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Capitolo 1 Introduzione

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Capitolo 1

Introduzione

I pappagalli appartengono all’ordine Psittaciformes che comprende due famiglie: la famiglia Cacatuidae con le sottofamiglie Cacatuinae e Nymphicinae e la famiglia Psittacidae in cui sono inserite le restanti sottofamiglie (Forshaw, 2006).

Tutti i pappagalli presentano un robusto becco ricurvo, lingua carnosa e mobile, e zampe con quattro dita, delle quali due sono rivolte anteriormente mentre le altre due sono rivolte posteriormente (Forshaw, 2006).

Per poter valutare lo stato di salute di questi animali è necessario conoscere alcune delle loro caratteristiche biologiche; per questo motivo è sembrato opportuno accennare brevemente alla loro anatomia, alla loro fisiologia e alla loro alimentazione.

1.1 Anatomia e fisiologia

Come tutti i volatili, i pappagalli possiedono uno scheletro con ossa pneumatiche, dotate cioè di cavità in comunicazione con i sacchi aerei che le rendono più leggere ed adatte al volo; allo stesso tempo, però, un eventuale processo patologico dei sacchi aerei può facilmente diffondersi anche al tessuto osseo (Conzo, 2001). I sacchi aerei sono delle membrane trasparenti che, oltre alla funzione di alleggerimento dello scheletro, risultano fondamentali per il ricambio dell’aria in quanto i polmoni sono piccoli e non espandibili (Conzo, 2001).

I muscoli pettorali sono molto sviluppati e la loro palpazione ci permette di stabilire lo stato di ingrassamento del soggetto (Conzo, 2001) .

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L’apparato digerente è suddiviso in un esofago sottile ed estensibile, posizionato nel lato destro del collo, che si continua nel gozzo o ingluvie dove il cibo è conservato ed ammorbidito, lo stomaco è costituito dal proventricolo o stomaco ghiandolare, dove avviene la digestione proteolitica, e dal ventricolo o stomaco muscolare con la funzione di triturare meccanicamente il cibo. L’intestino è piuttosto semplice ed ciechi sono poco sviluppati (Conzo, 2001).

Nell’apparato urinario riconosciamo i reni e gli ureteri che sfociano nella

cloaca, apertura comune agli apparati digerente, urinario e genitale. La

vescica e l’uretra sono assenti ed il prodotto finale delle sostanze azotate è rappresentato dall’acido urico che costituisce la porzione bianca delle feci (Conzo, 2001).

Il piumaggio presenta penne di diversa morfologia e dimensione a seconda della loro funzione. Tra le principali, ricordiamo le penne di contorno che ricoprono tutto il corpo e le copritrici a livello di ali e coda, entrambe con la funzione di isolamento termico; le penne remiganti a livello delle ali e le penne timoniere a livello della coda sono fondamentali per il volo (Conzo, 2001). Per mantenere il piumaggio impermeabile ed elastico, gli animali cospargono su di esso la secrezione della ghiandola dell’uropigio, posta dorsalmente alla base della coda (Conzo, 2001).

La loro temperatura corporea oscilla attorno ai 42 °C ed il loro metabolismo è molto elevato ed inversamente proporzionale alla taglia del soggetto (André, 1997).

La frequenza respiratoria a riposo varia tra i 20 ed i 70 atti respiratori, essa però aumenta notevolmente in seguito ad eventi stressanti, quali ad esempio il contenimento (Andre, 1997). Analogamente, il ritmo cardiaco passa dai 120-280 battiti al minuto fino a 210-600 in conseguenza di un qualsiasi tipo di stress (André, 1997).

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1.2 Alimentazione

L’alimentazione ha grande influenza sullo stato di salute, tanto che eventuali carenze possono favorire lo sviluppo di numerose patologie (André, 1997; Conzo, 2001).

In natura l’alimentazione dei pappagalli è costituita da grani, noci, vegetali, germogli, bacche e larve, mentre nel caso dei Lori, essi si nutrono di nettare, polline, fiori e piccoli invertebrati (Conzo, 2001). Nei soggetti in cattività, invece, nella maggior parte dei casi la dieta è rappresentata principalmente da un miscuglio di semi la cui composizione è spesso sbilanciata (Conzo, 2001), infatti questa dovrebbe essere integrata con frutta, semi germogliati e verdura. Senza dimenticare queste integrazioni, una buona alternativa è rappresentata dagli alimenti preparati industrialmente come i pellettati e gli estrusi appositamente formulati per coprire tutti i fabbisogni alimentari di questi animali (Conzo, 2001).

1.3 Esame clinico

Come per gli altri animali, anche per i pappagalli l’anamnesi risulta fondamentale ai fini di un buon esame clinico generale. E’ necessario infatti sapere se vivono in gabbia, in voliera, da soli o con altri soggetti, all’aperto o al chiuso. E’ necessario anche conoscere la loro alimentazione e le eventuali patologie pregresse

oppure in corso (André, 1997).

Si esegue quindi un esame a distanza (André, 1997) che ci permette di studiare gli atteggiamenti e individuare la presenza di starnuti, tosse e rumori respiratori.

E’ necessario ricordare che in natura essi rappresentano delle prede (André, 1997) per cui tendono a nascondere un eventuale stato di malattia e la comparsa di sintomi, in molti casi, precede la morte; inoltre spesso la

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sintomatologia è aspecifica e questo non consente di arrivare ad una diagnosi certa (Conzo, 2001).

Un animale malato è facile da riconoscere perché se ne sta immobile sul fondo della gabbia oppure è agitato e polifagico, ha un piumaggio gonfio in modo da poter mantenere un’elevata temperatura corporea, la coda si muove ad ogni atto respiratorio, le ali sono leggermente scostate dal corpo e può presentare dispnea o tachipnea (André, 1997; Conzo, 2001). Anche l’aspetto delle feci e del piumaggio può indicare una patologia; ad esempio in corso di enteriti, malassorbimento, parassitosi, gastriti e degenerazione epatica esse si presentano voluminose e con alimento indigerito oppure, in corso di epatopatie, esse appaiono di colore verdastro con urati gialli o verdi (Conzo, 2001).

Nel caso di malnutrizione, il piumaggio si presenterà poco brillante, scomposto, e con penne sfrangiate, mentre eventi stressanti, con la conseguente liberazione di corticosteroidi, determinano l’apparizione di linee trasversali chiamate “linee di stress” (André, 1997; Conzo, 2001).

L’esame clinico ravvicinato (André, 1997) permette di osservare le mucose del becco e della regione cloacale, di valutare lo stato di ingrassamento o malnutrizione con la palpazione della regione dei muscoli pettorali e di controllare in maniera molto più approfondita il piumaggio per evidenziare la presenza di eventuali lesioni da grattamento (André, 1997).

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1.4 Principali malattie parassitarie dei pappagalli

Criptosporidiosi

Fino a pochi anni fa considerata un evento raro negli uccelli, recenti studi eseguiti hanno permesso di accertare che la criptosporidiosi può interessare numerose specie aviari tra cui i pappagalli (Doster et al., 1979; Belton e Powell, 1987; Goodwin e Krabill, 1989; Lindsay et al., 1990; Latimer et al., 1992; Tsai et al., 1992; Clubb et al., 1996; Morgan et al, 2000; Kwon et al., 2005).

La malattia è sostenuta da protozoi appartenenti al genere Cryptosporidium. In base alla bibliografia consultata (Sréter e Varga, 2000; Xiao et al., 2004), nei pappagalli sono state isolate due specie appartenenti a questo genere:

Cryptosporidium meleagridis che si localizza nell’apparato digerente e nella

Borsa di Fabrizio e Cryptosporidium baileyi che si localizza nella Borsa di Fabrizio, nella cloaca, nell’intestino e nell’apparato respiratorio (Sréter e Varga, 2000; Xiao et al., 2004).

La loro forma infettante è rappresentata da oocisti prive di sporocisti, con 4 sporozoiti a forma di virgola, lunghi circa 1 µm ed un voluminoso residuo tra di essi (Tzipori, 1988; Zu et al., 1992; Fayer, 1997; D’Agostino et al., 2002). Le oocisti di C. baileyi hanno forma ovalare e dimensioni medie di 6,4 µm (5,6-7,5µm) x 4,8µm (4,8-5,7µm), mentre quelle di C. meleagridis sono rotondeggianti e misurano in media 5 (4,5-6) x 4,4 (4,2-5,3) µm. La morfologia e le dimensioni di C. meleagridis non ne permettono la distinzione da C. parvum ed analisi filogenetiche hanno rivelato che sono strettamente correlati (Sréter e Varga, 2000; Xiao et al., 2004). Una volta ingerite o inalate le sporocisti liberano gli sporozoiti che vanno a prendere contatto con la superficie luminale delle cellule epiteliali e si invaginano nella loro membrane andando ad assumere una posizione intracellulare-extracitoplasmatica (Tzipori, 1988; D’Agostino et al., 2002).

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Lo sporozoite perdendo il suo citoscheletro si trasforma in un trofozoita dal quale originerà uno schizonte. In seguito a varie fasi schizogoniche vengono prodotti merozoiti e da questi originano micro e macrogametociti.

Dalla fusione dei gameti femminili e maschili si forma uno zigote che rivestendosi di parete si trasformerà in oocisti. All’interno delle due specie ci sono diversità anche nel ciclo biologico: C. baileyi ha tre generazioni di merozoiti mentre C. meleagridis solo due (Sréter e Varga, 2000; Xiao et al., 2004).

La trasmissione avviene per ingestione di acqua e cibo contaminati dalle oocisti o con la loro inalazione (Current et al., 1986).

Spesso gli animali adulti non presentano nessuna sintomatologia mentre risultano particolarmente sensibili gli immunodepressi (Latimer et al., 1992) ed i giovani (Clubb et al., 1996; Morgan et al., 2000; Kwon et al., 2005).

Negli uccelli si riconoscono tre forme cliniche:

1. Una intestinale sostenuta da C. baileyi e C. meleagridis, segnalata in cocoriti (Goodwin e Krabill, 1989; Tsai et al., 1992), calopsitte (Goodwin e Krabill, 1989; Lindsay et al., 1990; Kwon et al., 2005), inseparabili (Belton e Powell, 1987; Tsai et al., 1992), parrocchetto dal collare (Morgan et al., 2000), cacatua (Latimer et al., 1992), ara (Doster et al., 1979; Tsai et al.,1992; Clubb et al., 1996) e cenerino (Tsai et al., 1992; Clubb et al., 1996). La sintomatologia è caratterizzata da diarrea, gonfiore addominale e grave disidratazione. L’intestino presenta pareti pallide e sottili e contiene materiale fluido, i villi sono atrofici e spesso fusi tra di loro, con iperplasia delle cripte e infiltrato infiammatorio (Harrison, 1994; Morgan et al., 2000; Sréter e Varga, 2000; Conzo, 2001; D’Agostino et al, 2002; Kwon et al., 2005). E’ inoltre presente necrosi della borsa di Fabrizio (Sréter e Varga, 2000). In un episodio di criptosporidiosi riportato da Kwon e collaboratori (2005) in alcune

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giovani calopsitte, gli unici sintomi ante-mortem erano rappresentati da diarrea grave, penne arruffate, disidratazione e depressione.

2. Una respiratoria sostenuta da C. baileyi riscontrata una sola volta nel cocorito (Clubb et al., 1996). La localizzazione nell’apparato respiratorio può determinare inibizione del muscolo elevatore mucociliare e gli animali colpiti presentano depressione, anoressia, congiuntivite, sinusite, tracheite, tosse, rantoli, starnuti e dispnea (Harrison, 1994); tutto l’apparato respiratorio e la congiuntiva presentano eccesso di essudato mucoso, i sacchi aerei sono scuri e la Borsa di Fabrizio risulta atrofica (Harrison, 1994; Sréter e Varga, 2000). L’epitelio è iperplastico ed ipertrofico, con infiltrato cellulare e le ciglia sono ridotte o assenti (D’Agostino et al, 2002); le infezioni batteriche secondarie sono molto frequenti (Sréter e Varga, 2000).

3. Una renale, riscontrata nei galliformi domestici e selvatici e nei fringuelli e mai nei pappagalli. Determina morte improvvisa in assenza di sintomi. I reni sono pallidi ed aumentati di volume, l’epitelio di tutto l’apparato urinario si presenta ipertrofico ed iperplastico con possibile infiltrato infiammatorio (Sréter e Varga, 2000; D’Agostino et al., 2002).

La diagnosi è resa difficile dalle dimensioni ridotte delle oocisti e dalla loro eliminazione intermittente (Current et al., 1986; Sréter e Varga, 2000). A fini diagnostici, per la ricerca delle oocisti si possono allestire degli strisci fecali colorati con Zielh-Nielsen modificata (Rondanelli e Scaglia, 1993; Sréter e Varga, 2000) o utilizzare kit commerciali basati sull’immunofluorescenza (Sréter e Varga, 2000). I kit ELISA consentono invece di rilevare la presenza di antigeni protozoari nei campioni fecali (Sréter e Varga, 2000), mentre la Polymerase Chain Reaction (PCR) ne individua specificamente il genoma (Sréter e Varga, 2000; Nichiro e Motohiro, 2004). L’esame istologico della mucosa intestinale permette di evidenziare i protozoi localizzati a livello

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dell’orletto a spazzola e le alterazioni dei microvilli (Fayer, 1997; Sréter e Varga, 2000).

Il trattamento risulta difficile ed alcuni autori consigliano l’uso di paramomicina per via orale (Martins e Guerrant, 1995). La disinfezione con ipoclorito di sodio al 5,25 % seguita dall’esposizione ai raggi solari sembra essere efficace (Conzo, 2001).

Giardiasi

Malattia sostenuta da protozoi inseriti nel genere Giardia che nei campioni fecali può evidenziarsi come trofozoite oppure come cisti; quest’ultima rappresenta la forma di resistenza del protozoo nell’ambiente esterno (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Il trofozoita piriforme è lungo circa 20 µm, presenta otto flagelli, due nuclei ed un disco adesivo ventrale con cui aderisce ai villi intestinali. La cisti è lunga circa 10-14µm ed è tetranucleata ( Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Una volta ingerita, a livello intestinale dalla cisti si liberano i trofozoiti che vanno ad aderire all’epitelio dell’intestino tenue dove si moltiplicano rapidamente e successivamente si trasformano in cisti che vengono eliminate con le feci nell’ambiente (Filippich et al., 1998).

Giardia può infettare soggetti di qualsiasi età; spesso gli adulti sono

asintomatici ma continuano comunque ad eliminare le cisti, mentre nei giovani e nei soggetti che presentano altre patologie concomitanti o negli animali immunodepressi si osserva una elevata mortalità (Filippich et al., 1998; Harrison, 1994; Conzo, 2001). Gli animali appaiono depressi, anoressici, disidratati, presentano malassorbimento e perdita di peso associata a diarrea mucosa e maleodorante. Un sintomo caratteristico nelle calopsitte e nei cocoriti è rappresentato da cute secca a livello degli arti e delle ascelle che induce il volatile a grattarsi (Harrison, 1994; Conzo, 2001; Gabrisch e Zwart,

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2001). Alla necroscopia si nota una colorazione rosso mattone della pelle dovuta alla disidratazione (Filippich et al., 1998).

I trofozoiti sono facilmente evidenziabili sia all’esame a fresco o previa flottazione con la soluzione satura di cloruro di sodio di feci fresche o nei raschiati della mucosa intestinale. Dal momento che i trofozoiti e le cisti non sono eliminati continuamente è necessario analizzare campioni di più giorni (Filippich et al., 1998; Conzo, 2001).

Analogamente alla criptosporidiosi, a fini diagnostici possono essere utilizzati anche la colorazione di Giemsa modificata degli strisci fecali per la ricerca delle cisti, l’immunofluorescenza, il test ELISA e la PCR (Rondanelli e Scaglia, 1993; Homan et al., 1998; Filippich et al., 1998).

I farmaci utilizzati a fini terapeutici, tra i quali il metronidazolo ed il febendazolo, spesso non risultano efficaci (Filippich et al., 1998) . E’ necessario porre delle griglie sul fondo della gabbia ed evitare la contaminazione del cibo e dell’acqua da parte delle feci in modo da ridurre la trasmissione oro-fecale. I trofozoiti sono poco resistenti ai comuni disinfettanti ed alla disidratazione, mentre per le forme di resistenza si sono dimostrati efficaci i sali quaternari di ammonio (Filippich et al, 1998).

Coccidiosi

I coccidi sono protozoi appartenenti al Philum Apicomplexa. Essi si trasmettono in modo diretto attraverso cibo o acqua contaminati dalle feci di animali infetti contenenti le oocisti sporulate. La coccidiosi è stata riscontrata occasionalmente nei pappagalli che risultano colpiti sia dal genere Isospora che dal genere Eimeria (Conzo, 2001; Gabrisch e Zwart, 2001). I soggetti infetti presentano diarrea acquosa, imbrattamento della zona pericloacale, progressivo dimagrimento e gonfiore addominale. Le anse

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intestinali sono distese ed è presente enterite catarrale o emorragica (Conzo, 2001; Gabrisch e Zwart, 2001).

Tricomonosi

Malattia sostenuta da Trichomonas gallinae che infetta gli animali sia per ingestione di cibo o acque contaminate oppure è trasmessa dagli adulti ai nidiacei con l’imbeccata (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

L’unico stadio del ciclo biologico di questi protozoi è rappresentato dal trofozoita flagellato che misura circa 8 -14µm di lunghezza e che presenta quattro flagelli anteriori ed una membrana ondulante; non è presente alcuna forma di resistenza(Harrison, 1994; Conzo, 2001).

La sintomatologia è caratterizzata da rigurgito, scolo nasale, diarrea verdastra, dispnea e crescita rallentata nei piccoli. Nella cavità orale, faringe, tratto gastroenterico e talvolta nell’apparato respiratorio è presente materiale caseoso (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Esaminando il materiale caseoso a fresco oppure il lavaggio del gozzo si possono individuare i trofozoiti (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Per il trattamento si usa il ronidazolo nell’acqua da bere (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

A fini profilattici risulta estremamente importante curare l’igiene delle gabbie ed evitare il sovraffollamento (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Ascaridiosi

Malattia parassitaria sostenuta da nematodi appartenenti al genere Ascaridia; essa è molto frequente nei soggetti allevati in voliere all’aperto o con possibilità di accesso al suolo (Harrison, 1994; Conzo, 2001). Tra i pappagalli più frequentemente colpiti risultano: i cocoriti (Ferrola et al., 1976; Webster, 1982; Mines e Green, 1983; Kajerova et al., 2004b), le calopsitte (Hartwich e

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Bevan, 1973; Hartwich e Tscherner, 1979; Mines, 1979; Mines e Green, 1983).

Le uova, una volta eliminate nell’ambiente esterno con le feci, divengono infestanti in circa tre settimane; esse una volta all’interno dell’ospite, che le ha ingerite, schiudono e vanno a colonizzare l’intestino (Urquhart et al., 1998). Talvolta si assiste alla migrazione di larve a livello viscerale o epatico (Reece et al., 1992; Brockus et al., 1998).

Gli elminti del genere Ascaridia non sono dotati di elevato potere patogeno e gli eventuali segni clinici si osservano nei soggetti giovani (Urquhart et al., 1998).

La sintomatologia è caratterizzata da dimagrimento progressivo, malassorbimento, crescita stentata nei soggetti giovani e, in caso di occlusione intestinale per la presenza di un elevato numero di parassiti, anche dalla morte dell’animale (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

La diagnosi avviene tramite l’isolamento delle uova con la flottazione o con il ritrovamento dei parassiti adulti in corso di autopsia (Harrison, 1994; Urquhart et al., 1998; Conzo, 2001)

La terapia prevede l’utilizzo di levamisolo nell’acqua da bere o di fenbendazolo per via orale (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Data la resistenza delle uova ai comuni disinfettanti é inoltre importante limitare il contatto degli animali con le proprie feci, con l’uso di griglie (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Capillariosi

Sostenuta da elminti appartenenti alla famiglia Capillaridae, essa si riscontra principalmente nel pappagallino ondulato e nell’ara (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

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Secondo la specie in causa gli adulti si localizzano, all’interno dell’ospite, a livello di mucosa dell’esofago (Shock e Cooper, 1978) ed intestino (Freitas et al., 1959; Martínez et al 2003a; Baruš et al, 2005; Kajerová e Baruš, 2005). Gli animali colpiti presentano diarrea, dimagrimento e vomito; in alcuni casi si possono notare lesioni simil-difteriche in cavità orale, gozzo ed esofago (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

La diagnosi si basa sul ritrovamento delle caratteristiche uova all’esame microscopico delle feci oppure al ritrovamento di esemplari adulti nell’intestino di animali deceduti (Harrison, 1994; Urquhart et al., 1998; Conzo, 2001).

La terapia è identica a quella consigliata per l’ascaridiosi (Harrison,1994; Conzo, 2001).

Strongiloidosi

Il ciclo biologico di Stongyloides prevede un’alternanza di fasi parassitarie ed a vita libera (Levine, 1968; Urquhart, 1998). Gli stadi parassiti sarebbero solo di sesso femminile e localizzate nell’intestino tenue dove producono uova larvate per partenogenesi, queste sono quindi eliminate nell’ambiente con le feci dell’ospite (Levine, 1968; Urquhart, 1998). Dopo la schiusa, le larve possono subire quattro mute con la formazione di maschi e femmine a vita libera, caratterizzati morfologicamente dal possedere un esofago bulbare, oppure divenire larve di terzo stadio infettanti, con esofago strongiloide, che penetrano nell’ospite attraverso la cute o per via orale e si portano nell’intestino dove diventano parassiti adulti (Levine, 1968; Urquhart et al., 1998). La loro azione patogena è generalmente scarsa (Urquhart et al., 1998).

Sulla base della bibliografia consultata (De Freitas et al., 2002), nonostante dai campioni fecali dei pappagalli risultino isolate uova del

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(Freitas et al., 2002). L’unica specie di questo genere riportata negli uccelli è

Strongyloides avium che ha come ospiti comuni pollo, tacchino, anatre e

quaglie (Levine, 1968; Urquhart et al., 1998).

Strongili gastrointestinali

In base allo studio effettuato da De Freitas e collaboratori (2002) in Brasile, nei pappagalli sono stati isolati alcune uova di nematodi appartenenti al genere Trichostrongylus; le due specie che interessano i volatili risultano essere Trichostrongylus tenuis e Ornithostrongylus quadriradiatus (Levine, 1968).

T. tenuis si localizza nel cieco ed occasionalmente nel tenue, soprattutto nei

volatili selvatici, ed è causa di aumento di volume di questi tratti intestinali e di congestione vasale, (Levine, 1968); clinicamente esso determina perdita di peso, emaciazione, diarrea e tossiemia cronica (Levine, 1968). O.

quadriradiatus è un nematode ematofago che si localizza a livello

dell’intestino tenue ed è responsabile di numerosi decessi dovuti ad enterite catarrale e perdite emorragiche gravi (Calneck, 2001).

Cestodosi

Riscontrata principalmente nel cenerino, cacatua, ecletto, lori ed are, essa è sostenuta da vari generi di cestodi quali ad esempio Raillietina (Tsai et al., 1992).

Il ciclo è indiretto e l’ospite intermedio può essere rappresentato da coleotteri, vermi di terra, pulci, acari o formiche che vengono assunti dall’animale come cibo oppure accidentalmente (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Dal punto di vista clinico si possono osservare dimagramento, debilitazione, diarrea e anoressia; in caso di gravi infestazioni l’animale può venire a morte per la grave azione sottrattiva di sostanze nutritive operata da questi parassiti o per occlusione intestinale (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

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In molti casi le proglottidi sono visibili anche ad occhio nudo; schiacciandole tra due vetrini ed osservandole al microscopio ottico si possono evidenziare le uova contenenti la tipica larva esacanta. Le uova sono visibili con la flottazione solo se c’è stata spremitura delle proglottidi o una rottura delle stesse nell’intestino (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Per la terapia si utilizza il praziquantel per via orale o per via sotto-cutanea; per la profilassi, invece, è utile il controllo dell’ospite intermedio se conosciuto (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Distomatosi epatica

La malattia è stata riscontrata raramente e soprattutto nei cacatua di importazione (Kazacos et al., 1980; Kock e Duhamel, 1982; Quesenberry et al., 1986).

Il ciclo biologico di questi parassiti richiede l’intervento di uno o più ospiti intermedi e, dopo l’ingestione, i parassiti vanno a localizzarsi nei dotti biliari (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Spesso l’infezione passa inosservata ed essi sono rinvenuti accidentalmente durante l’esame necroscopico oppure possono essere causa di epatite cronica caratterizzata da epatomegalia e fibrosi dei dotti biliari (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Le uova sono osservabili al microscopio ottico dopo aver sottoposto i campioni fecali a flottazione con l’utilizzo di soluzioni ad elevata densità dato il loro peso specifico (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

A fini terapeutici l’utilizzo del praziquantel non è sempre efficace mentre il fenbendazolo per via orale ha dimostrato di esserlo in alcuni casi (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Non conoscendo esattamente gli ospiti intermedi non è possibile attuare un’efficace prevenzione contro di essi (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

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Rogna

Sostenuta da acari del genere Knemidocoptes, si riscontra frequentemente nel pappagallino ondulato (Richard, 1975; Steiner e Davis, 1979; Tsai et al, 1992; Baker, 1996; Urquhart et al., 1998). Quali fattori predisponenti la gravità della forma clinica, risultano importanti la scarsa igiene e le patologie concomitanti, tra cui principalmente le malattie infettive e metaboliche e la malnutrizione (Conzo, 2001).

Il ciclo è diretto e compiuto interamente sulla cute dell’ospite; gli acari penetrano nell’epitelio cheratinizzato dove si localizzano (Harrison, 1994; Conzo; 2001). Le prime lesioni nel pappagallino ondulato si notano a livello della commissura del becco e, successivamente, si estendono all’occhio, alla cera, alle zampe ed al becco che nelle fasi più avanzate vanno incontro a deformazione (Harrison, 1994; Conzo; 2001).

Gli acari sono visibili al microscopio osservando raschiati delle lesioni cutanee.

Il trattamento prevede l’utilizzo di ivermectina per via parenterale e, opportunamente diluita, con applicazioni topiche (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Infestazione da acari ematofagi

Sostenuta da Dermanyssus gallinae ed Ornithonyssus sylviarum, due specie di acari ematofagi che interessano sia gli uccelli che i mammiferi e sono caratterizzati da una bassa ospite- specificità (Harrison, 1994; Urquhart et al., 1998; Conzo, 2001; Manfredini, 2005). Anche se morfologicamente simili si differenziano per il loro ciclo biologico, infatti O. sylviarum si localizza permanentemente sull’ospite cibandosi di sangue sia di giorno che di notte, mentre D. gallinae di giorno trova rifugio tra i posatoi ed altre zone nascoste della gabbia e si nutre solamente di notte portandosi sull’animale (Krantz, 1978; Urquhart et al., 1998; Manfredini, 2005). Inoltre O. sylviarum può

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vivere lontano dall’ospite per circa 10 giorni mentre gli adulti di D. gallinae possono sopravvivere anche alcuni mesi senza alimentarsi (Urquhart et al., 1998). Negli animali colpiti si possono notare irrequietezza, anemia, e progressivo dimagrimento ed elevata mortalità tra i nidiacei (Urquhart et al., 1998; Conzo, 2001).

Gli acari sono visibili ad occhio nudo come punti neri, rossi o grigi che camminano sull’ospite o localizzati tra i posatoi (Conzo, 2001).

Risultano efficaci applicazioni di ivermectina diluita nella regione interscapolare (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

E’ necessario in caso di infestazione la sostituzione dei posatoi, dei nidi e del materiale presente nel nido (Harrison, 1994; Conzo, 2001).

Mallofagi

Insetti di piccole dimensioni, col corpo depresso dorso-ventralmente, capo prognato, occhi composti atipici poco sviluppati od atrofizzati, apparato buccale masticatore, torace depresso con zampe simili tra loro con pretarsi provvisti di una o due unghielli robusti, addome formato di dieci segmenti (Manfredini, 2005). Conosciuti come falsi pidocchi o pidocchi pollini, sono ectoparassiti permanenti obbligati di uccelli e mammiferi (Manfredini, 2005). Ciascuna specie di uccello può essere parassitata da mallofagi appartenenti a specie, generi e famiglie diverse (Seguy, 1944). Si nutrono di parti necrotiche dell’epidermide, delle penne, particolarmente delle barbule, delle secrezioni sebacee (Seguy, 1944).Quando sono presenti in numero eccessivo gli animali sono agitati, anoressici e grattandosi possono provocarsi lesioni.

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Acariasi delle penne

Tra le piume possiamo riscontrare numerose specie di acari che si nutrono di cellule di sfaldamento della cute, di parti di penne e del secreto della ghiandola dell’uropigio (Proctor e Owens, 2000).

Possono localizzarsi a livello delle piccole penne di copertura, su remiganti e timoniere o all’interno del calamo (Dabert e Mironov, 1999; Proctor e Owens, 2000).

Gli acari delle penne specializzandosi morfologicamente alla struttura delle penne ed al secreto della ghiandola dell’uropigio del proprio ospite, sono divenuti ospite-specifici (Dabert e Mironov, 1999; Proctor e Owens, 2000), esistono, tuttavia anche acari delle penne non ospite-specifici (Schmäschke et al., 2002).In genere essi non provocano grossi danni all’ospite ma, in corso di gravi infestazioni, si notano prurito e perdita delle penne, inoltre nel tentativo di procurarsi sollievo si grattano talmente forte da strapparsi le penne (Harrison, 1994; Conzo, 2001; Schmäschke et al., 2002).

Nonostante il numero degli studi sulle principali patologie degli uccelli da gabbia sia notevolmente aumentato negli ultimi anni, scarsi risultano comunque i lavori riguardanti le malattie parassitarie dei pappagalli, soprattutto nel nostro paese. Gli unici studi sui parassiti dei pappagalli eseguiti in Italia, inoltre, riguardano principalmente gli artropodi ectoparassiti (Principato et al., 1996; Perrucci et al, 1997).

Pertanto, nel presente lavoro di tesi è stata eseguita una indagine sulle parassitosi dei pappagalli, considerando sia gli ecto che, per la prima volta per quanto riguarda l’Italia, gli endoparassiti che interessano gli Psittaciformi allo scopo di aumentare le conoscenze sulle malattie parassitarie di questi animali e di dare un contributo per la loro diagnosi e per il loro controllo.

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