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Interventi terapeutici sul meccanismo autoimmune nel diabete di tipo 1

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Academic year: 2021

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(1)

RIASSUNTO

Questa rassegna prende in esame gli studi di prevenzione del diabete di tipo 1 intrapresi prima della comparsa dell’autoimmunità (prevenzione primaria), dopo lo sviluppo degli autoanticorpi (prevenzione secondaria) e al momento della diagnosi clinica, allo scopo di preservare la funzione insulinica (secrezione di peptide C) residua (prevenzione terziaria). Studi di prevenzione primaria sono stati condotti in bambini della prima infanzia a elevato rischio genetico, basati essenzialmente su interventi di tipo nutrizionale (latte idrolizzato, glutine, acidi grassi), tutti con risultati negativi. Alcune evidenze preliminari suggeriscono un ruolo potenziale per la somministrazione orale di insulina, intesa come vaccino. Studi di prevenzione secondaria sono stati condotti con insulina parenterale, orale e nasale, nicotinamide, glutine e altri agenti, senza alcun risultato. In un’analisi post hoc, è emerso un effetto dell’insulina orale nel ritardare la progressione verso la malattia clinica conclamata in un sottogruppo di persone con anticorpi anti-insulina a titolo elevato: questa evidenza ha fornito il razionale per il più grande studio di prevenzione secondaria, tuttora in corso, basato sull’insulina orale. Numerose sperimentazioni cliniche sono state condotte in pazienti al momento della diagnosi clinica di diabete di tipo 1, ottenendo risultati negativi (micofenolato mofetil e daclizumab, insulina orale, GAD alumn, canakinumab, anakinra, ATG, sitagliptin, controllo metabolico molto stretto e altro ancora), benefici soltanto transitori (ciclosporina, anti-CD3, rituximab, abatacept). Risultati incoraggianti, benché solo preliminari, sono stati ottenuti con l’autotrapianto non-mieloablativo di cellule staminali emopoietiche e con G-CSF. Malgrado i risultati complessivi siano stati fino a questo momento deludenti, la prevenzione del diabete di tipo 1 deve continuare a essere perseguita in virtù dell’elevato impatto di questa malattia sull’aspettativa e qualità di vita delle persone che ne sono colpite.

SUMMARY

Therapeutic interventions on autoimmune mechanisms in type 1 diabetes

This review analyzes prevention studies in type 1 diabetes undertaken prior to any evidence of autoimmunity (primary prevention), after the development of islet autoantibodies (secondary prevention) and at the time of clinical onset of the disease, with the aim of preserving residual insulin (i.e. C-peptide) secretion (tertiary prevention). Primary prevention studies have been conducted in infants at high genetic risk, essentially based on dietary interventions (infant milk formulas, gluten, omega-3-fatty acids), all leading to negative results. Some preliminary data suggest a potential role for oral insulin acting as a vaccine at this stage. Secondary prevention studies have been conducted with parenteral, oral and nasal insulin, nicotinamide, gluten and other agents, with overall unsuccessful results.

In a post hoc analysis, oral insulin proved to be effective in a subset of subjects with high titre insulin autoantibodies: this evidence provided the rational for the largest and still ongoing prevention trial based on oral insulin. Many trials have been conducted at the time in new onset patients with a variety of interventions, obtaining negative results (mycophenolate mofetil and daclizumab, oral insulin, GAD alumn, canakinumab, anakinra, ATG, sitagliptin, metabolic control, and other) or only transient beneficial effects (cyclosporine, anti-CD3, rituximab, abatacept). Preliminary, but promising results were observed exploring autologous nonmyeloablative hematopoietic stem cell transplantation and G-CSF. Despite unsatisfactory results obtained so far, attempts for achieving successful prevention of type 1 diabetes are to be pursued due to the large impact and still unacceptable burden of type 1 diabetes in modern societies.

Corrispondenza: prof. Emanuele Bosi, Diabetes Research Institute, Ospedale San Raffaele, via Olgettina 60, 20132 Milano e-mail: bosi.emanuele@hsr.it

Pervenuto il 07-11-2016 • Revisione del 14-11-2016 • Accettato il 15-11-2016

Parole chiave: diabete di tipo 1, autoimmunità, prevenzione • Key words: type 1 diabetes, autoimmunity, prevention

Abbreviazioni: ADA, American Diabetes Association; ATG, antithymocyte globulin, globulina anti-timociti; BCG, bacillo Calmette-Guérin;

DHA, acido docosaesaenoico; DPT-1, Diabetes Prevention Trial 1; GAD, glutamic acid decarboxylase, decarbossilasi dell’acido glutam- mico; GADA, anti-decarbossilasi dell’acido glutammico; G-CSF, granulocyte colony-stimulating factor, fattore stimolante le colonie gra- nulocitarie; HbA1c, emoglobina glicata; HLA, human leukocyte antigen, antigene leucocitario umano; Hsp60, proteina heat shock 60;

IAA, anti insulin antibody, anticorpi anti-insulina; IA-2A, anti-protein tirosin fosfatasi IA-2; ICA, islet cell autoantibodies, autoanticorpi anti-insula pancreatica; JDRF, Juvenile Diabetes Research Foundation; MSC, mesenchymal stem cell, cellula staminale mesenchimale; NIH, National Institutes of Health; Treg, linfociti T-regolatori; ZnT8A, anti-trasportatore 8 dello zinco.

Interventi terapeutici sul meccanismo autoimmune nel diabete di tipo 1

Bosi E

1

, Bosi CA

2

, Piemonti L

1

, Battaglia M

1

1Diabetes Research Institute, Ospedale San Raffaele e Università Vita Salute San Raffaele, Milano; 2Università degli Studi, Milano

(2)

PREDISPOSIZIONE

GENETICA INSULITE

DANNO BETA-CELLULA

“PRE”- DIABETE

DIABETE

RISCHIO GENETICO

Prevenzione primaria ANTICORPI MULTIPLI POSITIVI Prevenzione secondaria precoce

PERDITA PRIMA FASE SECREZIONE DI INSULINA

Prevenzione secondaria

DIAGNOSI CLINICA DI DIABETE Prevenzione terziaria MESI-ANNI

MASSA BETA-CELLULARE Peptide C

massa β-cell

Figura 1 Rappresentazione schematica della storia naturale del diabete di tipo 1 e tipi di potenziali interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

Tipi di prevenzione

Rispetto alla storia naturale della sua fase preclinica, si ri- conoscono tre possibili tipi di prevenzione del diabete di tipo 1 in relazione al momento dell’intervento: primaria, secondaria e terziaria (Fig. 1).

La prevenzione primaria è quella che si realizza durante la fase pre-autoimmune, prima cioè che compaiano gli au- toanticorpi, avendo come obiettivo la prevenzione degli stessi autoanticorpi. Poiché l’età della comparsa degli au- toanticorpi è molto precoce, gli interventi di prevenzione primaria finora realizzati o in corso hanno riguardato neo- nati o bambini della prima infanzia, entro i primi due anni di età.

La prevenzione secondaria è quella che si realizza in per- sone divenute positive per la presenza di uno o più autoanticorpi, con glicemia ancora normale o modesta- mente alterata dopo carico orale di glucosio, mirata a prevenire l’evoluzione alla fase conclamata della malattia e quindi alla terapia con insulina.

La prevenzione terziaria è quella che si realizza al mo- mento dell’esordio clinico del diabete e dell’inizio della terapia con insulina ed è mirata alla preservazione della

funzione beta-cellulare residua, misurata come secrezione

di peptide C.

Le origini degli studi di prevenzione

La storia dei tentativi di prevenire il diabete di tipo 1 dura ormai da oltre 30 anni, dai tempi in cui la disponibilità dell’allora nuovo farmaco immunosoppressore ciclospo- rina ne stimolò l’impiego anche nel diabete di tipo 1

(5)

. Successivamente gli studi clinici di intervento sono stati numerosissimi e molto diversi tra loro, con risultati cer- tamente utili per l’avanzamento delle conoscenze sulla storia naturale e la patogenesi del diabete di tipo 1, ma complessivamente deludenti sul piano dei risultati: infatti, a oggi, non vi è un solo trattamento che si sia dimostrato efficace, duraturo e sicuro.

Introduzione

Base razionale della prevenzione del diabete di tipo 1 Malgrado la prognosi e la qualità di vita delle persone con diabete di tipo 1 siano enormemente migliorate nel corso degli ultimi decenni, l’obiettivo finale della ricerca rimane quello di sconfiggere definitivamente questa ma- lattia, attraverso la guarigione delle persone che l’hanno già sviluppata e la prevenzione in quelle che ancora non ne sono colpite.

La giustificazione della prevenzione risponde anche a una necessità sociale, in quanto il diabete di tipo 1 è una malattia cronica diffusa, al momento non guaribile, che colpisce prevalentemente bambini e adolescenti e che dura per tutta la vita; inoltre, pur in presenza degli innegabili miglioramenti, l’incidenza delle complicanze croniche della malattia rimane ancora inaccettabile, come si può sinteticamente dedurre dal dato recente che mostra come la mortalità delle persone con diabete di tipo 1, anche ben controllate, sia ancora 2,2 volte superiore a quella di persone omologhe senza il dia- bete

(1)

.

La predizione come presupposto alla prevenzione La possibilità di prevenire il diabete di tipo 1, o quanto meno di ritardarne l’evoluzione alla fase clinica concla- mata, ha iniziato a profilarsi, dapprima come ipotesi teo- rica, quindi come possibilità concreta, nel momento in cui è emersa l’evidenza della lunga fase di latenza precli- nica durante la quale il processo autoimmune beta-cel- lulo-specifico insorge, matura e si sviluppa, fino al quadro conclamato di malattia

(2)

.

Questa fase, totalmente silente dal punto di vista clinico

e ideale per interventi preventivi, è stata di recente anche

formalmente definita come espressione di malattia già in

corso e classificabile in diversi stadi di evoluzione

(3)

. I mar-

catori più sensibili, specifici e a più elevato valore predit-

tivo di questa fase sono gli autoanticorpi: inizialmente

rappresentati dai soli storici ICA, oggi comprendono gli

anticorpi contro diversi autoantigeni della beta-cellula,

comprendenti gli anti-decarbossilasi dell’acido glutam-

mico (GADA), gli anti-insulina (IAA), gli anti-protein tiro-

sin fosfatasi IA-2 (IA-2A) e gli anti-trasportatore 8 dello

zinco (ZnT8A). La misurazione di questi autoanticorpi

mediante saggi quantitativi standardizzati, combinata al-

l’impiego di marcatori genetici (familiarità e polimorfi-

smi HLA) e metabolici (glicemia, insulina e peptide C)

consente oggi una predizione molto accurata dell’evolu-

zione del processo patogenetico attraverso le sue varie

fasi precliniche, fino allo sviluppo del diabete clinica-

mente manifesto

(4)

. L’acquisita capacità di predizione rap-

presenta il traguardo più importante fino a oggi

raggiunto dalla ricerca nel campo della prevenzione del

diabete di tipo 1.

(3)

e successivamente del diabete di tipo 1

(7)

. Dopo dati in- coraggianti osservati nel primo studio pilota condotto in Finlandia

(8)

, i risultati dello studio internazionale defini- tivo sono stati negativi, dimostrando l’inutilità dell’im- piego del latte idrolizzato nei neonati al fine di prevenire il diabete di tipo 1

(9)

.

G

LUTINE

Un altro nutriente su cui si è concentrato l’interesse degli studiosi è il glutine: le ragioni sono molteplici, ma la più forte proviene da studi epidemiologici che indicano un pos- sibile ruolo del glutine come fattore di rischio se introdotto troppo precocemente nella dieta

(10,11)

. Tuttavia, la rimozione del glutine dalla dieta si è rivelata inefficace, sia in preven- zione primaria avendo come obiettivo l’insorgenza degli au- toanticorpi

(12,13)

, sia in prevenzione secondaria avendo come obiettivo una modifica del titolo degli autoanticorpi

(14,15)

.

A

CIDI GRASSI OMEGA

-3

Un ulteriore aspetto investigato riguarda gli acidi grassi omega-3, il cui consumo si è significativamente ridotto nel corso degli ultimi decenni con rischio di riduzione di un fattore di protezione contro meccanismi infiamma- tori. Nello studio pilota di prevenzione primaria NIP, è stato somministrato acido docosaesaenoico (DHA) con- tro placebo nel terzo trimestre della gravidanza o durante i primi mesi dell’infanzia di bambini a elevato rischio ge- netico: tuttavia, l’obiettivo intermedio di indurre un in- cremento del DHA nelle membrane dei globuli rossi, non è stato raggiunto

(16)

.

Immunosoppressori e immunomodulatori

C

ICLOSPORINA

Successivamente al primo studio già menzionato

(5)

, ven- nero condotti due studi randomizzati controllati con ciclo- sporina in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza: in entrambi gli studi, Francese

(17)

e Franco- Canadese

(18)

, il trattamento con ciclosporina risultava asso- ciato a una più elevata percentuale di remissione rispetto al placebo. Tuttavia, l’efficacia del trattamento risultava esau- rirsi nel tempo

(19)

, mentre il trattamento con ciclosporina risultava associato a un rischio eccessivo di nefrotossicità

(20)

.

A

ZATIOPRINA

Alcuni studi vennero condotti in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza utilizzando azatioprina come farmaco immunosoppressore non specifico, in associa- zione con prednisone

(21)

o come monoterapia

(22,23)

, con risultati parziali e non duraturi.

N

ICOTINAMIDE

Tra gli interventi relativamente non specifici rivolti ad at- tenuare l’intensità del processo patogenetico, un posto TrialNet

Sulla base di tutte le esperienze accumulate durante i primi anni nel campo della prevenzione del diabete di tipo 1, preso atto delle grandi difficoltà a perseguire un obiettivo così ambizioso, nel 2002 è stato creato un con- sorzio scientifico denominato TrialNet, composto da 18 Centri distribuiti in USA, Canada, Regno Unito, Italia, Germania, Finlandia, Svezia, Australia e Nuova Zelanda, finanziato in massima parte dai National Institutes of Health (NIH) con il contributo di altre importanti agen- zie di ricerca come Juvenile Diabetes Research Founda- tion (JDRF) e American Diabetes Association (ADA).

Scopo di TrialNet è quello di disegnare e realizzare studi di intervento adeguati in termini di rigore metodologico, obiettivi, misure standardizzate, potenza statistica, di- sponendo di una massa critica di scienziati e clinici in grado di condurre screening su vasta scala per l’identifi- cazione dei soggetti a rischio e su questi condurre gli studi di intervento

(6)

. A titolo di esempio della vastità del- l’impegno, durante i primi 12 anni di attività TrialNet ha sottoposto a screening per la presenza di autoanticorpi oltre 150.000 familiari di primo o secondo grado di per- sone con diabete di tipo 1 e ha condotto o sta attual- mente conducendo un totale di 9 studi di intervento.

Studi clinici di prevenzione

In questa rassegna vengono riviste tutte le esperienze sin qui accumulate, classificate per categoria e tipologia di intervento: interventi nutrizionali, immunosoppressori e immunomodulatori, antigeni e vaccinazioni, autoanti- geni, controllo metabolico e farmaci anti-diabete, fattori di crescita e terapie cellulari. Nella tabella 1 i più impor- tanti tra questi studi sono riportati sinteticamente, clas- sificati come prevenzione primaria, prevenzione secon - daria e interventi alla diagnosi.

Interventi nutrizionali

Poiché il grande buco nero delle conoscenze sul diabete di tipo 1 è rappresentato dalla persistente ignoranza di quali siano i fattori ambientali responsabili dell’induzione della reazione autoimmune, appare logico pensare, tra questi, a fattori nutrizionali e pertanto non è sorpren- dente che vi siano stati diversi tentativi di prevenzione primaria e secondaria basati su modifiche della dieta come strumento di intervento.

L

ATTE IDROLIZZATO

Lo studio più importante in questo ambito è il TRIGR, stu- dio di prevenzione primaria in neonati con familiarità per diabete di tipo 1 randomizzati a nutrizione con latte idro- lizzato o normale latte vaccino, nell’ipotesi che quest’ul- timo potesse rappresentare un fattore di rischio:

l’obiettivo era la riduzione dell’incidenza di autoanticorpi

(4)

Tabella 1 Principali studi di intervento di prevenzione nel diabete di tipo 1.

Nome dello studio Intervento Obiettivo Risultato Referenza

Prevenzione primaria

Finnish TRIGR pilot Formula di caseina idrolizzata Comparsa autoanticorpi Apparente beneficio 8

TRIGR Formula di caseina idrolizzata Comparsa autoanticorpi Nessuna differenza 9

BABYDIET Dieta priva di glutine Comparsa autoanticorpi Nessuna differenza 12, 13

Pre-POINT Insulina orale a dosi crescenti Verifica induzione

Evidenza di risposta 56 di una risposta immune

Prevenzione secondaria

ENDIT Nicotinamide Diagnosi di diabete di tipo 1 Nessuna differenza 24

DPT-1 insulina parenterale Insulina cronica sottocute Diagnosi di diabete di tipo 1 Nessuna differenza 52 DPT-1 insulina orale Insulina cronica orale Diagnosi di diabete di tipo 1 Nessuna differenza 53 Insulina orale TrialNet Insulina cronica orale Diagnosi di diabete di tipo 1 (in corso) 55 Insulina nasale DIPP Insulina cronica per via nasale Diagnosi di diabete di tipo 1 Nessuna differenza 58

Teplizumab TrialNet Anti-CD3, teplizumab Diagnosi di diabete di tipo 1 (in corso) 38

Abatacept TrialNet CTLA4-Ig, abatacept Diagnosi di diabete di tipo 1 (in corso) 41

Prevenzione terziaria (interventi alla diagnosi per preservazione peptide C)

Herold, anti-CD3 Anti-CD3, teplizumab Peptide C Beneficio 28, 29

Keymeulen, anti-CD3 Anti-CD3, otelixizumab Peptide C Beneficio 30, 31

Protégé Anti-CD3, teplizumab Insulina < 0,5 unità/kg +

Nessuna differenza 32, 33 HbA1c< 6,5%

DEFEND-2 Anti-CD3, otelixizumab Peptide C Nessuna differenza 36, 37

GAD pilot GAD-alum Peptide C Beneficio apparente 61

GAD TrialNet GAD-alum Peptide C Nessuna differenza 62

GAD Europe GAD-alum Peptide C Nessuna differenza 63

Insulina orale Studio Francese Insulina orale Peptide C Nessuna differenza 59

Insulina orale Studio Italiano Insulina orale Peptide C Nessuna differenza 60

MMF/DZB TrialNet Micofenolato-mofetil ± Peptide C Nessuna differenza 25

anti-CD25 (daclizumab)

Anti-CD20 TrialNet Anti-CD20, rituximab Peptide C Beneficio 26

Abatacept TrialNet Abatacept Peptide C Beneficio 27

Canakinumab TrialNet Anti-IL1β canakinumab Peptide C Nessuna differenza 42

START thymoglobulin ITN Thymoglobulin Peptide C Nessuna differenza 44

AIDA anakinra trial Anti-recettore IL1, anakinra Peptide C Nessuna differenza 42

Terapia insulinica intensiva Terapia insulinica intensiva Peptide C Beneficio 64

Controllo metabolico Controllo e terapia intensiva mediante Peptide C Nessuna differenza 65 intensivo TrialNet microinfusore e sensore per il glucosio

REPAIR-T1D Sitagliptin e lansoprazolo Peptide C Nessuna differenza 67

Voltarelli trial Trapianto autologo cellule staminali Peptide C Beneficio 68, 69

ematopoietiche

ATG/G-CSF trial ATG e G-CSF Peptide C Beneficio 72

trattamento con nicotinamide o placebo 552 soggetti per un follow-up di 5 anni. I risultati di questo studio sono stati purtroppo negativi

(24)

.

M

ICOFENOLATO E DACLIZUMAB

(

ANTI

-CD25)

In questo studio condotto da TrialNet, non si è osservata alcuna efficacia, in termini di preservazione della funzione particolare merita la nicotinamide, i cui effetti sono stati

oggetto di un grande studio multicentrico europeo de-

nominato ENDIT. Il razionale risiedeva nel possibile ruolo

protettivo, soprattutto come spazzino dei radicali liberi,

della nicotinamide nei riguardi delle beta-cellule. Lo stu-

dio ENDIT ha sottoposto a screening oltre 50.000 fami-

liari di primo grado tra il 1994 e il 1998 e ha arruolato nel

(5)

non diabetici, positivi per autoanticorpi e normale tolle- ranza al glucosio

(41)

.

C

ANAKINUMAB E ANAKINRA

(

ANTI

-IL1)

Si è ipotizzato che nella patogenesi del diabete di tipo 1 vi possa essere un ruolo importante svolto dall’immunità innata, nel cui contesto una funzione rilevante viene at- tribuita alla citochina pro-infiammatoria interleuchina- 1 β. L’ipotesi che agendo su questo meccanismo si possa proteggere la funzione residua in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza è stata esplorata in due studi di intervento: uno condotto da TrialNet con cana- kinumab (anticorpo monoclonale anti-IL1) e l’altro condotto in Europa dal gruppo AIDA con anakinra (an- tagonista del recettore IL1) riportati nello stesso arti- colo

(42)

, purtroppo con risultati completamente negativi.

G

LOBULINE ANTI

-

TIMOCITI

Il possibile impiego globuline anti-timociti (ATG) nel dia- bete trova giustificazione nell’azione di deplezione dei linfociti effettori e nella possibile promozione di linfociti ad attività regolatoria indotta da tale trattamento. Con questi presupposti, uno studio di fase 2 è stato condotto in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza, senza purtroppo che se ne sia dimostrata una qualunque efficacia, sia a un anno

(43)

sia a due anni

(44)

.

Antigeni e vaccinazioni

D

IA

P

EP

277

DiaPep277 è un peptide costituente la proteina heat shock 60 (Hsp60), ritenuto capace di indurre una rispo- sta da parte di linfociti T antinfiammatori. In uno studio di fase 2 si era dimostrata una certa efficacia nella pre- servazione della funzione beta-cellulare in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza

(45)

. Tuttavia, uno studio successivo di fase 3 riportava inizialmente una par- ziale risposta, che tuttavia veniva successivamente ritrat- tata sulla base di gravi conflitti di interesse che avevano viziato l’analisi e obbligato gli autori a ritirare le pubbli- cazioni dello studio

(46,47)

.

BCG (B

ACILLO

C

ALMETTE

-G

UÉRIN

)

Il bacillo di Calmette e Guérin è un microrganismo atte- nuato, utilizzato come vaccino contro la tubercolosi, potenzialmente in grado di attenuare la risposta autoim- mune. Uno studio recente di piccole dimensioni asseriva un effetto di riduzione del numero di linfociti T autore- attivi e di aumento dei linfociti T regolatori dopo som- ministrazione di BCG in pazienti con diabete di tipo 1 di lunga durata

(48)

, rilanciando l’interesse su questo ap- proccio potenziale. Tuttavia, due studi precedenti di maggiori dimensioni ne avevano mostrato la sostanziale inefficacia in pazienti all’insorgenza della malattia

(49,50)

. beta-cellulare residua, associata al trattamento con l’im-

munosoppressore micofenolato-mofetil, con o senza daclizumab, un anticorpo monoclonale anti-CD25 (mole- cola corrispondente alla subunità- α del recettore dell’inte- leuchina-2, espressa sulla superficie dei linfociti T attivati), in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza

(25)

.

R

ITUXIMAB

(

ANTI

-CD20)

Una possibile strategia mirata al controllo della risposta autoimmune consiste nella deplezione dei linfociti B au- toreattivi. In uno studio condotto da TrialNet in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza, la sommini- strazione di rituximab, un anticorpo monoclonale anti- CD20 (molecola espressa sulla superficie di linfociti B e plasmacellule), ha indotto una migliore preservazione della funzione beta-cellulare residua a un anno

(26)

. Pur- troppo, il beneficio non era più misurabile a due anni dalla diagnosi

(27)

.

T

EPLIZUMAB E OTELIXIZUMAB

(

ANTI

-CD3)

Sulla base di incoraggianti risultati ottenuti nei modelli ani- mali, due anticorpi monoclonali umanizzati anti-CD3, de- nominati teplizumab e otelixizumab, con azione soltanto in parte depletante i linfociti T attivati e in parte di immuno- modulazione con promozione di effetti potenzialmente tol- lerogenici, sono stati utilizzati in studi clinici in pazienti con diabete di tipo 1 di recente insorgenza: dopo i risultati ini- ziali molto incoraggianti in cui si dimostrava un preserva- zione della funzione beta-cellulare sia con teplizumab

(28,29)

sia con otelixizumab

(30,31)

, osservazioni successive in studi di fase 3 e di altro tipo hanno prodotto risultati non univoci, con eterogeneità delle risposte a teplizumab

(32-35)

e diffe- renze dose-dipendenti con otelixizumab

(36,37)

, sollevando dubbi sulla reale efficacia di queste terapie. Attualmente è in corso uno studio condotto da TrialNet con l’impiego di teplizumab in soggetti non diabetici, positivi per autoanti- corpi e alterata tolleranza al glucosio

(38)

.

A

BATACEPT

(CTLA4-I

G

)

Una possibile strategia di intervento nel processo pato-

genetico responsabile del diabete di tipo 1 è rappresen-

tata dal blocco della via costimolatoria del processo di

attivazione dei linfociti T, mediata, tra le altre, dalle mo-

lecole CD80/86 presenti sulle cellule presentanti l’anti-

gene e il CD28 presente sui linfociti T. Abatacept è una

proteina di fusione CTLA4-Ig che, legandosi a CD80/86,

blocca l’interazione con CD28. In uno studio condotto

da TrialNet in pazienti con diabete di tipo 1 di recente

insorgenza, abatacept ha significativamente rallentato il

declino della funzione beta-cellulare a un anno

(39)

, con

un prolungamento di sopravvivenza stimato di 9,5 mesi,

potendosi evidenziare un beneficio fino a tre anni dopo

la diagnosi

(40)

. Attualmente è in corso uno studio con-

dotto da TrialNet con l’impiego di abatacept in soggetti

(6)

effettivamente indotta dall’insulina orale

(56)

e questa evi- denza ha rappresentato la base razionale di un pro- gramma per realizzare estesi screening di massa e interventi di prevenzione mediante insulina orale

(57)

. Per ragioni di completezza, occorre ricordare che i ten- tativi di terapia con insulina per via nasale in prevenzione secondaria, somministrata a parenti con autoanticorpi, non hanno prodotto alcun rallentamento verso l’evolu- zione a diabete

(58)

, così come la stessa insulina orale som- ministrata al momento della comparsa di malattia non aveva modificato l’evoluzione della secrezione residua della beta-cellula

(59,60)

.

GAD

Con gli stessi presupposti teorici dell’insulina, anche la GAD è stata sperimentata come possibile autoantigene da somministrare al fine di indurre tolleranza e quindi modificare l’evoluzione del diabete di tipo 1. Dopo un primo studio pilota che aveva dimostrato un effetto di protezione da parte della somministrazione di due dosi di GAD sottocute in persone con diabete di tipo 1 di re- cente insorgenza

(61)

, i due successivi studi di fase 3, uno condotto da TrialNet

(62)

, l’altro condotto in Europa

(63)

non hanno confermato alcun effetto di efficacia della GAD somministrata tre o quattro volte sottocute.

Controllo metabolico e farmaci anti-diabete

C

ONTROLLO GLICEMICO PRECOCE E INTENSIVO

L’effetto benefico di un trattamento insulinico precoce e intensivo sulla funzione beta-cellulare residua è noto da molto tempo, al punto che in passato si era addirittura ipotizzato che un simile approccio potesse avere dei mec- canismi di protezione della funzione beta-cellulare che andassero oltre gli effetti puramente metabolici, equiva- lenti a quelli di una terapia immunosoppressiva

(64)

. Di re- cente è stato condotto uno studio in pazienti con neodiagnosi di diabete di tipo 1, nei quali il braccio di intervento fosse al meglio delle possibilità tecnologiche, con ricovero e terapia insulinica intensiva mediante pan- creas artificiale e successivo passaggio a microinfusore potenziato con sensore per il glucosio, rispetto al braccio di controllo di terapia insulinica intensiva convenzionale.

Purtroppo i risultati a un anno non hanno mostrato dif- ferenze tra i due gruppi

(65)

.

F

ARMACI INCRETINICI

Il razionale dell’impiego di farmaci ad azione incretinica risiede nella possibilità che l’ormone GLP-1, e in subor- dine il GIP, possano contribuire a preservare la funzione beta-cellulare

(66)

. Pertanto si è sviluppato un certo inte- resse sull’impiego di farmaci inibitori della DPP-4 e ana- loghi del GLP-1 nel diabete di tipo 1. Uno studio condotto con sitagliptin (DPP4-inibitore, stimolante il Autoantigeni

I

NSULINA

Il primo grande studio di prevenzione del diabete di tipo 1 è stato il DPT-1 (Diabetes Prevention Trial 1): patrocinato dagli NIH, realizzato tra il 1994 e il 2003 in USA e Canada in parenti di primo o secondo grado identificati per presenza di ICA, prevedeva come strumento di pre- venzione la somministrazione di insulina per via paren- terale nei soggetti a più elevato rischio (> 50% entro 5 anni) o per via orale nei soggetti a rischio intermedio (26-50%). Il razionale risiedeva nel concetto di induzione di tolleranza nei riguardi di un antigene maggiore come l’insulina, che nei modelli animali e in alcuni studi pilota aveva dato risultati molto incoraggianti

(51)

. Purtroppo, i ri- sultati furono negativi, sia nello studio di somministra- zione parenterale

(52)

sia nello studio di somministrazione orale

(53)

. Tuttavia, nello studio DPT-1 che valutava l’ef- fetto dell’insulina orale, l’analisi dei sottogruppi mostrava che i soggetti con IAA a titolo elevato avevano tratto be- neficio dall’assunzione dell’insulina, con un ritardo medio dell’evoluzione a diabete di circa 4,5 anni

(53)

. Un’ulteriore analisi post-hoc, mostrava come in un ulteriore sotto- gruppo in cui i titoli degli IAA erano ancora più elevati, il ritardo della progressione a diabete sfiorava i 10 anni

(54)

. Da questa osservazione ha tratto origine un nuovo studio di prevenzione disegnato e lanciato da TrialNet nel 2007 e in fase di completamento a fine 2016: lo studio è di prevenzione secondaria, riguarda i familiari di età compresa tra 3 e 45 anni che siano risultati positivi allo screen ing anticorpale per gli anticorpi anti-insulina e al- meno un altro autoanticorpo, e si basa sulla sommini- strazione di cristalli di insulina alla dose di 7,5 mg/die contro placebo. La misura primaria di efficacia è il ritardo o la mancata progressione verso il diabete di tipo 1

(55)

. Il profilo di sicurezza dell’insulina orale viene stimato come estremamente favorevole, sostanzialmente privo di effetti indesiderati. Il presupposto teorico si fonda sull’ipotesi che la somministrazione per via orale dell’autoantigene insulina induca tolleranza immunitaria nei riguardi delle cellule beta che producono insulina. Il meccanismo do- vrebbe essere quello della induzione di una risposta pro- tettiva a livello del sistema immune della mucosa intestinale. I risultati di quello che è il più grande studio di intervento per la prevenzione del diabete di tipo 1 mai realizzato verranno presentati nel corso del 2017.

Un altro importante studio pilota di prevenzione, questa

volta primaria, basato sulla somministrazione orale di in-

sulina, è stato eseguito in bambini da 2 a 7 anni di età a

elevato rischio genetico, ma senza evidenze di autoim-

munità in atto: l’ipotesi era di verificare se l’insulina orale

a dosi elevate fosse in grado di indurre una risposta im-

munitaria protettiva nei riguardi del diabete di tipo 1: i ri-

sultati hanno dimostrato che una risposta immune è

(7)

anni dopo l’infusione. Non sono stati rilevati inoltre effetti collaterali significativi

(74)

. Questi risultati preliminari rap- presentano la base per futuri studi più estesi per valutare appieno le potenzialità della terapia con Treg.

C

ELLULE STAMINALI MESENCHIMALI

Le cellule staminali mesenchimali (MSC), precursori di di- verse popolazioni di natura connettivale, sono state considerate come una valida opzione terapeutica nel trat- tamento di diverse malattie autoimmuni, compreso il dia- bete di tipo 1

(75,76)

. Il razionale risiede nella capacità immuno-modulatoria e promuovente la rigenerazione dei tessuti specifica di questi precursori. A oggi, sono stati riportati due studi pilota: un primo studio, condotto in Svezia in pazienti con diabete di recente insorgenza, ha mostrato che a un anno dall’autotrapianto di cellule sta- minali mesenchimali di origine midollare i soggetti trat- tati non hanno subito declino nel rilascio di peptide C

(77)

; nel secondo studio, condotto in Cina in soggetti con dia- bete di tipo 1 di durata intermedia, la somministrazione di cellule staminali mesenchimali allogeniche derivate da cordone ombelicale, in combinazione con cellule midol- lari autologhe mononucleate, induceva un migliora- mento della secrezione residua rispetto al gruppo di controllo

(78)

.

Conclusioni

Dagli studi riportati, ai quali occorre aggiungerne altri di piccole dimensioni e scarso rilievo, emerge evidente come a uno sforzo enorme prodotto nel corso degli ul- timi due decenni, con pochi altri esempi per ampiezza e numerosità nel campo della scienza medica, sia corri- sposto un insieme di risultati modesti in termini di effi- cacia. Cionondimeno, l’obiettivo della prevenzione del diabete di tipo 1 e della possibilità di interdire dall’esterno il processo patogenetico autoimmune che ne sta alla base, rimane di primaria importanza, certamente tra i più ambiziosi della medicina contemporanea. Le direzioni fu- ture della ricerca appaiono in parte ben definite, in parte non prevedibili. Una tendenza è sicuramente quella di sperimentare terapie combinate

(79)

, sulla falsariga delle esperienze che hanno avuto successo in diversi ambiti come trapianto d’organo, cancro, HIV ecc. Un’altra ten- denza sarà quella di anticipare il più possibile gli inter- venti rispetto alla storia naturale del diabete di tipo 1: è ragionevole infatti che la patogenesi del diabete di tipo 1 evolva in stadi progressivi, con il coinvolgimento e l’at- tivazione di meccanismi progressivamente più complessi e quindi più difficili da contrastare, richiedendo interventi via via più articolati e aggressivi per risultare efficaci

(80)

. In- fine, occorre auspicare nuove scoperte su cause e mec- canismi della malattia, in grado di orientarci verso scelte di intervento che siano realmente innovative.

GLP-1) e lansoprazolo (inibitore di pompa protonica, stimolante il GIP) in pazienti con diabete di tipo 1 di nuovo riscontro non ha tuttavia dimostrato un effetto di preservazione della funzione beta-cellulare residua a un anno

(67)

. Alcuni studi di intervento con analoghi del GLP-1 (liraglutide e albiglutide) sono attualmente in corso in pazienti con diabete di tipo 1 di recente ri- scontro.

Terapie cellulari e fattori di crescita

T

RAPIANTO AUTOLOGO DI MIDOLLO OSSEO

Tra tutti gli interventi, quello più aggressivo, e al tempo stesso tra i più efficaci, è il trapianto autologo non mie- loablativo di cellule staminali emopoietiche. Lo schema prevede la raccolta e criopreservazione di cellule staminali emopoietiche a mezzo di leucoaferesi dopo trattamento con ciclofosfamide e G-CSF (fattore stimolante le colo- nie granulocitarie); quindi, le stesse cellule vengono rein- fuse dopo condizionamento con ciclofosfamide e ATG. I risultati hanno mostrato un’elevata proporzione di casi evoluti a remissione del diabete

(68)

, con recidiva della ma- lattia nell’arco dei mesi e anni successivi

(69)

. Il problema principale di questa procedura è l’elevata invasività, con una mortalità bassa, ma riscontrata nelle precedenti espe- rienze con altre malattie autoimmuni

(70)

. Una recente analisi di tre studi di autotrapianto di cellule staminali emopoietiche eseguiti in Cina e Polonia sembrerebbe confermare i risultati del primo studio

(71)

.

ATG

E

G-CSF

Le esperienze con il trapianto autologo di cellule stami- nali ematopoietiche hanno stimolato l’interesse circa il possibile impiego di ATG e G-CSF in combinazione. Uno studio pilota ha testato la somministrazione di ATG e G-CSF in pazienti con diabete di tipo 1, con durata della malattia compresa tra 4 mesi e 2 anni, mostrando un mo- derato miglioramento dei parametri metabolici

(72)

. Uno studio più esteso in pazienti con diabete di tipo 1 di re- cente riscontro che valuta gli effetti dell’associazione ATG e G-CSF è attualmente in corso di svolgimento da parte di TrialNet

(73)

.

T

REG

Il ripristino dell’equilibrio tra linfociti T-effettori e T-rego-

latori (Treg) al fine di interrompere il processo autoim-

mune è uno degli obiettivi più ambiziosi della ricerca

traslazionale nel diabete di tipo 1. Recentemente, è stato

condotto uno studio di fase 1 applicando un protocollo di

isolamento, espansione ex vivo policlonale e reinfusione

di linfociti Treg in pazienti con diabete di tipo 1: a distanza

di un anno, la percentuale dei linfociti T-regolatori reinfusi

sopravvissuti arrivava fino al 25%, mentre i livelli di pep-

tide C si mantenevano sostanzialmente stabili fino a due

(8)

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