sollecita anche me, io sollecito a mia volta il consiglio con una mail del 15 Settembre 2011.

Il 31 Ottobre 2011 entra in Ordine del Giorno, al 17° posto.

Il 23 Gennaio ha già conquistato la 12° posizione, e pensiamo tutti che questo argomento si farà strada nella vita. Ma il 26 Luglio 2012, ad oltre un anno dalla prima richiesta, il punto è ancora in 11° posizione.

Lo troviamo 11° in Ottobre 2012 e solo 10° in Marzo 2013. Poi a Settembre 2013 è 13° e ad Ottobre 2013 addirittura 14°. Ma come? torna indietro? certo, perché Nicolussi mette sempre i punti in ordine cronologico, ci mancherebbe! ma ne infila in gran quantità fra le prime posizioni, per costringere il consiglio ad discuterli prima degli altri.

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Anche per questo argomento, l’epilogo è

negativo: il giorno dell’ultima riunione

il 17 Dicembre 2013, resta indiscusso in

10° posizione. Sono passati due anni e

mezzo dalla richiesta, e ha compiuto

meno di metà del viaggio che l’avrebbe

portato a discussione.

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Il Counsellor della porta accanto

Uno dei primissimi articoli che scrissi per AltraPsicologia, credo nel 2007, raccontava la storia esemplare di una sentenza di condanna di un counsellor che aveva rischiato di rovinare la vita ad un ragazzo di 15 anni. Con la complicità di uno psicologo, pure lui condannato. Ho perso quell’articolo, ma cerco di ricostruirne a memoria i tratti salienti.

Accadeva in Lombardia. Nello stesso studio, uno psicologo e un counsellor ricevevano abitualmente pazienti, anche scambiandoseli. Il counsellor era letteralmente quello della porta accanto allo psicologo, un quasi laureato in psicologia che intanto si era dato allegramente all’aiuto psichico.

Un giorno, lo psicologo aveva

inviato al counsellor un

adolescente che all’epoca dei

primi colloqui aveva 12 anni,

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e rimase ‘in trattamento’ per circa tre anni.

Mi pare di ricordare che l’intento dell’invio al counsellor fosse proprio quello con cui oggi molti ciarlatani giustificano il proprio operato: che lo psicologo sarebbe figura troppo connotata sul disturbo mentale, addirittura sgradita a persone che non hanno formulato una domanda di terapia.

Dopo tre anni di ‘colloqui’ il padre aveva denunciato il counsellor e lo psicologo, perché il ragazzo non solo non era migliorato, ma stava sempre peggio.

Chiunque di noi di fronte ad alcuni segnali tenderebbe a non sottovalutarli: nel caso specifico, si trattava di una forte incertezza dell’identità di genere, accompagnata da profonda ed evidente sofferenza soggettiva e da una situazione familiare difficile. Insomma, tutti gli ingredienti che dovrebbero imporre ai ciarlatani di ogni ordine e grado di starne alla larga, e perfino ai professionisti la giusta attenzione.

In realtà dovrebbe bastare anche meno, per stare alla larga da quel genere di attività che hanno a che vedere con la salute e i problemi personali delle persone. Ma sappiamo che non sempre avviene.

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Alla fine, il tribunale aveva condannato il counsellor per esercizio abusivo a sei mesi di reclusione, e lo psicologo a due mesi per favoreggiamento.

Sono pene troppo brevi, rispetto al danno provocato e potenziale: non vengono nemmeno scontate.

Ma anche con pene più alte, nessuno restituirà mai a quel ragazzo e alla sua famiglia i tre anni persi in termini di salute. Non di perdita economica, beninteso: i soldi si possono pure recuperare con una causa civile. Ma la salute nessuno la rimpiazza: anni di vita, di felicità persi. Anni in cui un giovane è stato a rischio di aggravarsi. A rischio di comportamenti davvero pericolosi, data l’età e la situazione manifesta.

Resta una sentenza esemplare, per un tema attualissimo: oggi più che mai l’abusivismo ciarlatanesco impera.

Incontriamo infatti una casistica di abusivi che pretendono di assumersi il trattamento professionale di questioni personali, familiari, in ogni caso legate al funzionamento della psiche, senza rispettare i due requisiti che tali attività richiedono.

Non basta infatti ritenersi

soggettivamente capaci. Anche mia zia è

bravissima con la gente, chi parla con

lei sta spesso dice di star meglio. Ma

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anche chi si cura con il vino dice di star meglio.

Anche il prete della mia parrocchia ci sa fare. E c’è pure un muratore in pensione che vive nel mio condominio che saprebbe improvvisare ottimi ponti in cemento armato, anche senza progetto: ha costruito ponti per una vita.

Oltre ad essere ‘capaci’, per fare certe cose occorre anche essere abilitati, e con abilitazione garantita dallo Stato.

La ragione è semplice: è lo Stato che deve proteggere il bene pubblico della salute.

Quindi, ben vengano le sacrosante abilità personali. Ben venga la libertà nella scelta delle cure. Ma resto convinto che per mettere un trapano in bocca alla gente, progettare ponti, occuparsi della psiche altrui, lo Stato – e non le associazioni private – si debba rendere garante presso tutti i cittadini del fatto che Tizio ha seguito un certo percorso formativo, mentre Caio no.

Gli Ordini professionali servono per garantire qualcosa ai cittadini. Questa è la loro principale funzione a livello giuridico. Che tale funzione oggi vada interpretata in senso estensivo, come interfaccia proattiva fra cittadini e categorie professionali, è assolutamente pacifico. Gli psicologi e le attività riguardanti la psiche non possono sottrarsi a questo tipo di garanzia.

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La difesa del lavoro degli psicologi c’è, ma viene dopo.

Talune attività sono state sempre protette, riservate solo ad alcuni. Ma in virtù del valore del loro prodotto, e non certo per un capriccio.

“Gli uomini capaci di trasformare le pietre i metalli erano considerati quasi dei maghi. Il loro destino era spostarsi in continuazione, di villaggio in villaggio, per vendere la loro arte”.

[didascalia del Muse, museo di storia naturale di Trento]

La prima forma di specializzazione professionale: l’arte di forgiare metalli. Oggi sentiamo persone che si scandalizzano perché certe professioni hanno gli Ordini, ma questo modo di organizzare le attività specializzate risale alla notte dei tempi e segna la distinzione che deriva da un’arte che non tutti possiedono, che richiede un addestramento specifico e ha un proprio valore economico.

Oggi le nostre orecchie debbono pure subire un’altra balla colossale: che la Legge 4/2013 avrebbe riconosciuto questa o quell’altra professione.

‘Il counselling è riconosciuto’, si legge in molti siti in modo fraudolento. Ebbene, è falso: la Legge 4/2013, e vale la pena di leggersela QUI, non riconosce affatto specifiche professioni, semmai disegna un riconoscimento delle associazioni private fra persone che esercitano attività non riconosciute. Offre loro la possibilità della normazione UNI.

La Legge 4/2013 non ha riconosciuto per nome alcuna

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professione: ha semplicemente detto che chiunque può dichiarare di svolgere una certa professione (!), e se si vuole farlo seriamente si può – ma non si è obbligati – intraprendere in associazione un percorso che somiglia più ad una certificazione di qualità che ad un Esame di Stato.

Ecco, non serve ribadirlo:

Altrapsicologia negli ordini perseguirà una logica di forte difesa della professione, affinché sia chiaro al cittadino che lo psicologo è formato, competente, riconosciuto dallo Stato. Lo stesso non si può dire delle varie imitazioni in circolazione.

Lavoro ed energia degli psicologi.

Il lavoro resta un tema centrale per gli psicologi. Come si può affrontarlo negli Ordini?

Per me i quarant’anni non sono ancora suonati. Vivo di

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psicologia, eppure non ho un contratto di lavoro stabile nel senso tradizionale del termine. Oggi non mi sento un

‘precario’, ma devo dire che spesso è stata dura. Durante l’università per vivere ho fatto il pizzaiolo, ogni sera per cinque anni. Precario? non lo so: lavoravo in nero e il mantenimento del lavoro dipendeva molto da come andavano gli affari e da come lavoravo.

S o l t a n t o u n a v o l t a h o a v u t o u n c o n t r a t t o a t e m p o indeterminato. Da psicologo. Il paradiso? no, l’esperienza professionale più precaria della mia vita. Ho imparato al volo che un contratto non garantisce il pane: occorre lavorare m o l t o e a v e r e u n p o ’ d i s a n a f o r t u n a , s e s i v u o l e sopravvivere. Occorre raddoppiare gli sforzi e la fortuna, se oltre a vivere si vuole essere buoni psicologi. Poi forse può arrivare un contratto di lavoro stabile, che è utile. Ma credo che ad un certo punto non sia più indispensabile.

Una lotta per la sopravvivenza. Ma noi psicologi siamo così soli nell’affrontare la ricerca di un lavoro?

è solo una questione individuale?

Altrapsicologia è nata su alcuni pilastri. Il lavoro è uno dei pilastri. Ma il problema occupazionale di una categoria che è composta al 90% da liberi professionisti non può essere limitato dalla definizione di ‘precariato’. Se ci vediamo in questi termini, rischiamo di ridurci ad un comparto di lavoratori di varia estrazione, difficile da definire in termini di mansioni, che si aspetta da un Padre-Padrone il salario garantito e qualche garanzia.

Il problema degli psicologi non è il mero ‘precariato’. C’è altro. Uno potrebbe pure essere precario, con più clienti su cui distribuire il rischio e un remunero economico

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sufficiente, come fa in teoria libero professionista. Ma la teoria si scontra con la pratica: è il reddito troppo basso rispetto alla natura specialistica delle nostre prestazioni e al rischio imprenditoriale, a fare povera la nostra p r o f e s s i o n e . I l c e n t r o d e l l a q u e s t i o n e n o n è s o l o l’instabilità: un professionista costruisce la propria stabilità lavorando bene e offrendo competenze specialistiche.

Quello che manca oggi agli psicologi è la corretta remunerazione del rischio d’impresa, e dei costi che sosteniamo per arrivare ad esercitare.

Non dobbiamo accontentarci di ‘trovare lavoro’: dobbiamo anche creare il contesto perché il lavoro sia vero, redditizio a sufficienza, e stabile grazie al fatto che la società conosce e apprezza gli psicologi.

Lo possiamo fare con la promozione e l’innalzamento della qualità del nostro operato, attraverso il lavoro di ciascuno di noi ma soprattutto con i nostri Ordini e le nostre associazioni di categoria. Soprattutto, attraverso un senso di comunità professionale. É una sfida, quella che lancio. Ma anche un invito alla speranza.

Noi psicologi dobbiamo abbandonare l’idea che il nostro ruolo sia secondario a qualcuno, che il mondo non ci voglia e che orde di abusivi possano facilmente fregarci il lavoro. Non siamo così deboli. Ma non possiamo sederci sugli allori. La nostra è una professione, prima che un lavoro.

Un professionista gestisce e guida i

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processi, non li subisce. Crea lavoro per sé e per altri, non lo aspetta come un diritto garantito. Il lavoro non è un regalo che altri debbono farci, ma la conseguenza di un modo adeguato di porci sul mercato come categoria professionale.

Non siamo soli. Siamo una comunità professionale. Gli ordini a p p a r t e n g o n o a t u t t i n o i . D o b b i a m o s o l o f a r l i rinascere. Spetta a chi governerà nei prossimi anni espellere definitivamente le tossine che indeboliscono la psicologia professionale, e far spuntare le ali per spiccare il volo all’interno della società italiana.

Gli Ordini sono strumenti per migliorare il rapporto fra psicologi e cittadini.

Sono una delle vie per tradurre la professione in lavoro.

Gli Ordini non sono e non devono essere agenzie per il lavoro, ma potenti produttori di occasioni grazie ad un’azione vivace e turbolenta nella società e nei luoghi di lavoro degli psicologi.

Il compito dei consigli degli Ordini è

l’innovazione, anche per il lavoro degli

psicologi.

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