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Quartiere Scampia: l’integrazione dell’illegalità

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Academic year: 2022

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Caritas Italiana – La città abbandonata: dove sono e come cambiano le periferie italiane – Il Mulino, Bologna 2007

NAPOLI

Quartiere Scampia: l’integrazione dell’illegalità

Nato come quartiere modello, Scampia, nei fatti, diviene ben presto sinonimo di degrado e criminalità. Il suo declino inesorabile – da quartiere-giardino a ghetto – è simboleggiato dal fallimento delle ormai famose Vele, unità abitative dalla concezione razionalista che avrebbero dovuto replicare la solidarietà del rione e che sono, invece, divenuti la tragica icona di abusivismo, (i dati ufficiali indicano 44.000 abitanti ma sono smentiti dagli operatori che calcolano almeno 70.000 persone nel quartiere), illegalità, disagio e povertà.

Le cause di questa deriva sono molteplici: l’incapacità dei governi locali di condurre in porto il progetto e di dotare il quartiere di servizi e infrastrutture; l’arrivo dei terremotati dell’80 che sconvolgono graduatorie e incrementano disagi e marginalità; la scarsissima connessione con la città e la poca mobilità.

Suddiviso in 21 lotti identificati con le lettere dell'alfabeto, isole di cemento divise da ampi assi viari, senza spazi comuni accessibili e sicuri, l’impersonalità urbanistica corrode la socialità: Scampia appare un quartiere frantumato, spersonalizzato, percepito dagli stessi residenti come desolato, respingente, ma soprattutto pericoloso. Abbandonato dalle istituzioni, esso è divenuto ben presto terra di conquista dei clan camorristici che, con il traffico di droga, hanno costruito un impero criminale in cui troppo facilmente, per l’assenza di alternative, molti abitanti rischiano di cadere. Area ad altissimo rischio di riproduzione della criminalità organizzata, sotto costante e onnipresente della camorra, l’unica in grado di garantire ordine e stabilità, il quartiere, chiuso e distante dalla città, è invece connesso con i circuiti criminali globali legati al narcotraffico.

Ad oggi, gli interventi sul quartiere sono stati di contrasto ai clan oppure di ristrutturazione di alcuni edifici. Si ipotizza la rilocalizzazione di funzioni terziarie che porterebbe alla stabilizzazione e "normalizzazione" del tessuto sociale di Scampia attraverso nuove popolazioni. Queste due azioni sono però destinate a fallire qualora si trascura il fatto che occorre ricostruire un tessuto sociale debole.

Nonostante la presenza di un buon numero di associazioni sociali e del mondo ecclesiale (diverse parrocchie e un Centro d’Ascolto portato avanti da un piccola comunità di suore molto inserite e a conoscenza dei problemi), il ruolo prezioso delle scuole pubbliche (veri e propri presidi che lavorano per sopperire al deficit culturale dei ragazzi e per costruire un minimo senso della cittadinanza), gli interventi appaiono deboli e incapaci di incidere in maniera significativa sul contesto. Sfidando la cultura dominante che intreccia illegalità, chiusura difensiva negli affari privati, dipendenza e rapporti personalistici nei confronti dell’ente pubblico, queste presenze sono contagiate dalla sfiducia profonda e tra loro spesso divise per la conquista dei pochi finanziamenti.

Tutto ciò non sembra incidere sulla situazione e contribuire a risolvere i gravi problemi sociali e strutturali interni (in primis il lavoro); a ricostruire reti e rapporti basati sulla fiducia; a sganciare Scampia dalle reti criminali globali per collegarla ad altri contesti ( in primis alla sua città) capaci di generare ben altra ricchezza.

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