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Federico Carpi

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Academic year: 2022

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TAGETE 2-2010 Year XVI

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ABOUT THE PRONUNCIATIONS OF THE UNITED SECTION OF THE COURT OF CASSATION

OSSERVAZIONI SULLE SENTENZE “ADDITIVE” DELLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE

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Federico Carpi**

* E’ il testo, corredato di note, dell’intervento svolto al convegno dell’associazione M. Gioia su “Danno alla persona dopo un anno dalla sentenza delle sezioni unite”, tenutosi in Roma, presso la corte di Cassazione, nei giorni 13-14 novembre 2009.

** Ordinario di Diritto Processuale Civile, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Bologna ABSTRACT

The author analyzes the consequences of the pronunciations of the United Section of the Court of Cassation from the point of view of the law of procedure.

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365 1. – Le riflessioni suscitate da questo importante convegno ad un anno dalle notissime pronuncie delle sezioni unite si sono indirizzate alle problematiche, di grande incidenza sociale e pratica, del danno non patrimoniale in tutte le categorie riconducibili ad una visione unitaria dell’art. 2059 c.c., del quale viene fornita una interpretazione evolutiva ispirata ai precetti costituzionali.

In questo intervento cercherò di sintetizzare le osservazioni ed i pensieri che evocano in un processualista le quattro sentenze sotto le luci della ribalta e quelle che sono seguite in materia anche quest’anno, che ormai volge al termine.

Ovviamente le mie saranno considerazioni generali, probabilmente neppure dotate di travolgente originalità, dovendo io confessare la mia incompetenza, teorica e pratica, nelle materie, giuridiche e mediche, oggetto di questo incontro. Neppure credo che questo ci si attenda da me.

Appunto su un piano generale si può notare che pronunce, come quelle celebrate, potrebbero essere ricondotte ad una nuova categoria che qualificherei, con evidente ispirazione alle sentenze della Corte costituzionale, come “additive”.

Posto ed individuato il precetto costituzionale l’interpretazione della Corte porta ad una incisione profonda sulla norma ordinaria, della quale non si ritiene più al passo coi tempi, o addirittura non conforme a costituzione, l’applicazione fino a quel momento fatta, anche sulla base di precedenti sentenze della stessa Corte suprema e dei giudici di merito.

Qualche anno fa la Corte costituzionale (1) imputò alla Cassazione di aver omesso di verificare “la concreta possibilità di attribuire alla norma denunciata un significato diverso, non lesivo dei valori costituzionali, tanto più che proprio alla Corte di cassazione l’ordinamento attribuisce la funzione di nomofilachia” (sono parole della

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366 Corte costituzionale). E non è certo l’unica pronuncia che, in qualche modo, bacchetta l’ordinanza di rimessione della questione di costituzionalità, provenga essa da giudici di merito o di legittimità.

Si può proprio dire che molta acqua è passata sotto i ponti, anche se il Tevere non sempre ne è ricco.

Calamandrei nel 1956 parlava di “collaborazione attiva tra Corte costituzionale e giudici” e quest’idea della collaborazione è stata ripresa di recente da Carmine Punzi nell’ottica di ciò che segue alle pronunce della Corte cost., non solo di incostituzionalità ma soprattutto quelle interpretative di rigetto e quelle additive di principio (2).

Più che di collaborazione – che indubbiamente si pone sul piano concreto – parlerei di giusta enfatizzazione della funzione nomofilattica della Cassazione, attuata nonostante l’aria resa soffocante dal gran numero di cause e di sentenze, che ostacola la vera attività della Corte del precedente.

Le recenti riforme del 2006, col vincolo per le sezioni semplici ed il quesito di diritto, e del 2009, col tormentato filtro, rappresentano dei tentativi in tal senso, più che riforme vere e proprie.

Ma su ciò ritornerò in conclusione.

2.- Su un piano ancor più generale ci si può interrogare – sempre alla luce delle nostre sentenze ed altre ancora – su quanto stia cambiando il c.d. diritto giurisprudenziale ed incida più a fondo nel corpo normativo, nell’ottica del judge made law.

I comparatisti sono abituati a riflettere da anni sulle convergenze (e le divergenze) fra i sistemi di civil law e quelli di common law.

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367 Dal 1 ottobre scorso è entrata in funzione la Supreme Court of the United Kingdom che, secondo le previsioni del Constitutional Reform Act 2005, ha assunto le funzioni giurisdizionali dell’Appellate committee of the Privy Council.

I dodici giudici, nominati dalla Regina, con un complesso procedimento basato sul merito, svolgeranno le loro funzioni non nel Westminster Palace ma in un nuovo edificio, la Middlesex Guidhall.

Il leave to appeal continuerà a svolgere una funzione di drastica riduzione dei casi.

Il significato non può sfuggire, come non è sfuggito il Practice statement del 1976, con il quale l’House of Lords ha concesso a se medesima il potere di discostarsi dai propri precedenti.

Nell’organizzare l’abituale seminario pre-natalizio della “Trimestrale” lo scorso anno suggerii di porre l’accento sulla deriva di due iceberg, cioè Common Law e Civil Law, e le relazioni di studiosi del diritto sostanziale e del diritto processuale hanno mostrato quanto la deriva sia profonda.

A livello internazionale nel giugno di quest’anno l’International Association of Procedural Law ha organizzato un colloquio significativamente intitolato “Common Law – Civil Law.

The future of Categories the Categories of the future”, aperto da una splendida relazione di Myrian Damaska, che per nascita, formazione e sviluppo degli studi è egli stesso un crogiuolo di esperienze.

Concludendo il colloquio, come presidente di quell’Associazione, ho osservato, anche sulla scorta di osservazioni ben fondate di Antonio Gambaro, che molte sono state le trasformazioni delle nostre categorie, e specialmente:

a) il diritto privato era il terreno d’elezione della comparazione, mentre ora la progressiva globalizzazione ha imposto l’allargamento dello sguardo ad altre discipline.

In particolare il contributo degli studiosi del diritto processuale civile è stato rilevante.

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368 b) Agli inizi del XX secolo il modello di civil law era caratterizzato dalla presenza della disciplina codificata, mentre il modello di common law era fondato in prevalenza sul diritto giurisprudenziale.

Oggi la contrapposizione delle categorie secondo il ruolo e il rango delle fonti non ha più senso.

L’orgia legislativa ha investito ed investe sia i paesi di civil law sia quelli di common law. Il diritto giurisprudenziale o “diritto vivente” è imprescindibile anche nei paesi di civil law. c) La sempre più frequente comunicabilità e circolarità di concetti ed istituti sia dal punto di vista teorico sia da quello della pratica del commercio e degli affari, ha portato alla “gradual convergence”, di cui ha scritto Basil Markesinis.

d) In Europa l’attivismo delle corti sovranazionali ha funzionato come corrente del golfo per i nostri iceberg.

La tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali ha portato la Corte europea dei diritti dell’uomo a disegnare una sorta di basilare “due process of law”, valido per tutte le famiglie giuridiche.

Il fondamentale potere interpretativo uniforme dei trattati e dei principali regolamenti ha dato l’occasione alla Corte di giustizia delle comunità europee di svolgere un ruolo trainante nell’armonizzazione anche dei sistemi processuali, ancor più incisivo dei progetti di legge modello.

e) Venuto meno il confine fra le nostre categorie sulla base del sistema delle fonti e sulla struttura delle codificazioni, sono apparse capaci di spinte differenziatrici i metodi di insegnamento del diritto, la formazione dei giudici e degli avvocati, la loro mentalità e cultura, e soprattutto i problemi del linguaggio tecnico.

La giustizia va considerata come un fattore di sviluppo e non di stasi o regressione.

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369 In questo il giudice, l’arbitro, il mediatore possono contribuire, nei diversi modi loro propri, allo sviluppo economico e culturale, attraverso l’utilizzazione dei migliori strumenti possibili per la soluzione delle controversie.

Ho riferito di tutto ciò non ad pompam, ma per sottolineare che a buon diritto i recenti indirizzi della Corte di cassazione vanno esaminati, criticati o apprezzati, non solo in se stessi, ma nell’ottica di un più generale movimento di idee che si irradiano sul piano mondiale.

Da questo punto di vista appaiono eccessivi i timori di chi, come Edoardo Ricci a proposito della Cass., sez. un. 9 ottobre 2008, n. 24883, sull’art. 37 c.p.c. (sulla quale ritornerò), teme di essere “all’alba di una stagione che non mi piace: una stagione, nella quale la Cassazione si mette ad esercitare poteri, che il nostro ordinamento costituzionale non le attribuisce. Ciò, lo dico francamente, mi allarma non poco” (3).

L’ammonizione vale a mettere in guardia: fra gli iceberg alla deriva bisogna navigare con la massima attenzione, per non fare la fine di Titanic!

3.- Confesso che ho sempre pensato che la modifica del 1999 dell’art. 111 cost. non avesse una rilevante portata innovativa, almeno per ciò che riguarda il processo civile.

E sono, in questo, in buona compagnia.

Le garanzie del due process of law erano già presenti, ritenevo, nelle norme della Costituzione, come concretizzate dalle sentenze della Corte costituzionale, in primo luogo nell’art. 24.

E poi vi era l’art. 6 della conv. eur. dir. uomo, anch’esso oggetto di una lunga e benemerita attività interpretativa della Corte di Strasburgo.

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370 Riconosco di essermi, in parte, ricreduto alla luce del recente indirizzo della Cassazione, la quale ha creativamente interpretato norme del c.p.c. sulla base della garanzia della ragionevole durata del processo.

Ormai da anni il right to a speedy trial, come dice la Costituzione federale Usa, o il diritto a che il processo si svolga dans un dèlai raisonnable, secondo l’art. 6 cedu, è tanto affermato quanto vilipeso da riforme processuali di scarso risultato e da attività di governi, sia di destra sia di sinistra, del tutto insoddisfacenti.

Si è inciso sulle situazioni patologiche – ma di ordinaria inefficienza – con la legge Pinto, che ha reso più gravi le situazioni delle Corti d’appello.

Pare quasi che la Cassazione abbia perso la pazienza, se così mi è consentito esprimermi, ed ha iniziato ad incidere sempre più profondamente con sentenze che offrono interpretazioni delle norme processuali, costituzionalmente orientate.

Nel presentare il corposo e utilissimo lavoro dell’ufficio massimario sulle più rilevanti decisioni civili nell’anno 2008, il cons. Giovanni Canzio scrive giustamente che “è divenuta una costante l’affermazione che, in ordine ai “tempi” del processo, è compito del giudice privilegiare, fra diverse interpretazioni possibili delle norme, quella che, nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali, sia più idonea a dare attuazione al principio della durata ragionevole del processo, secondo il vigente art. 111, comma 2°, della Costituzione. In questa prospettiva è dato scorgere, nella trama degli itinerari disegnati dalla Corte di cassazione nel 2008, punti di emersione particolarmente significativi.” (4)

In questa sede istituzionale e solenne non dovrebbe essere necessario portare esempi ed esaminare casi, essendo sufficiente fare riferimento all’importante lavoro di sistemazione e di informazione sopra accennato, reperibile nell’apposito sito internet, ed a quello ancor più recente, del marzo 2009, sempre dell’ufficio del massimario, intitolato “La

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371 presenza dello jus constitutionis nella giurisprudenza della Corte di cassazione: gli approdi alla luce dell’art. 111 cost.; qualche profilo di criticità”(5).

Tuttavia, al fine di rendere più chiare le mie osservazioni, prenderò in sommario e superficiale esame alcune sentenze.

4.- La Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883 (6) ha inciso a fondo sull’art. 37 c.p.c., proprio sulla base del principio della ragionevole durata del processo, che, come si esprime la motivazione, “diventa l’asse portante della nuova lettura dell’art. 37 c.p.c.”.

C’è chi ha scritto che le sezioni unite hanno cancellato l’art. 37 c.p.c. nelle fasi di gravame (7).

Non è mio intendimento esprimere valutazioni sulla decisione e sull’ampissima motivazione (che pure contiene affermazioni che mi hanno lasciato perplesso), ma solo fare una fotografia.

Orbene tutti sanno che l’art. 37 stabilisce che il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della p.a. o dei giudici speciali è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo.

La sentenza dice che “il giudice che decide il merito ha anche già deciso di poter decidere”, di tal che, se sulla questione non vi è gravame, si forma un giudicato implicito.

L’interpretazione “costituzionalmente orientata” “porta alla conclusione che la portata dell’art. 37 c.p.c. deve essere contenuta in limiti più ristretti di quelli autorizzati dalla lettera della legge”.

Anche sulla scorta di Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77 (8) e di Cass., sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109 (9), che hanno consentito la translatio iudicii, con salvezza degli

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372 effetti sostanziali e processuali della domanda, si verifica un rilevante avvicinamento (la sentenza parla di “assimilazione”) del difetto di giurisdizione a quello di competenza.

La decisione è assai forte e da essa non si potrà prescindere nella lettura della norma.

Nel caso di difetto relativo di giurisdizione, che è il caso deciso, se ne può capire la ratio: se nessuno ha impugnato la sentenza per la questione di giurisdizione, la durata ragionevole impone che vi sia una decisione di merito.

Meno comprensibile è l’ipotesi che Redenti chiamava difetto assolutissimo di giurisdizione che può essere sollevato anche dalla p.a. non parte in causa in ogni stato e grado del processo ex art. 41, comma 2°, c.p.c.

5.- Un altro interessante indirizzo è quello in base al quale le sezioni unite hanno abbandonato interpretazioni consolidate di norme processuali di stampo spiccatamente formalistico, per fornirne una nuova lettura alla luce dei precetti costituzionali.

È il caso, ad esempio, di Cass., sez. un., 15 dicembre 2008, n. 29290 (10), che ha considerata valida la notifica dell’appello con consegna di una sola copia al difensore costituito per più parti.

La precedente interpretazione, com’è noto, era nel senso che la notifica fosse nulla, ma sanabile ex tunc con la costituzione in giudizio di tutte le parti appellate o con la rinnovazione della notifica.

Poteva accadere che la Cassazione cassasse con rinvio al giudice di merito, affinchè provvedesse alla rinnovazione.

Ipotesi ritenuta contrastante con l’art. 111 cost. e la garanzia della ragionevole durata del processo.

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373 Del pari la Cass., 11 giugno 2008, n. 15476 (11) che sanziona di improponibilità le più domande contro lo stesso soggetto, con le quali il creditore opera il frazionamento del credito.

La soluzione è raggiunta argomentando dalle esigenze del giusto processo, sotto il profilo dell’efficienza, della ragionevole durata nonché del principio di solidarietà.

Ancora, e nella materia di questo incontro, la Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n.

26972 (12) evidenzia che la materia del contratto di lavoro costituisce un fecondo terreno di applicazione del danno non patrimoniale, ogni volta in cui siano lesi interessi costituzionalmente rilevanti, come quelli del lavoratore.

Il risarcimento dei danni non patrimoniali è dunque ammissibile anche in materia di responsabilità contrattuale, secondo l’interpretazione “costituzionalmente orientata”

dell’art. 2059 c.c.

“…Il presidio dei detti interessi della persona – scrive la Corte – ad opera della Costituzione, che li ha elevati a diritti inviolabili ed ha rinforzato la tutela. Con la conseguenza che la loro lesione è suscettiva di dare luogo al risarcimento dei danni conseguenti, sotto il profilo dell’integrità psicofisica (art. 32 cost.) secondo le modalità del danno biologico o della lesione della dignità personale del lavoratore (artt. 2, 4, 32 cost.)…”

Nella stessa dimensione potrebbe essere ricordata la giurisprudenza creativa sulla responsabilità e sul risarcimento dei danni nell’àmbito dei rapporti endofamiliari (13).

6.- Non proseguo oltre, perché questi pochi esempi, in conclusione, sono sufficienti a mostrare l’incisività della fondamentale funzione interpretativa, in senso evolutivo.

Si potranno non condividere le scelte, che a volte possono apparire quasi oltre i limiti, ma non si potrà disconoscere che questa sorta di autoregolamentazione, per così dire

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374 dall’interno, finisca per essere più incisiva dei tentativi di riforma legislativa del 2006 e del 2009.

A proposito di quest’ultima mi sia consentito di non condividere le valutazioni teoriche, che stanno apparendo copiose, le quali vedono profili di incostituzionalità ovunque negli artt. 360 bis e 380 bis c.p.c.

Si fa banale offesa a Monsieur de la Palisse nel dire che la qualità tecnica delle norme riformate lascia a desiderare.

Tuttavia chi fosse sensibile ai valori della prevedibilità delle decisioni e della mitica efficienza del processo, dovrebbe essere indotto a suggerire interpretazioni costruttive, pur nella coscienza che si tratta di un primo passo, verso la strada in salita della riforma effettiva della Corte.

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375 NOTE

(1) ord. 27 luglio 2001, n. 322, in Foro it., 2001, I, c. 3021.

(2) PUNZI, Il seguito dei provvedimenti della Corte costituzionale (rapporti tra Corte costituzionale, autorità giudiziaria e legislatore relativi al processo civile), in Riv. dir. proc., 2009, p. 289 ss.

(3) E.RICCI, Le sezioni unite cancellano l’art. 37 c.p.c. nelle fasi di gravame, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1085 ss.

(4) Si può leggere sul sito www.cortedicassazione.it.

(5) Sempre nel sito sopra indicato.

(6) La si può leggere in Riv. dir. proc., 2009, p. 1071 ss.

(7) In particolare E. RICCI, op. loc. ultt. citt. Si vedano anche le fini critiche di COLESANTI, Giurisprudenza “creativa” in tema di difetto di giurisdizione, in Riv. dir. proc., 2009, p.

1125; nonché il locupletissimo studio di CONSOLO, Travagli “costituzionalmente orientati”

delle sezioni unite sull’art. 37 c.p.c., ordine delle questioni, giudicato di rito implicito, ricorso incidentale condizionato (su questioni di rito o, diversamente operante, su questioni di merito), ivi, 2009, p. 1141 ss.

(8) In Giust.civ., 2007, p. 553; nonché in Foro it., 2007, I, c. 1009 con nota di Oriani; ed in altre riviste.

(9) In Foro it., 2007, I, c. 1010 con nota di Oriani; ed in altre riviste.

(10) In Giust.civ., 2009, p. 583 con nota di Agresti.

(11) In Giust.civ., 2008, p. 2766.

(12) In Guida al dir., 2008, (fasc. 47), p. 18.

(13) Su ciò si v. l’importante volume Le responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di Sesta, Torino, 2008 ed ivi gli scritti introduttivi dello stesso SESTA, L’evoluzione delle relazioni familiari e l’emersione dei nuovi danni, p. XXI ss.; e di PATTI, Famiglia e responsabilità civile:

un lungo itinerario, p. XXXVII ss.

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