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Capitolo 1 Lo sviluppo delle biotecnologie

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Lo sviluppo delle biotecnologie

1.1 Le origini

L’applicazione delle biotecnologie ai vari settori produttivi ha fatto nascere un acceso dibattito. Infatti, nelle potenzialità offerte dalla biotecnologia vengono riversate grandi attese che vanno dalla possibilità di curare le varie malattie che affliggono l’uomo, alla possibilità di garantire nei prossimi anni il soddisfacimento della domanda alimentare mondiale. Nel contempo il termine biotecnologia evoca in molti timori di pericoli incontrollati per l’umanità. Nel termine “biotecnologie” sono comprese tutte le tecniche che utilizzano organismi viventi o loro derivati per ottenere o migliorare prodotti che si perdono nella storia, quali prodotti fermentati come yogurt, birra e pane [1]. Solo in anni recenti, però, le scoperte in campo genetico hanno permesso il passaggio dalla biotecnologia tradizionale alla biotecnologia moderna, caratterizzata dalla capacità,“rivoluzionaria” di “riscrittura” del corredo genetico degli organismi viventi.

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Questa nuova capacità è stata negli ultimi anni applicata a diversi settori produttivi, fra cui l’agricoltura. Il termine, che è stato usato per la prima volta nel 1919 è composta da tre termini di origine greca: bios, che significa vita; teuchos, che significa strumenti e logos, il cui significato è studio, essenza. Per cui il significato etimologico della parola biotecnologia è : “lo studio degli strumenti provenienti da organismi viventi”. La biotecnologia nasce dall’integrazione di principi e tecniche di biochimica, di microbiologia, genetica e ingegneria genetica che, attraverso l’uso di agenti biologici quali microrganismi, enzimi, cellule animali e vegetali o batteri, realizzano prodotti quali cibi, farmaci, composti chimici, sementi, o servizi quali trattamenti antinfluenzali, diagnostici, controlli ambientali [2].

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Numerosi autori fanno osservare che le biotecnologie definite come descritto precedentemente non costituiscono una assoluta novità poiché ad esse possono essere ricondotti i metodi di produzione che impiegano organismi viventi e che sono già noti e usati da migliaia di anni come la fermentazione, l’allevamento, la selezione vegetale con quelli risalenti solo ad una ventina d’anni come la tecnologia del DNA ricombinante. Il tentativo di far apparire la biotecnologia un insieme di processi ormai consolidati da un uso millenario, se da un lato cerca di ridurre le aspettative e i timori ad essa legati, dall’altro genera una certa confusione che ostacola la percezione delle novità in essa contenute. Per tale motivo è opportuno suddividere la biotecnologia in due gruppi:

1. Biotecnologia tradizionale: racchiude le già note e radicate tecniche

ba-sate sull’uso di lieviti per produrre pane, birra, vino e formaggio; le tec-niche tradizionali di allevamento e selezione vegetale; la produzione di vaccini.

2. Biotecnologia moderna: comprende l’uso delle più recenti tecnologie

come quelle basate sul metodo del DNA ricombinante, sulla moderna tecnica delle cellule in coltura [3].

La suddivisione proposta suggerisce come la biotecnologia abbia intrapreso un processo evolutivo in cui le conoscenze acquisite

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nel campo della genetica e della biologia nel corso del primo stadio costituiscono le basi per lo sviluppo di quello successivo. Numerose sono le tappe che dimostrano come l’impiego di organismi viventi per realizzare e modificare prodotti è noto già da tempo. La fermentazione era una tecnica che le antiche popolazioni usavano per conservare il cibo o per migliorarne il sapore. I cibi venivano lasciati per un certo periodo di tempo a contatto con dei microbi i quali ne trasformavano la struttura o il sapore. Gli antichi Sumeri e Babilonesi, popoli vissuti nel 6000 a.C., preparavano la birra; gli Egiziani il pane lievitato già nel 4000 a.C. Si ritiene che i più noti conoscitori della tecnica di fermentazione erano i Giapponesi i quali preparavano salse di soia e pasta usando l’azione trasformatrice dei microbi. Tuttavia i meccanismi di base della lievitazione e della fermentazione vennero compresi e descritti solo nel corso del 1800 grazie al lavoro di Louis Pasteur che identificò i microrganismi causa dei desiderati o degli indesiderati fenomeni di modificazione biologica degli alimenti, dando un’impronta scientifica a quelle che in precedenza furono scoperte causali [4]. Questo permise di migliorare l’affidabilità delle fermentazioni tradizionali e di garantire una più sicura conservazione di alimenti e bevande. Pasteur pensava che la presenza di microbi fosse sempre necessaria al fine di avviare i processi di cambiamento in atto durante

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la fermentazione. Solo verso la fine del secolo scorso si è compreso che vi sono estratti “non viventi” che causano le trasformazioni solitamente attribuite ad organismi viventi: gli enzimi. Nel 1926 viene dimostrato che gli enzimi sono delle proteine. Durante gli anni ‘40, sono stati messi a punto metodi di crescita dei microbi in grandi vasche di fermentazione per la produzione di penicillina e di altri antibiotici. Oggi questa tecnologia di fermentazione consente la produzione commerciale d’una vasta gamma di prodotti microbici. Questi includono gli enzimi, gli ormoni quali l’insulina, le vitamine, gli amminoacidi ed alcuni metaboliti industrialmente utili quali l’acido citrico. Negli anni 60 viene svolto un lavoro di selezione dei microbi presenti in natura, e di successiva identificazione dei principali principi attivi (gli enzimi), al fine di utilizzarli nell’industria alimentare per produrre alimenti con desiderate caratteristiche. Numerosi sono gli enzimi utilizzati nei vari settori industriali e ciò risulta anche dal bilancio globale del mercato delle vendite degli enzimi industriali molto incoraggiante [5].

1.2 Gli enzimi:sono le molecole chiave delle

biotecnologie

Dal punto di vista chimico gli enzimi sono proteine che svolgono una

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azione di accelerazione dei processi chimici e per questo vengono chiamati catalizzatori. Queste sostanze attualmente vengono utilizzate in numerosi processi industriali, poiché consentono di ottenere lo stesso prodotto con un minor numero di passaggi o in condizioni di temperatura più bassa, o limitano il ricorso a reagenti chimici potenzialmente pericolosi. Gli enzimi sono proteine: polimeri complessi e sofisticati, presenti a migliaia nelle cellule e di enorme importanza per la vita di ciascuna cellula, dove, in un brulichio di attività chimica, migliaia di molecole diverse vengono demolite nei loro componenti più semplici, o, viceversa, usate come mattoni per costruire strutture più complesse. Una tipica cellula batterica può contenere 3.000 proteine diverse e una cellula umana ne possiede da 50.000 a 100.000. All’incirca la metà di esse sono catalizzatori biologici, enzimi, che servono ad accelerare le reazioni chimiche intervenendo nelle funzioni di base della cellula, come l’estrazione di energia dal cibo e la sintesi di DNA o svolgendo compiti diversi, ad esempio la produzione di molecole impiegate nella “guerra chimica” per sbarazzarsi dei competitori o sfuggire ai predatori. Da qui nascono gli antibiotici, anzi non è fantascienza immaginare che, all’origine della vita sulla terra, le comunità in competizione si battessero per il territorio, utilizzando ognuna i propri specifici antibiotici nel tentativo di sterminarsi

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a vicenda. Gli enzimi responsabili delle funzioni base della cellula sono impiegati per la produzione di sostanze utili, sfruttando il processo di “fermentazione” col quale essi demoliscono, ad esempio, una molecola organica per estrarne l’energia biochimica. Louis Pasteur definì la fermentazione come il processo biochimico secondo il quale i microrganismi producono sostanze dalla degradazione di composti organici, e la chiamò “vita senza ossigeno”, per distinguerla dalla respirazione, che avviene in presenza di ossigeno. Tale attività è stata sfruttata dall’uomo e si è evoluta nei secoli nell’industria della fermentazione. Fino agli anni venti, prima della nascita dell’industria petrolifera, la fermentazione era la maggior fonte di materie prime per l’industria chimica. Fino alla metà del ventesimo secolo non ci sono stati significativi mutamenti nell’evoluzione delle biotecnologie, se non il miglioramento delle tecniche di fermentazione e, naturalmente, la comprensione dei fenomeni. Questo modo di utilizzare il materiale biologico da parte dell’uomo è stato rivoluzionato dalle biotecnologie avanzate, termine che propriamente indica la produzione di nuove combinazioni di materiale ereditabile, ottenute mediante inserzione di molecole di acido nucleico (DNA), di qualunque provenienza, in un organismo ospite. Determinante per questa rivoluzione biotecnologica è stata la definizione del modello della doppia elica del DNA, nel 1953,

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ad opera di due ricercatori statunitensi: James Watson e Francis Crick, A partire dagli anni ‘70 la conoscenza e l’utilizzo dei meccanismi della trasmissione ereditaria, della funzione del DNA e degli enzimi hanno permesso lo sviluppo delle biotecnologie avanzate, così chiamate per distinguerle dalle fermentazioni, ovverosia le biotecnologie tradizionali, che utilizzano semplicemente l’attività metabolica di microrganismi utili. Le biotecnologie avanzate rappresentano un insieme di tecniche ad alto contenuto innovativo e applicabili universalmente: in ambito medico, all’ambiente e nel settore agroalimentare e zoootecnico.

1.3 Enzimi nell’industria

Il primo enzima prodotto industrialmente è stato un’amilasi nel 1894 utilizzata a scopo farmaceutico [6]. Successivamente l’utilizzo di enzimi ebbe notevole sviluppo nell’industria dei detersivi, dove si utilizzava una proteasi libera, in grado però di provocare fenomeni di allergia negli addetti alla produzione; per ovviare a questo problema si passò alla microincapsulazione dell’enzima con sostanze cerose, in tal modo questo, non avendo più carattere polverulento, presentava minor potere allergenico. Ancor oggi, il campo più esteso di applicazione degli enzimi è quello dei detergenti, dove si utilizzano miscele di enzimi con funzioni diverse [7]. La ricerca in questo campo punta

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allo sviluppo di enzimi resistenti alle componenti dei detersivi (tensioattivi, sbiancanti, emulsionanti), in modo da avere effetti sinergici e ottenere gli stessi risultati a temperature più basse.

Gli enzimi che più frequentemente sono utilizzati in detergenza sono:

Enzima Substrato attaccato Tipo di "sporco" rimosso

Amilasi Amido Riso, pasta, patate, mais

Proteasi Macchie di origine

proteica

Sangue, erba, vino, caffè, pomodoro, ecc.

Lipasi Macchie d'unto Oli, grassi

Le proteasi alcaline, ricavate da Bacillus licheniformis, Bacillus amyloliquefaciene o Bacillus cereus, molto resistenti alle alte temperature e ad elevati pH (fino a 11). Numerosi possono essere gli esempi di applicazione, ma per rimanere nel campo dei tessuti si può ricordare che l'effetto 'consumato' di alcuni jeans viene realizzato con enzimi. In questo caso si usa la cellulasi che agisce sui piccoli filamenti esposti in superficie rimuovendoli dal corpo principale della fibra ed eliminando parzialmente il colorante blu (indaco). Anche le fastidiose e antiestetiche palline che si formano per strofinio della lana o dei tessuti sintetici possono essere eliminate a livello industriale mediante questi enzimi. Le cellulasi sono costituite da tre tipi di enzimi che agiscono in sinergia e degradano la cellulosa con una reazione di idrolisi. In questo modo le parti più superficiali delle fibre vengono eliminate e il tessuto

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risulta più liscio e compatto. Nel campo dell'industria tessile, altri enzimi con caratteristiche di elevata resistenza alle condizioni di lavoro vengono impiegati nella rimozione del materiale proteico che ricopre le fibre della seta grezza, del materiale non cellulosico che accompagna il cotone grezzo, oltre che per la rimozione dell'amido con il quale si proteggono le fibre tessili durante la filatura o per il trattamento delle pelli nella fase di preparazione e di concia. Questi processi industriali hanno effetti molto positivi sia sulla qualità dei materiali ottenuti, che risultano sottoposti a trattamenti molto più blandi che nei processi tradizionali, sia per l'ambiente, in quanto vengono sottratte minori quantità di acqua per questo tipo di lavaggi e si introducono minori quantità di rifiuti pericolosi.

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