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Capitolo 2 Progettazione di un sistema microfluidico per la generazione di gradienti di concentrazione

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Capitolo 2

Progettazione di un sistema

microfluidico per la generazione di

gradienti di concentrazione

2.1 Introduzione

Come visto nel capitolo precedente lo sviluppo dei gradienti di concentrazione di specie chimiche, su superfici o in soluzione, riveste un ruolo importante nell’attivazione e nello sviluppo di numerosi processi biologici così come nella risposta cellulare a stimoli esterni.

La cellula infatti, tra le sue estremità, è sensibile a variazioni di concentrazione anche inferiori al 2 %; pertanto è richiesta la creazione di un gradiente di concentrazione con una risoluzione spaziale dell’ordine di una singola cellula [15].

Attualmente le tecniche utilizzate per generare gradienti in soluzioni si basano su iniezioni con pipette o rilascio di sostanze chimiche da gel. Queste metodologie, tuttavia, hanno un limite fondamentale nell’assenza del controllo spaziale del gradiente generato; inoltre presentano delle

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risoluzioni spaziali dell’ordine di alcuni millimetri, tali quindi da non poter essere rilevati a livello di una singola cellula.

Per risolvere queste problematiche ci si propone di progettare un sistema microfluidico in grado di generare un gradiente dinamico, con risoluzioni spaziali micrometriche, con lo scopo di poter utilizzare questo sistema per indagini in campo biologico, tossicologico e di ricerca di base. Un sistema microfluidico è composto essenzialmente da un insieme di canali, con dimensione dell’ordine del micron, collegati in serie o in parallelo, utili a formare una rete, al cui interno lo scorrimento di un fluido permette la generazioni di diversi profili di concentrazione e gradienti chimici.

Per poter comprendere come sia possibile generare tale gradiente occorre fornire alcuni cenni sul moto dei fluidi e il trasporto di massa al loro interno.

2.2 Il moto dei fluidi [16]

Il comportamento di un elemento di un fluido in movimento in un condotto dipende fortemente dalla distanza dell'elemento di fluido dalle pareti del condotto. In regioni lontane dalle pareti, gli sforzi di taglio, cioè gli attriti e le forze dissipative, sono trascurabili così che il fluido si comporta come un fluido ideale, incomprimibile e non dissipativo. Come nel caso statico, in questo caso in seno al fluido non vi sono sforzi di taglio e le caratteristiche del suo moto dipendono soltanto dalla pressione. In queste condizioni si parla di flusso potenziale.

Il flusso potenziale è completamente descritto della meccanica Newtoniana, in base alle leggi di conservazione della massa e dell’energia meccanica (cioè cinetica e potenziale), e non presenta dissipazioni d’energia. Questo 26

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tipo di moto può esistere anche a piccole distanze dalle pareti; tuttavia, nelle vicinanze delle pareti, la velocità del fluido cambia improvvisamente (fig. 2.1), introducendo delle dissipazioni che non possono essere descritte in termini di moto potenziale. Lo strato di fluido di spessore δ, che caratterizza la distanza massima a cui il fluido risente dell’azione della parete, è detto strato limite e fu introdotto da Prandtl nel 1904. In questa regione di spazio diventano particolarmente importanti i gradienti di velocità nella direzione normale al moto e sforzi di taglio nella direzione ad esso paralleli.

Figura 2.1 Profilo di velocità in prossimità di una parete

L’introduzione del concetto di strato limite è stato di notevole importanza. Per esempio, studiando il moto di un corpo solido nell’aria, se si supponesse che il flusso fosse potenziale in ogni punto, non si potrebbe spiegare l’esistenza della forza di resistenza parallela al moto offerta dall’aria (drag). Allo stesso modo, non si potrebbe spiegare la portanza (lift), cioè la forza di resistenza perpendicolare al moto offerta dall’aria, che permette agli aerei di "mantenersi" in aria. L’impossibilità di tener conto di fenomeni tanto elementari come il drag e il lift da parte della fluidodinamica classica è stato chiamato paradosso di d’Alambert.

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2.3 Il numero di Reynolds

Le caratteristiche del campo di moto di un fluido sono determinate dall’importanza relativa del flusso di quantità di moto dovuto a convezione rispetto a quello dovuto a diffusione viscosa. Il primo è definito come la quantità di moto che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo, ed è uguale all’energia cinetica per unità di volume:

2 V JcQ = ρ

dove V è la velocità media del fluido. Per il flusso di quantità di moto viscosa:

dz dv JQ =

μ

che può essere approssimato a:

L V JQ =

μ

dove μ è la viscosità del fluido ed L è una distanza caratteristica del campo di moto.

Il rapporto tra queste due grandezze è una quantità adimensionale, detto numero di Reynolds, dal nome del suo scopritore:

Q cQ J J diffusione convezione Re = = cioè:

ν

μ

ρ

VL VL Re= =

Il numero di Reynolds dà un’immediata indicazione del tipo di trasporto, cioè del regime di moto, presente nel sistema in esame.

Per esempio, si consideri un corpo immerso in un fluido in moto. Quando Re è elevato, la convezione prevale sulla diffusione; dunque, considerando 28

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che la forza è la quantità di moto trasferita per unità di tempo, e ricordando che J V2

cQ = ρ è la quantità di moto convettiva che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo, si può ottenere che la forza di resistenza F esercitata dal fluido sul corpo è proporzionale a , dove S è la sezione del corpo nella direzione normale al moto quindi:

S JcQ 2 V S F ≈ ρ

L'equazione indica che la forza di resistenza esercitata su un corpo dal fluido nel quale il corpo stesso è immerso, in condizioni di elevato numero di Reynolds, sono proporzionali al quadrato della velocità, alla superficie del corpo, e alla densità del fluido, mentre sono indipendenti dalla viscosità del fluido. Tuttavia, questa affermazione è corretta soltanto quando il moto è turbolento, cioè quando Re supera un ben preciso valore (circa 2100). Al contrario, quando Re è piccolo, il campo di moto è completamente determinato dalla dissipazione viscosa, trascurando la convezione. In questo caso:

LV S

J

FQ

μ

dove L è una dimensione lineare tipica del corpo, con 2

L

S ≈ . Questa relazione mostra che le forze di resistenza esercitate su un corpo dal fluido nel quale il corpo stesso è immerso, in condizioni di basso numero di Reynolds, sono proporzionali alla velocità, alla viscosità del fluido e ad una dimensione lineare del corpo.

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2.4 Strato limite e resistenza viscosa

Una netta divisione tra i regimi del campo di moto con Re»1 da quelli con Re«1 non è sempre possibile.

Per esempio se si considera il moto del vento intorno ad una casa, o il flusso dell’acqua di un fiume attorno al pilone di un ponte; il numero di Reynolds, definito assumendo che dimensione caratteristica del sistema sia uguale alle dimensioni macroscopiche della casa o del pilone, è molto elevato. Ciò significa che il campo di moto descritto sulla scala di lunghezze L è di tipo potenziale, con conseguente conservazione dell’energia. Tuttavia, si deve tener conto del fatto che il fluido a contatto con la parete ha velocità nulla. Dunque, nelle vicinanze della parete, il profilo di velocità è approssimativamente quello di (fig. 2.1), con un flusso convettivo uguale a zero alla parete ed uniforme (cioè con flusso potenziale) a distanze y >

δ

dalla parete. Nella regione y <

δ

il trasporto viscoso diventa dominante e la dissipazione che ne deriva genera i fenomeni del drag e del lift spiegati in precedenza.

Si possono quindi distinguere due regimi di moto:

• lontano dalla parete, per distanze y ≈ L»δ, il numero di Reynolds è molto elevato, e quindi il campo di velocità è di tipo potenziale; • vicino alla parete, il numero di Reynolds è molto piccolo, poiché sia

la velocità che la lunghezza caratteristica sono piccoli, e quindi prevale la dissipazione viscosa.

Ovviamente, a distanze intermedie come ai margini dello strato limite, i due meccanismi di trasporto sono ugualmente importanti, ovvero le forze dovute alla convezione sono approssimativamente uguali a quelle dovute alla diffusione viscosa. Poiché la forza applicata al fluido è pari al prodotto 30

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del flusso di quantità di moto per la sezione attraversata, ciò significa che ai margini dello strato limite si ha:

Q Q C

CS J S

J

La convezione agisce in direzione longitudinale, quindi il flusso attraversa una sezione d’area SCL; mentre la diffusione viscosa agisce in direzione trasversale e attraversa una sezione d’area S L2

Q = . Quindi si può ottenere che: 2 2

δ

μ

ρ

V L V ≈ cioè: Re 1 L

δ

quindi, anche se la dimensione relativa dello strato limite diminuisce come l’inverso della radice quadrata del numero di Reynolds, la sua dimensione assoluta cresce come la radice quadrata della dimensione lineare del corpo (cioè δ ≈ L).

Se si considera quindi il caso di un fluido che fluisce all’interno di un condotto, lo strato limite avrà la forma indicata in (fig. 2.2).

Figura 2.2 Strato limite di un fluido in un tubo

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Come si può notare dalla figura, nelle regioni sufficientemente lontane dall’imbocco del condotto lo strato limite occuperà l’intera sezione, ed il trasporto di quantità di moto sarà dunque controllato dalla diffusione viscosa.

Una volta noto lo spessore δ dello strato limite, si può immediatamente determinare la forza esercitata su di un corpo dal fluido che lo lambisce. Nelle vicinanze della parete infatti, muovendo da z=0 a z=δ, la velocità del fluido aumenta da v=0 a v=V; il gradiente di velocità quindi è pari a circa

δ

V . Questo vuol dire che sulle pareti agirà uno sforzo di taglio (cioè una forza per unita d’area):

δ

μ

τ

V

Questa analisi è, in sintesi, la teoria dello strato limite e mostra che, anche quando il numero di Reynolds è elevato (e quindi ci si aspetterebbe flusso potenziale ovunque e resistenza nulla), esiste una forza di resistenza dovuta alle dissipazioni che avvengono nello strato limite; inoltre a un numero di Reynolds maggiore corrisponderà uno spessore dello strato limite δ minore e quindi il gradiente di velocità all’interno dello strato limite sarà più elevato, generando sforzi di taglio maggiori.

2.5 Moto laminare e moto turbolento

Fin dagli albori dello studio della meccanica dei fluidi è noto che esistono due modi distinti con cui un fluido si può muovere in un tubo, poiché alle basse portate la caduta di pressione è proporzionale alla velocità media del fluido e alle alte portate è circa proporzionale al suo quadrato. La distinzione tra questi due regimi di moto si deve a Reynolds il quale nel

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1883 fece scorrere un fluido in un tubo di vetro trasparente iniettando all’imbocco, con una siringa, un filamento d’inchiostro colorato. Reynolds osservò che a bassi regimi il filamento restava intatto: l’inchiostro e il fluido scorrevano in direzione longitudinale, senza alcuna miscelazione trasversale. Questo regime di moto è detto laminare (fig. 2.3).

Figura 2.3 Moto laminare di un filamento di inchiostro in una soluzione trasparente

Aumentando successivamente la portata, si raggiunge una velocità critica, in corrispondenza della quale il filamento colorato comincia prima ad ondeggiare, per poi sparire del tutto, quando l’inchiostro si diffonde su tutta la sezione del tubo. Questo è detto regime turbolento, nel quale il liquido non scorre più esclusivamente in direzione longitudinale, ma si muove in modo caotico, formando continuamente dei vortici che trasportano il fluido in direzione trasversale (fig. 2.4, 2.5).

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Figura 2.4 Rottura del filamento di inchiostro

Figura 2.5 Moto turbolento del filamento di inchiostro in una soluzione trasparente

Reynolds stabilì che la velocità critica, cioè la separazione tra questi due regimi di moto, dipende esclusivamente dal numero di Reynolds. Osservazioni successive hanno dimostrato che la realtà è assai più complessa. Ad esempio, nel caso di moto di un fluido in un condotto, il flusso è sempre laminare quando Re è inferiore a 2100, e sempre turbolento con Re maggiore di 4000. I valori intermedi corrispondono alla regione di transizione, in cui il flusso può essere sia laminare che turbolento, a seconda delle condizioni del tubo e della distanza dall’imbocco.

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2.6 Il trasporto di massa nei sistemi fluidodinamici [16]

Il trasporto di massa all’interno di un fluido può essere di natura convettiva o di natura diffusiva; si possono distinguere quindi due tipologie di flusso massico in funzione del tipo di moto del fluido.

Durante la convezione il fluido, che si muove con una velocità v uniforme, trasporta una massa MBcB attraverso una sezione S per unità di tempo pari a:

t Sv Mc =ρ Δ

Il flusso massico convettivo JBcMB è definito come il rapporto tra la quantità di

massa trasportata per unità di superficie e tempo: v t S M J C cM = Δ =

ρ

Quando il fluido si muove in regime laminare si può definire il trasporto massico diffusivo di una generica sostanza A presente con concentrazione CBAB in base alla legge:

dz dC D

J A

MA =−

In questa relazione costitutiva, nota come legge di Fick, D rappresenta il coefficiente di diffusione di massa.

Il flusso di una specie chimica può avvenire per due cause:

• azione di forze esterne: la specie chimica è indotta a muoversi per effetto di campi esterni (ad esempio campi elettrici o gravitazionali), per variazioni di temperatura o di pressione;

• diffusione: se la concentrazione della specie chimica è diversa tra due regioni contigue si avrà un flusso netto di molecole per riequilibrare il sistema e rendere uniforme il campo di concentrazione.

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Nei processi diffusivi di una specie chimica sono molto importanti fattori come il tempo che impiega la specie a passare da una regione all’altra, e lo spazio che la specie deve percorrere. Generalmente nei fluidi il coefficiente di diffusione di massa D delle specie chimiche in soluzione è molto basso; per ovviare a problemi di mancata diffusione si può operare in due modi:

1. nei sistemi statici si può aumentare il tempo, consentendo alla specie di poter diffondere;

2. nei sistemi dinamici si può aumenta la superficie di scambio.

2.7 Analisi di un dispositivo microfluidico

Prima di passare alla progettazione del dispositivo utilizzato in questo lavoro di tesi effettuiamo una prima analisi di un generico dispositivo microfluidico [17].

Consideriamo un dispositivo per la creazione di un gradiente in soluzione di forma complessa costante nello spazio e nel tempo che si basa su un mixing diffusivo controllato di soluzioni a diversa concentrazione della sostanza in esame. Per mantenere la forma del gradiente nel tempo è necessario arrivare a uno stato stazionario nel quale la quantità di sostanza rilasciata all’interno del sistema e quella rimossa devono essere bilanciate; se il bilanciamento risulta essere imperfetto il profilo di concentrazione subisce una variazione nel tempo. Attraverso un controllo della composizione chimica dei singoli flussi si possono creare una grande varietà di profili di concentrazione perpendicolari alla direzione del flusso.

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Consideriamo la rete microfluidica rappresentata in figura 2.6.

Figura 2.6 Rete microfluidica

Questa rete, nella parte superiore, presenta tre canali in ingresso che possono essere alimentati, tramite delle pompe, con soluzioni a diversa concentrazione della sostanza della quale si vuole creare il gradiente.

Quando le soluzioni in ingresso fluiscono verso il basso della rete di microcanali, subiscono una serie splitting ai vari punti di diramazione e un successivo miscelamento per diffusione con i flussi vicini.

A ogni livello i flussi vicini, trasportanti differenti concentrazioni della sostanza, vengono miscelati in proporzione uguale al rapporto di splitting caratteristico del nodo considerato.

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Alla fine della rete di microcanali, tutti i flussi vengono ricombinati in un'unica camera comune; in questa si viene a instaurare, per diffusione, il profilo di concentrazione desiderato in direzione perpendicolare al flusso. Al termine della camera comune il fluido viene incanalato per essere rimosso dalla rete. Il profilo di concentrazione, in una qualsiasi sezione del dispositivo, risulta essere costante nel tempo poiché la soluzione è continuamente aggiunta e rimossa dal sistema in uguale quantità.

Un sistema microfluidico così progettato permette di splittare, combinare e miscelare le soluzione in ingresso alla rete di microcanali in modo controllato. Mantenendo un ristretto numero di ingressi, e quindi di soluzioni di partenza, si può aumentare il numero di flussi a concentrazioni diverse che entrano nella camera comune per la generazione del gradiente di concentrazione con conseguente miglioramento della risoluzione del gradiente stesso.

Per calcolare il profilo di concentrazione alla fine della rete di microcanali è necessario conoscere i rapporti relativi di miscelamento dei flussi lungo i canali verticali. Il rapporto di miscelazione è regolato dal rapporto di splitting dei flussi al punto di ramificazione dei canali. Per ottenere l’equazione di tale rapporto devono essere date le seguenti definizioni:

• si definisce una rete avente l input ed m output, che si ricombinano

tra loro all’interno di una camera comune, come una rete l-input/m-output; la rete riportata in figura 2.6 è quindi una rete

3-input/6-output;

• si definisce la parte della rete comprendente n canali verticali come un sistema all’nP

th

P ordine (B=n);

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• all’interno di ogni diramazione del sistema all’nP

th

P ordine si

identificano i canali verticali (V) da sinistra a destra iniziando da V=0 e terminando con V=B-1.

Figura 2.7 Nomenclatura nella rete microfluidica

Per determinare il rapporto di splitting si considera che tutti i canali verticali presentino la stessa lunghezza e le stesse dimensioni in modo da offrire la stessa resistenza al fluido in tutta la rete; inoltre si suppone che, la resistenza dei canali orizzontali, sia trascurabile dato che la loro lunghezza risulta essere molto minore rispetto a quella dei canali verticali.

La simmetria verticale della rete impone inoltre che il rapporto di splitting sia simmetrico rispetto all’asse di simmetria.

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Sotto queste ipotesi si può derivare la formula ricorsiva che controlla il rapporto di splitting a ogni punto di ramificazione; la porzione di flusso che fluirà verso sinistra sarà:

1 + − B V B

mentre quella che fluirà verso destra sarà:

1 1 + + B V

Dove B rappresenta l’ordine del sistema di canali verticali mentre V rappresenta il canale verticale tra le diramazioni. Per esempio facendo riferimento alla figura 2.7 se si considera il punto O si ottiene B=4 e V=0 quindi il volume relativo che fluisce a sinistra sarà 54 mentre quello che fluisce a destra sarà 51 ; al punto C invece si può ottenere B=5 e V=2 il rapporto di splitting quindi sarà identico: 21 e 21 .

Il rapporto di splitting corrisponde anche al fattore col quale i fluidi vengono miscelati con quelli vicini.

Quando si progredisce da un sistema a n canali verticali verso uno che ne presenta n+1 il graduale aumento del numero di canali causa una corrispondente diminuzione della velocità del flusso. Il cambiamento relativo della velocità flusso è quindi controllato dal rapporto:

1 + n

n

Quando il completo miscelamento diffusivo è assicurato in tutti i canali della rete, la velocità del flusso non influisce sulla generazione del profilo di concentrazione nella camera comune.

La forma del profilo di concentrazione dipende sia dal numero di ingressi della rete che dalla concentrazione relativa delle soluzioni che la

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alimentano. In generale, maggiore è il numero di ingressi, maggiore sarà il range delle forme ottenibili.

Il numero di output della rete di microcanali, corrispondente al numero di microcanali in ingresso alla camera comune, determina invece il numero di flussi a diversa concentrazione che andranno a generare profilo; variandone il numero non si hanno effetti sulla forma complessiva del profilo ma soltanto dei cambiamenti nella risoluzione dello stesso. In generale, aumentando il numero di output si ottiene un aumento della risoluzione del gradiente.

Tutti i profili di concentrazione che vengono generati usando una rete con n-input possono essere espressi come una combinazione lineare di input individuali. Empiricamente si può vedere che i profili di concentrazione generati da un dispositivo microfluidico avente n ingressi possono essere fittati con una curva polinomiale di ordine n-1:

n nx a x a x a a x f( )= + + 2 +...+ 2 1 0

2.8 Bioreattore: sistema per colture cellulari

Durante la fase progettuale del dispositivo occorre tenere in considerazione i principali campi di applicazione che si vogliono indagare, al fine di ottenere delle specifiche (misure e materiali) tali da non influenzare lo studio.

Il prototipo che si vuole realizzare deve servire principalmente come strumento per l’analisi tossicologica di farmaci e, in generale, per lo studio della risposta cellulare a stimoli esterni. Per poter analizzare un coltura cellulare occorre garantire delle condizioni che permettano la

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sopravvivenza delle cellule; per questo scopo che è nata l’esigenza di realizzare un bioreattore.

Come detto precedentemente un bioreattore è un sistema che permette di monitorare e controllare alcuni dei parametri fondamentali per la sopravvivenza ed il normale sviluppo cellulare, al fine di simulare delle condizioni fisiologiche [18-20].

I parametri principali che vengono controllati sono: • il trasporto di ossigeno;

• il contenuto dell’anidride carbonica; • la temperatura;

• l’apporto di nutrienti;

• il trasporto di molecole nella matrice extracellulare.

2.8.1 Trasporto di ossigeno

L’ossigeno deve essere apportato alle cellule continuamente durante tutto il tempo di coltura; una sua improvvisa riduzione può causare drastiche modificazioni nel metabolismo cellulare o nella loro fisiologia; le cellule possono morire o entrare in fase stazionaria.

L’ossigeno ha minore solubilità in acqua rispetto agli zuccheri ed altri nutrienti; inoltre l’eccesso di ossigeno non solubilizzato non è né trasferito al terreno di coltura né può essere accumulato dalle cellule diversamente da quanto accade per altre sostanze.

Per favorire la solubilizzazione di tale gas nel terreno di coltura si può: • aumentare la quantità di ossigeno immesso, e quindi il numero di

bolle che forma;

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• ridurre il diametro delle bolle aumentando quindi l’area all’interfaccia;

• aumentare l’agitazione del terreno;

• aumentare la temperatura della miscela gassosa;

• utilizzare ossigeno puro invece di una miscela aria filtrata.

2.8.2 Controllo della temperatura

Altro parametro importante da considerare è la temperatura. Da un punto di vista tecnico, le modalità con cui il calore si trasmette possono essere:

• conduzione: trasmissione di calore non associata a uno spostamento di materia; questa è la modalità di trasmissione del calore nei solidi; • convezione: trasmissione di calore associata a uno spostamento di

materia; questo è il meccanismo di scambio termico predominante nei fluidi;

• irraggiamento: trasmissione di calore associata alla propagazione della radiazione elettromagnetica; questa è l'unica modalità di trasferimento di calore possibile nel vuoto.

In genere per il controllo di tale parametro sono utilizzati apparati che sfruttano la conduzione.

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2.8.3 Apporto di nutrienti

Per i nutrienti che attraversano la membrana cellulare, per diffusione o tramite carrier proteici, le cinetiche delle reazioni metaboliche seguono una dipendenza analoga all’equazione di Michaelis-Menten: inizialmente la velocità di trasferimento cresce all’aumentare della concentrazione dei nutrienti tendendo poi ad un valore costante per concentrazioni più elevate. Combinando, nel caso monodimensionale, l’equazione di Michaelis-Menten con l’equazione di diffusione, si ottiene la legge che regola la diffusione dei nutrienti nel tessuto:

L K kC x C D t C M + − ∂ ∂ = ∂ ∂ ρ 2 2 dove: − D: coefficiente di diffusione; − k: costante cinetica;

− C(x): distribuzione della concentrazione dei nutrienti; − ρ: densità cellulare.

Se l’apporto dei nutrienti diminuisce, la loro concentrazione negli strati più lontani dalla fonte diventa insufficiente, ed il tessuto va incontro a necrosi.

2.8.4 Trasporto di molecole nella matrice extracellulare

Il trasporto di tutte le molecole nella matrice extracellulare avviene principalmente per diffusione e convezione. L’equazione che descrive questo fenomeno (nel caso monodimensionale) è la seguente:

U c W E c u z z x c D N i i i i i i i i i + ⎥ ⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎢ ⎣ ⎡ + ∂ ∂ − =φ 44

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dove:

− cBiB: concentrazione dell’i-esimo composto;

− zBiB: valenza del composto;

− U: velocità relativa del fluido rispetto al tessuto; − E: campo elettrico indotto nel tessuto;

− μ: mobilità elettrica;

− WBiB: fattore di interazione tra le molecole dell’i-esimo composto e

l’ambiente circostante.

Per poter confrontare l’influenza dei flussi convettivi rispetto a quelli diffusivi si può utilizzare il numero di Peclet, dato dal rapporto dei flussi convettivi su quelli diffusivi:

⎥ ⎦ ⎤ ⎢ ⎣ ⎡ + = i i i D E U W X Pe φ φμ

2.9 Bioreattore a gradiente

Le principali caratteristiche che deve rispettare il sistema da realizzare sono:

1. permettere la coltura di cellule;

2. generare un gradiente della sostanza da analizzare;

per rispettare la prima specifica è necessario progettare un dispositivo che abbia le caratteristiche di un bioreattore; per rispettate la seconda invece è necessario invece l’utilizzo di un dispositivo microfluidico simile a quello analizzato in precedenza.

Il dispositivo quindi dovrà presentare una rete di canali per la miscelazione di due soluzioni a diversa concentrazione della sostanza in esame e una

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camera comune, dove avviene la generazione del gradiente, che permetta di mantenere in vita una coltura cellulare. Un dispositivo così fatto può essere definito come un bioreattore a gradiente.

Per garantire l’apporto dei nutrienti e di molecole extracellulari, occorre far fluire nel sistema specifiche soluzioni fisiologiche, che contengano tutto ciò di cui il sistema necessita. Per i processi di trasporto di tali fluidi il bioreattore utilizza una pompa peristaltica; tale pompa permette di simulare le condizioni di flusso presenti all’interno degli organismi biologici (fig. 2.8).

Figura 2.8 Pompa peristaltica

Per permettere lo sviluppo del gradiente inoltre è necessario creare un flusso laminare all’interno della rete di microcanali e della camera di coltura cellulare, senza che si verifichino fenomeni di turbolenza; è necessario anche che avvenga il completo miscelamento per diffusione all’interno dei microcanali.

Per rispettare queste condizioni è stato deciso di utilizzate una tecnica di microfabbricazione: la soft-litografia per la generazione di sistema microfluidico con larghezza dei canali di circa 1.6 mm, un’altezza compresa tra i 150 ed i 250 μm, in modo tale da garantire al sistema un funzionamento in regime laminare (moto diffusivo viscoso); e di aumentare

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la lunghezza dei canali (nei limiti progettuali) al fine di aumentare la superficie di scambio e permettere un miscelamento completo.

2.10 Determinazione della geometria

Attraverso la soft-litografia sono stati gia eseguiti vari studi per la realizzazione di modelli capaci di generare dei gradienti di concentrazione e permettere anche la coltura cellulare; questi si basavano sulla realizzazione di reti di microcanali su supporti elastomerici [21, 22].

Per la progettazione del sistema utilizzato in questo lavoro di tesi, basandoci sull’idea di generare un profilo di concentrazione lineare all’interno della camera di coltura cellulare, è stato progettato un dispositivo a 2 ingressi. La geometria disegnata presenta quindi più livelli di miscelazione che partendo dai 2 ingressi permette di ottenere 6 output ovvero 6 flussi a diversa concentrazione all’ingresso della camera di coltura.

Le serpentine dei canali, necessarie per aumentare la superficie di scambio tra i fluidi, sono state progettate cercando di limitare al minimo la variazione del profilo di velocità all’interno del microcanali; sono state eliminate quindi tutte variazioni geometriche repentine, angoli acuti e spigoli ottenendo quindi delle serpentine con curve di raccordo dolci.

La geometria sviluppata è riportata in figura 2.9

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Figura 2.9 Geometria del bioreattore a gradiente le caratteristiche geometriche sono:

• larghezza canali 1.6 mm;

• larghezza cella di coltura 14.6 mm; • lunghezza della cella di coltura 20 mm;

le dimensioni totali del sistema microfluidico devono essere minori di un cerchio di raggio 9.5 cm, questa specifica è dettata dalla dimensione del wafer di silicio per la soft-litografia.

Conclusa la fase di progettazione, è stata effettuata una simulazione del progetto per verificarne la validità sperimentale.

Figura

Figura 2.1 Profilo di velocità in prossimità di una parete
Figura 2.2 Strato limite di un fluido in un tubo
Figura 2.3 Moto laminare di un filamento di inchiostro  in una soluzione trasparente
Figura 2.5 Moto turbolento del filamento di inchiostro  in una soluzione trasparente
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