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Academic year: 2022

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Archivio

3/2007

(2)

Tecniche Ethernet su rame per il backhauling di DSLAM

ANDREABONELLI

FABIOLAURENTI

ROBERTOMERCINELLI

L’articolo fornisce una breve panoramica delle tecniche di trasmissione su rame che appartengono alla categoria dei sistemi xDSL simmetrici; in parti- colare viene focalizzata l’analisi sulle opportunità offerte dall’ultima genera- zione di tali sistemi che va sotto il nome di SHDSL. Per i sistemi SHDSL è stata rilasciata da alcuni anni in via definitiva la raccomandazione ITU-T (G.992.1) che ne definisce le caratteristiche e le funzionalità. Sono state inoltre definite diverse tecniche di bonding (affasciamento di più flussi fisici in un unico flusso logico) che consentono di concepire interessanti appli- cazioni in campo. Tali sistemi, infatti, tradizionalmente impiegati per fornire i classici servizi di Circuito Diretto Numerico (CDN), possono realizzare una valida alternativa alle soluzioni trasmissive oggi impiegate per il collegamen- to di DSLAM remoti nei contesti territoriali dove non è conveniente la posa di un’infrastruttura in fibra, consentendo pertanto di estendere la copertura dei servizi broadband (progetto Anti Digital Divide) con soluzioni innovative in linea con l’evoluzione delle piattaforme broadband DSLAM.

1. Introduzione

I sistemi di trasmissione in rame per realizzare il backhauling di DSLAM (Digital Subscriber Line Access Multiplexer) appartengono alla categoria di sistemi xDSL simmetrici, il cui capostipite è il sistema HDSL (High bit-rate Digital Subscriber Line), per il quale la prima specifica risale al 1992 ad opera dell’ANSI T1E1.4.

In particolare, si era individuata come applica- zione il supporto al trasporto di flussi numerici alla velocità di 1544 kbit/s (T1), individuando maggior efficienza nei tempi e benefici nei costi di provisio- ning. La soluzione definitiva prevedeva l’utilizzo di due coppie per una trasmissione simmetrica full duplex con cancellazione dell’eco alla velocità di 784 kbit/s. La portata nominale di un sistema a due coppie è di circa 2.5 km; delle due opzioni per il

codice di linea originariamente previste 2B1Q e CAP (Carrierless Amplitude-Phase modulation) la prima e quella che è risultata con il maggior suc- cesso commerciale.

In Europa si è iniziato il dispiegamento in rete di HDSL intorno alla metà degli anni ’90, sviluppando soluzioni stand alone, che hanno via via arrestato e praticamente sostituito, dall’inizio del 2002, lo svi- luppo di accessi su rame per servizi ad utenza affari fino a 2 Mbit/s eseguito tradizionalmente con sistemi trasmissivi di tipo HDB3.

Sul finire del decennio scorso l’ETSI TM6, su richiesta degli Operatori che richiedevano la defini- zione di un sistema simmetrico multirate capace di sostenere bit-rate fino a circa 2.3 Mbit/s, ha defi- nito la specifica SDSL (TS 101 524 1.2.1, Single pair Digital Subscriber Line), meglio nota e recepita in ITU-T come G.991.2 (G.SHDSL).

TECNOLOGIE

(3)

La tecnologia di transceiver, su cui il sistema di linea SHDSL si basa, utilizza una codifica di l i n e a c o n c e t t u a l m e n t e d e r i v a t a d a q u e l l a dell’HDSL. La scelta è stata dettata dall’esigenza di adottare una soluzione a minima invasività spettrale verso ADSL, pur mantenendo obiettivi di prestazioni long range ed in linea con quelle di HDSL. Per raggiungere questi obiettivi di portata, è stato necessario prevedere una codifica di linea (trellis code) non presente sul sistema HDSL. I bit rate possibili variano fra 200 kbit/s e 2320 kbit/s, a passi di 64 kbit/s, su singola coppia di rame. Le portate raggiungibili, anch’esse funzione della velocità di linea, variano tra circa due chilometri e oltre 4.5 chilometri; inoltre è possibile sfruttare l’SHDSL per effettuare bonding multicoppia (N>2), al fine di garantire l’offerta di servizi di connetti- vità sulla rete in rame anche oltre i 2 Mbit/s, tipi- camente fra 4 e circa 10 Mbit/s.

In Italia, attualmente, la tecnologia SHDSL sta sostituendo l’HDSL (a metà 2006 più di 100mila sistemi di linea SHDSL risultavano attivi) sia nel caso dei sistemi punto-punto (servizi a 2 Mbit/s), sia nel caso di sistemi attestati direttamente ai DSLAM ATM.

Recentemente i sistemi simmetrici in rame stanno trovando delle interessanti applicazioni tese non solo a soddisfare le esigenze dell’utenza affari, ma anche ad offrire l’opportunità di realizzare, a basso costo, l’interconnessione di DSLAM remoti in zone non raggiunte dall’infrastruttura in fibra ottica, consentendo quindi di raggiungere anche in tali zone la clientela residenziale con i servizi BroadBand (progetto Anti-Digital Divide).

2. Lo standard SHDSL.bis

Lo standard SHDSL.bis costituisce l’ultimo aggior- namento della raccoman- d a z i o n e I T U - T G . 9 9 2 . 1

“ S i n g l e - P a i r H i g h - S p e e d D i g i t a l S u b s c r i b e r L i n e ( S H D S L ) t r a n s c e i v e r s ” , nella quale sono stati inse- r i t i a l c u n i a n n e s s i c h e e s p a n d o n o l e p r i m e v e r - s i o n i d e l l a r a c c o m a n d a - zione, in particolare (Annex F) è prevista la possibilità di adottare sia la modalità di funzionamento TC-PAM ( Tr e l l i s C o d e d - P u l s e Amplitude Modulation) a 16 livelli che consente bit rate massimo per singola cop- p i a f i n o a 3 8 4 0 k b i t / s (quindi oltre i 2312 kbit/s previsti originariamente), sia TC-PAM a 32 livelli con u n b i t r a t e m a s s i m o d i 5 6 9 6 k b i t / s . L a f i g u r a 1 mostra una stima delle pre-

stazioni ottenibili con tali sistemi su una singola coppia: come si può vedere i sistemi TC-PAM 32 hanno, confrontati con i sistemi TC-PAM 16, una portata inferiore a parità di bit rate, ma consen- tono, su collegamenti particolarmente brevi (infe- riori a 1 km), di realizzare link a maggiore velocità con un singolo sistema trasmissivo.

Negli ultimi anni il mondo delle telecomunica- zioni si è sempre più orientato verso una conver- genza delle tecniche di trasporto IP based e di c o n s e g u e n z a a n c h e l e t e c n i c h e x D S L h a n n o dovuto far fronte alla crescente esigenza di tra- sportare in modo efficiente (con il minor overhead possibile) traffico nativo a pacchetti (in particolare Ethernet).

Tale esigenza è stata interpretata per la prima volta in ambito IEEE 802.3ah (Ethernet in the First Mile) con particolare riferimento all’SDSL e al VDSL. Dal canto suo l’ITU-T ha in una prima fase standardizzato il PTM (Packet Transport Mode), basato su HDLC (questa soluzione pre- v e d e u n O v e r h e a d d i p e n d e n t e d a l u n g h e z z a delle trame con la conseguenza di risultare poco efficiente per trame corte); successivamente l’ITU-T ha fatto proprio il metodo di incapsula- mento proposto in ambito IEEE 802.3ah (64/65 byte) e lo ha generalizzato per tutte le tecnologie xDSL: tale soluzione prevede un Overhead fisso (1 byte ogni 64 byte) e possiede meccanismi di pre-emption per il controllo della latenza: tale soluzione è ad oggi la più adottata, in quanto consente una migliore efficienza nel confronto con le altre tecniche.

5500

5000

4500

4000

3500

3000

2500

2000

1500

1000

0 512 1024 1536 2048 2560 3072 3584 Bit rate (kb/s)

Massima distanza (m)

4096 4608 5120 5632 500

TC PAM 16 > 2304 kb/s TC PAM 32

TC PAM 16 già utilizzato

TC PAM = Trellis Coded Pulse Amplitude Modulation

FIGURA 1

Stima delle prestazioni su singola coppia.

(4)

Nella tabella 1 e figura 2 è rappresentato sche- maticamente, in termini di pile OSI, un confronto tra le possibili tecniche di incapsulamento delle trame Ethernet adottabili nei sistemi SHDSL.

3. Le Tecniche di Bonding

Le cosiddette tecniche di bonding si prefiggono l’obiettivo di aggregare il traffico trasportabile su più link xDSL in un singolo link virtuale, in grado di offrire agli estremi del collegamento una banda equivalente alla somma dei singoli link. In funzione inoltre della tecnica di bonding utilizzata, la multi- plazione statistica associata a queste connessioni è in grado di fornire spesso un’efficienza maggiore rispetto a quella che si potrebbe ottenere utiliz- zando più link separati.

Queste tecniche trovano pertanto applicazione in tutti i casi in cui è necessaria un’elevata capacità trasmissiva tra due punti della rete connessi esclu- sivamente con cavi in rame.

Sono disponibili sia tecniche di bonding per accessi xDSL di tipo asimmetrico (ADSL, VDSL), sia per l’aggregazione di più link SHDSL.

N e l p re s e n t e a r t i c o l o vengono descritte le tecni- che di bonding basate sul- l’aggregazione di più link S H D S L a p p l i c a b i l i a l b a c k h a u l i n g d i D S L A M E t h e r n e t i n a re e D i g i t a l Divide.

Il bonding SHDSL può essere implementato utiliz- z a n d o d i v e r s e t e c n i c h e standardizzate e di seguito descritte:

Bonding a livello Fisico, c h e c o n s i s t e n e l r a g - gruppare insieme le velo- cità fisiche di un numero M d i l i n e e S H D S L , i n m o d o d a f o r n i re u n a connessione ad elevata l a rg h e z z a d i b a n d a . Questa tecnica ha il van- taggio di essere traspa- re n t e , i n q u a n t o c o n - sente il bonding dei link indipendentemente dal protocollo trasportato.

R i s u l t a , p e r ò re l a t i v a - mente poco flessibile nel modo in cui le singole l i n e e p o s s o n o e s s e re raggruppate ed è possi- bile aggregare solo fino a 4 link SHDSL.

Nella figura 3 viene ripor- t a t o l o s c h e m a d i u n transceiver nel caso di b o n d i n g f i s i c o s u d u e coppie.

Ethernet LLC/SNAP

AAL5 ATM ATM TPS-TC

PMS-TC

Transcelver

ATM TPS-TC Livello di adattamentoLivello fisico

PMS-TC

Transcelver

ATM TPS-TC

PMS-TC

Transcelver

Ethernet su ATM

HDLC based (PTM)

EFM 64/65 byte (ETM)

ATM EFM ETM HDLC LLC PMS-TC PTM SNAP TPS-TC

=

=

=

=

=

=

=

=

=

Asynchronous Transfer Mode Ethernet in the First Mile Ethernet Transpor t Mode High-level Data Link Control Logical Link Control

Physical Medium Spìecific-Transmission Convergence layer Packet Transfer Mode

Subnetwork Access Protocol

Transmission Protocol Specific-Transmission Convergence layer

FIGURA 2

Trame Ethernet nei sistemi SHDSL.

Metodo di incapsulamento

Efficienza con flusso di trame tutte uguali di 64 byte 1518 byte Ethernet su ATM

PTM – HDLC based EFM – 64/65 byte

64/106 –> 60%

64/70 –> 91%

64/65 –> 98.4%

1518/1696 –> 89.5%

1518/1524 –> 99.5%

1518/1542 –> 98.4%

ATM EFM HDLC PTM

=

=

=

=

Asynchronous Transfer Mode Ethernet in the First Mile High-level Data Link Control Packet Transpor t Mode

TABELLA 1

Confronto fra possibili tecniche di incapsulamento.

PMS-TC

TPS-TC

STU-R

Customer Inter face

Application Inter face

Application Specific

Application Specific Application

Invariant

Application Invariant

STU-C

TPS-TC

PMD

PMS-TC PMD PMD PMS-TC

PMD PMS-TC

STU-R STU-C PMD PMS-TC TPS-TC

=

=

=

=

=

SHDSL Transceiver Unit at the Remote end SHDSL Transceiver Unit at the Central office Physical Media Dependent

Physical Medium Specific-Transmission Converhence layer Transmission Protocol Specific-Transmission Convergence layer

FIGURA 3

Transceiver con bonding fisico su due coppie.

(5)

In questo caso, in corrispondenza del livello di adattamento della pila protocollare OSI, è stata sviluppata una versione speciale del livello TPS- TC che si occupa di mappare le informazioni di utente suddividendole nelle frame SHDSL dei due link (ovviamente nel caso di 4 coppie la struttura risulta replicata).

In particolare ogni “Payload Block” contenuto nella frame SHDSL viene suddiviso in dodici sub-block di lunghezza variabile in funzione del data rate della linea stessa e pari a ks=i+nx8 (con i<7 e n<36).

La latenza introdotta risulta, di conseguenza, molto contenuta, in quanto è necessario atten- dere solo i sub-block per l’elaborazione.

Gli svantaggi di tale tecnica risiedono nel fatto che non consente l’add/drop dinamico delle coppie, la cui aggregazione è limitata al mas- simo numero di quattro ed, infine, non consente il bonding di coppie a bit rate diversi.

Bonding a livello ATM (IMA), standardizzato in ambito ATM-Forum (AF-PHY-0086.001), la tec- nica IMA è applicabile a qualunque interfaccia ATM UNI/NNI e definisce un metodo di aggrega- zione di più linee xDSL in un singolo link logico bidirezionale che trasporta traffico ATM.

Per effettuare l’aggregazione viene introdotto, a livello protocollare, un sublivello di multiplazione (sublivello IMA) comune tra il livello ATM e i sin- goli sublivelli ATM-TC (ATM transmission conver- gence) dei link fisici che vengono raggruppati.

Nella figura 4 viene riportato lo schema di un transceiver nel caso di bonding IMA su N coppie.

Al trasmettitore, il flusso di celle provenienti dal livello ATM viene multiplato (cella a cella) su N link fisici (con N ≤ 32): ogni link fisico tra- sporta delle frame IMA composte da M celle (con M ≤ 128).

In particolare il livello IMA si occupa del cell rate decoupling, inserendo nelle frame ATM delle idle cell quando non sono disponibili celle di traffico ATM da trasmettere. Inoltre in ogni frame è inserita una cella di tipo ICP (IMA Control Protocol), che consente il corretto rialli- neamento delle frame, il monitoraggio dello stato del link, la compensazione dei ritardi al ricevitore. Ciò introduce un overhead e dei ritardi di processamento più elevati rispetto al bonding fisico.

In corrispondenza del ricevitore, il sublivello IMA, mediante dei buffer di compensazione o per il ritardo, ricombina le celle ricevute all’interno del gruppo IMA in un singolo flusso di celle, che viene poi inviato al livello ATM.

A differenza del bonding fisico, con il bonding IMA è possibile effettuare l’add/drop dinamico delle coppie, ed il supporto da 1 a 32 link per gruppo.

Di contro, poiché con l’IMA è possibile aggre- gare solo traffico di tipo ATM, nel caso di tra- smissioni Ether net, è richiesto un elevato overhead di incapsulamento. Inoltre, anche in questo caso, non è possibile aggregare coppie con bi rate diverso.

Bonding EFM, è stato specificato in ambito ITU- T nella raccomandazione G.998.2, e si basa sulla tecnica EFM (802.3ah) introdotta da IEEE nel 2004.

PMS-TC

TDM TPS-TCTDM TPS-TC TDM TPS-TCTDM TPS-TC

ATM and Higher Layers ATM TC #1 ATM TC #nATM TC #1ATM TC #nATM TC #1

IMA Sublayer

. . .

ClockData Link #1

ClockData Link #n

ClockData Link #1

ClockData Link #n DSL modem (remote) #1

DSL modem (remote) #n

DSL modem (CO) #1

DSL modem (CO) #n

IMA Group PMD

PMS-TC PMS-TCPMS-TCPMD PMDPMD

. . .

. . .

IMA Group #mIMA Group #1 ATM and Higher Layers ATM

IMA PMD PMS-TC TDM TPS-TC

=

=

=

=

=

=

Asynchronous Transfer Mode Inverse Multiplexing Access Physical Media Dependent

Physical Medium Specific-Transmission Converhence layer Time Division Multiplexing

Transmission Protocol Specific-Transmission Convergence layer

FIGURA 4

Transceiver con bonding fIMA su n coppie.

(6)

EFM definisce un metodo di aggregazione di più linee xDSL in un singolo link logico in grado di trasportare un flusso Ethernet con una lar- ghezza di banda superiore a quella consentita dall’infrastruttura in rame esistente, fornendo così una possibile alternativa all’utilizzo di fibra ottica nei siti in cui non risulta già disponibile o facilmente realizzabile.

Lo standard introduce a livello protocollare un nuovo sublivello, il Physical Coding Sublayer (PCS), posto sotto l’Ethernet Media Indipendent Interface (MII), e che si occupa di convertire il traffico Ethernet ricevuto nei dati trasporati dai link xDSL.

All’interno di tale sublivello, come mostrato in figura 5, si possono individuare due funziona- lità: il MAC-PHY Rate Matching che adatta la velocità dei dati trasmessi alla velocità, di solito più bassa, del mezzo fisico utilizzato, e la Physical Aggregation Function (PAF) che effet- tua la multiplazione dei pacchetti Ethernet sui diversi link fisici che costituiscono il bonding.

La funzione PAF ha le seguenti caratteristiche:

- permette l’aggregazione fino a 32 link fisici;

- supporta link con differenti velocità, con un rapporto massimo di 1 a 4;

- assicura una bassa latenza dei pacchetti e preserva l’ordine nella frame.

I pacchetti che giungono dal livello MAC ven- gono suddivisi all’interno della PAF in un certo numero di frammenti pari al numero di livelli fisici coinvolti nel bonding, e la cui lunghezza è limitata tra 64 e 512 byte. L’algoritmo di fram- mentazione non è stato specificato, ma e stata data libertà ai sin-

g o l i Ve n d o r d i implemetarne uno a seconda del tipo di bonding impie- gato.

Ogni frammento è preceduto da un h e a d e r c h e n e indica la posizione all’interno del pac- c h e t t o s t e s s o , e t e r m i n a c o n u n c a m p o F r a m e Check Sequence (FCS) di 4 byte, in modo da consen- tire al ricevitore di verificarne l’inte- grità ed il corretto riassemblamento.

La figura 6 illustra il meccanismo di frammentazione.

I n r i c e z i o n e i l l i v e l l o PA F r i a s - s e m b l a l a f r a m e originale dai fram- menti ricevuti. A t a l e p ro p o s i t o è

ricevuto su una linea e viene mantenuto in un buffer, in modo da attendere il pacchetto con la giusta sequenza attesa.

A differenza degli altri meccanismi di bonding come l’IMA (bonding sopra ATM), il bonding EFM risulta superiore in tutti gli aspetti legati alla trasmissione del traffico Ethernet. Specificatamente progettato per aderire ai requisiti della trasmissione su rame, con la possibilità di velocità e ritardi diversi sulle singole coppie che costituiscono il gruppo, una maggiore immunità al rumore, risulta la scelta natu- rale per la fornitura dei servizi Ethernet su rame.

Tale metodologia di bonding consente inoltre l’add/drop dinamico delle coppie.

Ethernet MII

MAC-PHY Rate Matching Physical Aggregation Function

TPS-TC TPS-TC TPS-TC

-inter face

MII PAF TPS-TC

=

=

=

Media Indipendent Inter face Physical Aggregation Function

Transmission Protocol Specific-Transmission Convergence layer

FIGURA 5

Bonding EFM: stack protocollare definito nello standard.

IPG Preamble Ethernet frame

Fragment k

Sequence Number

Payload Data

Payload Data

Payload Data 14 bits 1b

1B 64B 1B 64B 1B 64B

1b 64 Bytes - 512 Bytes 4 Bytes S

O P

S Y N C

S Y N C

S Y N C E

O P

Fragment data FCS

Frag. k+1 Fragment k+2

Fragmentation

64B/65B . — — Fragment k+N

IPG Preamble Ethernet frame

EOP FCS IPG SOP

=

=

=

=

End Of Packet Frame Check Sequence Inter-Packet Gap Star t Of Packet

FIGURA 6

Meccanismo di frammentazione.

(7)

Bonding ML-PPP è stato definito nella RFC 1990 con lo scopo di effet- tuare l’aggregazione a livelli più ele- vati dello stack protocollare OSI. In particolare viene realizzata l’aggrega- zione di più link PPP in un unico link virtuale.

In trasmissione il livello ML-PPP, sot- tostante al livello PPP, prende il pac- chetto PPP, lo frammenta e gli asso- cia un Multilink header. Ogni fram- mento risultante viene poi trasmesso su un link separato. In ricezione gli header dei vari frammenti sono utiliz- zati per ricostruire il pacchetto origi- nario.

R i s p e t t o a l l e a l t re t i p o l o g i e d i b o n d i n g , e soprattutto rispetto alla tecnica IMA, questo metodo di aggregazione presenta alcune diffe- renze:

- diversamente da IMA, che usa un metodo di distribuzione dei frammenti di tipo fixed round-robin, la distribuzione dei frammenti da parte di ML-PPP sui vari links non è stan- dardizzata, analogamente a quanto avviene nel caso del metodo EFM. Di conseguenza è possibile utilizzare link a differente velocità;

- entrambi i metodi di aggregazione, IMA e M L - P P P, p re v e d o n o d e l l e p ro c e d u re d i equalizzazione del ritardo differenziale sui link. La stima di tale ritardo è standardizzata nel caso IMA, mentre è specifica dell’imple- mentazione nel caso ML-PPP;

- le operazioni di frammentazione e riassem- blamento dei pacchetti in ML-PPP sono effettuate su un singolo bundle virtuale. Di conseguenza i ritardi, a causa della perdita di un frammento, si ripercuotono su tutto il traffico nel bundle. I gruppi IMA invece sono caratterizzati da un meccanismo di fram- mentazione che risulta elastico alla perdita o al ritardo di una singola cella;

- d’altro canto ML-PPP consente all’utente di instradare il traffico sensibile al ritardo su un sin- golo link, utilizzando proprio il protocollo PPP, scavalcando così il bundle ML-PPP ed ogni ritardo associato all’elaborazione ML-PPP; que- sto può risultare utile nel supporto dei servizi interattivi su link soggetti a ritardi differenziali.

Viceversa utilizzando la tecnica IMA, tutto il traf- fico ATM passa attraverso il sublivello IMA che ne effettua l’elaborazione.

Nella tabella 2 vengono riassunte le principali carat- teristiche delle tecniche di bonding descritte in prece- denza.

4. Il backhauling di DSLAM nel progetto Anti Digital Divide

Il progetto Anti Digital Divide si prefigge l’obiettivo di estendere la copertura dei servizi broadband sia in aree con scarsa redditività (intesa come ARPU ridotto a fronte di elevati capex da sostenere per le soluzioni di rete tradi- zionali - DSLAM ATM e backhauling su fibra ottica o su ponte radio ad alta velocità), sia nelle aree non copribili con le soluzioni attualmente disponibili per vincoli di carat- tere tecnico (quali ad esempio la presenza di apparati di multiplazione, l’indisponibilità di fibra ottica, ...).

Bonding Fisico Bonding IMA Bonding EFM Bonding ML-PPP

N° coppie aggregabili

fino a 4 fino a 32 fino a 32 fino a 8

Suppor to di velocità diverse per coppie

No No Si Si Add/Drop dinamico

delle coppie No

Si Si Si

EFM IMA ML-PPP

=

=

=

Ethernet in the First Mile Inverse Multiplexing Access Multi Link Point-to-Point Protocol

TABELLA 2

Confronto fra le principali tecniche di bonding.

DSLAM Subtending DSLAM Parenting

BRAS

BRAS nxE1

IMA ATM

nxE1

IMA ATM

STM-1

STM-1

Rame in giunzione

su TL a 2 Mbit/s Rete ATM

ATM BRAS DSLAM IMA STM

=

=

=

=

=

Asynchronous Transfer Mode Broadband Remote Access Ser ver Digital Subscriber Line Access Multiplexer Inverse Multiplexing Access

Synchronous Transpor t Module

FIGURA 7

MiniDSLAM ATM interconnessi con i flussi NxE1 in tecnologia IMA.

(8)

Nell’ambito di tale progetto, come mostrato in figura 7, la soluzione in questo momento utilizzata per la coper- tura di aree di centrale servite solo da rete in rame è costituita dall’impiego di MiniDSLAM ATM interconnessi, in architettura di tipo Parenting-Subtending, con flussi NxE1 in tecnologia IMA (tipicamente 4 estendibili fino ad un massimo di otto flussi).

La soluzione attualmente impiegata utilizza pertanto per i flussi E1 di interconnessione le linee G.SHDSL (TCPAM-16) descritte nei precedenti paragrafi.

La soluzione risulta ottimale dal punto di vista archi- tetturale, consentendo l’utilizzo dei punti di interconnes- sione, al backbone ATM, già disponibili per i DSLAM standard.

Risulta però inefficiente dal punto di vista della banda complessivamente disponibile, a causa dell’elevato overhead insito nella tecnologia IMA e non consente, in prospettiva, la fornitura di servizi tipicamente oggi in via di sviluppo solamente sulle piattaforme basate sulla tec- nologia Ethernet.

A tale proposito, nel presente paragrafo viene illu- strata una delle applicazioni per le quali è allo studio in Telecom Italia il possibile utilizzo di sistemi trasmissivi basati su bonding di più coppie in rame con modula- zione SHDSL.bis (TCPAM-32). In particolare sono in corso valutazioni sull’utilizzo dei suddetti sistemi per il backhauling di DSLAM ubicati in aree non servite da fibra ottica, quali ad esempio località interessate dal progetto Anti Digital Divide di Telecom Italia..

L’architettura di riferimento della valutazione prevede l’utilizzo in queste aree di un DSLAM basato su tecnolo- gia Ethernet, al posto degli attuali MiniDSLAM basati su tecnologia ATM, ed un backhauling su rete in rame mediante utilizzo di sistemi in grado di effettuare bonding impiegando la tecnica EFM.

Lo schema di riferimento dell’architettura in esame è riportato nella figura 8.

Analizzando la figura, si può vedere come il DSLAM remoto ubicato nella Centrale A, sia collegato attraverso la sua interfaccia di rete Fast Ethernet a 10/100 Mbps, con connettore RJ45, alla porta Ethernet di ingresso di un modem EoSHDSL ubicato nella stessa Centrale.

La coppia di modem EoSHDSL, ubicati nella Centrale A e nella Centrale B, che consentono di realizzare il colle- gamento punto-punto tra DSLAM remoto e rete OPM, può gestire fino ad un massimo di 8 coppie in rame, su ognuna delle quali può transitare un flusso dati compati- bile con lo standard SHDSL.bis con velocità massima per singola coppia fino a 5696 kbps (sistema di modula-

zione TC-PAM 32). In questo modo la banda lorda del collegamento risulta essere complessivamente fino ad un massimo di circa 45 Mbps, nell’ipotesi in cui le condi- zioni di rete consentano la trasmissione alla massima velocità su tutte le coppie utilizzate.

Le caratteristiche elettriche dei modem EoSHDSL che sono stati esaminati da Telecom Italia per questo tipo di applicazioni, avendo la possibilità di gestire una sorgente di telealimentazione, permettono anche l’utilizzo di rigeneratori in linea, che consentono, in determinate condizioni impiantistiche, l’estensione della copertura.

A valle della Centrale B è necessario un accesso alla rete OPM, in analogia a quanto avviene per un qualsiasi DSLAM Ethernet, che potrà essere presente in loco, oppure sarà necessario un collegamento generalmente di tipo EoSDH per giungere al punto di accesso alla rete OPM più vicino.

L’utilizzo di questa tipologia di sistemi per il backhau- ling di DSLAM, oltre a consentire come suddetto un ampliamento della banda disponibile rispetto alle tecni- che attualmente impiegate su rete in rame, può permet- tere, in funzione delle condizioni di rete, di offrire bande equivalenti a quelle oggi offribili con i sistemi tradizionali ma con un utilizzo inferiore di coppie in rame.

5. Conclusioni

In questo articolo sono state descritte le principali carat- teristiche tecnico-funzionali dei sistemi SHDSL in termini sia di capacità trasmissiva, sia di alternative tecniche per la rea- lizzazione del bonding di più flussi fisici in un singolo flusso logico. La maturità tecnica di tali soluzioni consente in pro- spettiva numerosi possibili impieghi; tra le applicazioni più promettenti è stata descritta nell’articolo quella di offrire un’alternativa al backhauling di DSLAM remoti collocati nei contesti territoriali dove non è possibile (o non è conve- niente) la realizzazione di un’infrastruttura in fibra ottica. Le soluzioni in esame consentono l’estensione della copertura dei servizi broadband in aree Digital Divide con impiego di tecnologia DSLAM Ethernet e, in funzione delle condizioni di rete, con una maggiore efficienza dal punto di vista del backhauling trasmissivo (maggior banda disponibile ovvero minor impiego di infrastrutture di rete in rame a parità di banda offerta).

andrea.bonelli@telecomitalia.it fabio.laurenti@telecomitalia.it roberto.mercinelli@telecomitalia.it

Casa Cliente

Centrale A

Centrale B

OPM SL-SGU

A D M

A D M

Fino a 8 coppie in rame DSLAM

ETH

ETH ETH

Modem EoSHDSL

Modem EoSHDSL

ADM ETH SHDSL SL-SGU

=

=

=

=

Add-Drop Multiplexer Ethernet

Single pair High bit rate Digital Subscriber Line Stadio di Linea-Stadio di Gruppo Urbano

FIGURA 8

DSLAM Ethernet in bonding EFM

(9)

ADM Add-Drop Multiplexer ATM Asynchronous Transfer Mode BRAS Broadband Remote Access Server CAP Carrierless Amplitude-Phase modulation CDN Circuito diretto Numerico

DSLAM Digital Subsciber Line Access Multiplexer EFM Ethernet in the First Mile

EOP End Of Packet

ETH Ethernet

ETM Ethernet Transport Mode FCS Frame Check Sequence HDLC High-level Data Link Control HDSL High bit rate Digital Subscriber Line ICP IMA Control Protocol

IMA Inverse Multiplexing Access IPG Inter-Packet Gap

LLC Logical Link Control MII Media Indipendent Interface ML-PPP Multi Link Point-to-Point Protocol PAF Physical Aggregation Function PCS Physical Coding Sublayer PMD Physical Media Dependent

PMS-TC Physical Medium Spìecific-Transmission Convergence layer

PTM Packet Transport Mode

SDSL Single pair Digital Subscriber Line

SHDSL Single pair High bit rate Digital Subscriber Line SL-SGU Stadio di Linea-Stadio di Gruppo Urbano SNAP Subnetwork Access Protocol

SOP Start Of Packet

STM Synchronous Transport Module

STU-C SHDSL Transceiver Unit at the Central office STU-R SHDSL Transceiver Unit at the Remote end TC Transmission Convergence

TC-PAM Trellis Coded-Pulse Amplitude Modulation TDM Time Division Multiplexing

TPS-TC Transmission Protocol Specific-Transmission Convergence layer

— ACRONIMI

[1] ITU-T G.991.2: “Single-pair high-speed digital sub- scriber line (SHDSL) transceivers”, 2003

[2] ATM Forum AF-PHY-0086.001: “Inverse Multiplexing for ATM (IMA) Specification Version 1.1”, March 1999 [3] IETF RFC 1990: “The PPP Multilink Protocol (MP)”,

1996

[4] IETF RFC 2686: “The Multi-Class Extension to Multi- Link PPP”, 1999

[5] DSL Forum Technical Report TR-043: “Protocols at the U Interface for Accessing Data Networks using ATM/DSL”, August 2001

[6] ITU-T recommendation G.998.1: “ATM-based multi- pair bonding”, 2005

[7] ITU-T recommendation G.998.2: “Ethernet-based multi-pair bonding”, 2005

[8] ITU-T recommendation G.998.3: “Multi-pair bonding using time division inverse multiplexing”, 2005 [9] ATIS T1.427.02: “Ethernet-based multi-pair bonding”,

2005

[10] IEEE 802.3ah: “CSMA/CD Access method and phy- sical layer specification – amendment: media access control parameters, physical layers and management parameters for subscriber networks”, 2004

[11] Libro: “La casa in rete”, Ed. Franco Angeli (2007)

BIBLIOGRAFIA

A n d r e a B o n e l l i s i è l a u r e a t o i n Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dopo una esperienza come professore nella scuola media superiore, nel 1993 entra in IRITEL (ex ASST) presso la Direzione Sistemi Informativi.

N e l 1 9 9 5 p a s s a i n Te l e c o m I t a l i a n e l l a Divisione Clienti Privati dove, nel settore rete d’accesso si occupa di problematiche relative a g l i i m p i a n t i d i t e r r a e d a i d i s p o s i t i v i d i protezione contro le sovratensioni nelle linee di telecomunicazioni.

Dal 1998 è nella Divisione Rete, ora Technology, dove si occupa dell’industrializzazione degli apparati xDSL.

F a b i o L a u r e n t i si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza” nel 1994. Nel 1996 entra in Telecom Italia - Direzione Generale Rete - dove si occupa di esercizio e manutenzione delle Reti di Accesso a Larga Banda in tecnologia HFC (Rete SOCRATE) e, a partire dal 1998, delle Piattaforme di Accesso Broadband basate su DSLAM ADSL. Nel 2002, nell’ambito della Direzione Rete Network Assurance, assume il coordinamento dell’Esercizio e Manutenzione degli Apparati della Rete di Accesso (PDH, SDH, xDSL), dei Sistemi di Supporto delle Reti Trasmissive e dei Sistemi Radio. Nel 2003 passa ad operare nell’ambito delle funzioni di Engineering della Direzione Rete ed assume la responsabilità delle attività di industrializzazione degli apparati e delle terminazioni della rete di accesso. Dal 2006 opera nell’ambito della funzione Wireline Access Engineering di TILAB con responsabilità nell’industrializzazione della Rete di Accesso con particolare riguardo ai Servizi xDSL.

Roberto Mercinelli dal 1990 opera in Telecom Italia, dove lavora su tematiche della rete d'accesso. In particolare ha condotto studi sulle caratteristiche trasmissive della rete di distribuzione in rame in termini di diafonia, a t t e n u a z i o n e r e s i s t e n z e d i l o o p e d i isolamento nel corso di un'estesa campagna di caratterizzazione della rete di Telecom Italia.

Questi studi sono stati la base per successive indagini sul funzionamento in rete dei sistemi xDSL. Si è poi occupato, anche partecipando a gruppi di ricerca internazionali, della valutazione di soluzioni architetturali d'accesso basate sull'impegno della fibra ottica, tra le quali anelli GbE e soluzioni PON.

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Onde evanescenti e

trasmissione di energia senza fili

VALTERBELLA Nell’ambito delle telecomunicazioni, dell’informatica e dell’intrattenimento assi- stiamo oggi ad una crescita vertiginosa di dispositivi portatili. Sicuramente que- sti hanno contribuito a semplificare molti aspetti della nostra quotidianità, ma per contro, la presenza al loro interno delle batterie ha posto nuovi problemi quali la ricarica, la sostituzione e lo smaltimento delle medesime. Ovviare alla presenza delle batterie non è semplice e le strade percorribili sono sostanzial- mente due: l’energy scavenging, ossia il tradurre in energia elettrica altre forme di energia presenti nell’ambiente circostante, e la trasmissione di energia senza fili. L’articolo affronta quest’ultima tecnologia, basata sulle onde evanescenti e sui circuiti risonanti accoppiati. A valle di un’esposizione concettuale di questo sistema sono descritti i due relativi dimostratori, realizzati nel MIT e in TILab.

Entrambi gli esperimenti hanno dimostrato un trasferimento energetico a distanze dell’ordine del paio di metri, con un’efficienza compresa tra il 15% ed il 40%. Il prototipo TILab ha dimostrato inoltre che il trasferimento energetico è perturbato in modo minimo anche quando tra l’elemento emittente e quello ricevente sono interposti oggetti, anche metallici, conferendo così al sistema notevole flessibilità operativa per sue eventuali future applicazioni. Già ora una ricaduta applicativa è possibile per quanto concerne la ricarica senza fili di telefonini, notebook ed altri dispositivi multimediali. Infatti, una soluzione molto semplificata del dimostratore prevede un’integrazione del loop emittente in qualunque superficie (tavoletta, scrivania od altri supporti ergonomici) renden- do così possibile un’efficientissima ricarica di qualunque dispositivo portatile semplicemente appoggiandolo su di essa. Sul medio termine invece, un dispositivo ad onde evanescenti potrebbe risultare impareggiabile nell’ovviare all’uso massivo delle batterie in scenari emergenti come l’Internet delle cose, con un positivo impatto in termini economici e manutentivi, ma soprattutto con- tribuendo a migliorare l’impatto ecologico, tema assai caro a Telecom Italia già da tempo impegnata sul fronte del risparmio energetico.

1. Introduzione

La capacità di trasferire “senza fili” dati attinenti ad informazioni vocali, video e testuali ha oggi rag- giunto un soddisfacente grado di maturità, concre- tizzando così il primo dei due obiettivi collegati al mondo delle telecomunicazioni. Il secondo obiet- tivo è quello di far funzionare tutto ciò che è porta- tile “senza batterie”, e conseguentemente senza I relativi caricatori. Già oggi nelle nostre abitazioni ed uffici cerchiamo di districarci tra grovigli di fili

dei caricatori per cellulari, dispositivi bluetooth, laptop, PDA oltre a quelli per gli MP3 player, video- camere e fotocamere digitali.

Ma l’attuale scenario non evidenzia ancora appieno la portata di questo problema. Già nei pros- simi anni, infatti, si assisterà ad una nuova rivoluzione denominata l’Internet delle cose, un’espressione sug- gestiva per indicare miliardi di oggetti che si autorga- nizzano in pico-reti di sensori ed attuatori WSN (Wireless Sensor Network), in grado di conferire una

“fisicità” all’attuale Internet dotandola della capacità

INNOVAZIONE

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di percepire gli stimoli provenienti dell’ambiente reale circostante e di reagire in modo appropriato ad essi.

Ciascuno di questi oggetti è dotato almeno di un processore, una radio, un sensore, un attuatore e, ovviamente, una batteria. Questo significa che, a meno di nuove soluzioni, le batterie impiegate si conteranno a miliardi con problemi enormi da risol- vere in termini economici, ecologici e manutentivi.

Telecom Italia, da tempo impegnata sul tema del risparmio energetico nonché sulla sperimenta- zione di fonti alternative di produzione di energia elettrica per alimentare le stazioni radio base, pone anche particolare attenzione al problema delle batterie in quanto destinato a divenire preci- puo nei futuri servizi a valore aggiunto (VAS) basati sulle emergenti reti wireless di sensori ed attuatori.

In questo contesto, presso i laboratori di ricerca TILAB sono in essere attività di scouting e realizza- zione prototipale sulle due possibili modalità alter- native alle batterie:

l’energy scavenging, ossia l’insieme di tecnolo- gie per tradurre in energia elettrica altre entità presenti nell’ambiente circostante quali luce, suoni, vibrazioni, temperatura, campi elettroma- gnetici, … ;

la trasmissione di energia senza fili, necessaria quando dell’energy scavenging non risulta suffi- ciente ed occorre perciò trasferire energia dalla sorgente al dispositivo finale senza l’adozione di conduttori elettrici.

Mentre l’energy scavenging è una tematica di ricerca piuttosto diffusa in ambito accademico e presso i laboratori di ricerca, la trasmissione di energia senza fili è meno trattata in quanto non ha raggiunto ancora una soluzione ottimale, ma pro- prio per questo essa rappresenta un tema sfidante e disruptive per le applicazioni wireless del futuro.

2. La trasmissione di energia senza fili 2.1 Un po’ di storia

Nel 1825 William Sturgeon inventò l’elettroma- gnete e grazie a questo sei anni dopo Michael Faraday dimostrò il principio dell’induzione elettro- magnetica, ossia il fenomeno per cui la variazione del campo magnetico in un elettromagnete induce una corrente alternata in un avvolgimento adia- cente anche se non vi è alcun contatto elettrico.

C o m b i n a n d o q u e s t e d u e s c o p e r t e , n e l 1 8 3 6 Nicholas Joseph Callan dimostrò la trasmissione e la ricezione di energia elettrica senza fili con un dispositivo che oggi è conosciuto come trasforma- tore elettrico.

Nel 1864 il matematico James Clerk Maxwell for- mulò un pacchetto di equazioni, che presero il suo nome, in grado di descrivere con accuratezza la propagazione nello spazio della radiazione elettro- magnetica e la relazione esistente tra campo elet- trico e campo magnetico. Nel 1888 Heinrich Hertz confermò sperimentalmente le equazioni di Maxwell con un generatore di onde elettromagnetiche rileva- bili a distanza. Ciò permise qualche anno dopo a

Guglielmo Marconi di evolvere l’apparato di Hertz realizzando la prima trasmissione radio a distanza.

Ma quando si conduce una ricerca bibliografica sul tema della trasmissione di energia senza fili si finisce sistematicamente, e doverosamente, col ritrovare il grande fisico, inventore ed ingegnere serbo Nikola Tesla, nato a Smiljan nel 1856. Tesla è conosciuto soprattutto per il suo rivoluzionario lavoro e i suoi numerosi contributi nel campo dell’e- lettromagnetismo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Tra le sue molteplici creazioni vi è anche la bobina di Tesla (figura 1A), un trasforma- tore risonante con avvolgimenti sintonizzati in aria per produrre altissime tensioni ad alta frequenza.

Egli realizzò diverse versioni di queste bobine, sempre più potenti, sino alla costruzione della

Wanderclyffe Tower (figura 1B) avvenuta nel 1903, u n a t o r re a l t a 6 0 m e t r i s u l l e s c o g l i e re d i Wanderclyffe, Long Island, New York e contenente un’enorme bobina per la trasmissione di energia senza fili a chilometri di distanza. Purtroppo il geniale scienziato non era un buon manager di se stesso e vari conflitti con i suoi finanziatori lo por- tarono allo smantellamento della torre ed alla suc- cessiva morte in povertà.

Dopo le esperienze di Tesla, l’uso delle onde elettromagnetiche si indirizzò prevalentemente alla trasmissione dell’informazione, grazie anche ad invenzioni straordinarie per la comunicazione di massa quali la radio e la televisione. Tuttavia, seb- bene in forma più contenuta, nei decenni succes- sivi furono sperimentate varie tecniche di trasmis- sione di energia wireless, anche con risultati di rilievo, ma sempre con qualche controindicazione, talvolta di carattere economico, altre volte di dipendenza da fenomeni fisici naturali, come espo- sto nel prossimo paragrafo.

2.2 Gli approcci odierni

Il parametro di maggior criticità nel trasferi- mento di energia senza fili è indubbiamente l’effi- cienza. Essa è definita come il rapporto tra la potenza che raggiunge l’unità ricevente e quella emessa dall’unità trasmittente.

Tra il 1960 e 1970 furono sperimentate tecnolo- FIGURA 1

A) Bobina di Tesla;

B) foto d’archivio della torre di Wanderclyffe.

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gie per il trasferimento di energia ad alta efficienza e potenza, anche su lunghe distanze, tra-

mite sistemi a fasci di microonde che in condizioni favorevoli raggiungono un’effi- cienza del 90%. Per contro trasmettitore e ricevitore devono essere in visibilità ottica senza ostacoli interposti ed il sistema richiede antenne ad alto gua- dagno e quindi di dimensioni ingom- branti (figura 2). Infine il sistema deve essere ubicato in zone rurali scarsa- mente abitate per ovviare a possibili effetti sulla popolazione in termini di impatto biologico.

Un’altra tecnologia efficiente per il trasferimento energetico senza fili è costituita da un trasmettitore laser ed un ricevitore costituito da pannelli fotovol- taici ottimizzati per offrire la massima resa sulla lunghezza d’onda del laser. A tal proposito, nel 2003 la NASA ha con- cretizzato questa tecnologia facendo volare un modello di aereo (figura 3) su c u i e r a p u n t a t o u n r a g g i o l a s e r : l a replica in scala reale di questo esperi-

mento, con fascio laser emesso da satelliti, con- ferirebbe al velivolo un’autonomia di volo pratica- mente illimitata.

Il maggior inconveniente di questo approccio, oltre al requisito che trasmettitore e ricevitore devono essere in visibilità ottica, è rappresentato dall’attenuazione del fascio laser per assorbimento in caso di nuvole o nebbia.

Esiste poi un progetto, ad oggi non ancora con- cretizzatosi per ragioni economiche, denominato SPS ossia una rete di satelliti disposti in modo da raccogliere in modo continuativo sulle 24 ore la luce solare trasformandola in un potente fascio a microonde da indirizzare verso stazioni riceventi a terra (figura 4); in altre parole si avrebbe un’energia continuativa, rinnovabile con zero emissioni.

Sicuramente, ad oggi, la trasmissione di energia via cavo è molto più efficiente di quella wireless, soprattutto sulle lun- ghe distanze in quanto l’ottima conduci- bilità elettrica del rame introduce basse perdite energetiche lungo il cammino.

Per tutte queste ragioni esposte, finora l’unico trasferimento energetico wireless che ha trovato ampia diffusione è quello destinato ad applicazioni richiedenti distanze molto brevi e potenze molto contenute, quale la passive RFID (Radio Frequency IDentification), una tecnologia p e r l ’ i d e n t i f i c a z i o n e a u t o m a t i c a d i oggetti, animali o persone.

Il sistema passive RFID si basa sulla lettura, a distanza di pochi centimetri, di informazioni contenute in un’etichetta elettronica priva di batteria ed alimentata dal campo elettromagnetico generato da un opportuno lettore.

In questo scenario rimaneva però un dominio spaziale ed energetico inesplo- rato, ossia quello relativo alla trasmis- FIGURA 2

L’energia a microonde ricevuta viene convertita in corrente

continua da una rectenna (da rectifier e antenna).

FIGURA 3

Modello di aereo realizzato dalla NASA funzionante tramite energia trasmessa da un fascio laser.

FIGURA 4

Schema concettuale del progetto SPS (Solar Power Satellite).

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sione di energia wireless nel raggio di pochi metri con potenze dell’ordine della decina di watt. Improvvisamente l’inte- resse per questo dominio è tornato vivo per l’esigenza di alimentare senza batte- rie miliardi di dispositivi wireless a basso consumo. Dopo varie esplorazioni teori- che e simulazioni funzionali condotte a livello mondiale presso importanti atenei e rinomati centri di ricerca tra i quali TILab, un approccio è parso concreta- mente percorribile: quello delle onde eva- nescenti.

3. Le onde evanescenti 3.1 Definizione

Prima di proseguire nella trattazione sul tema occorre fornire una spiegazione

sulla natura delle onde evanescenti, cercando di evitare un prolisso formalismo matematico, per il quale si rimanda alle ben note soluzioni delle equazioni di Maxwell presenti in letteratura. Le equazioni di Maxwell descrivono le relazioni tra campo elettrico e campo magnetico e tra carica elettrica e corrente elettrica. Da queste equazioni si evince che la radiazione emessa da un’antenna è spazialmente suddivisa in tre regioni: campo vicino non radiativo, campo vicino radiativo e campo lontano radiativo. Le onde evanescenti sono le onde presenti nell’immediata vicinanza dell’antenna, ossia nel campo vicino non radiativo, e la loro energia viene emessa, e quasi totalmente riassorbita, in modo ciclico. Queste onde vengono dette evanescenti perché gli effetti della loro pre- senza decadono in modo esponenziale con l’allon- tanarsi dall’antenna e già dopo una distanza pari a circa un terzo della loro lunghezza esse non sono più rilevabili.

Il modo più intuitivo ed immediato per osser- vare le onde evanescenti è quello di dirigere un raggio luminoso con una certa angolazione su una superficie di separazione tra due mezzi, ad esem- pio aria ed acqua, aventi diverso indice di rifra- zione (figura 5). Tipicamente, una componente del raggio luminoso incidente viene riflesso indietro mentre l’altra penetra nel secondo mezzo cam- biando l’angolo d’incidenza. Questo è il motivo per cui se osserviamo un cucchiaino immerso in un bicchiere contenente acqua esso ci appare “spez- zato”. Il fenomeno della rifrazione però si manifesta solo fino ad un certo angolo di incidenza del raggio luminoso, detto angolo critico, oltre il quale la riflessione diviene totale ed il raggio luminoso non penetra più nel secondo mezzo. Quando si verifica la riflessione totale, nel secondo mezzo tuttavia si ha un’onda trasmessa che si propaga lungo la superficie di separazione, mentre si attenua in modo esponenziale nella direzione normale alla superficie stessa: essa è un’onda evanescente.

M a p e rc h é l ’ o n d a e v a n e s c e n t e e s i s t e ? Fisicamente l’insorgere di un’onda evanescente

può essere spiegata in modo relativamente sem- plice. Un fascio di luce incidente ha una velocità di fase che è funzione dell’indice di rifrazione dei due mezzi coinvolti. Supponiamo che il primo mezzo a b b i a u n i n d i c e d i r i f r a z i o n e p i ù e l e v a t o d e l secondo: la velocità di fase nel primo mezzo risulta minore dell’analoga quantità nel secondo mezzo.

Nella regione di interfaccia, per rispettare la conti- nuità delle componenti magnetica ed elettrica del campo, le onde che si propagano nei due mezzi devono muoversi con la stessa velocità nella dire- zione dell’asse superficiale. Ne consegue che, con l’aumentare dell’angolo incidente del raggio lumi- noso sino a raggiungere l’angolo critico, l’onda presente nel secondo mezzo deve dunque rallen- tare per mantenersi in fase con la prima, fino a tra- s f o r m a r s i i n u n ’ o n d a l e n t a s u p e r f i c i a l e c o n ampiezza che decresce esponenzialmente, ossia un’onda evanescente.

3.2 I vantaggi dell’accoppiamento tra risonatori ad onde evanescenti

Per accoppiamento tra risonatori si intende il processo per cui un’onda evanescente viene tra- smessa da un mezzo all’altro per mezzo di un campo elettromagnetico non radiativo. Il vantaggio precipuo di effettuare un accoppiamento tra riso- natori ad onde evanescenti sta nel fatto che se non vi è un mezzo ricevente risonante alla stessa fre- quenza, gran parte di quest’energia non radiativa rimane confinata alla sorgente (figura 6A), senza propagarsi e dissiparsi inutilmente.

Un altro grande vantaggio offerto dall’accoppia- mento tra due o più risonatori sta nel fatto che se nell’ambiente circostante esistono altri apparati con frequenza di risonanza differente lo scambio ener- getico con quest’ultimi è minimo, il che significa anche ridurre al minimo il rischio di interferenze.

In ultimo, ma non per importanza, essendo l’ac- coppiamento tra i risonatori prevalentemente domi- nato dal campo magnetico, il trasferimento energe- tico tra apparato sorgente e ricevitore rimane effi- FIGURA 5

Le onde evanescenti emergono contestualmente al fenomeno della

riflessione totale.

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ciente anche quando vi si trovano inter- posti sul cammino oggetti di varia natura (figura 6B), anche metallici ma non ferro- magnetici, come rame ed alluminio in q u a n t o l a c o m p o n e n t e e l e t t r i c a d e l campo non partecipa alla propagazione.

3.3 Generare le onde evanescenti

Il concetto fisico di onde evanescenti trova conferma in esperimenti effettuati nei domini dell’acustica, dell’ottica e delle onde radio. Proprio in quest’ultimo dominio ci si orienta al fine di effettuare trasferimenti energetici con un raggio d’azione dell’ordine dei metri. In prece- denza si è visto che il raggio d’azione delle onde evanescenti è di circa un terzo d e l l a l o ro l u n g h e z z a d ’ o n d a , p e rc i ò diventa relativamente semplice determi- nare la frequenza cui il sistema dovrà operare in quanto quest’ultima è data dal rapporto tra la velocità della luce e la lun- ghezza d’onda prescelta. Requisito fon- damentale nell’utilizzo delle onde evane- scenti è quello di costruire strutture emissive in grado di esaltare la compo-

nente magnetica del campo a radiofrequenza generato cercando di sopprimere e schermare per quanto possibile la componente elettrica, la cui presenza nel campo lontano radiativo genera segnali interferenti indesiderati. Nel capitolo seguente è illustrato l’approccio concettuale per la realizzazione di un prototipo per il trasferimento energetico senza fili.

4. Architettura di un sistema di trasferimento energetico ad onde evanescenti

Lo schema concettuale dell’architettura adot- tata per il trasferimento energetico tramite onde evanescenti è illustrata in figura 7. Un generatore a radiofrequenza applica un segnale con frequenza dell’ordine dei megahertz ad un risonatore ad alto fattore di merito, cuore del sistema, progettato in modo da emettere principalmente la componente magnetica del campo e di sopprimere la compo- nente elettrica, tipicamente presente nella propa- gazione del campo lontano. Le onde evanescenti emesse trasferiscono la loro energia ad un analogo

risonatore posto ad una distanza di qualche metro.

Se la tensione presente in arrivo non è sufficiente- mente elevata, questa può essere moltiplicata, senza l’ausilio di elettronica alimentata, tramite un circuito di Cockcroft-Walton. Nei paragrafi che seguono sono analizzati i singoli blocchi costituenti l’intero sistema.

4.1 Il loop magnetico risonante

Quando un circuito con induttanza (L) e capa- cità (C) collegate in parallelo (figura 8A) viene ecci- tato da un’energia esterna, a radiofrequenza, l’e- nergia elettromagnetica percorre l’induttore L ed il condensatore C ed assume alternativamente la forma di un campo magnetico (durante la fase di corrente nell’induttanza) e di un campo elettrico (durante la fase di tensione al condensatore).

Nelle immediate vicinanze del circuito (campo vicino) c’è un campo d’induzione elettromagnetica che decresce secondo il cubo della distanza. Un tale circuito però non crea un significativo campo di radiazione, tuttavia se si modifica la struttura del condensatore aumentando la distanza fra le sue armature e si stira l’induttore in maniera che le due componenti del cir- cuito occupino uno spazio massimo, il prodotto LC rimane inalterato ed il cir- cuito è in grado di produrre una radia- zione elettromagnetica in grado di pro- pagarsi nello spazio (campo lontano). Un s i ff a t t o c i rc u i t o p re n d e i l n o m e d i

“antenna”. Ma dov’è finita la capacità che avevamo nel circuito? Si è ripartita per tutta la lunghezza dell’induttanza, che è stata stirata sino ad assumere la forma di un filo (figura 8B).

FIGURA 6

A) L’energia del campo evanescente rimane nell’intorno della sorgente;

B) Il trasferimento energetico continua anche con schermi interposti sul cammino.

FIGURA 7

Schema a blocchi di un sistema per la trasmissione di energia in campo evanescente

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L’obiettivo in oggetto è però quello di realizzare un loop con un campo elettrico di prossimità quanto più debole possibile e ciò è possibile con- centrando la capacità del circuito in un condensa- tore, invece che ripartirla per tutta la lunghezza del filo irradiante. È per questa ragione che in fase pro- gettuale si sceglie un loop composto da un’unica spira (figura 8C), dove il campo elettrico si concen- tra quasi esclusivamente nel condensatore, mentre quello magnetico si sviluppa su una superficie suf- ficiente a consentire l’emissione del campo vicino.

La direzione di emissione principale del loop magnetico è radiale nel piano della spira (figura 8D), mentre nelle due direzioni perpendicolari che tagliano tale piano, la radiazione è minima.

Tuttavia non è sufficiente confinare il campo elettrico tra le armature del condensatore per mas- simizzare la componente magnetica del campo emanata, ma occorre operare un distinguo tra i loop in elettricamente piccoli e grandi.

Un loop si definisce elettricamente piccolo quando la lunghezza del cavo che lo avvolge lungo il suo perimetro è molto minore della lun- ghezza d’onda applicata. Vari autori utilizzano diverse lunghezze di riferi-

mento per definire un loop e l e t t r i c a m e n t e p i c c o l o . Conformemente ai manuali della marina americana della seconda guerra mondiale, un loop è da considerarsi p i c c o l o s e l a l u n g h e z z a complessiva del filo è defi- nita come minore di 0,22 volte la lunghezza d’onda.

L’ARRL Antenna Book defi- nisce il loop piccolo se si ha una lunghezza complessiva di 0,085 volte la lunghezza d’onda.

I loop elettricamente pic- coli e grandi differiscono nella distribuzione della cor- rente all’inter no del cavo con il quale sono costituiti.

Nei loop elettricamente pic- coli la corrente che vi scorre

all’interno è uniforme in tutte le porzioni del cavo, mentre nei loop elettricamente grandi la corrente varia lungo la lun- ghezza del conduttore. Inoltre, i loop piccoli differiscono da quelli grandi dal modo in cui reagiscono ai segnali radio.

Un segnale radio è un’onda elettroma- gnetica trasversale, o TEM (Transverse Electromagnetic Mode), in cui il campo elettrico e quello magnetico sono sem- pre perpendicolari fra loro ed il piano nel quale giacciono è sempre ortogonale alla direzione di propagazione (figura 9).

I loop grandi rispondono fondamental- mente alla componente elettrica del- l’onda TEM, mentre i loop piccoli rispon- dono principalmente alla componente magnetica ossia si comportano come la spira di un induttore.

Perché la forma del loop è tipicamente circo- lare, sebbene talvolta sono osservabili altre forme geometriche più facili da realizzare? Il motivo è semplice. Per quanto visto in precedenza, il peri- metro del loop deve essere molto piccolo rispetto alla lunghezza d’onda del segnale a radiofre- quenza applicato, ma contestualmente è auspica- bile un’area grande per un’efficiente emissione del campo. La geometria insegna che, per una linea di una data lunghezza posta in modo da cir- coscrivere una certa area, la forma circolare è quella che presenta la maggiore superficie e quindi, in questo particolare contesto, il loop cir- colare è quello che meglio coniuga i suddetti requisiti tra loro contrastanti.

Infine il loop emittente e quello ricevente deb- bono possedere un fattore di merito, per conven- zione indicato con Q, estremamente elevato in quanto l’efficienza di scambio energetico tra i medesimi è proporzionale al prodotto dei rispettivi Q. In sostanza per un efficiente trasferimento ener- getico è richiesto che: Qemittentex Qricevente>106.

FIGURA 8

A) Circuito risonante LC; B) filo stirato; C) loop a singola spira;

D) direzione di emissione del loop magnetico.

FIGURA 9

Generazione e propagazione di un campo elettromagnetico trasversale (TEM).

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4.2 Moltiplicatore di Cockcroft-Walton

Mediante la ripetizione di celle in cascata, costituite da diodi e c o n d e n s a t o r i o p p o r t u n a m e n t e connessi, il circuito di Cockcroft- Walton (figura 10) consente di mol- tiplicare una tensione alter nata presente al proprio ingresso con- vertendola in tensione continua. In questo modo si realizzano circuiti duplicatori, triplicatori, ecc. di ten- sione, spesso utilizzati in molti

dispositivi elettronici, il più noto dei quali è il molti- plicatore di tensione presente nello stadio AT di tutti i televisori.

Sostanzialmente in una semionda del segnale d’ingresso tutte le capacità presenti vengono a caricarsi parallelamente al valore della tensione applicata, mentre nella semionda successiva esse si trovano connesse in serie, offrendo in uscita la somma delle rispettive tensioni accumulate. Per ottenere un ampio intervallo del punto di lavoro, esso deve essere dimensionato in modo da otte- nere l’efficienza di potenza ottimale, riuscendo a conseguire il massimo trasferimento di potenza dal loop ricevente al moltiplicatore di tensione.

A questo proposito, in fase di dimensionamento del valore dei componenti è importante riuscire a creare una rete di adattamento tra loop ricevente e moltiplicatore di tensione, in modo da non creare disadattamenti d’impedenza che potrebbero inficiare il corretto funzionamento e la resa dell’intero sistema.

5. Prototipi ad onde evanescenti

Nel secondo semestre del 2006, presso il MIT e il TILAB, la parte teorica e simulativa necessaria alla realizzazione di un prototipo si poteva ritenere conclusa. In questa fase vi è stato un carteggio elettronico tra l’autore del presente articolo e Aristeidis Karalis, membro del team di progetto MIT diretto dal prof. Marin Soljacic, in merito alle rispettive impressioni sulle modalità di costruzione e le potenze da porre in gioco.

Nel giugno 2007 il team di Soljacic annunciò alla comunità scientifica mondiale la riuscita dell’e- sperimento per il trasferimento di energia senza fili, subito ribattezzato WiTricity, intuitiva contrazione dei termini inglesi “Wireless” e “Electricity”. Tre mesi dopo il prototipo realizzato in TILab entrava felicemente in funzione, ovviando ad alcuni incon- venienti della versione MIT.

5.1 Il prototipo di WiTricity del MIT

Come illustrato nella foto 1, il WiTricity realizzato dal MIT è costituito da un trasmettitore valvolare basato su un oscillatore Colpitts che eroga 400 watt.

I loop risonanti sono entrambi costituiti da cinque spire circolari del diametro di 60 centimetri spaziate in modo da autorisonare alla frequenza del trasmetti- tore. Un accoppiamento induttivo formato da una

spira trasferisce questa potenza sul loop risonante emittente, e siccome questo trasferimento ha una resa di circa il 37% ne consegue che la potenza emessa dal loop risonante è di 150 watt.

Il prototipo MIT è in grado di accendere una lampadina da 60 watt alla distanza di due metri, dopodiché il campo, proprio perché evanescente si smorza rapidamente. In merito all’efficienza del sistema vi è una guerra dei numeri, in quanto il gruppo autore del prototipo dichiara una resa del 40%, ottenuta come rapporto tra i 150 watt emessi dal loop emittente ed i 60 watt necessari all’accen- sione della lampadina, mentre i detrattori dell’e- sperimento sostengono che la resa è solo del 15%, computata come rapporto tra i 400 watt emessi dal trasmettitore ed i 60 watt del carico finale costi- tuito dalla lampadina.

Nonostante il successo dell’impresa ed il meritato eco mediatico nella comunità scientifica, il prototipo del MIT è ancora molto “concettuale”, in quanto peso e dimensioni lo rendono tutt’altro che “porta- bile”, i loop sono molto grandi e profondi e la loro taratura per ottenere la risonanza avviene manual- mente, stringendo ed allargando le spire costituenti i medesimi, con tempi di sintonia lunghissimi.

Proprio osservando i punti deboli di questo pro- totipo, e cercando di ovviarli, è stato realizzato il prototipo TILab.

5.2 Il prototipo di TILAB

Il prototipo realizzato in TILab si colloca sin dalla fase progettuale su un’altra scala di potenze

Fase Neutro

Cella 1 Cella 2 Cella 3 Cella 4 Cella 5 Cella n

+ Vx2 + Vx4 + Vx6 + Vx8 + Vx10 + Vx2n

INGRESSO

USCITA

FIGURA 10

Circuito di Cockcroft-Walton per la moltiplicazione della tensione d’ingresso.

FOTO 1

Il prototipo MIT per la trasformazione di energia in campo evanescente.

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