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1.1 La specie Canis lupus : generalità INTRODUZIONE CAPITOL0 1

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CAPITOL0 1

INTRODUZIONE

1.1 La specie Canis lupus: generalità

Il lupo appartiene all’ordine dei Carnivori (Carnivora), alla famiglia dei Canidi e alla specie Canis lupus (Linneaus,1758).

Oggi esistono 5 sottospecie del lupo: Canis lupus lupus per tutta l’Europa centrale e settentrionale, Canis lupus arabs per la forma chiara e piccola dei deserti arabi, Canis lupus pallipes per le forme dell’Asia meridionale e del Medio Oriente, più un paio di sottospecie per le forme del Nordamerica che oggi sono spesso distinte in lupo della tundra e lupo della foresta (o grigio) in base alla loro localizzazione (Boitani,1986; Lopez,1999).

Il lupo è il più grosso membro della famiglia Canidae, inoltre molte delle sue caratteristiche fisiche riflettono le sue capacità di cacciare, inseguire, attaccare e uccidere prede più grandi di lui (Mech, 1970). Considerando un lupo adulto, la lunghezza dal capo al corpo è di circa 100-140 cm (esclusa la coda), l’altezza al garrese varia dai 50 ai 70 cm (le femmine sono leggermente più piccole rispetto ai maschi) ed il peso va dai 25 ai 35 kg con valori massimi di 40-45 kg nei lupi nordamericani. Il colore del pelo cambia notevolmente dal bianco al crema al marrone al fulvo fino al grigio antracite e al nero (KORA, Documentazione lupo, 2005).

Il lupo presenta un cranio grande e allungato con forti mascelle che danno attacco ad un potente muscolo massetere deputato alla masticazione. La

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dentatura è formata da 42 denti in grado di strappare e masticare la carne, ma la funzione di triturare il cibo è effettuata dai denti carnassiali.

Per quanto riguarda le abilità sensoriali il lupo possiede un olfatto altamente sviluppato, grazie al lungo cranio che fornisce un’ampia area per l’apparato olfattivo, e un udito che gli permette di sentire ululati di altri lupi anche a grandi distanze.

La dieta del lupo dipende soprattutto dalla disponibilità delle prede nell’ambiente. Egli caccia di preferenza cervi, caprioli, camosci, mufloni e cinghiali (oltre a grandi animali come caribu o alci in Nordamerica), spesso caccia anche animali domestici come pecore e capre, e non disdegna piccole prede come lepri, conigli, marmotte, volpi e altri piccoli mammiferi.

In passato l’habitat del lupo comprendeva tutto l’Emisfero Settentrionale (l’intero continente nordamericano ed eurasiatico). Ad eccezione delle foreste tropicali dell’Asia sud-orientale e dei luoghi desertici, i lupi si sono adattati praticamente ad ogni ambiente disponibile. Della distribuzione originaria oggi è rimasto ben poco. In Italia il lupo era ampiamente diffuso sull’intera penisola fino alla metà del secolo scorso, successivamente fu messa in atto una vera e propria persecuzione dell’animale, che raggiunse il massimo livello negli anni ’70 quando la popolazione fu ridotta al minimo (Bocedi e Bracchi, 2004). Dalla seconda metà degli anni ’70 si è assistito ad un graduale aumento delle popolazioni di lupo anche grazie ad efficaci iniziative di salvaguardia della specie. Oggi si stima la presenza di 500-600 lupi sull’intera catena appenninica, dall’Appennino settentrionale all’Aspromonte. Importanti ramificazioni si hanno, inoltre, nel Lazio settentrionale e nella Toscana centro-meridionale. Il lupo è

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stabile anche sulle Alpi occidentali sia sul versante italiano che su quello francese (Bocedi e Bracchi, 2004).

1.2 La struttura sociale del lupo

Il sistema sociale del lupo è ben sviluppato e stabilisce le relazioni tra gli individui, fornendo gli strumenti attraverso cui le attività di tutto il branco (spostamenti, caccia, riposo) possono essere gestite (Mech, 1970). Una gerarchia lineare è il modo più semplice per descrivere i rapporti di dominanza all’interno del branco: al vertice è situata la coppia generatrice, detta “coppia alfa”, seguono poi l’elemento “beta”, i membri subordinati (i giovani nati negli anni precedenti) e gli individui “omega”.

MASCHIO ALFA FEMMINA ALFA

ELEMENTO BETA RANGO INTERMEDIO RANGO INTERMEDIO RANGO INTERMEDIO RANGO INTERMEDIO RANGO INTERMEDIO ELEMENTO OMEGA ELEMENTO OMEGA

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Nel 1982 Zimen propose un altro modello per descrivere i rapporti gerarchici tra i membri di un branco: il modello della gerarchia basata sull’età dell’individuo (Age-graded model). L’Age-graded model implica:

-una linea gerarchica separata all’interno di ogni classe di sesso (specialmente in cattività) influenzata, ma non determinata dall’età (Schenkel, 1947; Zimen, 1982);

-la dominanza dei maschi sulle femmine all’interno di ogni classe di età (Rabb

et al., 1967; van Hooff e Wensing, 1987; Savage, 1988).

Femmina/e Subadulta/e Femmina riproduttrice Femmina/e giovani Cuccioli femmine Maschio/i Subadulto/i Maschio/i giovani Cuccioli maschi Maschio riproduttore

Fig. 1.2 Age-graded model

Quest’ultimo modello è meno rigido e non cristallizza gli individui in ruoli definiti con termini alfa, beta, omega, che alcuni autori definiscono inappropriati per branchi costituiti da elementi tutti imparentati tra loro (Mech, 1999; Packard, 2003). Rimane sempre centrale anche secondo questo modello il ruolo della

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coppia alfa, ma nel branco ogni lupo “conosce” la propria posizione sociale rispetto ad ogni altro conspecifico (Ruttler e Pimlott, 1968).

L’unità di base del branco è la coppia alfa, ossia un maschio e una femmina in grado di riprodursi, che daranno origine ad un nuovo gruppo familiare (Mech e Boitani, 2003). Questi cercano un territorio non occupato da altri branchi, con risorse sufficienti alla propria sopravvivenza e a quella dei loro cuccioli.

La coppia generatrice decide in merito alle attività del branco: la caccia, gli spostamenti, la difesa del territorio; inoltre, il suo compito più importante è quello di regolare la procreazione all’interno del branco. Il controllo viene esercitato soprattutto da parte della femmina alfa che impedisce alle altre femmine del gruppo di riprodursi (KORA, Documentazione lupo, 2005).

La prole lascia il branco originario a circa 10-54 mesi di età, più tardi rispetto ad altri mammiferi. La prolungata associazione tra gli immaturi e il gruppo originario rappresenta un valido mezzo per sviluppare e affinare le tecniche di caccia e di difesa del territorio da parte dei giovani (Packard, 2003).

Il branco può essere visto come una “famiglia” con i genitori adulti che guidano le attività del gruppo e detengono la leadership, con un sistema di divisione del lavoro in cui la femmina si occupa della cura e della difesa dei cuccioli, mentre il maschio guida le attività di caccia.

All’interno del branco possono essere accettati lupi non estranei al gruppo o parenti di un individuo della coppia alfa (Mech, 1999; Mech e Boitani, 2003; Packard, 2003). La maggior parte degli “adottati” sono maschi, molte “adozioni” avvengono nel periodo compreso tra Febbraio e Maggio e possono durare da pochi giorni fino a più di un anno. Non è ancora chiaro il motivo per cui alcuni

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lupi vengano accettati in branchi estranei, mentre altri siano scacciati, attaccati o addirittura uccisi (Mech, 1993a, 1994a; Mech et al., 1998).

Stretti legami sono necessari per mantenere un branco unito. La solidità, la stabilità e la natura dei legami sembrano avvicinarsi a ciò che viene detto nell’uomo “legame affettivo” (Mech, 1970). La formazione di forti legami tra i membri del gruppo probabilmente richiede un lungo periodo di interazione tra gli individui. La coesione sociale è essenziale per la cooperazione nella caccia e nella difesa delle risorse, del territorio e della prole.

I lupi hanno sviluppato un sistema di comunicazione complesso, basato soprattutto sulla postura, sulla vocalizzazione e sulla comunicazione olfattiva (KORA, Documentazione Lupo, 2005). I vari tipi di comunicazione forniscono informazioni sul rango del conspecifico e permettono ai vari individui di manifestare chiaramente le proprie intenzioni, in questo modo vengono regolate le interazioni tra i vari membri del gruppo e mantenuta la coesione del branco (Mech, 1970).

1.3 La riconciliazione

La cooperazione nella difesa del territorio e delle risorse e la collaborazione per la cura della prole portano vantaggi evidenti ai membri di un gruppo (Walters e Seyfarth, 1987; Aureli, 1997; van Hooff, 2001). La socialità è quindi una “scelta” dettata dagli importanti benefici ad essa legati, ma qualunque siano le ragioni per cui particolari specie seguono questa scelta, la vita di gruppo implica anche la presenza di competizione tra i singoli membri (Aureli, 1997; van Hooff, 2001; Aureli et al., 2002). La competizione è una parte essenziale della vita sociale e deriva dal “conflitto di interessi” che nasce per lo sfruttamento delle risorse di

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qualunque natura esse siano (es. partner sessuali, cibo) (van Hooff, 2001; Aureli et al., 2002). Per gli animali sociali il conflitto d’interesse è inevitabile e può compromettere i benefici associati alla vita di gruppo, specialmente se sfocia nell’aggressione. Infatti le conseguenze di un conflitto portano ad un alto rischio per gli individui coinvolti, specialmente per coloro che ricevono l’aggressione. Questi possono essere ulteriormente attaccati dall’aggressore o da altri membri del gruppo nel periodo immediatamente successivo allo scontro, in conseguenza di ciò i perdenti entrano in uno stato di incertezza riguardo ai nuovi possibili scontri.

Molte specie sociali hanno sviluppato meccanismi comportamentali per mantenere la coesione del gruppo, mitigare i conflitti e prevenire le aggressioni (Kappeler e van Schaik, 1992; Aureli et al., 2002; Preuschoft et al., 2002; Wittig e Boesch, 2003; Palagi et al., 2004).

La gestione dei conflitti include i meccanismi comportamentali atti ad evitare lo scontro e a mitigare e riparare i danni causati dall’aggressione. Gli scontri possono essere evitati attraverso display comportamentali e regolando l’accesso alle risorse in base, ad esempio, al rango di appartenenza. Anche comportamenti affiliativi (es. contatti sessuali o grooming nei primati) possono essere utilizzati per aumentare la tolleranza in presenza del cibo e limitare la competizione (Aureli et al., 2002).

Un altro meccanismo usato da molte specie per gestire le conseguenze negative di un conflitto è la riconciliazione (Kappeler e van Schaik, 1992; Aureli

et al., 2002; Preuschoft et al., 2002; Wittig e Boesch, 2003; Palagi et al., 2004)

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affiliativi immediatamente dopo il conflitto (riunioni amichevoli post-conflittuali). Ricerche su molte specie di primati hanno dimostrato che la probabilità di contatti riconciliatori tra i due antagonisti è più alta nei primi minuti subito dopo il conflitto.

Negli ultimi trenta anni la presenza della riconciliazione è stata dimostrata in circa 12 specie di primati non umani (Aureli e de Waal, 2000b), ma riunioni post-conflittuali sono state riscontrate anche in altri mammiferi sociali (de Waal, 1986; Cords e Thurnheer, 1993) come ad esempio nella capra domestica,

Capra hircus (Schino 1998), nei delfini, Tursiops truncatus (Samuels e Flaherty

2000) e nella iena, Crocuta crocuta (Hofer e East 2000). Malgrado questi studi esistono comunque pochi dati sul comportamento post-conflittuale nei mammiferi non-primati (Schino, 2000).

La riconciliazione potrebbe essere stata favorita dalla selezione naturale perché regola gli scontri in maniera rapida e senza ambiguità (Silk, 2002). Ciò risulta utile perché le interazioni agonistiche hanno un inizio ma non una fine repentina. Un conflitto può terminare dopo un episodio aggressivo o può continuare fino ad un livello di pericolosità più alto. Colui che riceve l’aggressione può sottomettersi, rispondere all’aggressione oppure cercare dei validi alleati. Questa incertezza rende il periodo immediatamente successivo allo scontro stressante sia per la vittima che per l’aggressore (Aureli et al., 1989, Aureli e van Shaik, 1991, Das et al., 1997). L’incertezza preclude anche ulteriori vicinanze tra i due antagonisti perché è troppo rischioso ristabilire contatti quando non sono chiare le intenzioni dell’avversario.

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I comportamenti riconciliatori possono essere interpretati come segnali che informano la vittima sul termine del conflitto, sulle intenzioni dell’aggressore e sulla possibilità di restaurare il rapporto tra i due opponenti (Silk, 2002).

La percentuale dei conflitti seguiti da riconciliazione è sempre meno del 100%, con cifre che variano in base alle caratteristiche del gruppo o della specie (Aureli et al., 2002). Questo dato è sorprendente visti i benefici che derivano dalla riconciliazione per entrambi gli individui coinvolti in uno scontro. La bassa frequenza può essere legata ai costi associati alla riconciliazione per uno o per entrambi i contendenti o alla percezione da parte di uno o di entrambi gli individui che la relazione è rimasta incolume dopo lo scontro. In quest’ultimo caso, infatti, non è necessario mostrare segnali riconciliatori, dato che la relazione non ha subito danni. In generale, due contendenti hanno più probabilità di riconciliarsi se questo evento risulta effettivamente fattibile e positivo per entrambi. Perché avvenga la riconciliazione la differenza tra costi e benefici deve essere alta (nel senso dei benefici) per entrambi gli individui coinvolti nello scontro (Cords e Aureli, 2000). Questa situazione è legata alla condivisione di benefici e al grado di validità della relazione tra i due contendenti (Aureli et al., 2002). Infatti, secondo la Valuable Relationship

Hypothesis la riconciliazione sembra avvenire più frequentemente tra individui

con valide e vantaggiose relazioni sociali (de Waal e Aureli, 1997; Aureli et al., 1989; Kappeler e van Schaik, 1992; Cords e Aureli, 1993). Questa ipotesi può essere estesa anche a livello di gruppo, in quanto è necessaria la cooperazione di tutti gli individui per la difesa del territorio, per la caccia o per la cura della prole e quindi tutte le relazioni inter-individuali risultano essere vantaggiose

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sociale in cui i singoli individui riconoscono la validità dei legami che hanno con i propri conspecifici e i benefici che ne conseguono, e per questo motivo hanno sviluppato dei meccanismi in grado di riparare i danni causati dai conflitti originati dalla vita di gruppo.

1.4 Scopo del lavoro

Il presente studio ha lo scopo di investigare la presenza della riconciliazione in una specie altamente sociale e cooperativa come il lupo (Canis lupus), in cui l’associazione tra i membri del branco non è casuale, ma riflette la forza dei legami sociali (Zimen, 1976 ; Schröpfer e Rhode, 1997).

La vita in branco è un continuo equilibrio tra comportamenti di coesione e di competizione: il comportamento di coesione è tutto ciò che porta i lupi a relazionarsi tra loro, mentre il comportamento conflittuale è quello che tende ad allontanarli dalla condivisione col gruppo (Packard, 2003).

La necessità di mantenere l’unione nel branco si riflette probabilmente anche nella gestione dei conflitti. La competizione e i conflitti d’interesse, come già detto, possono generare conflitti che interrompono (anche se momentaneamente) i rapporti sociali tra gli individui; malgrado questa evenienza, gli individui del branco rimangono uniti piuttosto che disperdersi, ovvero mantengono i legami sociali con i propri conspecifici. Proprio per comprendere quali siano i processi che consentono di riallacciare le relazioni tra gli individui dopo un conflitto si è cercato di investigare se:

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- il processo di riconciliazione sia influenzato dal sesso degli opponenti, dal rango di appartenenza, dal tipo di relazione sociale, dal contesto delle aggressioni e dall’intensità del conflitto.

A tale scopo è stato studiato il gruppo di lupi ospitato presso il Giardino Zoologico di Pistoia (Italia).

La condizione di cattività pone inevitabilmente delle limitazioni, prima tra tutte l’impossibilità degli animali di migrare dal proprio gruppo. Questa condizione potrebbe influenzare positivamente la presenza della riconciliazione. A tal proposito studi condotti sui primati dimostrano che la riconciliazione è presente, sia in natura che in cattività, con frequenze simili nella stessa specie (de Waal e van Roosmalen, 1979; Kappeler, 1993; Judge e de Waal, 1993; Aureli et al., 1995). Per questo si può pensare che la riconciliazione non sia in realtà un artefatto della cattività. Lo studio dei contatti riconciliatori in condizioni di cattività permette di osservare gli animali costantemente e di applicare metodologie controllate che sarebbero di difficile attuazione in ambiente naturale (Aureli, 1992).

Figura

Fig 1.1 Gerarchia lineare in Canis lupus
Fig. 1.2 Age-graded model

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