• Non ci sono risultati.

Considerazioni medico legali su un caso di presunta responsabilità professionale per omessa diagnosi precoce specifica di melanoma maligno localmente avanzato.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Considerazioni medico legali su un caso di presunta responsabilità professionale per omessa diagnosi precoce specifica di melanoma maligno localmente avanzato."

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

Considerazioni medico legali su un caso di presunta responsabilità professionale per omessa diagnosi precoce specifica

di melanoma maligno localmente avanzato.

Aspetti generali e criteriologia di indagine.

Dr. Angelo Porrone* - Dr. Vincenzo Rizzuti** - Dr. Francesco Muraca**

Riassunto

Scopo della pubblicazione è quello suo proprio, eminentemente didattico e divulgativo scienti- fico, per cui la stessa va considerata alla stregua di una semplice esercitazione in materia peritale, in rapporto a specifici problemi riscontrabili correntemente nell’ambito di un ipotetico contenzio- so attinente al problema di una presunta responsabilità professionale in campo oncologico. Nelle conclusioni vengono anche sviluppati alcuni lineamenti generali riguardanti la materia in questio- ne, ritenuta, al momento, di grande attualità e interesse.

Gli Autori, pertanto, riportano un caso di presunta responsabilità professionale riferita alla o- messa esatta diagnosi specifica di melanoma maligno, da considerarsi ipoteticamente, già in fase iniziale, localmente avanzato o non, cercando di addurre i possibili motivi e di evidenziare gli e- lementi clinico-strumentali che avrebbero dovuto correttamente indirizzare, fin dall’epoca del primo controllo, l’iter procedurale diagnostico attuabile nell’occasione. Ne è derivata un’interessante disamina che cercando di approfondire taluni fondamentali aspetti relativi all’esatta formulazione, in generale, dello specifico protocollo di accertamenti diagnostici, da a- dottare nella fattispecie, utile alla definizione e alla precisa stadiazione della malattia neoplastica in atto, ha cercato di rapportare, criticamente, criteriologia d’indagine ed approccio terapeutico, latenza evolutiva e storia naturale della malattia, quadro clinico di esordio e stime di probabilità di sopravvivenza, adeguatezza e radicalità dei trattamenti attuati, nell’occasione, in rapporto a quelli eventualmente realizzabili.

Si è cercato, dunque, nell’ambito del tema oncologico trattato, di analizzare i contenuti della condotta tenuta dai sanitari, in relazione al caso clinico rappresentato, postulando e sviluppando un parallelismo fra il comportamento reputabile più corretto ed adeguato, ossia quello protocollare attuabile, e quello utilizzato, nel caso specifico.

L’aver vagliato e valutato obiettivamente e rigorosamente tutti questi diversi e talora contra- stanti parametri discriminanti, seppur abbastanza facilmente identificabili nella circostanza, ha consentito perciò di procedere ad un’approfondita analisi critica del caso in specie, vagliato dal punto di vista squisitamente medico-legale, in modo tale da fornire validi ed oggettivi elementi di giudizio sia in rapporto all’eventuale costruzione dell’impianto accusatorio, sia di quello teorica- mente difensivo, onde meglio poter poi preparare, successivamente, ed esprimere validamente un parere motivato su quali possano realmente ritenersi gli aspetti più qualificanti da sottolineare in funzione dello sviluppo di un ipotetico relativo contenzioso.

* Specialista in Oncologia – Specialista in Medicina del Lavoro, Isernia

** Medico Chirurgo, Roma

** Medico Chirurgo, Roma

(2)

Il caso clinico

Si è presa, pertanto, visione della documentazione sanitaria a disposizione, relativa al paziente considerato, di sesso maschile, di anni 35, al momento del fatto, e deceduto a distanza di qualche anno, allo scopo di accertare e delineare la sussistenza di un’eventuale responsabilità professiona- le, ravvisabile nel comportamento dei sanitari che lo hanno avuto in cura, nonché di valutare l’esistenza di un eventuale rapporto di causalità materiale tra detto comportamento, tenuto nell’occasione, ed il decesso, onde verificare se poter attribuire, quindi, ai medesimi specialisti, sostanziali elementi di colpa e, dunque, di imputare loro una condotta da considerasi imperita, im- prudente o negligente, in relazione al caso in specie riportato.

Si è, pertanto, proceduto alla valutazione peritale della seguente documentazione, in allegato:

1) Cartella clinica relativa al ricovero, circa 3 anni prima, presso centro oncologico, relativa alla degenza di 4 giorni effettuata in prima istanza, per la comparsa di una lesione nodulare iper- cromica all’avambraccio destro, con diagnosi di ammissione formulata da sanitari del centro di: “Melanoma del terzo medio dell’avambraccio dx”. Nell’ultimo giorno di ricovero veniva eseguita una ecografia epatica che evidenziava la presenza di un parenchima epatico indenne da lesioni focali neoplastiche. Il paziente veniva pertanto dimesso con diagnosi di uscita: “Me- lanoma avambraccio destro”.

2) Cartella clinica dello stesso Centro relativa alla degenza, a distanza di 3 giorni dalla data di dimissione del primo ricovero, con la medesima diagnosi di ammissione di “Melanoma avam- braccio destro”. Durante tale secondo ricovero veniva eseguito un intervento chirurgico, con intento radicale, consistente in escissione a losanga e ricerca del “linfonodo sentinella” in re- gione ascellare destra mediante inoculazione intradermica di blue di metilene, in corrispon- denza del limite superiore della neoplasia. Veniva pertanto effettuata l’escissione della lesione neoplastica con cm 1 di cute circostante, come distanza minima, il sottocute e la fascia mu- scolare. L’esame istologico in estemporanea, eseguito nell’occasione, evidenziava la presenza di un melanoma infiltrante il II° livello di Clark. Il linfonodo sentinella, identificato e marcato con il blue di metilene, in corrispondenza del I livello di linfonodi ascellari, veniva anch’esso asportato “en bloc”. L’esame istologico estemporaneo deponeva per la presenza di una linfoa- denite reattiva. In data successiva l’esame istologico definitivo evidenziava la presenza di una losanga di cute di cm 5 x 2,2 nella cui area era presente una neoformazione macroscopicamen- te definibile lievemente rilevata, rotondeggiante, di colorito rossastro, di cm 0,8 di diametro trasversale e microscopicamente costituita da cellule neoplastiche melanomatose, strutturate in ammassi o teche piuttosto disordinate, cellule alquanto anaplastiche, dunque, per la presenza contestuale osservata di numerose mitosi per campo, nell’ordine di circa il 30-35%, grading complessivo, indicativo, G2-G3. Veniva pertanto posta diagnosi di Melanoma a diffusione su- perficiale, livello III sec. Clark, spessore mm 0.95 secondo Breslow e si repertava una linfoa- denite iperplastica regionale in sede ascellare, previo esame in estemporanea. All’esame isto- logico definitivo del presunto tessuto linfonodale ascellare asportato si rilevava, però, soltanto la presenza di tessuto adiposo e non di linfonodi. Il paziente, veniva quindi dimesso, dopo 4 giorni di degenza, con diagnosi definitiva “Melanoma superficiale spreading avambraccio de- stro, III livello di Clark, 0.95 spessore di Breslow”, dopo escissione e ricerca del linfonodo sentinella nella regione ascellare omolaterale.

3) Cartella clinica dello stesso Ospedale relativa alla degenza di 5 giorni, a distanza di un anno circa dal primo intervento, con diagnosi di ammissione di “metastasi ascellare da pregresso melanoma maligno superficiale dell’avambraccio destro”. Durante tale ricovero un esame TC total body evidenziava la presenza di linfonodi di diametro inferiore al centimetro in sede a- scellare destra, multiple lesioni ipodense, di tipo secondario con diametro massimo di cm 3

(3)

circa nel parenchima epatico e lesioni secondarie dello stesso tipo in sede splenica e surrenali- ca sinistra. Il paziente veniva pertanto dimesso con diagnosi definitiva di “melanoma metasta- tico a fegato, milza e surrene di sn”, con prescrizione di terapia medica antiblastica.

4) Cartella clinica di altro Ospedale civile, relativa alla degenza di tre giorni, a distanza di 14 giorni dal secondo ricovero, con generica diagnosi di ammissione di “melanoma”. Durante tale terzo ricovero veniva eseguito un esame ecografico dell’addome che confermava la compro- missione neoplastica focale di fegato e milza. Il paziente veniva quindi dimesso con diagnosi definitiva di “Melanoma in fase metastatica”.

5) Cartella clinica dello stesso Ospedale relativa alla degenza, a distanza di 10 giorni dal prece- dente ricovero, di ulteriori 12 giorni, durante i quali iniziava il secondo ciclo di polichemiote- rapia e veniva dimesso con diagnosi definitiva di “Melanoma in fase metastatica”.

6) Cartella clinica dello stesso Ospedale relativa alla successiva degenza, a distanza di 3 giorni, con diagnosi di dimissione questa volta di “melanoma in trattamento polichemioterapico”.

7) Cartelle cliniche di ulteriori 3 ricoveri, con effettuazione di indagini strumentali che eviden- ziavano una situazione, nonostante il trattamento antiblastico, pressoché stazionaria.

8) Risultati di esame TC total body eseguito a distanza di circa 3 mesi e mezzo dall’ultimo con- trollo, che, a livello del cranio metteva in evidenza una piccola area di iperdensità parenchima- le di circa 7 mm di diametro localizzata in sede parieto-occipitale di destra attribuibile a ripeti- zione metastatica secondaria, linfomegalie a livello ascellare destro e, sempre a destra, una o- struzione dell’asse succlavio-ascellare per la esistenza di evidenti circoli collaterali periscapo- lari e paravertebrali. Veniva altresì confermata l’esistenza di lesioni ripetitive multiple a livel- lo epatico, senza un significativo incremento né numerico né volumetrico delle suddette for- mazioni. Sostanzialmente immodificata appariva anche l’area di ipodensità parenchimale loca- lizzata sul versante mediale del surrene di sn.

9) Esame RM del cranio eseguito circa 20 giorni dopo, confermante la presenza, a livello della corteccia parietale superiore destra, di una piccola iperintensità di mm 6 circa da attribuirsi, a ripetizione secondaria del melanoma maligno.

Successivamente seguivano ulteriori ricoveri durante i quali, oltre ad essere documentata la progressiva estensione della neoplasia, divenuta ormai inarrestabile, con compromissione di molti organi ed apparati, cute compresa, venivano eseguiti vari trattamenti terapeutici compreso un in- tervento palliativo sulla metastasi cerebrale, con applicazione del sistema stereotassico, mediante radiochirurgia.

Quindi, a circa tre anni dalla diagnosi iniziale di melanoma maligno, il soggetto veniva a morte per “Sindrome epato-renale fulminante dopo trattamento con Interleukina 2 ed Interferone per me- tastasi di melanoma maligno”.

Discussione

Valutazione dei possibili elementi di accusa

Dopo aver preso visione anche della relazione medico-legale redatta dal consulente di parte dell’ospedale chiamato in causa, il quale nelle proprie conclusioni afferma che, per quanto non si possa effettivamente non rilevare a carico dei Sanitari chirurghi dell’ospedale in parola imperizia per non aver saputo effettuare un adeguato svuotamento ascellare, come si evince dall’esame isto- logico dei linfonodi ascellari di sinistra, dove si evidenzia la presenza di solo tessuto adiposo, in cui non si repertano linfonodi, la eventuale compromissione neoplastica dei linfonodi regionali non avrebbe comunque cambiato, sempre secondo il consulente, il decorso e l’evoluzione della

(4)

neoplasia essendosi il melanoma non diffuso per vie linfatiche ma per via ematica, si procede ad una rigorosa valutazione degli elementi oggettivi di giudizio a disposizione. Da notare, verosi- milmente, che, sempre a giudizio del consulente, erano già presenti micrometastasi, specie in sede epatica, che in seguito si sarebbero poi evidenziate in modo palese anche in altri organi come mil- za e surrene.

Sempre, poi, a detta del predetto consulente della parte convenuta, la terapia antiblastica era stata esperita immediatamente – e questo, ad onor del vero non trova riscontro nella copiosa do- cumentazione sanitaria esaminata- talché la presenza o l’assenza di linfonodi regionali compro- messi dalla neoplasia non avrebbe comunque potuto influenzare il decorso clinico e l’evoluzione biologica della malattia.

Partendo, quindi, dalle conclusioni formulate all’uopo dal consulente della parte convenuta, secondo le quali l’imperizia dei sanitari che ebbero in cura il soggetto affetto da melanoma non avrebbe in alcun modo potuto interferire sull’evoluzione clinica di una patologia già a prognosi infausta ab initio, va opportunamente rilevato, in linea generale, che:

I) La prognosi ed il trattamento terapeutico dei melanomi sono condizionati sia dalla profon- dità dell’invasione tumorale sia dallo stadio della malattia e sono influenzati, altresì, da al- tri fattori, tra i quali si annoverano il “grading”, l’indice mitotico e la situazione immunita- ria del soggetto.

II) Al fine di una corretta strategia terapeutica si deve, quindi, tenere conto del livello di in- vasione e/o dello spessore della neoplasia, della compromissione o meno dei linfonodi re- gionali, della presenza o meno di metastasi in transito verso i linfonodi regionali, dell’esistenza di metastasi in vicinanza del tumore (satellitosi), della eventuale presenza di metastasi a distanza, del “grading” e dell’indice mitotico.

III) In particolare, la sola dimostrazione di metastasi in transito verso i linfonodi regionali o la compromissione dei linfonodi loco-regionali fanno classificare la neoplasia in stadio II, per la quale si impone una condotta terapeutica improntata su un’ampia escissione chirurgica e su una completa linfoadenectomia regionale.

IV) I risultati degli esami istologici estemporanei, data la scarsa affidabilità, devono essere sempre confermati dai risultati di un ulteriore esame istologico definitivo eseguito su una parte del campione utilizzato in precedenza per l’esame estemporaneo (prova ne è che, nel- la fattispecie, il livello II di Clark assegnato al melanoma in base all’esame istologico e- stemporaneo, in realtà si dimostrava essere, all’esame istologico definitivo, un livello III di Clark). Ne consegue, nel caso in esame, che la positività clinica rappresentata dalla tume- fazione del diametro di cm 1,5 di una linfoghiandola ascellare, indicativa con molta proba- bilità di una compromissione neoplastica regionale, in considerazione anche del fatto che è unanimamente accettato che la via linfatica risulta essere, in prima istanza, quella preferita dal melanoma per diffondere, mentre la diffusione ematica è solitamente tardiva, avrebbe dovuto imporre ai sanitari, che ebbero in cura il paziente, la necessità di accertare o di e- scludere con sicurezza, attraverso un esame istologico definitivo e non solo estemporaneo del linfonodo sentinella, oltre ché di tutti quelli qualificabili di I° livello, in sede ascellare, la verosimile compromissione metastatica dei linfonodi regionali ed in particolare l’eventuale presenza di micrometastasi linfonodali.

V) L’eventuale presenza di micrometastasi epatiche sostenuta dal consulente della parte con- venuta in giudizio, nonostante una ecografia del fegato negativa (che nella specie insieme alla T.A.C. rappresenta l’indagine di elezione per lo studio dell’interessamento neoplastico epatico), deve essere considerata, in virtù delle modalità diffusive anzidette del melanoma, come un’ipotesi di assai difficile verificazione e va relegata, pertanto, nel campo delle me-

(5)

re possibilità. Appare, invece, molto probabile che la malattia neoplastica in questione non correttamente trattata ed abbandonata al suo decorso, abbia prodotto metastasi linfonodali diffuse prima ed ematiche dopo.

VI) Per un più corretto iter diagnostico-terapeutico e prognostico i sanitari che ebbero in cura il paziente neoplastico avrebbero dovuto innanzitutto considerare che:

1) l’esame istologico della neoformazione non doveva limitarsi solo alla diagnosi di melanoma ed al livello di invasione, ma doveva prendere in considerazione altri importanti indici progno- stici quale il “grading”, l’indice mitotico, l’organizzazione architetturale delle cellule neopla- stiche ed il grado di infiltrazione linfocitaria;

2) la stessa negatività dell’esame istologico estemporaneo eseguito sul linfonodo sentinella, per l’elevata inaffidabilità propria dell’indagine, non escludeva sicuramente una eventuale com- promissione neoplastica linfoghiandolare regionale. Pertanto in mancanza di un accertamento che escludesse, senza ombra di dubbio, la compromissione dei linfonodi loco-regionali e/o la presenza di metastasi in transito verso i linfonodi predetti, tenuto conto anche dello spessore della neoplasia di mm 0,95 secondo Breslow, e soprattutto, all’esame obiettivo, di una positi- vità clinica ascellare indicativa di una verosimile compromissione neoplastica linfoghiandola- re, la lesione tumorale maligna doveva essere considerata in stadio clinico II, per il quale vi è senz’altro indicazione alla linfoadenectomia completa dei linfonodi di I° e II° livello, anche, quindi del cavo ascellare in toto, allargata, dunque, con intento radicale, ed alla conseguente terapia antitumorale di tipo adiuvante per eventuali foci tumorali residuati all’intervento, con legittime possibilità terapeutiche nettamente superiori, in questo ultimo caso;

3) l’escissione chirurgica tumorale perilesionale doveva essere, in ogni caso, più ampia, riguardo ai margini minimi di exeresi da mantenere, rispetto alla lesione primitiva, da reputarsi almeno a cm 2-3 o, come limite minimo, a non meno di cm 1,5 dal limite apparente del tumore ed ad una profondità di cm 1,5 con estesa asportazione del grasso cutaneo;

4) era necessario un monitoraggio clinico-strumentale della malattia neoplastica a cadenza bi- trimestrale, secondo i protocolli diagnostico-terapeutici in uso nella fase di follow up di con- trollo a 5 anni, per i melanomi, in generale e per quelli localmente avanzati, in particolare.

5) All’atto della diagnosi di melanoma, oltre all’ecografia epatica erano necessari altri esami strumentali (Immunoscintigrafia, RMN, TAC total body) al fine di escludere o evidenziare la presenza di metastasi a distanza.

Infine, appare, peraltro, opportuno sottolineare che la terapia medica antitumorale, di tipo poli- chemioterapico non fu iniziata a breve tempo dalla diagnosi definitiva, come sostenuto dal consu- lente della parte convenuta, ma a distanza di oltre un anno dal primo intervento di escissione tu- morale.

Pertanto si può ritenere, alla luce di tutte le precedenti considerazioni, accertato un comporta- mento di tipo sicuramente colposo, imputabile ai sanitari in parola che ebbero, in prima istanza, in cura il paziente, caratterizzato da particolare imperizia, negligenza ed imprudenza, essendo sicu- ramente loro addebitabile, al momento della diagnosi, la mancata attuazione di un’ampia escissio- ne chirurgica del melanoma, così come richiesto, in base ai protocolli vigenti in rapporto alla tera- pia squisitamente chirurgica dei melanomi maligni, e, soprattutto, la mancata effettuazione dello svuotamento completo linfoghiandolare ascellare preventivo-terapeutico, dei linfonodi di I° e II°

livello, che si imponeva in modo categorico, in presenza di una evidente linfoadenopatia ascellare, clinicamente rilevabile, tale da fare immediatamente ristadiare la neoplasia, classificandola, quin- di, opportunamente, Stadio II° clinico, per conformarsi, dunque, a dettami assolutamente rigidi e

(6)

ben codificati, in tal senso, a salvaguardia di una necessaria escissione chirurgica allargata e pie- namente radicale, pena il pregiudizio grave del destino terapeutico e del buon esito chirurgico del- la malattia oncologica in atto. Da ultimo va imputata, inoltre, la mancata somministrazione della terapia medica antiblastica, di tipo adiuvante, tesa, in caso di sospetto di persistenza di malattia minima residua tumorale, all’ottenimento dell’estinzione di eventuali foci neoplastici non intera- mente asportati o non asportabili, dopo terapia citoriduttiva chirurgica.

Da tutte le suddette omissioni è verosimilmente derivata l’incontrastata anche se assai prevedi- bile evoluzione ulteriore della patologia neoplastica in atto, nell’ambito di quella che è ritenuta es- sere la storia naturale tipica di questa malattia, comportante una compromissione preferenziale, massiva, dapprima dei linfonodi regionali, una successiva metastatizzazione a distanza per via ematica (fegato e cervello) e infine l’exitus del paziente.

La linfadenectomia di parte dei linfonodi ascellari di destra, risultati documentalmente iperpla- stici, all’esame istologico in estemporanea, era stata, infatti, effettuata con intento puramente dia- gnostico, anche se oggettivamente incompleto, alla ricerca di eventuali linfonodi sentinella positi- vi; in presenza, invece, di una linfadenopatia secondaria ascellare clinicamente evidente, accom- pagnata da un’insufficiente e mal eseguita linfadenectomia selettiva dei cosiddetti linfonodi satel- liti, risultati, poi assenti dal reperto inviato all’esame istologico definitivo, dove compare, al loro posto, solo tessuto adiposo, sarebbe stato obbligatorio e, dunque necessario, effettuare uno svuo- tamento ascellare dx con intento radicale.

Pertanto tale linfoadenopatia ascellare destra imponeva la scelta giusta dello svuotamento a- scellare omolaterale profilattico completo, con allegato successivo esame istologico dirimente, in senso diagnostico, quale opzione terapeutica ottimale per un melanoma maligno che appariva da subito invasivo e localmente avanzato.

Si trattava, infatti, nella fattispecie, di un melanoma maligno dell’avambraccio destro, ossia di una sede, quindi, appartenente al territorio definito dagli specialisti in materia anglosassoni, extra BANS (ossia al di fuori dei territori del tronco, zona dorsale, regioni posteriori del braccio, del collo e del cuoio capelluto, che sono da ritenersi, a parità di condizioni, a prognosi teoricamente migliore rispetto a quelle dette appunto BANS), di tipo spreading, superficiale, III° livello di Clark, per invasione neoplastica limitata al derma papillare fino al limite del derma reticolare, non invaso, spessore di Breslow compreso fra 0,76 e 1,50 millimetri, T2 secondo la classificazione TNM, con assai verosimile localizzazione secondaria regionale linfonodale, ai linfonodi ascellari di destra, reputabile, quindi, come Stadio clinico II°, essendo lo stadio I°, locale, limitato all’esistenza di una lesione primaria, stadio I°A, o ad una lesione primaria e ad una satellitosi cu- tanea, per invasione dermica ad una zona cutanea iuxtalesionale, Stadio I°B, o ad una recidiva lo- cale entro cm 5 dalla lesione iniziale, Stadio I°C.

Volendo restare alla classificazione TNM, si trattava, assai probabilmente, di uno stadio T2, N1, MX, con N attribuibile appunto N1, per il coinvolgimento verosimile, nella fattispecie, di una sola stazione linfonodale regionale e linfonodi mobili e di diametro non superiore a cm 5 (altra i- potesi alternativa, parimenti attributiva di N1, è che esistano non meno di 5 metastasi in transito, nell’arco di cm 2 intorno al tumore), altrimenti stadiabile, clinicamente, già Stadio III°, per T qualsiasi, N1, M0, a prognosi severa, specie in mancanza di terapie chirurgiche e di supporto a- diuvanti, realmente radicali, in base alla classificazione della AJCC americana del 1988.

In altri termini, la prognosi dei MM è essenzialmente rapportabile ai seguenti fattori e pa- rametri fondamentali che, nell’ordine sono da reputarsi:

a) spessore di Breslow, indicativo della profondità della lesione, essendo noto che per lesioni di spessore inferiore a mm 0,75, il rischio complessivo di ricaduta è assai basso, di circa il 2-3%,

(7)

mentre per lesioni di spessore compreso fra mm 0,75 e 1,50 tale rischio è stimabile intorno al 25 %, per le ricadute a livello linfonodale e di circa 8 % per le ripetizioni metastatiche a di- stanza; infine per lesioni di spessore compreso fra mm 1,51 e mm 4 il rischio è del 57 % per recidive linfonodali loco - regionali e del 15 % per le metastasi a distanza e, per lesioni di spessore superiore a mm 4, il rischio complessivo di recidiva e progressione è molto alto, in- torno al 65 % dei casi;

b) sede di insorgenza della lesione primitiva, per i territori BANS ed extra BANS, così come in- dicato in precedenza, con percentuali di sopravvivenza superiori nell’ordine del 25-30 % dei casi, nella seconda ipotesi, essendo, comunque confermato da diversi studi che i melanomi maligni degli arti hanno, generalmente prognosi migliore rispetto a lesioni equivalenti insorte a livello del tronco o del settore testa-collo;

c) aspetti macroscopici della lesione, con peggioramento della prognosi per melanomi maligni di tipo nodulare o con ulcerazione associata;

d) numero di linfonodi loco-regionali invasi da metastasi, di I° o II° livello o anche più distanti, che è da ritenersi, in base alle conoscenze attuali, il fattore prognostico predittivo più impor- tante, capace di influenzare nettamente la prognosi e la sopravvivenza, con possibilità globali di guarigione pari a circa il 55 % dei casi trattati, in modo chirurgico radicale, per un numero di linfonodi metastatici inferiore a 1-3, e di appena il 25 % per tumori melanocitari aventi più di 4 linfonodi interessati, a vari livelli, dalla malattia neoplastica;

e) presenza e numero di mitosi per campo, all’esame istologico, grave segno di anaplasia della lesione e di notevoli potenzialità di metastatizzazione della neoplasia, con prognosi severa in questi casi, specie in associazione alla presenza di segni locali di necrosi e di invasione vasco- lare e/o linfatica, sicuramente deponenti per lo spiccato linfotropismo della malattia e la facile tendenza all’invasione metastatica a distanza, per via linfatica ed ematogena, con caratterizza- zione specifica di malattia diffusiva, ab inizio e necessità di terapie adiuvanti, adeguate, di supporto e di metodici controlli della malattia, a brevi intervalli di tempo;

f) ovviamente, Stadio della malattia, clinico ed anatomopatologico, come anche riportato in pre- cedenza.

Ci si sofferma, in particolare sul numero delle mitosi per campo che se, in particolare, risultano superiori al 40-50 %, sono molto suggestive e depongono sicuramente per un melanoma maligno altamente invasivo ed aggressivo, con possibilità terapeutiche nettamente inferiori e prognosi mol- to severa in rapporto alla sopravvivenza, ferme restando tutte le altre valutazioni espresse in pre- cedenza, ma con appesantimento prognostico notevole, in rapporto alla possibilità di riscontrare la malattia sin dall’inizio in stadi già molto avanzati.

Da ultimo merita un breve cenno la terapia del melanoma, il cui unico efficace presidio rima- ne, sicuramente, quello chirurgico.

Si ribadisce il concetto, alla luce di queste argomentazioni, che, pertanto, la diagnosi precoce e mirata, ossia precisa e specifica, rimane un caposaldo essenziale del trattamento terapeutico radi- cale di tale affezione neoplastica.

Fondamentale inoltre appare, in caso di conferma istologica della diagnosi di melanoma mali- gno, dopo esame istologico in estemporanea del pezzo anatomico della lesione, procedere ad un reintervento o ampliare il campo operatorio, includendo un adeguato margine di resezione intorno alla lesione.

L’ampiezza dei margini è infatti funzione dello spessore della lesione, che non dovrebbe essere inferiore a cm 2-3, per spessori inferiori a mm 1,69, e a cm 3-5 per spessori superiori a tale limite, con ragionevole apprezzamento anche in base alla maggiore o minore aggredibilità chirurgica del- la lesione, per un’adeguata plastica cutanea., altrimenti le possibilità di una ripresa dapprima loca-

(8)

le e poi sistemica della neoplasia potrebbero rasentare ben il 40 % rispetto ad un’incidenza infe- riore al 5 % dei casi, nell’ipotesi di un trattamento chirurgico protocollare correttamente eseguito.

Alla luce di tutte le precedenti osservazioni appare, quindi di estrema importanza il postulato vigente, nell’eventualità di melanomi maligni, che prevede, senza ipotesi alternative, nel caso di interessamento linfonodale clinicamente evidente, l’asportazione chirurgica “en bloc” dei linfono- di apparentemente interessati, in assenza di metastasi viscerali evidenti, ciò che rimane, tassativa- mente, il trattamento di scelta, in questi casi.

Da definire rimane, comunque, il ruolo della linfedenectomia selettiva, profilattica, anche dei linfonodi regionali clinicamente indenni.

Solo a livello sperimentale si può procedere alla linfoadenectomia selettiva che consiste nel sottoporre i pazienti, con malattia localizzata, a linfoscintigrafia intraoperatoria e linfografia con blu di isosulfano, allo scopo di identificare i linfonodi regionali drenanti prossimali alla lesione che sono ipoteticamente da considerare a maggior rischio di possibili micrometastatizzazioni; tali linfonodi, asportati dopo avere eseguito queste procedure diagnostiche, vengono, ovviamente, sot- toposti, ad esame istologico, in estemporanea.

La linfadenectomia regionale, di tipo selettivo, in assenza di una linfoadenopatia clinica- mente evidente, viene, quindi, eseguita solo in caso di interessamento metastatico dei linfonodi sentinella, con risultati confortanti, in tal senso, in termini di sopravvivenza.

Un particolare tipo di metastatizzazione è quella definita in transit, localizzata a livello del tessuto cutaneo e sottocutaneo, fra lesione primaria e linfonodi regionali che sottintende una loca- lizzazione linfonodale regionale in circa il 67 % dei casi e richiede la rimozione sistematica di det- ti linfonodi che è da ritenersi provvedimento irrinunciabile del protocollo terapeutico di dette neo- plasie, in tali casi.

La polichemioterapia, prevalentemente a base di dacarbazina e cisplatino, si utilizza, es- senzialmente, nella eventualità di malattia diffusa, senza che essa, però, possa influire, concreta- mente, più di tanto, sull’evoluzione della fase metastatica.

Il trattamento con interferone-alfa-ricombinante è ritenuto utile sia in fase avanzata che come terapia adiuvante, dopo adeguato trattamento chirurgico citoriduttivo-radicale, anche se va ritenuto ancora sperimentale per poterne standardizzare correttamente l’uso.

Ribadendo che la corretta esecuzione di una adeguata silouhette chirurgica dei melanomi mali- gni cutanei resta il trattamento di scelta di questo tipo di neoplasie, in grado realmente di incidere sulla sopravvivenza globale dei soggetti affetti, va considerato come le percentuali di sopravvi- venza a 5 anni della malattia dipendano essenzialmente dallo stadio iniziale, in rapporto, ovvia- mente, alla effettuazione di un protocollo diagnostico adeguato e di un atto chirurgico veramente radicale e completo; in tal caso, tali precentuali di sopravvivenza a 5 anni sono valutabili, nell’ordine, del 97 %, per il I° stadio, del 74 %, per il II° stadio, del 41 %, per il III° stadio e di meno del 10 % per il IV° stadio, essendo la classificazione adottata quella della AJCC.

Tornando al caso in specie, per un tumore ipoteticamente p, T2, N0, M0, così come diagnosti- cato nell’occorrenza dalla struttura oncologica che lo ha tenuto in cura, si sarebbe dovuto trattare di uno stadio I°B, seguendo il modello di stadiazione secondo AJCC del 1988, con percentuali di sopravvivenza estremamente favorevoli, fra il 95 e il 100 % dei casi e potenzialità ripetitive locali regionali molto basse e diffusive viscerali pari o inferiori al 8 % dei casi trattati.

Di fatto, tale apparente remota ipotesi si è invece verificata piuttosto rapidamente determinan- do, in tempi brevi, l’exitus del paziente.

Sennonché assai verosimilmente, per la presenza di una linfoadenopatia ascellare omolaterale clinicamente evidente la neoplasia andava opportunamente ristadiata, come T2, N1, M0, in assen- za di ripetizioni secondarie viscerali evidenziabili clinicamente o strumentalmente, mediante esa-

(9)

me T.C. degli organi più frequentemente compromessi, con stadio clinico, secondo AJCC 1988, valutabile come III°, con notevole appesantimento prognostico, in tal senso, ma con possibilità di sopravvivenza a 5 anni stimabili intorno al 41 % dei casi trattati, in modo protocollare.

L’aver, quindi, omesso un adeguato protocollo diagnostico, teso a stadiare correttamente la ne- oplasia ha, di fatto, compromesso gravemente le chances di guarigione della malattia neoplastica in atto, pregiudicandole in modo decisivo e azzerandole al fine totalmente, per la mancata esecu- zione di un opportuno trattamento di scelta chirurgico, volto all’effettuazione di una linfoadenec- tomia con svuotamento ascellare omolaterale radicale, con esame istologico sia in estemporanea che definitivo di tutti i linfonodi asportati.

Altro grave errore è stato quello di non procedere ad un’adeguata escissione chirurgica della le- sione primitiva, mantenendosi oltre determinati limiti di resezione dei margini indicati, in modo protocollare ad almeno cm 2-3 dal melanoma primitivo, inficiando, in tal modo, ulteriormente e concretamente le possibilità terapeutiche della malattia neoplastica in atto.

Di scarso valore diagnostico e terapeutico è da considerarsi quello che sarebbe meglio definire un tentativo mal riuscito di linfadenectomia selettiva dei linfonodi sentinella, mal evidenziati con tecniche linfografiche e, dunque, mal o affatto asportati, se all’istologo è pervenuto solo tessuto adiposo e non i predetti linfonodi, da sottoporre ad opportuno esame istologico, in ogni caso, se- condo la metodologia d’indagine prescelta, nell’occasione, e che alla prova dei fatti è da ritenersi invalidata a tutti gli effetti, non deponente, quindi, né in un senso né nell’altro.

Alla luce del dato non ottenuto, si è omesso, inoltre, di procedere ad ulteriori accertamenti dia- gnostici dirimenti in tal senso, in primis, si ribadisce, la linfadenectomia allargata del o dei linfo- nodi adenopatici rilevati, clinicamente, in sede ascellare omolaterale, o, nella peggiore delle ipote- si, ripetere il precedente esame non probativo in alcun modo, in quanto, come detto, mal eseguito e non rispondente alle necessità del caso.

Ciò ha comportato una grave scorrettezza procedurale diagnostica, essendosi le tecniche e le strategie di indagine adottate rivelate non protocollari e non adeguate nell’occasione, specie dopo la opportuna rilettura, in senso critico, delle risultanze non ottimali dell’esame istologico, con gra- ding molto alto per la presenza di numerose mitosi per campo, deponenti per una neoplasia alta- mente aggressiva e con indiscusse potenzialità metastatiche, in grado di sconfinare, da subito, ver- so stazioni linfonodali sia prossimali che distali, ciò che ha determinato la scelta errata di un trat- tamento chirurgico non sufficientemente efficace, completo e radicale, con limiti di resezione del tutto insufficienti, specie in considerazione dello stadio più avanzato che avrebbe richiesto margi- ni molto più estesi di escissione, fino al limite di cm 5 dalla lesione iniziale.

Del tutto tardiva e di valore puramente accademico va ritenuta, infine, l’intrapresa della poli- chemioterapia adiuvante, assolutamente non idonea in caso di melanoma maligno, in base alle at- tuali conoscenze scientifiche in materia e alla standardizzazione dei protocolli terapeutici, ottimiz- zati in rapporto agli stadi e alle diverse fasi della malattia neoplastica melanocitaria.

Assai discutibile ed estremamente improbabile è da considerarsi, infine, la fin troppo remota ipotesi formulata dal consulente della parte convenuta, in rappresentanza dei sanitari che ebbero in cura il paziente, circa la possibilità dell’esistenza di microfocolai secondari metastatici, presunti- vamente preesistenti fin dal primo momento della diagnosi di MM cutaneo, in rapporto al seguen- te ordine di considerazioni:

• gli studi condotti in tal senso non sembrano confortare tale sospetto, poiché la progressione del- la malattia è nella gran parte dei casi piuttosto lineare, dalla lesione primaria, ai linfonodi loco- regionali o a quelli più lontani, fino ad arrivare alle localizzazioni viscerali;

• qualora coesistano metastasi epatiche o in altri organi ed apparati, esse sono, nella quasi totalità

(10)

dei casi, sia clinicamente che, soprattutto, strumentalmente localizzabili, mediante esame T.C.

o R.M.I., dato anche l’alto potere di risoluzione attribuibile a tali tecniche radiodiagnostiche o elettromagnetiche, pari a meno di mm 2-3, in questa particolare fase della storia naturale della malattia in atto, con presumibili vistose concomitanti linfoadenopatie loco-regionali perilesio- nali;

• quand’anche si volesse dare credito alle molto suggestive e fantasiose ipotesi formulate in tal senso, dei microfocolai, molto piccoli, ad onor del vero, di tessuto metastatico neoplastico e- ventualmente indovati nelle strutture vascolari dei lobuli epatici, questo non sarebbe andato, comunque, ad inficiare il buon esito del trattamento citoriduttivo oncologico attuabile, attraver- so un intervento chirurgico radicale, con margini di escissione a limiti molto ampi, così come auspicato, e linfadenectomia loco-regionale associata, essendo la malattia minima residua di tessuto neoplastico eventualmente non asportato di dimensioni tali, da consentire un’adeguata reazione immunologica dell’organismo, per la sua eradicazione, essendo la stessa reputabile, certamente, al di sotto di cm 0,5-1 di diametro complessivo, per non poter essere sicuramente obiettivabili con i sofisticati strumenti di indagine radiodiagnostica attualmente a disposizione, volume comunque considerato da tutti gli autori di assoluta sicurezza, nella fattispecie, nei con- fronti della richiamata risposta immunologica organismica, che è assolutamente in grado di de- bellare, secondariamente, con il proprio corredo e armamentario immunologico di risposta cel- lulo-mediata T linfocitaria, tale malattia tumorale teoricamente residuata;

• è noto che in medicina legale non è possibile argomentare per teoremi, postulati e supposizioni, molto discutibili alla prova dei fatti e facilmente confutabili, in mancanza di solidi e qualifica- bili elementi oggettivi, essendo l’unica metodologia applicabile quella che si basa su ragiona- menti clinico-diagnostici logici, plausibili, stringati e rigorosi, in rapporto alla causalità mate- riale invocata, metodologia che si basa, quindi, anche se con criterio apprezzabilmente probabi- listico, sul riscontro di fatti e prove ampiamente confermate dall’esperienza clinica e si ricon- duce a teorie scientifiche ben consolidate, in campo medico e non, e, dunque non su arbitrarie e ardite, per non dire fantasiose ipotesi congetturali di scarso o nullo valore probatorio.

Valutazione dei possibili elementi di difesa

Nel caso in specie non è parso di poter rilevare ed attribuire elementi oggettivi di colpa nella condotta dei sanitari che hanno tenuto in cura il paziente.

Si trattava, per la precisione, di un melanoma maligno cutaneo dell’avambraccio destro tratta- to con escissione chirurgica, con intento radicale, che, dopo esecuzione tanto dell’esame istologi- co in estemporanea che di quello definitivo, si dimostrava a carattere superficiale, di spessore di Breslow di mm 0,95, inferiore, quindi, al limite di mm 1,50, T2 della classificazione TNM, in as- senza, apparentemente, di evidenti manifestazioni linfonodali loco-regionali clinicamente eviden- ziabili.

Circa la teoria della possibile esistenza di una localizzazione linfonodale in sede ascellare omo- laterale destra, apparentemente deponente, per la presenza ipotetica di una ripetizione secondaria metastatica linfonodale, che farebbe, in questo caso ascrivere la neoplasia melanocitaria fra le forme stadiabili non più T2, N0, M0, Stadio I°B della classificazione AJCC 1988, ma T2, N1, M0, Stadio III° della medesima classificazione, con supponibile notevole appesantimento progno- stico, in questo secondo caso, e non adeguato conseguente trattamento chirurgico, non del tutto radicale, nell’occasione, da ritenersi, pertanto, inefficace, alle necessità del caso, ciò che, in ultima analisi, avrebbe potuto determinare, poi l’obitus del paziente, pregiudicando, in modo determinan- te, le possibilità terapeutiche di emendabilità e guarigione della malattia, non ottimali in base a questo ordine di ipotesi, e valutabili, teoricamente intorno al 40 % dei casi trattati o ancor meno, è

(11)

lecito manifestare diverse obiezioni.

A fronte di questo tipo di considerazioni, si possono, infatti, formulare le seguenti controdeduzioni e valutazioni:

1. la linfoadenopatia ascellare sinistra, in assenza di esame bioptico, con asportazione, e succes- sivo esame istologico, non è affatto sicuramente indicativa di ripetizione secondaria metastati- ca neoplastica, rappresentando, tale illazione, poco più di una semplice supposizione, non ade- guatamente suffragata da fatti oggettivi clinicamente e presuntivamente rilevanti, trattandosi peraltro di una stazione linfonodale più lontana da quella ritenibile più prossimale alla neopla- sia, localizzabile presuntivamente a livello dell’avambraccio destro;

2. per quanto si potesse considerare teoricamente opportuno andare ad indagare adeguatamente tale linfoadenopatia, per mero scrupolo professionale e a scopo documentale e delucidativo, in realtà, era da ritenersi estremamente improbabile che la stessa rappresentasse realmente una localizzazione secondaria metastatica neoplastica per la stessa oggettiva negatività della ricer- ca di focolai metastatici a livello di organi bersaglio, segnatamente il fegato e il cervello, in funzione delle stesse caratteristiche cliniche della storia naturale della neoplasia in atto, in quanto tale localizzazione distale regionale avrebbe senz’altro rappresentato la manifestazione prodromica esteriore di una malattia tumorale non solo localmente molto avanzata ma già di per sé diffusiva, a livello sistemico, ab inizio, avendo abbondantemente già sconfinato e de- bordato dai limitati confini che ne avrebbero dovuto connotare l’esistenza in forma molto lo- calizzata per assumere aspetti già molto aggressivi e invasivi che avrebbero comportato legit- timamente, con probabilità estremamente elevate, localizzazioni coesistenti secondarie già e- videnti all’esame T.C. degli organi predetti, il che alla prova dei fatti non è assolutamente ac- caduto, come ribadito dal consulente della parte attrice, a testimonianza abbastanza fedele del- la reale inverosimiglianza della ipotesi di metastatizzazione linfonodale ascellare omolaterale in rapporto all’assenza di manifestazioni ripetitive epatiche, cerebrali o di altro genere, ma- croscopicamente e strumentalmente evidenti agli esami radiodiagnostici; tutto ciò non contra- sta affatto con l’ipotesi assai credibile della localizzazione di microfocolai neoplastici epatici, fin dal primo momento della diagnosi, in relazione di ciò che è realmente accaduto successi- vamente con l’evoluzione e la progressione inarrestabile della malattia in atto, essendo peral- tro, da considerarsi trascurabile il ruolo che a fini prognostici avrebbero, a quel punto, dovuto avere le stesse metastasi viscerali ai fini della sopravvivenza;

3. ma volendo anche ammettere, unicamente a livello di ipotesi, che effettivamente la linfoade- nopatia ascellare destra, che poteva dipendere anche da innumerevoli altre cause ed essere di solo carattere reattivo, fosse stata la testimonianza palese di una reale localizzazione metasta- tica secondaria neoplastica linfonodale, dei linfonodi ascellari, da ritenersi, nell’occasione, di II° livello, proprio in virtù di un’ipotetica intrinseca aggressività tumorale, la corretta stadia- zione clinica della neoplasia, proprio in rapporto della citata classificazione dell’AJCC ameri- cana del 1988, sarebbe stata, nella fattispecie, T2, N2, Mx, Stadio IV°, quindi dei melanomi maligni cutanei, non essendo stata semplicemente coinvolta una stazione linfonodale prossi- male, tipo quella dei linfonodi epitrocleari o di altro genere, di I° livello, per essere precisi, ma già una stazione più distale, di II° livello, quale è da ritenersi quella tributaria degli altri linfo- nodi ascellari, con percentuali di sopravvivenza, in questi casi, per forme tumorali localmente molto avanzate, classificabili, appunto, al IV° stadio AJCC 1988, veramente irrisorie, ossia, estremamente basse e valutabili nell’ordine di meno del 11 % dei casi trattati, il che farebbe scadere di molto le presunte responsabilità professionali dei sanitari che ebbero in cura il pa- ziente;

4. anche la supposta mancata radicalità dell’intervento di escissione, per il presunto mancato ri-

(12)

spetto protocollare dei limiti di asportazione del tessuto cutaneo neoplastico, da mantenersi i- poteticamente a circa cm 2-3 di diametro intorno alla lesione primitiva asportata, è da ritenersi molto discutibile e infondata per tutte le considerazioni fin qui espresse, in rapporto al valore unicamente di prevenzione di eventuali recidive locali o loco-regionali da ascrivere a tale tipo di intervento, ciò che, in questo caso neppure si è verificato, per la comparsa, a distanza di un certo lasso di tempo, unicamente di ripetizioni metastatiche viscerali, nella storia naturale di una neoplasia già molto indifferenziata ed invasiva, come anche segnalato dal consulente della parte attrice, in base alle numerose mitosi per campo evidenziate all’esame istologico definiti- vo della lesione, con grading, quindi, molto basso, ciò che sembrerebbe aver realmente e natu- ralmente pregiudicato le possibilità terapeutiche del caso, già in partenza, invero, piuttosto scarse;

5. circa, poi, i presunti errori tecnici ricollegabili alla ipotetica scorretta esecuzione della linfo- grafia selettiva, effettuata allo scopo di evidenziare eventuali microfocolai metastatici secon- dari a livello dei linfonodi loco-regionali definiti “sentinella”, di cui sono tributari i linfatici immediatamente prossimali alla lesione neoplastica, vale la pena di ricordare che si tratta, pur sempre, di un tipo di accertamento ancora da considerare in via alquanto sperimentale e, per le sue stesse finalità, tende a svelare, laddove correttamente eseguito, i primi segni di un eventua- le sconfinamento della neoplasia ai linfonodi regionali di I° livello, onde, poi, eseguire una lin- fadenectomia selettiva profilattica utile, ancora, alla prevenzione di una eventuale ricaduta lo- cale, non realizzatasi, di fatto, incidentalmente e unicamente, come tale, (di diverso significato e valore va considerata la comparsa di lesioni pigmentate secondarie realizzatesi sul focolaio primitivo del dorso dell’avambraccio, peraltro solo dopo l’avvenuta metastatizzazione viscera- le epatica e surrenalica) come già espresso in precedenza, onde la sua scarsa rilevanza pratica ascrivibile, in questo caso, alla fattispecie considerata, ai fini della sopravvivenza.

Conclusioni

Aspetti generali riguardanti la verifica di una presunta responsabilità professionale medica Circa gli eventuali parametri di giudizio invocabili per stabilire la correttezza metodologica, e col- legabili alla condotta tenuta da sanitari, in merito alla verifica di una specifica fattispecie di ipote- tico errore, evidenziabile nell’ambito dell’approccio ad uno specifico problema clinico, e, quindi, degli atti medici compiuti, è possibile definire come malattie iatrogeniche, come dice appunto il Gaglio, “tutti gli eventi dannosi causati dall’intervento del medico”, tanto sotto il profilo preventi- vo che diagnostico o terapeutico”.

Tale formulazione non tiene, comunque, nel dovuto conto che eventi dannosi per il malato pos- sono indifferentemente derivare oltre che da errori di tipo commissivo anche e, soprattutto, in molti casi, dall’aver omesso erroneamente interventi o atti tali da poter ottenere, viceversa, i mi- gliori risultati auspicabili in base alle attuali conoscenze scientifiche in materia.

A tal proposito vale la pena di ricordare che per protocollo si intende, alla lettera, “il frutto del- la volontà collettiva della comunità scientifica, di applicare l’arte medica in modo adeguato e ag- giornato” per i tempi che corrono, per cui la necessità, o meglio l’esigenza, della protocollarità di un atto medico o di un intervento, quale ossequio alle migliori metodologie attuabili in una singola fattispecie, è da ritenersi immutabile in qualsiasi epoca e un principio quindi indifferibile nel tem- po.

Relativamente alla possibilità di valutare l’atto medico in rapporto alla qualità del comporta- mento tenuto, in una specifica occasione, onde poter desumere determinate tipologie di errore, e- nucleabili in una singola fattispecie, è verosimile parlare, più in generale, di iatrogenesi, riferen- dosi, in particolare e distintamente a due diversi gruppi di circostanze classificabili nel modo se- guente:

(13)

1. condizioni morbose sopraggiunte secondariamente, a seguito di procedimenti diagnostici e/o terapeutici, in grado di sovrapporsi ad un quadro iniziale di partenza, ossia ad una malat- tia spontanea con una sua precisa fisionomia ed evoluzione, autentica storia naturale della stessa, il cui decorso appare stravolto, per la comparsa di nuove manifestazioni cliniche appa- rentemente indipendenti dal normale andamento della stessa, in larghissima parte prevedibile, anche nell’ambito delle sue presunte eccezioni;

2. conseguenze dannose, con aggravamento, esacerbazione dello stato morboso, persistenza in- definita ed evoluzione sfavorevole della sintomatologia esistente, fino anche all’exitus, non preventivabile né giustificabile in base alla storia naturale della malattia in corso, suscet- tibile di adeguato trattamento terapeutico e di miglioramento della fase clinica manifestatasi, se non proprio di remissione clinica completa e anche di guarigione, in rapporto all’intempestivo o mancato riconoscimento, omissivo, dello stato patologico in atto, ovvero dell’errore diagnostico, da cui derivano, in definitiva, gravi complicazioni o, comunque esiti sfavorevoli.

Ai fini della dimostrazione del nesso di causalità materiale fra l’atto medico-chirurgico e le e- ventuali complicanze derivanti è indispensabile che vengano soddisfatti almeno tre criteri, e cioè:

• insorgenza della complicanza, ovvero dell’evento dannoso, in ordine cronologico conseguen- ziale e in tempi compatibili, epicriticamente, con l’atto medico in giudicato, ossia ad esso rap- portabile eziopatogeneticamente;

• tipo di risposta, ossia, manifestazioni cliniche, confacenti e usuali, in base a criteri modali, qua- litativi e quantitativi ben noti e probabilisticamente ben accertabili, in rapporto ai dati classi- camente riportati nella letteratura medica del settore;

• tipo di reazione e manifestazione non imputabile, oggettivamente e razionalmente, alle comuni caratteristiche dello stato clinico del paziente, nell’ambito della storiografia naturale tracciabile della malattia in essere.

Vanno altresì adottati, ai fini della valutazione di merito, idonei criteri anatomici, ovvero topo- grafici o di sede, e anche batteriologici, trattandosi di infezioni incautamente e colposamente pro- vocate, in grado di supportare efficacemente le tesi di supposta responsabilità professionale, nel senso di suffragare adeguatamente le prove indicative dell’esistenza della colpa sulla base dei fatti obiettivamente accertati, non in contrasto con i presupposti e le localizzazioni di partenza, né anti- tetici in rapporto al principio della continuità fenomenologica, prevalentemente invocata per la ri- cerca della cosiddetta “sindrome a ponte”.

Circa la genesi delle cosiddette malattie iatrogeniche, schematizzando è possibile distinguere, prescindendo da ogni possibile forma di dolo, diverse fattispecie colpose, così succintamente e- lencabili:

1. mancanza di formazione specifica nella disciplina medica di cui trattasi;

2. carenza di informazione o disinformazione sul particolare quadro morboso, di precisa perti- nenza specialistica, in atto;

3. trattandosi di specialisti della disciplina medica in parola, scarsa e poco aggiornata conoscenza di idonei protocolli diagnostici e terapeutici, di indicazioni o controindicazioni a trattamenti, ovvero errata classificazione o stadiazione della malattia in atto o di corretta diagnosi del ge- nus patologico ma formulazione sbagliata della diagnosi di origine, in senso topografico, del fenomeno;

(14)

4. carenza di cultura medica generale e di conoscenza epidemiologica dei fenomeni patologici più ricorrenti, di raccolta anamnestica adeguata, con erronea sottovalutazione di determinati sintomi clinici, da reputarsi cardine delle manifestazioni morbose in atto, e con sopravvaluta- zione di altri meno importanti o di errata collocazione degli stessi nell’ambito di malattie di diverso ordine ed eziologia;

5. erroneo o incompleto indirizzo degli esami diagnostici strumentali in rapporto alle patologie ipotizzabili nelle singole fattispecie, erronea interpretazione delle indagini strumentali esperi- te, sottovalutazione delle risultanze delle stesse, mancata prescrizione di ulteriori accertamenti diagnostici utili alla risoluzione del problema di cui trattasi, quindi, accettazione acritica e pas- siva delle refertazioni, molto spesso incomplete e talora incongrue e aspecifiche, relative agli esami diagnostici richiesti, scarsa capacità decisionale e carenza di capacità di revisione critica globale in rapporto al ragionamento clinico da sostenersi, in base agli elementi obiettivi di giudizio, anamnestici e diagnostici a disposizione, in definitiva, completa soggezione alle in- dicazioni diagnostiche, dunque, frequentemente molto ipotetiche e teoriche, emerse attraverso le indagini strumentali esperite, cui viene, incautamente, demandato, in toto, il compito di di- rimere il quesito diagnostico di competenza;

6. omologazione culturale in rapporto alle diagnosi eventualmente formulate, in precedenza, e il cui contenuto non viene adeguatamente vagliato nella forma e nella sostanza, per cui il giudi- zio di merito risente troppo dell’atmosfera di tendenze e di opinioni invalse fra la maggioranza dei sanitari, che governano genericamente e non sempre correttamente le esperienze cliniche generali, con scarsa attitudine a rivisitare in modo rigoroso e razionale taluni pregiudizi di fondo esistenti che possono talora minare pesantemente le strategie diagnostico-terapeutiche attuabili nell’occorrenza;

7. impiego gravemente imperito e negligente dello strumentario diagnostico disponibile, anche per una scorretta esecuzione tecnica delle indagini strumentali prescritte, talora anche poco in- dicate alle necessità del caso, con la possibilità di errori anche piuttosto grossolani, per esami talvolta molto indaginosi, ciò che comporta spesso lesioni anche molto gravi o la morte del paziente, ad es., per reazioni idiosincrasiche, allergico-immunologiche, con shock anafilattico ed exitus, reazioni locali infiammatorie, infezioni nella sede di partenza capaci, talora, di scon- finare in tutto l’organismo, shock settico, embolizzazione da m.d.c., lesioni del viscere interes- sato, ecc., ovvero,

8. errori interpretativi o esecutivi nell’ambito delle indagini diagnostiche esperite, da parte dei sanitari a ciò adibiti, per cattivo utilizzo del materiale o dei reagenti a disposizione, scarsa co- noscenza dei requisiti tecnici dei macchinari disponibili, carenza di informazioni specifiche ri- guardo alla tecnica adottata, erronea chiave di lettura dei risultati ottenuti, criteriologia meto- dologica inadeguata, materiale utilizzato scaduto o avariato, insufficiente e poco puntuale e ri- gorosa descrizione degli elementi discriminanti di giudizio a disposizione, quantità di materia- le biologico da testare inidoneo alla ricerca da effettuare, refertazioni molto incomplete con mancata o scorretta indicazione delle caratteristiche morfostrutturali dei parametri essenziali da valutare, deduzioni diagnostiche carenti o assenti o erronee, anche con uso improprio di termini tecnici tale da ingenerare confusione e sviare l’adeguato apprezzamento diagnostico degli utenti medici prescrittori;

9. nell’ambito delle attività chirurgiche, errori tecnici di esecuzione degli interventi, o, al contra- rio, omissione di atti chirurgici necessari, errata indicazione degli stessi, in quanto meglio so- stituibili con terapie mediche, o ritardo nella loro applicazione, uso di tecniche poco aggiorna- te o, al contrario, eccessivamente di avanguardia e non opportunamente sperimentate nella pratica clinica corrente, atteggiamento eccessivamente spregiudicato con effettuazione di in- terventi inefficacemente demolitivi, carenza o assenza di consenso informato conseguente,

(15)

correzione di anomalie non indirizzate alla risoluzione del problema clinico proposto e, quindi, indifferenti ai fini del miglioramento della sintomatologia clinica in atto, scarsa strategia, al di fuori delle urgenze, di programmazione degli interventi stessi, in assenza di opportune indagi- ni diagnostiche strumentali di rito, adeguate e mirate, atte a svelare preventivamente la reale natura delle patologie in essere, con applicazione di protocolli di intervento non idonei alla so- luzione del caso clinico, e resezione inutile, per difetto di informazione specifica, di parti ana- tomiche suscettibili di essere risparmiate, incongruo utilizzo, in definitiva, dell’atto chirurgico, non protocollare, talora a fini puramente diagnostici, e in ultima analisi, pregiudizio del buon esito dei trattamenti attuabili nelle singole fattispecie;

10. prescrizioni spesso inopportune di farmaci, il più delle volte poco o affatto efficaci, capaci pe- rò di scatenare violente reazioni immuno-allergiche idiosincrasiche, con shock anafilattico se- condario e frequente exitus del paziente, ampiamente sostituibili con altre terapie mediche molto più adeguate e assai meno pericolose, nella stragrande maggioranza dei casi, ovvero somministrazione di m.d.c. per effettuare accertamenti radiodiagnostici, opportuni o non, sen- za un’adeguata raccolta di utili dati anamnestici finalizzati all’individuazione di una eventuale diatesi allergica o di pregresse reazioni avverse dello stesso genere, con eguali possibili rischi e tragiche conseguenze preventivabili per il paziente, in assenza di tempestiva esecuzione pre- cauzionale di idonei tests radioimmunologici in grado di valutare la sensibilità individuale a tali sostanze allergizzanti da utilizzare.

Nell’ambito dell’esercizio della pratica medica oncologica gli errori più ricorrenti riguardano, nell’ordine:

• uso non protocollare degli accertamenti diagnostici da effettuare, routinariamente, nelle singole fattispecie tumorali verificabili, sia a fini puramente diagnostici, relativi alla precisa- zione dell’oncotipo riscontrato, autentica tipizzazione neoplastica istopatologica, sia ai fini del- la stadiazione clinica, ossia della valutazione dell’estensione della neoplasia solida nella regio- ne coinvolta o la eventuale diffusione sistemica della malattia stessa, in modo da po- ter successivamente precisare il protocollo terapeutico meglio attuabile nella circostanza;

• omessa diagnosi precoce della specifica neoplasia, più o meno localmente avanzata, in atto, talvolta con erronea indicazione dell’oncotipo neoplastico e, quindi, dell’organo o degli organi eventualmente coinvolti, sospetto diagnostico errato, indirizzato verso un diverso quadro mor- boso tumorale diverso da quello realizzatosi, scarsa valutazione o sottovalutazione degli ele- menti anamnestici, clinici e diagnostici, a disposizione, il tutto spesso ingenerato da formula- zioni diagnostiche istopatologiche errate o incomplete, ovvero non ben puntualizzate, che con- tribuiscono a depistare le indagini strumentali esperibili, in assenza di un adeguato apprezza- mento valutativo delle manifestazioni cliniche pregresse o in atto;

• inopportuna astensione dal trattamento chirurgico di neoplasie solide suscettibili di rese- zione chirurgica radicale, magari previa chemio e/o radioterapia neoadiuvante, in grado di ri- durre le dimensioni iniziali del tumore e consentire ugualmente l’intervento chirurgico con fi- nalità radicale, per erronea stadiazione clinica o valutazione globale troppo rigida in rapporto all’evoluzione della malattia neoplastica in atto, in considerazione, magari, delle condizioni cliniche generali del paziente ritenute inopportunamente scadenti, per cui in presenza, ad es., di false positività per metastatizzazione precoce, si ritiene, in modo inidoneo, di non dover pro- cedere al possibile intervento chirurgico di elezione, presumendo, erroneamente che la neopla- sia sia inoperabile, mentre l’atto chirurgico, per definizione, in questi casi, rappresenterebbe la terapia di elezione, in grado di garantire buone possibilità di guarigione clinica del caso in spe- cie;

(16)

• incongruo trattamento chemio o radioterapico, di tipo adiuvante, successivo alla terapia chirurgica di neoplasie solide, o, come nel caso dei tumori della tiroide, radioterapia metabolica con iodio radiomarcato, sempre di tipo adiuvante, non protocollare, in base allo stadio molto i- niziale della malattia tumorale in atto, per cui la terapia medica adottata nella circostanza si ri- vela eccessiva e inutile, oltre che spesso dannosa, ossia fonte di malattie iatrogene assoluta- mente evitabili, in base alle necessità previste dal caso in essere; dello stesso tenore, se non peggiore, si rivela la circostanza secondo la quale, sulla base di esami strumentali radiodiagno- stici o scintigrafici, venga erroneamente considerata la probabile o verosimile presenza di ripe- tizioni secondarie metastatiche ossee, polmonari o epatiche, o anche peritoneali, nel caso di ne- oplasie dell’apparato digerente, o di altro genere, diagnosi avventate e non adeguatamente con- fortate da altri dati obiettivi clinici o di laboratorio, ad es., elevazione dei markers tumorali o della calcemia e della fosfatasi alcalina, in presenza di tumori, di partenza, di stadio, di grading e di estensione estremamente bassi, tali da non suffragare adeguatamente questa ipotesi, al pun- to da farla considerare estremamente improbabile se non proprio scientificamente impossibile da dimostrare, che pur tuttavia comportano ancora inopportuni trattamenti radio e/o chemiote- rapici, con ovvi rischi iatrogeni secondari, fermo restando che la gran parte delle neoplasie so- lide si rivela suscettibile ancora di trattamento terapeutico solo in caso di recidiva loco- regionale, indicativa di iniziale e ancora correggibile sconfinamento limitato delle stesse, o di unica metastatizzazione secondaria in organi a distanza quali, ad es., il fegato e il cervello (tu- mori del retto e della mammella), mentre sono da ritenersi praticamente incurabili in caso di metastatizzazioni diffuse ad organi ed apparati, anche contigui, onde la necessità ragionevole il più delle volte di astenersi da alcun altro tipo di trattamento ipotizzabile;

• errata diagnosi di neoplasia maligna su lesioni o linfadenopatie assolutamente benigne sia istologicamente che clinicamente, o per sintomatologia di vario genere, come ad es., ver- samenti in cavità sierose, di diversa origine e natura, addirittura, talvolta, per manifestazioni cliniche non solo di natura non neoplastica ma perfino di tipo reattivo-infiammatorio e/o fun- zionale, suscettibili spesso di blande terapie mediche sintomatiche o di supporto, con prescri- zione e somministrazione di inopportuni trattamenti terapeutici come quelli indicati succinta- mente nel punto precedente; contribuiscono non poco ad ingenerare questo tipo di errore anche le risultanze, discordanti, di accertamenti di tipo radiodiagnostico, prescritti ad altri fini, per avvalorare indizi clinici diversi, che occasionalmente mettono in evidenza la presenza di lesioni nodulari indifferenti rispetto ai sintomi di partenza accusati dal paziente, il più delle volte isto- logicamente benigne o facenti parte di patologie, ben stabilizzate, sempre di tipo reattivo in- fiammatorio neoformativo, di alcun significato clinico ai fini della ricerca in atto, salvo il raro caso di vere neoplasie maligne, caratteristiche individuabili radiologicamente, meno ecografi- camente, casualmente, fortunatamente e, comunque, opportunamente all’uopo individuate;

• ritardo diagnostico nell’ambito del quadro sintomatologico di manifesta malattia neopla- stica in atto, pienamente suscettibile, molto spesso, di adeguato trattamento protocollare chi- rurgico, radio o polichemioterapico, per errata diagnosi differenziale con malattie non neopla- stiche, mancato apprezzamento di manifestazioni cliniche, apparentemente molto evocatrici, nella fattispecie, scarsa o inesistente conoscenza delle caratteristiche cliniche di esordio della malattia esistente, omissione nella prescrizione ed esecuzione di accertamenti radiodiagnostici o di altro genere, anche invasivi, ad es., di tipo bioptico o esplorativi chirurgici, assolutamente indispensabili ai fini di una diagnosi precoce, con netta conseguente compromissione della tempestività e del buon esito delle terapie attuabili;

• incongruo trattamento terapeutico medico, radio o chemioterapico, anche nell’ambito dei protocolli di cura previsti, con possibili effetti, anche a distanza di tempo, dovuti a lesioni considerevoli di organi bersaglio che si possono tradurre in sindromi, ad es., nefrotossiche,

(17)

mielotossiche o cardiotossiche assai spesso gravi e invalidanti, o in lesioni importanti di strut- ture vascolonervose, sede, spesso di pericolose manifestazioni morbose secondarie, gravate, pe- raltro, da alta mortalità, dando successivamente luogo a patologie concomitanti, quali insuffi- cienza renale cronica, scompenso cardiaco congestizio, aplasia midollare scarsamente suscetti- bile a qualsiasi trattamento sostitutivo, come i trapianti di midollo allogenico, che comportano, poi, il decesso del paziente per complicanze intervenute incidentalmente, peraltro sovente lar- gamente prevedibili ed evitabili, dovute, essenzialmente alla scorretta applicazione tecnica di terapie pur valide, somministrate in modo errato o troppo energico, in base anche al “perfor- mance status” del paziente, e, dunque, non in rapporto con la patologia neoplastica di base ma di puro carattere iatrogenico; a tal proposito, di particolare valore appare anche il caso dell’applicazione, peraltro inutile ed inopportuna, di protocolli terapeutici abbondantemente superati, in quanto le terapie vanno aggiornate periodicamente, in base allo stadio e alla presen- tazione clinica della malattia neoplastica, soprattutto in rapporto a stadi inizialissimi del tumore che, una volta resecati, con terapia chirurgica conservativa, non traggono effettivamente alcun giovamento da nessun’altra terapia medica o chirurgica di supporto, di carattere adiuvante che- mio o radioterapico od anche ormonale, in quest’ultimo caso, tanto di carattere aggiuntivo che privativo, inutilmente e, spesso, purtroppo, dannosamente, somministrate;

• mancata o scorretta verifica e rivalutazione dei risultati terapeutici di casi specifici, a di- stanza di tempo, dopo sostituzione o parziale integrazione, con terapie mediche, pur pro- tocollari, di terapie chirurgiche radicali convenzionali, casi in cui non è stata ottenuta obiet- tivamente, dopo controllo clinico o radiodiagnostico, la desiderata remissione clinica completa, con persistenza residuale di tessuto neoplastico e successiva omissione di ulteriori trattamenti chirurgici o chemioterapici di salvataggio, utili al buon esito delle cure in atto, anche per erro- nea valutazione di inemendabilità della patologia tumorale in essere, con conseguente grave compromissione delle residue possibilità di guarigione della malattiastessa;

• inesatta interpretazione di elementi clinici di diversa origine, emersi a distanza di tempo, incidentalmente, per sintomi dovuti a differenti patologie eziologicamente non collegabili alla prima diagnosi di tumore, e/o di artefatti derivati da accertamenti diagnostici di con- trollo ripetuti nel tempo, spesso inutilmente, scorrettamente collegati patogeneticamente alla storia naturale della neoplasia pregressa patita, accostati, quindi, in modo inopportuno e biolo- gicamente da ritenersi, a rigor di logica, assai poco plausibili e fondati, per cui vengono incon- gruamente prescritti accertamenti diagnostici ripetuti nel tempo, atti a seguire l’andamento cli- nico delle presunte ripetizioni secondarie metastatizzanti prodottesi, o istaurate terapie spesso aggressive di tipo medico o anche demolitive di tipo chirurgico, con possibilità di danni iatro- geni consistenti in organi e apparati bersaglio, spesso vitali; tali sono da reputarsi le neoplasie che sembrano perdurare, in modo da ritenersi del tutto eccezionale, per non dire addirittura stupefacente, superando abbondantemente i limiti previsti di sopravvivenza, in base a tutti i dati di letteratura disponibili, riferiti a quella specifica forma tumorale oncotipica, oppure che anche potendo teoricamente manifestarsi a notevole distanza di tempo, non hanno avuto o hanno co- nosciuto solo brevi periodi di fase di intervallo libero da malattia, come i tumori della mammel- la, non esaurendo, però, presuntivamente, ma molto opinabilmente, la loro storia clinica entro i limiti massimi di tempo biologicamente prevedibili, trattandosi di malattie neoplastiche avan- zate, per cui ad una verifica rigorosa si riesce effettivamente a dedurre che sono stati commessi errori diagnostici in tal senso; ma tali sono, soprattutto quei tumori solidi che, avendo già supe- rato i limiti convenzionali previsti per il follow up, prevalentemente di 5 anni, ed essendosi spesso manifestati negli stadi più bassi o, addirittura inizialissimi, sono da ritenersi, a tutti gli effetti, clinicamente e chirurgicamente guariti, essendosi giovati di interventi chirurgici effica- cemente radicali e al punto da non essere praticamente più suscettibili di alcuna ripresa, loco-

(18)

regionale o a distanza, della malattia.

Aspetti salienti riguardanti la verifica di una presunta responsabilità professionale medica in caso di melanomi maligni cutanei e riferibili anche a situazioni specifiche

Nel caso dei melanomi maligni la valutazione medico-legale, relativamente al problema di una presunta responsabilità professionale, può riguardare, più frequentemente, nell’ordine:

1. a livello diagnostico, la mancata o ritardata biopsia precoce di una sospetta lesione pig- mentata, biopsia di tipo preferibilmente escissionale più che incisionale, includente tutti gli strati dell’epidermide, in modo tale da poter da subito effettuare un microstaging della lesione, le cui caratteristiche macroscopiche, evocative di eventuale malignità sono, notoriamente, iper- cromia ovvero, variazione cromatica della lesione, margini non netti e, quindi, alquanto indi- stinguibili, alternanza di zone più chiare e altre più scure, all’interno della neoformazione, a- spetti giunzionali per una lesione che si palesa piatta o leggermente rilevata, fototipo con car- nagione chiara, capelli rossicci, occhi azzurri, manifestazioni subiettive tipo prurito, perestesie, modica dolenzia o segni oggettivi, come ulcerazioni spontanee, sanguinamenti, satellitosi peri- lesionale, linfoadenopatia loco-regionale, aumento volumetrico improvviso, ecc.; rarissimo è il caso della presenza di metastatizzazioni secondarie, epatiche o di altro genere, in assenza di le- sione primitiva, cosiddetto melanoma amelanotico; buoni risultati sono attualmente ottenibili attraverso un’analisi della lesione sospetta con il microscopio ad epiluminescenza, per una dia- gnosi precoce di una neoformazione ipercromica dubbia; debbono altresì destare attenzione chiazze ipercromiche persistenti delle mucose e semimucose o del viso, per una sospetta lenti- go maligna, a lenta evoluzione ma capace di approfondirsi, con accrescimento verticale, se tra- scurata e non tempestivamente eliminata, come pure meritano la massima cautela nevi piani e ipercromici plantari e subungueali; in casi appena dubbi la lesione pigmentata andrebbe co- munque asportata e analizzata;

2. una volta formulata correttamente la diagnosi di MM cutaneo, la stadiazione clinica ed ana- tomopatologica correttamente eseguite, specie la seconda, con definizione, in particolare, se- condo il modello di Breslow dello spessore misurato attraverso uno speciale micrometro ocula- re, e anche secondo quello di Clark per acquisire il livello di invasione cutanea della neoplasia, capace di approfondirsi, attraverso l’epidermide, fino al derma, papillare e reticolare, e fino al grasso sottocutaneo, essendo estremamente importante esprimere un preciso giudizio valutativo su alcuni fondamentali parametri che riguardano, in primis, la sede, relativamente ai territori BANS ed extra BANS, così come considerati, in precedenza, il T, in rapporto allo spessore di Breslow e dei livelli di Clark, l’N in relazione alla presenza di satellitosi perilesionale, metasta- si dermiche in contiguità, le eventuali metastasi in transit, anche in assenza di apparenti ripeti- zioni linfonodali loco-regionali, la diffusione secondaria linfonodale nelle stazioni linfatiche satelliti o in quelle a distanza, e infine l’M che possono essere opportunamente ricercate con l’ausilio indispensabile di opportune metodiche radiodiagnostiche, quali la T.C. con m.d.c., ca- pace di rilevare precocemente localizzazioni secondarie, polmonari, epatiche, linfonodali e ce- rebrali, queste ultime meglio individuabili attraverso la R.M.N., assai utile anche per la ricerca di eventuali foci metastatici endorachidei; in pratica la stadiazione unicamente clinica si rivela oltremodo fallace da sola, in grado solo ipoteticamente e con molta approssimazione di stan- dardizzare e precisare correttamente, il reale livello di coinvolgimento di N, se o meno rilevabi- le palpatoriamente, assai utile comunque per poter poi operare, adeguatamente e in modo mira- to, una ricerca sistematica di eventuali linfoadenopatie secondarie, attraverso l’esecuzione di una linfadenectomia selettiva di eventuali stazioni linfonodali risultate positive obiettivamente,

Riferimenti

Documenti correlati

A phase III Randomized, Double Blind, Placebo-Controlled Study of Pembrolizumab (MK-3475) in Combination with Epacadostat or Placebo in subjects with unresectable or

“malasanità” che anziché incentrare le proprie denunce sulla cattiva gestione delle risorse umane, economiche e delle strutture, vera causa delle pesanti, negative

Nel richiamare la differenza fra una situazione di urgenza (che richiede priorità programmabile) e quella di emergenza (che invece richiede una immediata

Anzi, a ben vedere, l’odontoiatria è forse una delle branche specialistiche più esposte: vuoi perché il paziente ha alte aspettative anche di tipo estetico,

Ebbene, se si legge la clausola che definisce l’oggetto generale della garanzia assicurativa, quella sopra riportata per esteso, ci si rende conto che la

3 del 1957 (valevoli per gli impiegati civili dello Stato), per le quali il dipendente (e quindi anche il medico) rispondono all’Ente dei danni cagionati ad

Così al monitoraggio dei rischi e degli eventi avversi nelle strutture sanitarie, seguirà la raccolta e la fruizione dei dati a livello regionale e nazionale che consentirà

La maggiore disponibilità di nuovi farmaci ha portato a un aumento della complessità della gestione dei pazienti affetti da NSCLC in stadio localmente avanzato o metastatico, sia