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1 Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

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1 Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Premessa: sulla definizione di documentario

Si sente spesso dire che il cinema è nato documentario con le vedute Lumière, mentre l’altra anima, quella della “narrazione finzionale” sarebbe stata incarnata poco dopo da Meliès. C’è stato chi, come Godard [in Sarris, 1968], ha affermato l’esatto contrario sostenendo che le vedute Lumière si rifacevano a temi presi in prestito dalla letteratura e dalla pittura impressionista di fine ottocento [vedi anche Aumont, 1989]; invece Meliès, ricostruendo in studio eventi di attualità, avrebbe dimostrato un maggiore interesse per la rappresentazione della realtà.

Andrew Sarris [in 1968] ha interpretato questa posizione provocatoria come un ridefinizione da parte di Godard della storia del cinema secondo il proprio tempera- mento artistico: una riflessione sulla filmografia del regista unita alla conoscenza degli altri suoi interventi sull’argomento farebbero credere che abbia voluto superare la contrapposizione tra documentario e finzione in favore di una visione del cinema come riconciliazione degli opposti.

Ogni grande documentario tende alla fiction e ogni grande film di fiction

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

tende al documentario [. . . ]1

Ho sempre cercato di far sì che quello che viene chiamato documentario e quella che viene chiamata finzione siano per me i due aspetti di uno stesso movimento, ed è il loro legame che genera il vero movimento.2

La posizione di Godard, che suona paradossale, invita a riflettere sulla nostra conce- zione di realismo cinematografico e sul fatto che altre l’hanno preceduta, influenzando l’estetica, la narrazione e la metodologia del documentario. Si è passati così dalla ricostruzione di eventi reali, alla volontà di semplice registrazione di documenti, alla lettura della realtà attraverso categorie ideologiche, fino all’esaltazione dell’interpre- tazione soggettiva. Quindi la definizione minima di documentario (adottata da parte della critica dopo la nascita del cinema diretto) come un film i cui personaggi non so- no attori professionisti, ma persone comuni che “interpretano il proprio ruolo” senza sceneggiatura [Gauthier, 1995] si scontra con numerose eccezioni3. Ne risulta che il documentario, privo di costanti, sfugge alla classificazione dei generi cinematografici.

Quella che segue è una sommaria ricapitolazione dell’evoluzione del cinema docu- mentario francese dalle origini fino agli anni ‘80, con particolare attenzione al periodo 1960–1980. Pochi riferimenti essenziali vengono fatti al documentario internazionale e al contesto sociale, economico e culturale, con i dovuti accenni alla storia della critica. Questa parte deve in maniera specifica all’opera di sistemazione storica di Guy Gauthier [1995; 2004; 2003], ma anche a Odin [1998], Guy Hennebelle [1976], Rossignol [2002], Prédal [1987], Marsolais [1997], Casetti [1993], Bazin [1975] nonché alcune storie del cinema.

1.1 “Archeologia” del documentario

1.1.1 Gli inizi: la registrazione del reale e il reportage. Il docu- mentario didattico e scientifico. La propaganda colonialista e di guerra.

Quando i fratelli Lumière capirono le potenzialità del cinematografo mandarono i loro operatori in giro per il mondo per catturare immagini di luoghi esotici. Questa pratica, sulla scia del successo della letteratura di viaggio, si diffuse enormemente e trovò espressione nelle conferenze della Société de Géographie e nelle celebrazioni

1Godard citato in Gauthier, 1995 (trad. mia).

2In Godard, 1980 (trad. mia).

3Vedi più avanti Robert Flaherty, Georges Rouquier e Richard Dindo.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

propagandistiche del colonialismo [Gauthier, 1995]. Poco più di un decennio dopo la nascita del cinema alle vedute della Societé Lumière subentrarono le actualités prodotte da Pathé e Gaumont (il Journal Cinématographique Pathé risale al 1908), proiettate prima dei film fino agli anni ‘50, quando furono sostituite dall’informazione televisiva. Le vedute e le actualités, tradizionalmente considerate “documenti”, erano spesso ricostruzioni e talvolta vere e proprie invenzioni4. Questo non rappresentava un problema per il pubblico, più interessato all’intrattenimento che all’informazione, come dimostra il successo del cinema di finzione. Tuttavia già dalla fine degli anni ‘10 il cinema aveva trovato anche un impiego nell’insegnamento, sulle orme della lanterna magica. La Gaumont ad esempio forniva agli istituti scolastici e alle università un servizio di produzione e locazione di documentari scientifici [Delmeulle, 1999].

Le Istituzioni, preoccupate di “educare” le classi subalterne nonché di sottrarle al cinema fieristico (considerato immorale) favorirono questo utilizzo alternativo della tecnologia. Una conseguenza inattesa fu che alcuni piccoli film, riprendendo attraverso il microscopio, rivelarono al pubblico che il cinema poteva, pur restando fedele alla realtà, oltrepassare la soglia del visibile. Jean Painlévé, il principale rappresentante del cinema scientifico in Francia dagli anni ‘30, continuò questa linea:

l’interesse del grande pubblico era tenuto vivo attraverso un approccio drammatico e pittorico, volto a esaltare il lato misterioso della natura5.

Durante la prima guerra mondiale le actualités, divenute di competenza della se- zione fotografica e cinematografica dell’esercito francese, svolsero invece una funzione di propaganda politica.

1.1.2 I ruggenti anni ‘20. Il documentario etnografico “romanzato”

e il film colonialista. Le avanguardie.

Nonostante le attenzioni della politica, fino al 1920 il documentario fu una pratica marginale. Nel frattempo il film di finzione aveva fatto passi da gigante, sia dal punto di vista linguistico sia commerciale. Gli anni dopo il 1920 videro una vera e propria esplosione mondiale del documentario e tre furono le tendenze principali: il film etnografico, il cine-occhio o film di montaggio e le city symphonies. Il primo nasce nella linea dell’esotismo, ma se ne distacca nel caso di alcuni capolavori. Robert Flaherty ne è spesso indicato come il capostipite a livello internazionale, ma i suoi film

4Gauthier [in 2004] parla di ricostruzioni storiche o sulla base dell’immaginario collettivo, come il film Lumière sugli indiani kanahwake, in cui l’operatore Gabriel Veyre metteva in scena dei nativi americani in abiti tradizionali e di fronte a una tenda, quando già abitavano case occidentali. La stessa Sortie des usines Lumière sarebbe stata ripetuta più volte secondo il racconto di testimoni.

5Ad esempio in Le Vampire (1945).

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

sono piuttosto “elegie” che riflettono sul rapporto dell’uomo con la natura. Esaltando l’eroismo di persone comuni di fronte alle difficoltà della vita, e non esitando per fare questo a sceneggiare gli eventi, inaugurano una tendenza che attraverserà tra alti e bassi ogni epoca: il documentario “romanzato”6. Altri autori, soprattutto negli Stati Uniti, si ispireranno all’esempio di Nanook of the North , sviluppando però una narrazione più avventurosa o sentimentale (in particolare Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack con Chang, 1927) e debitrice alle tradizionali forme di narrazione letteraria.

La “messa in scena documentaria” ebbe minore presa sui cineasti europei, sui francesi in particolare, con le notevoli eccezioni negli anni ‘30 e ‘40 di Jean Epstein7 e George Rouquier8. Si diffuse invece un tipo “meno nobile” di documentario etnografico, di ispirazione colonialista, affiancato dal film di avventura ed esplorazione, spesso commissionato dalle case automobilistiche a fini pubblicitari ma anche politico- economici, poiché la Francia si preoccupava di collegare i suoi possedimenti in Maghreb e in Africa Occidentale. La mitologia del deserto che ne derivò diede vita anche a molti film di finzione. Il primo documentario della serie fu La première traversée du Sahara en autochenilles (Francia 1923) del geografo Paul Castelnau.

Il celebre film La croisière noire (Francia 1926) fu affidato al regista professionista Léon Poirier.

Gli anni ‘20, con il loro fermento culturale, furono il terreno ideale per la nascita delle city symphonies, poemi per immagini che avevano come soggetto la metropoli e la vita moderna. Si trattava di un’inedita contaminazione del documentario col cinema sperimentale sulle basi comuni del rifiuto della narrazione tradizionale e dell’esclusione dal circuito commerciale. Fra i più conosciuti a livello internazionale si possono ricordare: Manhatta (U.S.A. 1921) di Paul Strand; Rien que les heures (Francia 1926) di Alberto Cavalcanti9; Berlino, sinfonia di una grande città (Germania 1927) di Walter Ruttmann; La pioggia (Paesi Bassi 1929) di Joris Ivens. Il francese Jean Gremillon realizzò su commissione del Syndicat d’initiative Chartres, un poema visivo di tredici minuti sulla nota cattedrale in cui le forme architettoniche si trasfiguravano

6Si sa che Flaherty in Nanook of the North (1922) fece ricorso alla ricostruzione degli eventi;

ovviamente anche per le limitazioni imposte dalla tecnologia, ma senza porsi il problema dato che all’epoca rientrava nella norma. The man of Aran (1934) è un’operazione differente: gli attori, benché reali abitanti dell’isola, non interpretano lo stesso ruolo che hanno nella vita, ma seguono una sceneggiatura ispirata a tradizioni ormai perdute. Louisiana story (1948) si spinge ancora oltre con la scrittura di dialoghi e l’adozione di una sottotrama (le avventure del ragazzo) che esula dal soggetto principale (le influenze dell’industria petrolifera sulla vita tradizionale).

7Vedi Le Tempestaire, 1947.

8Vedi Farrebique, 1946.

9Cineasta brasiliano attivo in quegli anni a Parigi, mentre in seguito sarà in Inghilterra con il gruppo di Grierson.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

in una costruzione cubista attraverso i giochi di ripresa e montaggio (Chartres, 1923).

In senso lato anche L’uomo con la macchina da presa (U.R.S.S. 1929) di Dziga Vertov manifestò questa tendenza. Come è noto Parigi era da anni un coacervo di influenze straniere e luogo di elaborazione di nuove tendenze e Vertov ne aveva notizia tramite la corrispondenza col fratello Boris Kaufman, operatore e documentarista, emigrato nella capitale francese.

Furono anni di avanguardia anche per il cinema di finzione (impressionista e surrealista) e di animazione. Spesso gli stessi autori si cimentarono in forme diverse.

René Clair passò dalla messa in scena surrealista di Entr’acte (1924) alla sinfonia visiva di La Tour (1928). Jean Vigo realizzò due capolavori come L’Atalante (1930) e À propos de Nice (1934), documentario alla confluenza tra film d’avanguardia (montaggio) e film surrealista (onirismo). À propos de Nice introdusse anche una nuova tendenza: il film di critica sociale, in anticipo rispetto alla corrente realista del cinema di finzione negli anni ‘30. Vigo rivendicava la differenza dalle actualités per il suo “punto di vista documentato” [Marsolais, 1997]. Jean Epstein occupa un posto particolare in questo contesto. Nato a Varsavia, attirato dal cinema fantastico e autore di film di finzione, scopre la Bretagna cui dedica molti film, tra cui il celebre Finis Terræ (1929), che per descrivere con esattezza la realtà di un’isola di pescatori ricorre alla sceneggiatura, rientrando perciò nella corrente del documentario “romanzato” (può essere accostato in qualche modo a esperienze successive e contemporanee come La terra trema di Visconti, Paisà di Rossellini e Farrebique di Georges Rouquier).

Le sperimentazioni visive trovavano un’eco nel dibattito intellettuale: il poeta surrealista Robert Desnos criticava il linguaggio didascalico del documentario isti- tuzionale mentre Elie Faure si dichiarava fautore del plasticismo cinematografico e disinteressato alla narrazione finzionale [Gauthier, 2004:in]. È forse superfluo ricordare che i film d’avanguardia non raggiungevano comunque il grande pubblico, che preferiva “films à scénario et à vedette”10, melodrammatici o comici, limitandosi a subire rassegnato cortometraggio, spesso documentario, proiettato prima del “vero cinema”. Tuttavia la vastità del mercato permise per lungo tempo la coesistenza di sale diversamente specializzate, tra cui quelle d’essai dove il pubblico sapeva cosa andava a vedere e si predisponeva ad una lettura non tradizionale11.

10Fernand Léger in Gauthier, 2004.

11 Odin [in 2000] sottolinea l’importanza della predisposizione del pubblico per la lettura performativa.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

1.1.3 Dalle avanguardie alla critica sociale. Nascita del moderno cinema etnografico.

Alla fine degli anni ‘20 un nuovo interesse per le questioni sociali e popolari influenzò sia il cinema di finzione, nella corrente del realismo poetico, sia il documentario, che abbandonarono le ricerche formali per rivolgersi alla realtà sociale. Secondo Gauthier [in 2004] uno dei documentari più interessanti del periodo è Études sur Paris (1928) di André Sauvage, film mai distribuito che tornò alla luce solo nel 1995.

Sadoul nella sua storia del cinema [1962]indica in La Zone: Au pays des chiffonniers (1928) di Georges Lacombe la svolta delle avanguardie verso il documentarismo e la critica sociale12. Tra i documentari che rientrano in questa corrente Paris Cinéma (1928) di Pierre Chenal e Nogent, Eldorado du dimanche (1929) di Marcel Carné.

In quegli anni muoveva i primi passi Rouquier, che girò nel suo paese natale Les Vendanges (1929, film perduto). L’attenzione per il popolo trovò espressione nel

“documentario populista” che si ispirava al Manifesto della Letteratura Populista pubblicato da André Thérive e Leon Lemonnie nel 1929. Il senso di questo aggettivo era allora diverso da quello attuale (che si riferisce più all’ambito politico) e mirava a distinguere la nuova corrente da quelle che si definivano popolari, in riferimento all’estrazione sociale del pubblico o dell’autore. Quella populista infatti era una letteratura che si ispirava, ma non si rivolgeva, alle classi popolari, mettendone in evidenza solo gli aspetti pittoreschi

In quegli stessi anni nasceva il film etnografico moderno, il cui pioniere fu l’etnologo Marcel Griaule (Au pays des Dogons, 1935; Sous les masques noirs, 1938; Techniques chez les Noirs, 1939). L’aspetto di novità fu rappresentato dall’approccio scientifico e dalla conseguente preoccupazione di autenticità.

Le riprese sono state fatte sul vivo, come vere attualità. Non bisogna domandare agli indigeni una ricostruzione, né una ripetizione. Presso di loro tutto è spontaneo e se li si annoia con i dettagli si confondono.

Desiderando filmare le strane cerimonie che si svolgono nel corso dei funerali, abbiamo dovuto attendere la morte di uno degli abitanti del villaggio. Gli indigeni, di cui eravamo diventati amici con pazienza e diplomazia, acconsentirono a lasciar operare liberamente Mourlan [. . . ] I documenti registrati dalla nostra macchina da presa sono dunque delle testimonianze precise, fedeli e di una indiscutibile autenticità.13

12È la storia degli abitanti delle periferie che rovistano la spazzatura della città per rivendere ciò che vi trovavano al mercato delle pulci.

13In Gauthier, 2004.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Il film etnografico fu guardato ancora a lungo con diffidenza dalle popolazioni locali, che vedevano nell’etnologo il rappresentante della cultura coloniale [Colleyn e De Clippel, 1992]. Comincia a emergere anche un tipo di documentario che combina l’attrazione per il folclore e l’analisi sociale: è il caso di Ténérife (1932) di Yves Allégret e Eli Lotar (noto più avanti per i documentari di denuncia sociale, come Aubervilliers, che racconta la povertà di un sobborgo di Parigi).

1.1.4 Anni difficili (1930-1945).

Film d’avventura, Croisières, film coloniali. Avanguardie e totalitarismi.

La tendenza culturalmente ed economicamente dominante rimase, anche negli anni

‘30, il documentario “esotico-coloniale” di propaganda. I Francesi, che viaggiavano poco, erano affascinati dai racconti di terre lontane e continuavano ad assistere alle conferenze della Société de Géographie. Tra i titoli più noti figurano: L’Orient qui vient (1934) di Roger Leenhardt e Pélérins de La Mecque (1940) di Marcel Ichac, più noto per i successivi film d’alpinismo. I Governi continuarono a produrre film colonialisti per mostrare la “magnificenza” dell’impero e il “volto umano” dei dominatori “portatori della civiltà” (ad esempio Le réveil d’une race, 1930, di Alfred Chaumel14. Questa funzione deteriore non contribuì alla gloria del documentario e ispirò alla posterità un gusto dell”’esotismo-paccottiglia” di cui Roland Barthes [in 1957] denuncia la perversità a proposito di Continente perduto (1954). Come abbiamo detto precedentemente il gusto dell’esotico era sfruttato per acquisire prestigio industriale. Tra le traversate finanziate dalla Citröen spicca in quegli anni la sfortunata avventura di La croisière jaune (1933), film realizzato in 35 mm su pellicola pancromatica Eastman Kodak e suono sincrono, sottratto in montaggio al cineasta poeta André Sauvage e affidato al regista professionista Leon Poirier.

Il nuovo decennio vide anche un cambio di segno delle avanguardie: il Futurismo in Italia e il Formalismo in Germania (Ruttmann) si legarono ai regimi totalitari che detenevano il potere, mentre la scuola sovietica fu ridotta al silenzio dal terrore stalinista.

Documentario sociale, politico e militante. Il Fronte popolare.

All’inizio degli anni ‘30 nacque intorno alla figura centrale di John Grierson il movimento forse più interessante del periodo, la cosiddetta “Scuola Documentaria

14Ex amministratore delle colonie, mostra i medici francesi curare la malattia del sonno. Questo svolgeva la doppia funzione di celebrare l’opera dell’impero agli occhi dei francesi e della popolazione locale.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Inglese”, che coniugava orientamento sociale e ricerca formale, in particolare sul suono. Negli Stati Uniti il gruppo Frontier film guidato da Paul Strad sviluppò un certo “cinema politico” in accordo con l’orientamento del New Deal di Roosevelt.

In Francia, in un clima di minaccia fascista interna ed esterna (ascesa hitleriana e guerra civile spagnola), il momento era segnato dal militantismo comunista (la vittoria del Front populaire15 alle elezione è del 1936) e il documentario si volgeva principalmente ai problemi sociali. A questo proposito non si può dimenticare Las Hurdes, tierra sin pan (1932), di Luis Buñuel e Pierre Unik. Sebbene le riprese siano state effettuate in Spagna (si trattava di un’inchiesta sulla povertà estrema in cui versava la popolazione di Las Hurdes) da un regista spagnolo, la produzione e il commento scritto da Pierre Unik, giornalista e poeta surrealista aderente al PCF16, consentono di inserire questo film anche nella storia del documentario francese. Lo stile si distacca nettamente da quello tipico degli anni ‘20, rinunciando alla velocità, alla cura dell’immagine e alla costruzione sinfonica in favore di una resa diretta e scarna della realtà. L’influenza surrealista emerge da un’estetica della crudeltà, ancora più evidente nei momenti in cui il film integra

[. . . ] in una realtà incontestabile le immagini surrealiste più crudeli che ci siano. In particolare agli asini morti sui pianoforti di ‘Un chien andalou’

risponderà un asino divorato vivo dalle api.17

All’alba del cinema sonoro questo film ci regala un magico equilibrio tra immagini e voice over, in confronto al tono magniloquente dei commenti che asfissieranno la maggior parte dei documentari almeno fino agli anni ‘50. Le parole di Pierre Unik sembrano in apparenza raddoppiare l’immagine, ma in realtà risultano asincroniche per tono e registro: mentre la cinepresa non ci risparmia nulla della cruda realtà, il discorso contrasta per il suo modo asettico e scientifico.

Di orientamento completamente diverso è il film Les petis métiers de Paris (1931) di Pierre Chenal, sulla linea del Populismo anni ‘20: il film fu post-sincronizzato con rumori d’ambiente e canzoni popolari preferendo il pittoresco alla “presa sul vivo”. All’indomani della vittoria del Front populaire nacquero le prime cooperative operaie e collettivi di produzione cinematografica legati alla CGT18 e al Partito Comunista. In molti casi il materiale prodotto fu una semplice documentazione di eventi di massa come manifestazioni e congressi. Ciné-Liberté ad esempio era una cooperativa operaia nata nel 1936 e vissuta brevemente, come il movimento

15Coalizione che univa tutti i maggiori partiti di sinistra, in chiave antifascista.

16Parti Communiste Français.

17In Marker, 1953 (trad. mia).

18Confédération Générale du Travail.

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

che sosteneva. Alcuni titoli come Defilé des 500.000 manifestants de la Bastille à la Porte de Vincennes (1935) o Grèves d’occupation (1936) suggeriscono i soggetti d’elezione. A giudizio di Gauthier l’estetica ricorda ancora le vedute Lumière; la colonna sonora, che alterna canzoni di lotta e comizi, ha un sapore di propaganda ingenua, mentre le immagini comunicavano il grande fervore dei militanti. I tre documentari più famosi prodotti da Ciné-Liberté, passati anche alla storia come la trilogia, sono Sur les routes d’acier (Blaise Peskine, 1937), Les Métallos (Jacques Lemare, 1938) e Les bâtisseurs (Jean Epstein, 1938). Questo film, assieme a La vie est à nous (1936) di Renoir, si impose all’attenzione per le particolari condizioni produttive e per lo sguardo d’autore. Il secondo è un film di propaganda promosso dal Partito Comunista Francese (e prodotto grazie anche alla sottoscrizione popolare) in occasione delle elezioni che avrebbero portato alla vittoria del Fronte Popolare.

L’equipe eccezionale di professionisti, intellettuali e militanti era diretta da Jean Renoir. Georges Sadoul [in 1962]lo ha definito un “semi-documentario”: di fatto molte scene, salvo i comizi e le manifestazioni, furono girate alla maniera dei film di finzione, anche facendo uso di attori i cui ruoli riflettevano il pensiero di alcuni uomini politici dell’epoca. Fu la necessità di riunirsi per far fronte alle minacce fasciste a creare le condizioni anche per Les bâtisseurs, che celebra la figura del muratore come eroe, secondo la mitologia comunista del lavoro. In entrambi i film si alternano momenti in cui sono protagoniste le masse a momenti più lenti e convenzionali, legati alla commissione del film: i comizi politici nel primo caso e i lavori della Fédération du Bâtiment CGT nell’altro. La visione delle grandi folle contrasta con l’universo dei film di finzione dell’epoca, abitato da gruppi ristretti, i cui membri pur essendo implicati nella storia del proprio tempo conservano una propria autonomia. Anche l’estetica è diversa, basandosi su primi piani e scene di complicità come ad esempio in: La Belle équipe, 1936, di Julien Duvivier; Le Crime de M. Lange, 1936, La grande illusione, 1937, e La regle du jeu, 1939, di Jean Renoir.

Il documentario educativo. La propaganda di Vichy.

Nel 1934 a Roma 43 paesi, tra cui la Francia, presero parte al primo Congresso internazionale della cinematografia educativa. Produssero un documento in linea con il pensiero pedagogico dominante che diffidava del cinema, compreso il documentario che si lasciava spesso andare alla faciloneria o alla propaganda, con approssimazione scientifica, razzismo latente o patetismo [Gauthier, 2004]. In Francia nel 1935 fu istituita una commissione per il Cinématographe d’Enseignement che oltre ad approvare e disapprovare aveva anche l’autorità per dare indicazioni dettagliate sui

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1.1 “Archeologia” del documentario 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

film da realizzare. Da questo momento i film che volevano evitare problemi con la censura caddero nella noia e nella piattezza19. Jean Painlévé fu un’eccezione, dedicandosi a un cinema di ricerca ma anche desideroso di raggiungere le masse. A questo proposito esemplare è il suo cortometraggio Le Vampire (1945) che mostra come si nutre un pipistrello brasiliano su musica di Duke Ellington. Qualcuno vorrà vedere Hitler nel vampiro, altri, come i surrealisti esprimeranno il loro entusiasmo per queste immagini fondate sulla bellezza del caso.

Il documentario degli anni ‘30 si trovava al centro di un progetto educativo che si divideva fra ambizioni elevate e propaganda, la cui distinzione era spesso sottile20. Sotto Vichy il ricorso a documentari di propaganda divenne sistematico.

Conferenzieri della Ligue Maritime et Coloniale si occupavano della diffusione di tali film negli istituti scolastici, per ricordare che i possedimenti erano di sua competenza e non del governo in esilio a Londra. In Francia si continuarono a produrre film classificabili come coloniali e utilizzati come supporto “educativo” nell’insegnamento [Gauthier, 2004]. Nonostante questo il cinema visse un momento relativamente felice. Questo fu particolarmente vero per la finzione, che poteva permettersi di non affrontare direttamente l’attualità. I documentari prodotti al di fuori del sistema propagandistico, non potendo affrontare in modo diretto i problemi sociali e politici, si rifugiarono nella tradizione contadina e popolare (Rouquier, il belga Henri Storck). Abbandonavano insomma i temi di attualità ma senza distaccarsi dalla realtà. I documentari e i cinegiornali di propaganda, invece, distorcevano la realtà presentandola in modo idilliaco.

Bilancio a metà strada

Nel 1945 i grandi maestri del documentario internazionale sono un americano (Flaherty), un russo (Vertov) e un inglese (Grierson). Non emerge invece il nome di un documentarista francese: non che in Francia ci sia disinteresse, ma un infinità di metodi e interessi diversi che si scontrano. Mentre in America si sviluppa il documentario “romanzato”, in Francia ci si affida al montaggio e i registi fanno cortometraggi documentari come prove prima di passare al lungometraggio di finzione.

Tra il 1928 e il 1932 nasce a Parigi una sorta di “nouvelle vague” documentaria, dovuta

19Secondo Gauthier [in 2004], i film di Jean Benoît-Levy costituiscono una rara eccezione di fautore della distinzione fra cinema come strumento d’insegnamento e cinema post-scolare, il cui scopo di sviluppare l’informazione sanitaria e il senso civico.

20Gauthier [in 2004] cita a questo proposito due diverse posizioni: il critico Émile Vuillermoz celebra il documentario come strumento filosofico, mentre un certo De Moro-Gaffieri considerava esemplari le proiezioni organizzate da un industriale nelle sue fabbriche: prima qualche piccolo film divertente per non affaticare gli spettatori, quindi i documentari sulle sue attività.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

anche alla presenza di cineasti stranieri. In questo periodo cinema documentario e avanguardie hanno fatto un pezzo di strada insieme negando entrambe la narrazione dominante e lasciando alcuni film significativi. Alcune di queste tendenze riappaiono nel dopoguerra assieme all’affermazione di un’esigenza estetica spesso negata al documentario.

Le regole del nuovo documentario etnografico — presa sul vivo e rifiuto della rico- struzione — sarebbero state adottate in seguito dal Cinema Diretto con motivazioni ideologiche.

1.2 Nascita del documentario moderno

1.2.1 Trionfo del cortometraggio nell’età dell’oro Condizioni della produzione documentaria nel dopoguerra.

Prima del 1940 il documentario in Francia non riceveva finanziamenti dallo Stato e non aveva alcuna distribuzione a causa della double séance, cioè la proiezione di due lungometraggi di finzione. Una legge varata sotto Vichy (Legge 26 ottobre 1940),riconfermata dopo la liberazione dalla “Loi d’aide” (29 settembre 1948), obbligava i cinema a proiettare un cortometraggio, spesso documentario, prima del lungometraggio e istituì la prima forma di finanziamento del genere. Dopo la fine della guerra, nel quadro di un’economia che ripartiva con difficoltà, il cortometraggio costituiva una soluzione più economica e per molti giovani registi era l’unico modo di fare cinema. Tuttavia il cinema fu preso molto sul serio sia livello politico sia a livello critico per effetto del rilancio delle politiche culturali: solo nel 1946 apparvero numerose pubblicazioni importanti, tra cui Essai sur les principes d’une philosophie du cinéma di Gilbert Cohen-Séat, Intelligence du cinématographe di Marcel l’Herbier, Intelligence d’une Machine di Jean Epstein, il primo volume dell’ Histoire du cinéma français di Georges Sadoul e alcuni saggi di André Bazin. “Anche i ciné-clubs conoscono all’epoca uno sviluppo senza precedenti” : è all’indomani della liberazione che fu fondata ufficialmente la Fédération Française des Ciné-Clubs (marzo 1945).

Le imprese cominciarono a interessarsi al documentario come mezzo pubblicitario.

Di fatto negli anni ‘50 il documentario fu principalmente su commissione, non solo privata ma anche istituzionale: i committenti erano spesso i governi

[. . . ] preoccupati, dopo i traumi della guerra, di riaffermare l’identità

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

nazionale e di riaffermare la coesione sociale pubblicizzando un progetto nazionale [. . . ]21

Spesso obiettivi economici e politici si mescolarono strettamente:

[. . . ] il piano Marshall mobilita il documentario per incoraggiare la co- struzione di un’Europa economica capace di far fronte ai paesi comunisti;

simmetricamente in Germania est è utilizzato per diffondere i valori del comunismo e vantare i suoi successi economici; il documentario è parte attiva nella guerra fredda tra i due blocchi.22

La situazione economica del cortometraggio, soprattutto documentario, migliorò esponenzialmente e durante gli anni ‘50 il documentario, non solo francese ma a livello europeo, visse un momento di splendore che Odin [1998] definisce “l’età dell’oro”. Lo studioso, riprendendo una distinzione che Umberto Eco fa per la televisione [1983], ritiene che in questo periodo si passi dal “paleo-documentario” al “neo-documentario”

che conosciamo oggi, integrato nell’economia di mercato. In questa evoluzione giocò un ruolo importante proprio l’avvento del nuovo medium televisivo.

Il documentario sociale.

Il film che nel 1946 divenne un punto di riferimento, Farrebique, non fu un cortome- traggio. L’autore, George Rouquier, era originario della profonda campagna francese e aveva già rivelato con alcuni cortometraggi ispirati alla vita contadina e all’arti- gianato tradizionale il suo centro di interesse: con Farrebique compì un’operazione eccezionale perché mise in scena la sua stessa famiglia. I mezzi tecnici dell’epoca e il tipo di narrazione “esemplare” portarono alla scrittura di una sceneggiatura basata su dialoghi realmente avvenuti. Gli “attori” furono così rimessi in situazione potendo controllare le condizioni di ripresa (ad esempio la scarsa luminosità della pellicola obbligò a girare l’episodio della cena in pieno giorno con i vetri parzialmente oscurati).

La sceneggiatura combina la selezione di un vasto repertorio alla costruzione di una narrazione compiuta che ha quasi il sapore di un apologo. Il discorso sotteso al racconto afferma la necessità di modernizzazione, rappresentata dal giovane, e la resistenza della tradizione, rappresentata dal nonno (che alla fine muore lasciando che il progresso faccia il suo corso). Il risultato è un film straordinario che coniuga la realtà di persone, problematiche e ambientazione con l’interpretazione poetica dell’autore. È stato paragonato per certi aspetti a Le tempestaire di Jean Epstein

21In Odin, 1998.

22In Odin, 1998.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

e a certi film neorealisti (tra cui a La terra trema, che però non è propriamente un film neorealista). È un inno alla natura, alla vita contadina, prolungamento del populismo ante-guerra ed erede del documentario “romanzato” alla Flaherty23. Oggi appare un po’ datato proprio per la ricostruzione e per lo stile classico (che si concede alcuni virtuosismi come le riprese accelerate dello sbocciare della primavera).

In questo secondo dopoguerra la città, che era stata protagonista delle city symphonies e del documentario di critica sociale, è meno presente, con alcune notevoli eccezioni (ad esempio Le sang des bêtes di Georges Franju, 1949, e L’Opera mouffe di Agnes Varda, 1958). Il tema del lavoro industriale è invece protagonista grazie a una serie di film militanti spesso prodotti dal Partito Comunista Francese.

La retorica dello sforzo e i volti degli operai invecchiati precocemente sono le icone della classe operaia all’avanguardia nella lotta per la giustizia sociale24. Tra questi La grande lutte des mineurs di Louis Daquin (1948), En passant par la Lorraine (1950) e Les Poussières (1953) di Franju, Vivent les dockers (1951) di Robert Ménégoz (sui portuali di Marsiglia che si oppongono all’imbarco di materiale destinato alle guerre coloniali francesi in Indocina).

Il film di montaggio e il documetario storico.

I primi esempi di film di montaggio sono quelli di Ester Choub nell’U.R.S.S. degli anni ‘20, che riproponevano una lettura nuova di materiali d’archivio come La caduta della dinastia dei Romanov (1927). In Francia il film di montaggio era considerato un’attività poco creativa e riutilizzava sostanzialmente i vecchi cinegiornali. Fu con Paris 1900 (1947) di Nicole Vedrès che diventò un genere nobile. Da questi film nacque il genere del saggio cinematografico, che Alain Bergala (CITARE) distingue dal documentario in base al fatto che l’autore trae il soggetto dal suo pensiero e non da una realtà sociale evidente. I film di montaggio cominciarono a essere richiesti dalle istituzioni per gli anniversari, ma nel clima di censura dell’epoca alcuni furono rifiutati, interrotti (Le printemps de la liberté di Jean Gremillon, 1947), o girati in semi-clandestinità (La Commune de Paris di Ménégoz, 1950).

Durante la seconda Guerra Mondiale Stati Uniti, U.R.S.S. e Gran Bretagna avevano prodotto un cinema di guerra e di propaganda antinazista. In Francia bisogna attendere la fine della guerra per vedere prodotti film come Le 6 juin à l’aube di Gremillon (1945), Au cœur de l’orage di Jean-Paul Le Chanois (1948), 10 juin 1944 di Maurice Cohen (1961) e soprattutto Nuit et brouillard (1956) di Alain

23Vedi anche Goémons di Yannick Bellon (1947).

24In Odin, 1998, si parla a questo proposito di clichés.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Resnais con il commento di Cayrol. Hôtel des Invalides di Franju (1952) è un film che guarda alla storia attraverso uno dei monumento francesi alla guerra. Il regista scavalcò il committente, ironizzando sulla retorica militarista.

La battaglia per il cortometraggio: il Gruppo dei Trenta.

Molti dei film citati nei due paragrafi precedenti furono realizzati da autori che nel 1953 aderirono al Groupe des Trente, nato allo scopo di difendere il cortometraggio.

I distributori cercavano di aggirare la Loi d’aide scegliendo solo i cortometraggi istituzionali su cui non si pagavano le spese di stampa della copia, assicurate dal committente: quindi film tecnici, agricoli, scientifici che annoiano il pubblico. Il 6 agosto 1953 la Loi d’aide fu rimpiazzata da un’altra legge che sopprimeva l’aiuto automatico ed istituiva premi di qualità, meno consistenti. Il 21 agosto venne abolito l’obbligo del cortometraggio e si ritornò alla double séance.

Il 20 dicembre 1953 il Groupe des Trente pubblicò un manifesto in cui rivendicava migliori condizioni di distribuzione. Si trattava in realtà di 43 firmatari (che divennero presto un centinaio), autori di cortometraggi di fiction, documentario e animazione.

Si definivano come “Scuola Francese del Cortometraggio”. Molti di questi cineasti erano stati all’origine dei progetti legislativi che miravano a modificare la Loi d’aide e rimasero delusi vedendo che il testo pubblicato non corrispondeva alle loro proposte.

La dichiarazione fu approvata da sindacati di produttori e tecnici, da associazioni di cineasti e critici e dalla Fédération française des Ciné-Clubs (FFCC). Nei programmi del gruppo rientravano anche iniziative di sensibilizzazione del pubblico, pressioni sulle istituzioni per il rispetto delle norme da parte di distributori ed esercenti, comunicazione sui giornali, “marketing” per crearsi nuove commissioni25, scambi internazionali. Una vera forma di “lobbying” (come sarà più tardi per La Bande à Lumière) che secondo alcuni contemporanei generò almeno inizialmente una sorta di monopolio del Gruppo sui premi di qualità26. È da notare comunque che i film del gruppo erano frutto di una ricerca formale superiore alla media del periodo. Nel gruppo figuravano i registi più talentuosi dell’epoca (fra gli altri Agnès Varda, Alain Resnais, Georges Franju, Robert Ménégoz, Jean Painlévé, Georges Rouquier, Jean Mitry, Yannick Bellon, Jacques-Yves Cousteau, Jacques Demy, Marcel Ichac, Pierre Kast e Nicole Védrès. . . ), alcuni dei quali (salvo in particolare Chris Marker e Mario

25Questa posizione realista non deve far dimenticare quello che dice Gerard Leblanc citato in Odin, 1998, e cioè che “la commande ne s’est jamais opposée au plus grand art” e che il nostro pregiudizio è un retaggio del Romanticismo.

26In Odin, 1998.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Ruspoli) passarono verso la fine del decennio al lungometraggio di finzione, che si segnalerà per le sue qualità letterarie27.

Il periodo dal 1954 al 1960 viene talora indicato come la “repubblica dei tor- menti”: un momento di grande fermento in cui l’aggettivo “nuovo” è riferito a diverse espressioni artistiche e movimenti (chanson, roman, vague, realisme. . . ). Il documentario non fa eccezione. Nel 1958 il CNC passò dalla tutela del Ministère de l’Industrie et du Commerce a quella del Ministère de la Culture e le azioni di sostegno del cortometraggio da parte dello Stato diventarono sempre più importanti determinando il primato produttivo della Francia.

Documentario: un intermediario culturale.

Nel documentario degli anni ‘20 e ‘30 era prevalso l’interesse per l’architettura come simbolo della modernità, celebrata dalle city symphonies. Tra la fine degli anni

‘40 e i primi anni ‘50 — grazie soprattutto all’operato del Groupe des Trente ma non solo — il documentario francese mostrò un rinnovato interesse per l’arte, soprattutto figurativa, per il teatro, per la musica e per la letteratura28. Furono realizzati film sull’architettura, ma incentrati sulle personalità degli architetti, come L’architecte maudit: Claude-Nicolas Ledoux (1954) e Le Corbusier, architecte du bonheur (1957) di Kast, Notre-Dame, cathédrale de Paris di Franju (1957). Per quanto riguarda la pittura, Le mystère Picasso di Henri-Georges Clouzot si distinse per l’originalità del dispositivo e la forza visionaria. Anche Resnais fu maestro del genere con Van Gogh (1948), Gauguin (1950) e Guernica (1950); realizzò in seguito Les statues meurent aussi (insieme a Chris Marker (1953) e Toute la memoire du monde (1956) sulla Biblioteca Nazionale di Francia. Renais si misurò anche con il film industriale: il suo capolavoro Le chant du styrène (1958) si riaggancia all’estetica delle avanguardie, che esalta la bellezza delle macchine (il testo in alessandrini è di Raymond Queneau).

Anche la scienza fu al centro dell’attenzione di autori come Franju (Monsieur et Madame Curie, 1956) e Lods (Hommage à Albert Einstein, 1955), con uno spirito più attento che in passato alle personalità e all’umanità degli scienziati. In effetti il documentario di quegli anni, a prescindere dal soggetto, si caratterizza per l’interesse rivolto all’uomo. Spesso, come accennato sopra, affrontò gravi problemi sociali, ma sempre con una ”tonalità positiva”.

27I cineasti del gruppo intrattenevano fitti rapporti di collaborazione con scrittori quali Jean Cayrol, Raymon Queneau e Paul Èluard, cui venivano affidati i testi.

28Vedi anche in Italia le esperienze di Luciano Emmer e Ludovico Ragghianti.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Alla vigilia della decolonizzazione: nuovi sguardi sull’Africa.

Fino ad allora i film sull’Africa erano stati di stampo coloniale, ma la tendenza comincia a cambiare con documentari come Afrique 50 di René Vautier (1950):

avendo disatteso la commissione dalla Ligue de l’enseignement, fu sequestrato, ma una versione incompleta riuscì a sfuggire alla censura e ad essere proiettata in situazioni “clandestine”. Altri film importanti furono sottoposti alla rigida censura, come Les statue meurent aussi, che coniugava il film sull’arte con la critica al colonialismo e fu vietato per dieci anni. Jean Rouch, etnologo e cineasta, dedicò all’Africa molti film che non sempre ebbero buona accoglienza. Tra questi Les maîtres fous (1955) e Moi, un Noir (1958).

Viaggi lontani, l’altra faccia dell’avventura.

Si sviluppò anche un cinema che esplorava luoghi normalmente irraggiungibili, come le cime delle montagne (Ichac, Victoire sur L’Annapurna, 1953), il polo (Languepin, Terre de glace, 1949) e gli abissi marini (Jacques-Yves Cousteau e Louis Malle, Le Monde du silence, 1955). Chris Marker portò sugli schermi terre lontane come Cina (Dimanche à Pékin, 1956), Siberia (Lettre de Sibérie, 1957). Anche in questi casi si tratta di uno sguardo nuovo, scevro dei “tic” dell’esotismo tradizionale, come sottolinea Gerard Leblanc in un articolo dedicato a Marcel Ichac (Marcel Ichac et le cinéma des sommets [in Prédal, 1987]).

Alla vigilia del direct.

Eppure la maggior parte dei documentari di quegli anni non aveva le caratteristiche fin qui elencate ed era soggetta a censure, propaganda e clichés [Odin, 1998]. Le riprese nei musei e i commenti over predominanti rischiavano di mettere in ombra lo specifico del cinema.

Lo slancio degli anni ‘60 è stato preparato dallo slancio artistico del cortometraggio che ebbe, dal 1950, per centro il ‘Groupe des Trente’.29 Tra gli autori si sentì un bisogno di rinnovamento, di far uscire il cinema in esterni come era stato negli anni ‘20 e ‘3030: coloro che tra i grandi registi restarono fedeli al documentario (Marker, Ruspoli, Rouch. . . ) lo accompagnarono nell’avventura del Cinéma Direct.

29In Sadoul, 1962 (trad. mia).

30Le riprese in esterni e l’attenzione alla teoria e pratica del montaggio avevano grandemente contribuito all’estetica delle city symphonies.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

1.2.2 L’avventura del Cinéma Direct (1960–1970) Uno sguardo alla storia.

Per ricercare le avvisaglie di questi cambiamento, è necessario partire almeno dal boom economico degli anni ‘50 e ‘60 [seguendo Hobsbawm, 1994]. Nei paesi industrializzati la piena occupazione e il benessere sempre più diffuso favorirono l’ingresso nella vita politica ed economica di alcune categorie fino ad allora escluse o inconsistenti, come donne e studenti. L’esodo dalle campagne chiuse un capitolo durato millenni e l’istituto familiare cambiò: le nuove generazioni erano cresciute in uno stile di vita completamente diverso da quello dei loro genitori e si verificò per la prima volta un netto divario generazionale. I giovani sentivano il bisogno (e ne avevano le possibilità economiche e sociali) di esprimere una propria identità in contrasto con quella dei genitori e delle rigide istituzioni che li accoglievano con riluttanza, come l’università. Erano i soli a sentire di poter chiedere di meglio ai loro governi, visto che non avevano esperienza dei miglioramenti verificatisi invece per i loro genitori. Fu un periodo storico in cui, liberati dalla tradizione, cominciano a farsi strada soggettivismo e individualismo. Da queste esigenze nacquero le proteste studentesche del 1968, che alcuni storici e uomini politici hanno definito una pantomima o uno psicodramma. Secondo Eric J. Hobsbawm [1994] invece, benché non abbiano avuto la portata di un movimento politico rivoluzionario, furono espressione di un grande cambiamento culturale e nonostante il riflusso hanno lasciato forti impronte nelle società e nelle mentalità. Indubbiamente le trasformazioni sociali furono alla base dei nuovi indirizzi del cinema documentario.

Rivoluzione nel documentario: un movimento internazionale.

Dalla fine degli anni ‘50 si affermò un nuovo modo di fare il cinema documentario, che abbandonò gli impianti industriali, i laboratori, i musei e i luoghi della cultura per riversarsi nelle strade, incontrare la gente comune, entrare nelle loro case per vedere come viveva e soprattutto dare loro la parola. Secondo Gilles Marsolais, che ha dedicato un’opera alla nascita del Cinéma Direct, le cause immediate furono

“condizioni di ordine sociale, tecnico e morale” [Marsolais, 1997:p.58] che riunite in un determinato momento storico e in determinati luoghi (Canada, U.S.A., Francia) permisero ad alcuni cineasti di concretizzare le intuizioni dei precursori, da Vertov a Flaherty, da Vigo a Ivens e Epstein, passando per la tradizione documentaria inglese, George Rouquier, il Neorealismo, il Free Cinema, Jean Rouch e le esperienze televisive canadesi e americane. In particolare l’avvento della televisione e l’estensione del

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

giornalismo filmato abituarono il pubblico a un’estetica meno curata del cinema tradizionale e a una narrazione incentrata sul personaggio filmato31. Le esigenze della televisione stimolarono la costruzione di nuove cineprese 16 mm, silenziose e leggere, e di registratori portatili Nagra con cui fu possibile registrare il suono sincrono. Il desiderio di autenticità (cioè, per loro, di evitare la ricostruzione di eventi) che avevano manifestato i precursori del diretto si trasformò, una volta raggiunte le possibilità tecniche, in “sete di verità”, oltre le apparenze superficiali.

Significativamente il Cinéma Direct accompagnò eventi sociali, come la presa di coscienza del Québec e i movimenti di emancipazione degli afroamericani. In Francia mosse i primi passi nell’ambiente dell’antropologia, dell’etnologia e della sociologia in un momento in cui la gioventù reagiva alle falsificazioni (confronta Barthes [in 1957] sul caso di Continente Perdto), tuttavia pur nascendo nel periodo della decolonizzazione e della guerra d’Algeria nessun film affrontò l’argomento. Marsolais si domanda se le ragioni dipendessero dal fatto che fino a tempi recenti il cinema era stato in mano alla borghesia intellettuale oppure dalla censura statale.

I rapporti tra i documentaristi canadesi, statunitensi e francesi nacquero nel corso di un seminario organizzato dalla vedova Flaherty nel 1959 e l’anello di raccordo fu il cineasta e operatore canadese Michel Brault (Les raquetteurs, Brault e Groulx, 1958):

essendo canadese si trovava geograficamente vicino agli U.S.A. e linguisticamente alla Francia; fu collaboratore tra gli altri di Pierre Perrault (Pour la suite du monde, 1963) in patria e di Jean Rouch in Francia. Bisogna risalire a fine anni ‘20 per ritrovare una tale collaborazione internazionale non-istituzionale. Altri fattori accomunavano questi tre paesi: tradizione documentaria, storia democratica, accesso alla tecnologia più avanzata e diffusione televisiva in espansione. In U.R.S.S. per esempio, nonostante la tradizione documentaria e la tecnologia, non si sviluppò una corrente di Cinéma Direct poiché la mancanza di democrazia rendeva impossibile dare libertà di parola alla gente. In Italia nacque successivamente una corrente di cinema diretto e militante, ma dalla visibilità limitata. C’è chi dice a causa della troppo forte tradizione neorealista, ma anche a causa delle difficoltà produttive e distributive influenzate probabilmente dalla politica. Nel terzo mondo mancavano quasi ovunque le condizioni tecnologiche e democratiche. Solo in Brasile ci fu una breve esperienza documentaria, prima della dittatura. Inoltre Canada, U.S.A. e Francia vivevano una crisi politica (rispettivamente Rivoluzione tranquilla, assassinio

31In Francia però ci fu anche un documentario televisivo di qualità (come Cinq colonnes à la une).

Il documentario al contrario dell’informazione godeva di una certa libertà. Gli autori televisivi (tra cui Drot, Bringuier e Knapp, Krier, Seban) avevano grande esperienza e mezzi. Nacquero due categorie: il “cineasta-teorico-sperimentatore” e il “teleasta-autore”.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Kennedy e guerra del Vietnam, guerra d’Algeria) e il clima di oppressione generò grande effervescenza culturale e rinnovamento artistico (movimenti di contro-cultura che si richiamavano alla Beat generation, Nouveau roman e Nouvelle chanson, poesia e canzone del Québec). In Canada le condizioni erano particolarmente favorevoli data l’esistenza dell’ONF-NFB32, organismo statale unico al mondo dove dal 1956 con la serie televisiva Candid eye si sperimentano nuove tecniche e si anticipa il cinema di investigazione. In Francia è il Comité du film ethnographique, guidato dalla figura carismatica di Jean Rouch, ad interessarsi maggiormente al nuovo linguaggio.

Negli Stati Uniti la televisione, non ancora normalizzata, richiedeva soggetti forti d’attualità. La Drew Associates, fondata nel 1958 dal regista-produttore Robert Drew e dai cineasti Don Alan Pennebaker e Richard Leacock rispose a questa domanda, promuovendo una nuova forma di giornalismo filmato basato sulla presa diretta degli eventi (il loro film più famoso è Primary, 1960, sulle elezioni presidenziali che portarono alla vittoria di John Kennedy). Le persone che sin dall’inizio contribuirono all’elaborazione di questo nuovo modo di fare cinema venivano dal documentario, dal giornalismo, dall’etnologia, dalla sociologia, ma anche dalla tecnica (fu basilare il contributo di alcuni ingegneri e costruttori di tecnologia cinematografica). Erano quasi assenti i cineasti di mestiere, indifferenti o scettici.

L’apporto delle nuove tecnologie fu fondamentale per realizzare le intuizioni sul linguaggio. Verso la fine degli anni ‘50 le case costruttrici di cineprese e equipaggia- menti per il cinema studiarono con i cineasti coinvolti le caratteristiche tecniche che i nuovi apparecchi avrebbero dovuto avere. Per muoversi in libertà e senza ostacolare lo svolgersi degli eventi era necessario che la troupe fosse ridotta e il materiale leggero:

cineprese più compatte, registratori magnetici portatili per cogliere la parola in presa diretta e pellicole più sensibili per evitare l’illuminazione da studio. L’evoluzione della tecnica richiese nuove qualità ai membri della troupe ridotta: ad esempio Brault inventò un tipo di camminata che permetteva riprese stabili, grazie anche all’uso di un grandangolo molto spinto.

Francia.

Nel 1960 il sociologo Edgar Morin riportò su un articolo significativamente intito- lato Pour un nouveau cinéma-vérité le impressioni che aveva ricevuto dalla visione di alcuni film girati con questa nuova tecnica e presentati al primo Festival del cinema etnografico (oggi Festival dei Popoli) di Firenze. Scriveva di aver scorto il segno di un

32Office National du Film du Canada - National Film Board, fondato da John Grierson nel 1939.

Ente pubblico canadese che si occupa di produzione e distribuzione cinematografica.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

cambiamento, di un maggiore avvicinamento all’uomo e alla vita vissuta e auspicava che tutto il cinema documentario prendesse questa direzione. Nell’estate dello stesso anno Rouch e Morin, coadiuvati da Brault alla macchina da presa, realizzarono Chronique d’un été, atto di nascita del Cinéma Direct in Francia. Il film si proponeva di essere un’indagine sociologica ed è costituito da una serie di interviste e situazioni registrate a Parigi durante l’estate e che hanno come soggetto la vita, i desideri, le paure della gente comune. Chris Marker, poeta, scrittore, cineasta e fotografo, realiz- zò nel 1963 Le joli mai, adottando il metodo di Chronique d’un été, ma prendendo le distanze dal “sociologismo” sul quale rischiava di fossilizzarsi il neonato modo di fare cinema. Nel film di Marker il riferimento ad una doppia mitologia parigina (il maggio e Fantômas) rivelava subito il distacco dalla scientificità. Una nota d’intenzione sui titoli di testa precisava la filosofia dell’inchiesta: in un primo tempo le interviste rivolte alcuni gruppi su alcuni punti, quindi il ritorno ad alcuni individui che non incarnano un tipo sociale, ma le cui esperienze anche fuori norma possono arricchire le riflessioni generali suscitate dalla prima parte. Mario Ruspoli, né sociologo né giornalista, fu il teorico-pratico per eccellenza del Cinéma Direct, cui diede anche il nome. I suoi film indagavano i drammi individuali e sociali con acutezza ed eleganza formale, ma fu accusato di estetismo dagli altri cineasti del movimento ed ebbe una carriera breve. Les inconnus de la terre (1961) è un’inchiesta sui contadini poveri in una Francia che si vantava di vivere anni gloriosi. Film come questo e molti altri, tra cui diversi dello stesso Rouch, rivelano che l’antropologia possa occuparsi anche di situazioni vicine33. Mario Ruspoli in occasione del MIPTV di Lione (mercato televisivo internazionale) del 1963 propose di sostituire l’espressione Cinéma Direct a quella di “cinéma-verité” introdotta da Morin (nell’articolo Pour un nouveau cinéma-vérité [1960]) e fonte di sterili polemiche. Secondo Marsolais [1997] si trattò sostanzialmente di un equivoco: Morin rese omaggio a Vertov con l’espressione

“cinema-verità”34, ma il fulcro dell’espressione sarebbe stato nella qualificazione di

“nuovo”. Ruspoli sottolineò che l’aggettivo “direct” stava semplicemente a significare una presa diretta del vissuto. Il fatto che la “verità” ultima fosse irraggiungibile non esimeva il cineasta dal maggiore rigore possibile e dall’avere un atteggiamento di apertura verso una realtà imprevedibile [cfr. Marsolais, 1997]. Le caratteristiche di questo nuovo cinema dovevano essere l’immersione nella realtà, il limitato intervento del regista, la parola ai soggetti filmati, l’assenza di musica e di commento parlato,

33Considerazione alla base del metodo degli Ateliers Varan, scuola la cui fondazione nel 1981 fu patrocinata dallo stesso Jean Rouch [Colleyn et al., 1992].

34Anche se come dice Sadoul [in Gauthier, 1995:p.77] negli scritti di Vertov il termine Kino-Pravda è riferito solo a una sorta di cinegiornale.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

il montaggio essenziale privo di manipolazione drammatica.

ll dibattito intorno al documentario: la rappresentazione della realtà e della “verità”.

Sin dal 1960 si levarono molte voci contro questa “mistificazione” che sottolinearono come il dispositivo cinematografico fosse sempre manipolazione, data dal doppio filtro della cinepresa e della soggettività dell’autore, cui compete la scelta del soggetto, dell’inquadratura, del momento della ripresa, del montaggio, della durata del film.

Il dibattito è vivo ancora oggi, anche se porta i segni del tempo. Da un lato c’è chi dice che il documentario è cinema della realtà, perché parla del mondo e della vita reale. Basti pensare al famoso festival di cinema sociologico ed etnografico che ha sede al Centre Pompidou a Parigi, Cinéma du réel. Altri obiettano che la realtà non è conoscibile oppure che è più conoscibile attraverso la finzione, poiché può rappresentare tutti gli aspetti della realtà, spesso inaccessibili al documentario per ragioni morali o per oggettiva impossibilità (la vita interiore, il sesso, la morte35) e che permette di centrare l’obiettivo di coinvolgere lo spettatore abbassandone le difese [cfr. anche Odin, 2000]. Alcuni cineasti e critici meno estremisti hanno ammesso che sarebbe ingenuo credere che il cinema diretto restituisca la realtà tout court e hanno preferito parlare di “messa in situazione”.

Quella della realtà, della verità e delle loro rappresentazioni è una questione che si perde nella notte dei tempi e che in occidente affonda le radici nella filosofia antica, in particolar modo in Platone e Aristotele. Nel ‘900 il celebre Mimesis di Auerbach affronta la questione del Realismo in Occidente, invitandoci a riflettere su come cambia nel tempo e nelle culture la rappresentazione della realtà (in questo caso in letteratura). Nella storia recente delle arti e dello spettacolo occidentali la rappresentazione della realtà è al centro dello scontro fra due grandi tendenze:

naturalismo e antinaturalismo (che comunque non è appannaggio del ventesimo secolo) [cfr. Aumont, Alain, Marié e Vernet, 2005]. Nel cinema la questione è molto complicata perché l’impressione di realtà che emana dalle immagini cinematografiche (in particolare dopo l’invenzione del sonoro e del colore) è oggettivamente molto forte [Aumont et al., 2005]. A mio avviso i concetti di realtà, rappresentazione, realismo, verosimiglianza e verità sono stati spesso confusi. Il documentario non è realtà, ma rappresentazione della realtà e a seconda dei periodi la sua credibilità risponde a diversi parametri di verosimiglianza. Flaherty utilizzava la ricostruzione degli eventi (vedi nota 6 a pagina 11); oggi, se si escludono le docu-fiction televisive,

35come afferma Henri Stork in Devarrieux e De Navacelle, 1988.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

solo pochi autori (come Richard Dindo) ne fanno uso. Solo con l’avvento del diretto il problema dell’autenticità si pone con forza nel cinema documentario. L’entusiasmo dei sostenitori più ingenui del Cinéma Direct, capace a loro avviso di attingere alla realtà, ricorda quello per l’invenzione della fotografia o del cinema sonoro e anticipa quello per il video; tutte evoluzioni frutto dell’incontro di determinate esigenze umane, artistiche, filosofiche con i nuovi mezzi tecnici, il cui impiego si è profondamente modificato nel tempo.

Il cinema di finzione e il documentario: Nouvelle Vague e Cinéma Direct.

È noto che i giovani critici dei Cahiers du Cinéma volendosi affrancare dalla tradizione francese (le cinéma du papa) si erano a lungo nutriti di film americani ed europei alla Cinémathèque Française. È forse meno nota l’ispirazione che trassero dalla nuova estetica del cinema diretto. Lo stesso Godard era stato studente di Rouch all’università e lo ammirava sin dai tempi di Moi, un Noir in cui vedeva “le promesse di una nuova cinematografia”36. La Nouvelle Vague si impradronì delle nuove tecniche del diretto e le mise a servizio della finzione, o meglio della dialettica tra realtà e finzione, realizzando secondo Comolli [1969a;b] la loro vocazione. A chi distingueva rigidamente documentario e fiction, Comolli rispondeva operando una riclassificazione trasversale tra delle due categorie, attraverso il denominatore comune del Cinéma Direct. Si impose allora, almeno in apparenza, un paradosso: mentre la Nouvelle Vague sarebbe stata capace di cogliere la realtà sul vivo, al cinéma-verité si opponeva che tutto il cinema è finzione. Comolli, nel 1969, esprime il suo punto di vista: i reportages “oggettivi”, epigoni del primo Cinéma Direct, sono il grado zero del cinema; la menzogna del cinema-verità è dire che filma la verità. Eppure la Nouvelle Vague era integrata nell’industria cinematografica37 e aveva radici nella mitologia del cinema francese classico: il cattivo (À bout de souffle di Godard, 1960), i drammi paesani (Le beau Serge di Chabrol, 1958), le ragazze perdute (Vivre sa vie di Godard, 1962), il malessere borghese (Les cousins di Chabrol, 1959), i bambini perseguitati (Les quatre cents coups di Truffaut 1959). Le conseguenze, soprattutto estetiche, di questo nuovo linguaggio sul cinema moderno furono profonde e durature al di là della fine dei singoli movimenti.

Finzione vs. documentario.

36Godard citato da Marsolais [in 1997].

37Secondo Comolli l’appropriazione da parte del cinema industriale delle tecniche del diretto fu la vera rivoluzione, visto che il documentario rimase ai margini del sistema.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

Il paradosso per cui il cinema di finzione attraverso i metodi e l’estetica del diretto assurgerebbe a un più alto livello di verità, mentre il documentario che risponde alle stesse caratteristiche è sempre tacciato di artificio introduce un leitmotiv emerso nel corso delle mie ricerche: l’opposizione “finzione-documentario”. Di fatto il documentario è stato sempre considerato un cinema minore, quando lo si è considerato cinema. Chi non ha mai sentito dire “si tratta di un film o di un documentario”? La distinzione era già diffusa ai tempi in cui il documentario abitava ancora le sale cinematografiche. Oggi è ancora più marcata dato che il maggiore canale di diffusione del documentario è la televisione. Questa situazione produce confusione fra documentario e reportage giornalistico (a tutti i livelli: nelle metodologie di produzione, nel palinsesto, nella stampa, tra il pubblico, talora negli stessi documentaristi). Inoltre la differente fruizione (cinematografica vs. casalinga) marca un confine “fisico” fra cinema e documentario. Questo indirizzo è stato a mio avviso favorito dal fatto che lo spettacolo cinematografico è sempre più proposto come evasione38 e il documentario non può essere considerato tale. Le motivazioni sono sia storiche (il documentario nasce sotto auspici scientifici e didattici e il pubblico lo identifica in questi termini) sia legate al linguaggio e alla struttura del documentario, che non favoriscono l’identificazione e il coinvolgimento come nel film sceneggiato. Difficilmente il documentario ci permette di abbassare la vigilanza e di immedesimarci nella vicenda, dandoci la sensazione di essere altrove39, perché il referente del documentario è il nostro mondo reale e lo spettatore è invitato a prendere coscienza e posizione come persona reale appartenente a questo mondo40. La questione, molto più complessa, sarà ripresa nel capitolo 3.

1.2.3 Le stagioni del documentario militante e la portata rivoluzio- naria del Cinéma Direct

Storicamente il documentario si era prestato a servire delle cause politiche, attra- verso la militanza e la propaganda41. Generalmente la spinta proveniva da partiti e sindacati. L’esempio più noto è quello del cinema sovietico e in particolare di Vertov.

Nel paesi capitalisti occidentali prima del 1939 ci furono esperienze di cinema “di

38Vedi a questo proposito Laurent Jullier [1997], Il cinema postmoderno, citato anche da Odin [in 2000] a proposito della tendenza a un “modo energizzante”, inaugurata da film come Guerre Stellari (1977).

39Metz [in 1977b] parla di identificazione primaria e secondaria, ovvero con la macchina da presa e con i personaggi [vedi anche Morin, 1956; Odin, 2000].

40Questa è, in parole povere, la posizione di Odin.

41Il termine “propaganda” ha assunto una connotazione negativa dopo le pratiche del regime nazista (Leni Riefenstahl) e del colonialismo.

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1.2 Nascita del documentario moderno 1. Il documentario francese dalle origini agli anni ‘70

sinistra”, alcune delle quali sono già state menzionate: il gruppo Film and Photo League seguito da Frontier film in America, il cinema proletario tedesco cui collaborò anche Bertold Brecht, la “Scuola Documentaria Inglese” (attiva anche durante la guerra) e Joris Ivens, esiliato dalla natale Olanda e cittadino del mondo.

Il cinema militante francese aveva avuto origine a Parigi con il gruppo Le cinéma du peuple (1913), fondato dagli anarchici per “moralizzare ed educare il popolo”.

Non trovò sbocchi commerciali e divenne col tempo riformista [in Gauthier, 2004].

Prima della seconda Guerra Mondiale furono realizzati alcuni importanti film politici: La zone: au pays des chiffoniers (1928) di Lacombe, À propos de Nice (1930) di Jean Vigò, La marche de la faim (1935) Jean-Marie Daniel, La vie est à nous di Renoir (1936), La Marseillaise (1938) di Renoir, Contre le courant (1938) di Marceau Pivert. Cineasti quali Renoir, Leon Moussinac e Jean Paul Le Chanois fecero parte di Ciné-Liberté, cineclub su scala nazionale aperto anche ai non sindacalisti. Durante la guerra il Conseil National de la Liberation diede ordine di filmare i combattimenti della Resistenza e Parigi occupata (Caméras sous la botte, 1944); altri film furono girati da prigionieri di guerra (Sous le manteau - Oflag XVII A, 1945), altri ancora da partigiani e furono successivamente montati da Le Chanois (1948) per realizzare un film sulla liberazione di Parigi. Nel decennio successivo furono realizzati pochi film militanti, tra cui i già menzionati Vivent les dockers, La Commune, Afrique 50, Un homme est mort di Vautier (1951), Derrière la grande muraille di Ménégoz (1958).

Il contributo del Partito Comunista fu modesto, forse a causa di un’insufficienza politica o di problemi tecnici; alcuni militanti comunisti realizzavano tuttavia film in clandestinità, sfidando la censura e senza l’appoggio del partito (Les rendez-vous des quais, 1955, di Paul Carpita sulla guerra d’Indocina).

È stata la guerra d’Algeria a dare nuovo slancio il cinema militante, nonostante il disinteresse del PCF. Il primo film a denunciare questa guerra fu il cortometraggio Une nation, l’Algérie (1954) di Vautier, seguito da Réfugiés algériens di Clément (1958), Octobre à Paris di Panijel (sulla sanguinante repressione del 1961). J’ai huit ans (1961), di Le Masson, Poliakoff e Vautier, fu vietato ma circolò clandestinamente e i suoi autori produssero un manifesto “per un cinema parallelo”, caratterizzato da soggetti scomodi scaturiti dal dibattito col pubblico e libero dall’ingerenza dell’industria cinematografica e dello Stato grazie alle sottoscrizioni popolari. Anche alcuni film di finzione affrontarono l’argomento come Secteur postal 89098 di Philippe Durand, 1961. Negli anni ‘60 il diretto rappresentò una svolta nei confronti del documentario ufficiale, veicolo del pensiero dominante. Il suo potenziale eversivo risiedeva nelle nuove possibilità tecniche che permettevano un cinema realmente

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