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Comitato dei consulenti editoriali: Girolamo Arnaldi (Emerito, Università di Roma “La Sapienza

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Academic year: 2021

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ANNALI DI STORIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE

Comitato di direzione: Gian Paolo Brizzi, Piero Del Negro, Andrea Romano.

Comitato di redazione: Elena Brambilla (Università di Milano), Romano Paolo Coppini (Università di Pisa), Peter Denley (Queen Mary University, London), Mordechai Feingold (California Institute of Technology, Pasadena), Roberto Greci (Università di Parma), Paul F. Grendler (University of Toronto), Antonello Mattone (Università di Sassari), Daniele Menozzi (Scuola Normale Superiore di Pisa), Mauro Moretti (Università per Stranieri di Siena), Paolo Nardi (Università di Siena), Luigi Pepe (Università di Ferrara), Mariano Peset (Universidad de Valencia), Maria Gigliola di Renzo Villata (Università di Milano), Hilde de Ridder Symoens (Universiteit Gent), Marina Roggero (Università di Torino), Roberto Sani (Università di Macerata), Elisa Signori (Università di Pavia), Andrea Silvestri (Politecnico di Milano), Maria Rosa di Simone (Università di Roma “Tor Vergata”), Gert Schubring (Universität Bielefeld), Jacques Verger (Université Paris Sorbonne-Paris IV).

Comitato dei consulenti editoriali: Girolamo Arnaldi (Emerito, Università di Roma “La Sapienza”), Francesco Bonini (Università di Teramo), Gaetano Bonetta (Università di Chieti), Stefano Brufani (Università di Perugia), Patrizia Castelli (Università di Ferrara), Giuseppe Catturi (Università di Siena), Marco Cavina (Università di Bologna), Ester De Fort (Università di Torino), Gianfranco Fioravanti (Università di Pisa), Giuseppina Fois (Università di Sassari), Paolo Gheda (Università della Valle d’Aosta), Teresa Grange (Università della Valle d’Aosta), Gianfranco Liberati (Università di Bari), Angelo Massafra (Università di Bari), Aldo Mazzacane (Università di Napoli “Federico II”), Paolo Mazzarello (Università di Pavia), Simona Negruzzo (Università Cattolica del Sacro Cuore –Brescia), Maria Grazia Nico (Università di Perugia), Daniela Novarese (Università di Messina), Giuliano Pancaldi (Università di Bologna), Marco Paolino (Università della Tuscia – Viterbo), Maurizio Ridolfi (Università della Tuscia – Viterbo), Achille Marzio Romani (Università Commerciale “Luigi Bocconi”), Maurizio Sangalli (Università per Stranieri di Siena), Ornella Selvafolta (Politecnico di Milano), Andrea Tabarroni (Università di Udine), Andrea Tilatti (Università di Udine), Francesco Totaro (Università di Macerata), Francesco Traniello (Università di Torino), Francesco Vecchiato (Università di Verona).

Gli «Annali di storia delle università italiane» sono una pubblicazione periodica a caden- za annuale. Gli «Annali» si propongono come punto di incontro, di discussione e di informazione per quanti, pur nella diversità degli approcci storiografici e nella moltepli- cità dei settori disciplinari di appartenenza, si occupano di temi relativi alla storia delle università italiane.

La rivista è espressione del “Centro interuniversitario per la storia delle università ita- liane” (CISUI), cui aderiscono attualmente gli Atenei di Bari, Bologna, Chieti, Ferrara, Macerata, Messina, Milano “Luigi Bocconi”, Milano Politecnico, Milano Statale, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma “Tor Vergata”, Sassari, Scuola Normale Superiore di Pisa, Siena, Siena “Università per Stranieri”, Teramo, Torino, Udine, Valle d’Aosta, Verona, della Tuscia (Viterbo).

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Redazione: Maria Grazia Suriano

Elaborazione immagini pubblicate nei saggi: Pier Paolo Zannoni Direttore responsabile: Gian Paolo Brizzi

Autorizzazione del Tribunale Civile di Bologna n. 6815 del 5/6/98

I testi pubblicati sono preventivamente valutati dai curatori indicati, per ciascun numero, dal Comitato di redazione e dal Comitato dei consulenti editoriali. I testi sono altresì sot- toposti al giudizio in forma anonima di esperti interni ed esterni (peer review). Il modulo per peer review è disponibile on-line all’indirizzo www.cisui.unibo.it/home.htm. Gli articoli pubblicati in questa rivista sono catalogati negli indici sotto elencati.

«Annali di storia delle università italiane» is a peer reviewed journal and it is covered by the following abstracting/indexing services:

Acnp - Catalogo italiano dei periodici Aida - Articoli italiani di periodici accademici

Bibliografia storica italiana EBSCO Publishing - Historical Abstract

EIO - Editoria italiana online

ESF - European Reference Index for the Humanities (ERIH)

Nel 2010 è stato avviato il processo di valutazione per l’indicizzazione in ISI Web of Knowledge

Questo numero è stato pubblicato con il contributo della “Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna”

Il CISUIha la propria sede presso l’Università di Bologna:

Centro interuniversitario per la storia delle università italiane Via Galliera 3

40121 Bologna

tel. +39+051224113; fax +39+0512088507

e-mail: cisui.redazione@unibo.it; indirizzo internet: www.cisui.unibo.it/

Corrispondenza redazionale: «Annali di storia delle università italiane», CP 82, 40134 Bologna 22

Abbonamenti e acquisti: CLUEB, via Marsala 31, 40126 Bologna

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© 2010 CLUEB, via Marsala 31, 40126 Bologna e CISUI, via Galliera 3, 40121 Bologna

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Annali di storia

delle università italiane

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5

Annali di storia delle università italiane 14/2010

INDICE

9 IL PUNTO

11 MAUROMORETTI, Sul governo delle università nell’Italia contemporanea 41 STUDI

43 The University of Pisa, Presentation by ROMANO PAOLOCOPPINI-ALESSANDRO

BRECCIA

45 L’Università degli Studi di Pisa, Presentazione di ROMANOPAOLOCOPPINI-ALES-

SANDROBRECCIA

PARTEPRIMA

L’Istituzione: evoluzione storico-politica

51 ROMANOPAOLOCOPPINI-ALESSANDROBRECCIA-MAUROMORETTI, L’Ateneo di Pisa tra l’Unità e il fascismo. Appendice a cura di DANILOBARSANTI, La laurea pisana honoris causa concessa a Woodrow Wilson

71 PAOLACARLUCCI-TOMMASOFANFANI-BRUNOBARSELLA-PAOLOROSSI-LUCIANOMO-

DICA-SIMONEDURANTI, La guerra e la Repubblica PARTESECONDA

Le grandi scuole di pensiero, gli studenti e i docenti

99 ENRICOSPAGNESI, L’insegnamento del diritto ‘al modo pisano’ (1861-1945) 111 GIUSEPPEPETRALIA, Maestri ed allievi, istituti ed itinerari di Clio: centoventicin-

que anni di Storia nell’Ateneo pisano (1859-1974)

125 SIMONETTABASSI-ALFONSOMAURIZIOIACONO, Cento anni di Filosofia a Pisa (1861- 1960)

141 PIEROFLORIANI, Italianisti a Pisa: da Alessandro D’Ancona a Luigi Russo (1861-1961) 151 ANTONIOCARLINI, La Scuola filologica pisana

159 FRANCOFANCIULLO-ROMANOLAZZERONI, Clemente Merlo e la Scuola glottologica 165 LUCIAFAEDO, Cento anni di Archeologia nell’Università di Pisa (1861-1961) 175 EDDABRESCIANI, L’Egittologia nell’Università di Pisa

181 UMBERTOBOTTAZZINI, La Scuola matematica pisana (1860-1960) 193 CLAUDIOLUPERINI-PAOLOROSSI, La Fisica pisana dal 1861 al 1982 207 GIANNIFOCHI, La Chimica pisana

217 MARIODELTACCA-GIUSEPPEPASQUALETTI, La Medicina alla Sapienza pisana 229 NATALEEMILIOBALDACCINI-FERNANDODINI-PAOLOMELETTI, Zoologia e Botanica

nella storia postunitaria dell’Università di Pisa

237 ALESSANDROMASONI, L’agraria dopo Cuppari. Caruso e i suoi epigoni

249 TOMMASOFANFANI-MARCOCINI, L’insegnamento dell’economia e le scuole di pen- siero negli studi economici e aziendali

(6)

263 MASSIMODRINGOLI, Nascita e sviluppo della Facoltà di Ingegneria 275 FABRIZIOLUCCIO, Origine e sviluppo degli studi informatici

285 ALESSANDROTOSI, Per una storia della storia dell’arte nell’Università di Pisa.

Appendice a cura di LORENZOCUCCU, 1961: a Pisa il Cinema entra nell’Universi- tà. Una testimonianza

297 ANNAMARIAGALOPPINI, Le lauree femminili

303 FABRIZIOAMOREBIANCO-PAOLONELLO, Cenni sulla Goliardia pisana dal fascismo al ’68

313 UMBERTOCARPI, Il Sessantotto e l’Università di Pisa 327 FONTI

329 PAOLONARDI, Lodovico Zdekauer a Macerata tra archivi e insegnamento uni- versitario

341 FRANCESCOCABERLIN, Università e nazionalismo di fronte alla Grande Guerra: il caso degli atenei toscani

357 CARLOSNIETOSÁNCHEZ, Una fundación universitaria española en Bolonia: el Co- legio de españoles y su crisis decimonónica

371 MARCELLOSCHIRRU, L’Università degli Studi di Cagliari e il complesso architet- tonico del Balice

407 ARCHIVI,BIBLIOTECHE,MUSEI

409 VINCENZOCALÌ, Note e appunti sul Centro di documentazione sui movimenti po- litici e sociali (anni Sessanta e Settanta) della Fondazione Museo storico del Trentino

415 SCHEDE E BIBLIOGRAFIA

417 GIOVANNIAGOSTINI, Sociologia a Trento 1961-1967: una «scienza nuova» per modernizzare l’ar- retratezza italiana (LUIGIBLANCO), p. 417; PROSPEROALPINI, Le piante dell’Egitto. Il balsamo (ANNALETIZIAZANOTTI), p. 419; Anniversari dell’antichistica pavese, a cura di GIANCARLOMAZ-

ZOLI(GIOVANNIGERACI), p. 420; NICOLASCHEVASSUS-AU-LOUIS, Savants sous l’occupation. En- quête sur la vie scientifique française entre 1940 et 1944 (LUIGIPEPE), p. 421; La collezione se- nese degli strumenti di Fisica, a cura del CENTROSERVIZI DIATENEOCUTVAP(PAOLONARDI), p.

422; Dallapeciaall’e-book. Libri per l’Università: stampa, editoria, circolazione e lettura. Atti del Convegno internazionale di studi (Bologna, 21-25 ottobre 2008), a cura di GIANPAOLOBRIZZI- MARIAGIOIATAVONI(PIERPAOLOBONACINI), p. 423; Étudiants de l’exil. Migrations internatio- nales et universités refuges (XVIe-XXe s.), sous la direction de PATRICKFERTÉ-CAROLINEBARRE-

RA(ELISASIGNORI), p. 424; PAULF. GRENDLER, The University of Mantua, the Gonzaga & the Je- suits, 1584-1630 (FLAVIORURALE), p. 426; Il Fondo Marsili nella biblioteca dell’Orto botanico di Padova, a cura di ALESSANDROMINELLI-ALESSANDRAANGARANO-PAOLAMARIO(PAOLOTINTI), p.

428; Maestri Insegnamenti e Libri a Perugia. Contributi per la storia dell’Università (1308- 2008), a cura di CARLAFROVA-FERINANDOTREGGIARI-ALESSANDRAPANZANELLIFRATONI(MARIA

TERESAGUERRINI), p. 430; LAURAMARCONIcon ROBERTOABBONDANZAe ATTILIOBARTOLILAN-

GELI, Studenti aPerugia. Lamatricoladegli scolari forestieri (1511-1723) (GIANPAOLOBRIZZI), p. 431; Milano scientifica 1875-1924, a cura di ELENACANADELLI-PAOLAZOCCHI(LUIGIPEPE), p.

433; IOLANDANAGLIATI, Lacorrispondenzascientificadi Vittorio Fossombroni (1773-1818) (MA-

RIATERESABORGATO), p. 434; PAOLONARDI, Maestri e allievi giuristi nell’Universitàdi Siena. Sag- gi biografici (PETERDENLEY), p. 434; GIUSEPPEONGARO, Wirsung a Padova 1629-1643 (ALBA

VEGGETTI), p. 436; MARIAALESSANDRAPANZANELLIFRATONI, Due papi e un imperatore per lo Stu- dio di Perugia. Con un saggio di ATTILIOBARTOLILANGELI(GIANPAOLOBRIZZI), p. 437; SANDRO

SERANGELI, I docenti dell’anticaUniversitàdi Macerata(1540-1824) (GIANPAOLOBRIZZI), p. 438;

Siena bibliofila. Collezionismo librario a Siena su Siena, a cura di GABRIELEBORGHINI-DANIELE

DANESI-MARIODEGREGORIO-LUIGIDICORATO(ENZOMECACCI), p. 439; NICOLETTASOLCÀ, Tici- nesi all’Universitàdi Pavia. La formazione degli insegnanti di scuola maggiore 1964-1981, pre- sentazione di DIEGOERBA(MIRELLAD’ASCENZO), p. 441; La storia della Scuola Normale Supe- riore di Pisa in una prospettiva comparativa, a cura di DANIELEMENOZZI-MARIOROSA(LUIGI

PEPE), p. 441; GIOVANNITAURASI, Intellettuali in viaggio. Università e ambienti culturali a Mo- dena dal Fascismo alla Resistenza (1919-1945) (DANIELACALANCA), p. 442; DOMENICOVENTU-

RA, Cultura e formazione economica in una realtà meridionale. La Facoltà di Economia di Ca- tania(1920-1999) (ACHILLEMARZIOROMANI), p. 444; Le vie dellalibertà. Maestri e discepoli nel

“laboratorio pisano” tra il 1938 e il 1943, Atti del convegno (Pisa, 27-29 settembre 2007), a cu- ra di BARBARAHENRY-DANIELE MENOZZI-PAOLOPEZZINO(ALESSANDROBRECCIA), p. 445; STEFANIA

ZUCCHINI, Università e dottori nell’economia del Comune di Perugia. I registri dei Conservatori della Moneta (secoli XIV-XV) (GIANPAOLOBRIZZI), p. 446.

449 Bibliografia corrente e retrospettiva 6

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461 NOTIZIARIO

463 Convegni, seminari, incontri di studio 469 Attività e progetti

471 Tesi

479 Riviste e notiziari di storia delle università

7

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(9)

Il punto

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SUL GOVERNO DELLE UNIVERSITÀ NELL’ITALIA CONTEMPORANEA

Una premessa

Un aspetto delle crisi storiche, osservava Burckhardt, è che, in cer- ti frangenti, «si sopporta tutto quello che solo poco tempo prima avrebbe provocato una esplosione generale»1. In questa stagione grigia per la scuola e per l’università italiana la frase torna alla mente, an- che se forse il riferimento non è del tutto appropriato. L’attenzione del- l’opinione pubblica per queste materie, in Italia, appare infatti poco con- sistente, sporadica, facilmente orientabile in senso negativo; e sarebbe un bel tema per una ricerca di lungo periodo quello della presenza del si- stema formativo, e del suo peso specifico, nel discorso pubblico, nel con- fronto intellettuale, nell’informazione in Italia, per ricostruire storia e ca- ratteri di un’immagine debole, o che comunque è venuta indebolendosi, di un ambito culturale e istituzionale non adatto, anche per limiti propri, a suscitare interesse partecipe e solidale. Devo insistere, preliminar- mente, su una constatazione: la scuola e, soprattutto, l’università, non so- no ‘innocenti’. Alcune gravi distorsioni verificatesi nell’ultimo ventennio nella politica universitaria, ed alle quali si accennerà più avanti, sono im- putabili anzitutto alle scelte concrete operate dai gruppi dirigenti degli atenei. Ma la manomissione punitiva già in atto nella scuola, gravissima, e quella, ancora parzialmente in via di definizione, dell’università –pre- parate a lungo e minuziosamente da sapienti campagne mediatiche a ba- se di professoresse scollacciate, disordini in aula, concorsi truccati2, ed altro materiale del genere; campagne che prima o poi qualcuno dovrà studiare come tali, illustrandone tempi e strategie comunicative –va ben al di là delle effettive responsabilità, dei guasti e degli sprechi material- mente riscontrabili, e si configura come un conseguente tentativo di di- sarticolare il sistema formativo prodotto, con i suoi pregi e le sue caren- ze, da un secolo e mezzo di storia nazionale.

Sarebbe, tuttavia, ingenuo e rozzo focalizzare il discorso sulle con- tingenze della politica universitaria italiana. Nel campo dell’istruzione su- periore, a livello internazionale, si sono manifestate grandi trasforma- zioni, e non solo di scala, che hanno rimesso in discussione modelli con- solidati, tanto sul piano intellettuale che su quello organizzativo, e che hanno determinato scelte politiche a volte radicalmente innovative3. Ed attorno a queste trasformazioni è venuto anche consolidandosi un nuo- vo settore di ricerca, quello degli Higher Education Studies. Così, lo sto- rico empirico abituato ad avere a che fare, studiando il passato delle uni- versità italiane, con un questionario di natura principalmente politica, isti- tuzionale ed intellettuale –anche se in un ambito dai confini difficilmen- te definibili come quello della storia dell’istruzione superiore entrano in Mauro Moretti

1JACOBBURCKHARDT, Sullo studio della storia.

Lezioni e conferenze (1 8 6 8 -1 8 7 3 ), a cura di MAURIZIOGHELARDI, Torino, Einaudi, 1998, p.

183.

2Sul punto si vedano, ad esempio, volumi di denuncia come quelli di DAVIDE CARLUCCI- ANTONIOCASTALDO, Un paese di baroni. Truf- fe, favori, abusi di potere, logge segrete e cri- minalità organizzata. Come funziona l’univer- sità italiana, Milano, Chiarelettere, 2008; NI-

NOLUCA, Parentopoli. Quando l’università è affare di famiglia, Venezia, Marsilio, 2009; ed in particolare ROBERTOPEROTTI, L’università truccata. Gli scandali del malcostume accade- mico. Le ricette per rilanciare l’università , To- rino, Einaudi, 2008, a proposito del quale cfr.

MAUROMORETTI, Un pamphlet truccato, «Al- legoria», 21 (2009), p. 201-214, e soprattutto RAULMORDENTI, L’università struccata. Il mo- vimento dell’Onda tra Marx, Toni Negri e il professor Perotti, Milano, Edizioni Punto Ros- so, 2010, p. 67-90.

3Sul governo delle università si veda in parti- colare l’utile e documentato profilo di LOREN-

ZOMARRUCCI, Come si governano le università degli altri: una prospettiva comparata, in La crisi del potere accademico in Italia. Proposte per il governo delle università , a cura di GILI-

BERTOCAPANO-GIUSEPPETOGNON, Bologna, il Mulino-Arel, 2008, p. 135-173. Molti dati e spunti comparativi anche in Malata e deni- grata. L’Università italiana a confronto con l’Europa, a cura di MARINO REGINI, Roma, Donzelli, 2009, e, per un recente sguardo d’in- sieme, in Torri d’avorio in frantumi? Dove vanno le università europee, a cura di ROBER-

TOMOSCATI-MARINOREGINI-MICHELEROSTAN, Bologna, il Mulino, 2010. Si veda poi, sempre in prospettiva europea, PATRIZIAMAGARÒ, Au- tonomia universitaria e governance multili- vello, in Le autonomie al centro, a cura di MI-

CHELESCUDIERO, Napoli, Jovene, 2007, t. I, p.

441-572. Ben più datata, ma retrospettiva- mente non inutile, la raccolta di saggi curata dalla FONDAZIONEGIOVANNIAGNELLI, Modelli di Università in Europa e la questione dell’au- tonomia, Torino, 1996.

11 Annali di storia delle università italiane 14/2010

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gioco una grande quantità di temi e suggestioni diverse, che chiamano in causa la storia sociale e quella urbana, la dimensione economico-fi- nanziaria e quelle iconografica e simbolica, e così via, per non dire di con- solidati campi di analisi come quello della storia dell’università nei suoi aspetti giuridico-costituzionali –, deve confrontarsi, giungendo ad anni più recenti, con una nuova letteratura critica che, per quel che riguarda l’Italia, comprende già una quantità non irrilevante di testi4. Questi studi sono caratterizzati da un approccio analitico complesso, ma che, sche- matizzando molto, si concentra sull’esame di modelli organizzativi e di processi decisionali. Come osserva uno degli studiosi più interessanti at- tivi in questo settore, Giliberto Capano,

L’università cambia, quindi, molto più di quello che sembra ai suoi protagonisti, in primis ai professori. Autonomia, valutazione, accountability, governance, peer- review. Parole estranee al dibattito sull’università e dentro le università fino a venticinque anni fa e ora, invece, sulla bocca di tutti5.

Anche troppo, forse, sulla bocca di tutti; tanto che lo stesso Capano re- gistra il rischio che attorno a questi termini si tenda «a costruire nuovi miti». Parole dotate di una pervasiva capacità di penetrazione – basta scorrere, a questo proposito, alcuni testi prodotti dalla CRUI6–, che mi appare anche foriera di semplificazioni e danni. Non vorrei essere frain- teso. Si tratta di una corrente di studi con la quale è indispensabile con- frontarsi – e che meriterebbe, ad esempio, una analitica rassegna illu- strativa –, dalla quale provengono suggestioni utili per mettere a punto anche una più ricca visione della storia dell’università, e soprattutto in- dicazioni operative e politiche. Ma proprio a questo proposito avverto un certo disagio, che andrebbe ampiamente documentato, relativo ad alcu- ne implicazioni che mi sembrano derivare dall’impianto generale di que- sto tipo di studi. Il gusto per il design organizzativo, l’insistenza sulle co- struzioni modellistico-sistemiche, la scarsissima o nulla profondità sto- rica del discorso, un lessico tendenzialmente formalizzato e in parte in- timidatorio, rischiano, in qualche caso, di produrre un effetto di intorbi- damento, come un filtro alla rovescia che rende meno distinguibili alcu- ne questioni di fondo, anche perché queste analisi sono spesso basate su una serie di presupposti assunti senza discussione, ma che a me ap- paiono invece quasi tutti meritevoli di un serio esame. Siamo proprio cer- ti, ad esempio, che in nome dei principi del new public management, in un

«contesto sempre più incentrato sull’orientamento al cliente»7, gli stu- denti vadano considerati sic et simpliciter clienti delle università? Nessu- no se la sente di difendere, almeno in qualche misura, quello che nor- malmente, in questo genere di studi, viene presentato, in toni spregiati- vi, come l’«astratto principio democratico di diffusa rappresentanza di in- teressi particolaristici interni»8, senza che questa difesa comporti alcun particolare trasporto verso consiliarismi ed assemblearismi, o verso ar- caiche forme di autoreferenzialità? Sarà proprio fatale, e salvifico così co- me ci viene presentato, il «cambiamento della stessa natura dell’univer- sità da istituzione culturale a università imprenditoriale»9? Se è indub- biamente vero, poi, che nella situazione attuale si determina «un diffici- le equilibrio tra valori culturali, talvolta antagonisti, […] disinteressato perseguimento della conoscenza e puntuale rispondenza ai bisogni con- tingenti della società»10, dovrebbero comunque essere chiari l’ideale nor- mativo e la gerarchia di rilevanza per chi opera all’interno dell’universi- tà. L’esemplificazione potrebbe continuare a lungo, perché in realtà si M. Moretti

12

4Penso, ad esempio, oltre ad alcuni lavori sin qui citati, a Chi governa l’università ? Il mondo accademico italiano tra conservazione e muta- mento, a cura di ROBERTOMOSCATI, Napoli, Li- guori, 1997; ANGELOPALETTA, Il governo del- l’università . Tra competizione e accountability, Bologna, il Mulino, 2004; L’università di fron- te al cambiamento, a cura di ROBERTOMOSCA-

TI-MASSIMILIANO VAIRA, Bologna, il Mulino, 2008; Concorrenza e merito nelle università . Problemi, prospettive e proposte, a cura di GIA-

CINTODELLACANANEA-CLAUDIOFRANCHINI, To- rino, Giappichelli, 2009. Ma occorre in realtà risalire a studi come quelli di BURTON R.

CLARK, Academic Power in Italy. Bureaucracy and Oligarchy in a National University System, Chicago-London, University of Chicago Press, 1977, e di PIERPAOLOGIGLIOLI, Baroni e buro- crati, Bologna, il Mulino, 1979. Centrale BUR-

TONR. CLARK, The Higher Education System.

Academic Organization in Cross-National Per- spective, Berkeley, University of California Press, 1983.

5GILIBERTOCAPANO, Autonomia e governance:

miti e realtà in prospettiva comparata, in Con- correnza e merito nelle università , p. 121-130, p. 121-122.

6Penso, in particolare, a due documenti sulla governance, rispettivamentedel 2004 (Sulla Go- vernance: principi fondamentali e linee-guida) e del 2009 (Considerazioni e proposte per la revi- sione della governance delle università ), repe- ribili ai seguenti links: < http://www.crui.

it//data/allegati/links/1234/governance_crui .doc> ; < http://www.crui.it/HomePage.aspx?

ref= 1156#> .

7PALETTA, Il governo dell’università , p. 139.

8Ivi, p. 152.

9Ivi, p. 182.

10Ivi, p. 184.

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13

Sul governo delle università nell’Italia contemporanea

11FABIOSAITTA, Dalla “filippica” di Einaudi al- la riforma Gelmini: il punto dopo mezzo seco- lo di discussioni sul valore legale dei titoli di studio, in Concorrenza e merito nelle universi- tà , p. 11-28, p. 17.

12ALESSANDROMONTI, Indagine sul declino del- l’università italiana, Roma, Gangemi, 2007, p.

21.

13Ibidem.

14Ivi, p. 25.

tratta di ricostruire, in una serie di aspetti fra loro coerenti, una vera e propria ideologia universitaria; e il discorso andrà ripreso altrove.

Su due punti, tuttavia, vorrei richiamare ancora l’attenzione, perché centrali nelle attuali prospettive di politica universitaria: quello del so- stegno materiale agli atenei, e quello della componente esterna, ‘laica’, da inserire nel governo delle università. Come è ben noto, insistentemente –e piuttosto spudoratamente, viste le radicali storture nell’accertamen- to dei redditi reali delle famiglie prodotte dallo scandaloso sistema fiscale italiano, storture che si proiettano fatalmente ovunque la fascia di reddi- to sia assunta come criterio per il godimento di determinate prestazioni o per la fissazione di livelli di contribuzione –si chiede un deciso aumento delle tasse universitarie, tale da spostare sensibilmente il peso comples- sivo del mantenimento delle università dal finanziamento statale al con- tributo studentesco. I fautori di una indiscriminata liberalizzazione sono chiaramente individuati, anche nell’ambito di una letteratura critica tut- t’altro che ostile a questo assunto: è ovvia la «constatazione che le impo- stazioni radicali provengono soprattutto da studiosi della Bocconi, uni- versità privata dai costi non accessibili a tutti, e da articolisti de Il Sole 2 4 Ore»11. Ed andrà aggiunto che il rischio di introdurre, per questa via, gra- vi ingiustizie è ammesso apertamente anche nelle pagine appena citate.

A me non interessa polemizzare contro il partito della Bocconi; vorrei piuttosto soffermarmi sulla motivazione dottrinale di fondo che sorreg- ge queste richieste. In uno studio peraltro ben informato, e per vari aspet- ti assai utile, il libro di Alessandro Monti Indagine sul declino dell’uni- versità italiana si legge, fra l’altro:

Sul piano delle politiche pubbliche, in tutti i paesi industrializzati, anche se in modo non sempre palese, si fronteggiano due posizioni. Da un lato si collocano lobbies accademiche ed élites intellettuali che premono per ottenere il finanzia- mento statale delle università, dall’altro la maggioranza dei cittadini-contribuenti che, non utilizzando le strutture universitarie, motivano la loro contrarietà al so- stegno pubblico con la prevalenza dei vantaggi individuali derivanti dall’istru- zione superiore rispetto a quelli collettivi12.

Siamo a un passo, anche se si considerano le implicazioni retrospettive di simili affermazioni, dalla teoria del complotto, ma andiamo avanti. Na- turalmente, prosegue Monti, l’istruzione terziaria una qualche positiva incidenza sullo sviluppo economico e sull’innovazione tecnologica la pro- duce. Inoltre, ci sono «ricadute che i benefici di natura privata provoca- no sulla finanza pubblica in termini di maggior gettito fiscale e sul be- nessere generale»13– ovvero, traducendo, i ricchi professionisti di for- mazione universitaria guadagnano bene e pagano più tasse… –. Ciò non toglie che in ultima analisi l’università serva più agli studenti che alla so- cietà, e non sia da considerare un bene pubblico, ma un

“bene meritorio”: un bene, cioè, suscettibile di sostegno e incoraggiamento da parte dello Stato per le ricadute positive su alcuni cittadini e non un “bene pub- blico”, da sussidiare perché aperto a tutti e consumato/goduto indifferente- mente dall’intera collettività […]. In effetti la società civile si giova dei cittadini più istruiti, meglio in grado di partecipare alla vita politica e di eleggere ammi- nistratori competenti e, quindi, di determinare politiche pubbliche più incisive, rendendo competitivo il sistema produttivo. I maggiori benefici che scaturisco- no dall’istruzione superiore, tuttavia, sono colti a livello individuale14.

Una simile impostazione la troviamo ripresa, per citare un diverso esem- pio, in un altro volume recente, importante, e che fornisce spunti anali-

(14)

tici e indicazioni operative molto spesso condivisibili, quello di Andrea Graziosi, L’università per tutti. Anche Graziosi insiste sugli aspetti mes- si in evidenza da Monti:

Dal punto di vista economico, però, si tratta di un bene essenzialmente privati- stico, visto che le ricadute positive generali della maggiore diffusione del- l’istruzione superiore sono inferiori a quelle godute dai singoli che ne benefi- ciano15.

Forse, però, il rapporto più corretto da stabilire non è quello fra vantag- gio dei singoli e generica diffusione dell’istruzione superiore; e non a ca- so qualche incrinatura si manifesta in questa lettura unilateralmente eco- nomicistica dell’istruzione superiore, tutta basata sul presunto squilibrio fra vantaggi individuali e costi sociali dell’università: le società moderne, scrive Graziosi, hanno bisogno di capitale umano16. E forse, in effetti, l’università non è solo un luogo deputato a rendere possibile la realizza- zione di progetti individuali di tipo eudemonistico, a garantire il buon rendimento economico degli investimenti in capitale culturale. Sarebbe strano, del resto, pensare che per secoli si siano investite ingenti risorse, nei maggiori Stati civilizzati, solo per assicurare ad alcuni cittadini la pos- sibilità di vivere agiatamente esercitando le professioni liberali. Sarebbe più o meno come affermare che gli eserciti o le forze dell’ordine esista- no essenzialmente per soddisfare le aspirazioni di chi, da bambino, ama- va giocare con i soldatini, o a guardie e ladri. La distinzione fra bene pub- blico e bene meritorio sarà anche fondata sul piano dottrinale, e magari godrà di ampi consensi fra gli studiosi di politica economica e di scienza dell’amministrazione, ma tradotta, per quel che riguarda l’università, su un piano empirico –storico e sociale –mostra subito, secondo me, tutti i suoi limiti. In realtà tutti, tutti i giorni, si valgono del prodotto sociale dif- fuso del lavoro universitario: quando vanno dal medico, o accompagna- no i figli a scuola, quando fanno ricorso a qualunque servizio tecnico, o quando attraversano un viadotto in automobile o in treno, e così via. E se questo è vero, è giusto, oltre che necessario, che l’università sia sostan- zialmente a carico di tutti. Poi, naturalmente, ma come effetto derivato, l’università qualifica all’esercizio di professioni a volte ben retribuite; è giusto, quindi, che coloro i quali possono valersi direttamente di questa opportunità contribuiscano al mantenimento del sistema; ma, appunto, contribuiscano. Forse non solo attraverso le tasse universitarie. Gentile – mi si consenta una citazione che non è solo aneddotica –fu fra l’altro l’in- ventore, si potrebbe dire, delle Opere universitarie, e dispose, nell’ambito della riforma del 1923, una tassa di scopo,

cui sono soggetti i cittadini italiani che hanno conseguito o conseguiranno una laurea o un diploma e che sono inscritti negli albi degli esercenti una profes- sione o nelle liste elettorali per le Camere di commercio e industria o hanno im- piego comunque retribuito alla dipendenza di società commerciali o industriali.

All’opera di ciascuna università e di ciascun istituto è devoluto annualmente il complessivo provento delle tasse pagate dai contribuenti provvisti di titolo ac- cademico conferito dall’università o istituto medesimo (r. d. 30 settembre 1923, n. 2102, art. 58).

L’università va salvata, anzitutto, dalla presa mortale dei professori universitari: su questo punto i cultori degli Higher Education Studies sem- brano, in Italia, concordi, anche se con posizioni variamente sfumate; ed esibiscono, del resto, ricche e documentate indagini sui sistemi di go- M. Moretti

14

15ANDREAGRAZIOSI, L’università per tutti. Ri- forme e crisi del sistema universitario italiano, Bologna, il Mulino, 2010, p. 136.

16Ivi, p. 44.

1 . Il ministro Gabrio Casati.

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15

Sul governo delle università nell’Italia contemporanea

17MARRUCCI, Come si governano le università degli altri, p. 138 e 169.

18ARISTIDEPOLICE, Verso nuovi strumenti di go- vernance nelle università ?, in Concorrenza e merito nelle università , p. 101-119, p. 112.

verno accademico a livello internazionale che mostrano, in maniera con- vincente, la diffusione ed il radicamento di questa tendenza. Personal- mente non ho dubbi sul fatto che l’autogoverno dei professori, nella più recente stagione della storia universitaria italiana, abbia mostrato vari li- miti ed abbia prodotto guasti, soprattutto nella fase caratterizzata dal combinato disposto delle norme del 1993 sui bilanci universitari – con l’abolizione dei vincoli di destinazione di spesa –e di quelle del 1998 sul reclutamento accademico. L’autogoverno dei professori va regolato, cor- retto, integrato; ma procedendo con cautela su quest’ultimo punto, poi- ché non è semplice individuare gli attributi, e le figure, dei salvatori. Ed alcuni tentativi di definizione hanno esiti, mi sembra, involontariamente ironici. Si tratterebbe, infatti, di assicurare

la presenza negli organi collegiali di governo dell’ateneo di membri esterni ad esso e quindi indipendenti, ossia liberi da interessi personali o di categoria nel- le questioni interne all’ateneo su cui tipicamente si deve decidere […]. In altre parole, una buona governance si ottiene innanzitutto attribuendo il potere deci- sionale a persone di qualità, che presentino le doti, le competenze e la profes- sionalità necessarie al compito, che abbiano una visione completa e non distor- ta degli obiettivi da perseguire da parte dell’istituzione governata e, infine, che non presentino conflitti d’interesse tra tali obiettivi e altri di natura individuale, settoriale o corporativa17.

La società civile italiana, com’è a tutti noto, pullula di questi buoni sama- ritani dell’università, disinteressati e competenti paladini del pubblico be- ne. In effetti, anche fra i più accesi sostenitori della presenza determi- nante di elementi esterni negli organismi decisionali degli atenei traspa- re la consapevolezza dei rischi insiti in una troppo rapida e troppo larga apertura:

Ovviamente, qualunque riforma del governo degli atenei che voglia porre ri- medio all’attuale situazione non deve cadere nell’eccesso opposto, di cui sono te- stimonianza eloquente le attuali esperienze di governo della sanità pubblica, al- meno in alcune specifiche realtà regionali. Va evitato, ad esempio, che uomini spregiudicati e/o incompetenti si collochino al vertice degli atenei grazie a lo- giche di appartenenza politica e magari sfruttino tale posizione per distribuire interessi a clientele e a cordate di potere18.

Già, va evitato. Ma su questo punto l’onere di formulare proposte serie toccherebbe ai fautori dell’allargamento della componente ‘laica’; e a me –ma forse sono poco documentato –non pare di averne lette. Su questi aspetti si dovrà tornare in conclusione, tenendo conto anzitutto delle in- novazioni previste dal disegno di legge di riforma in materia di organi di governo dell’università. Ma erano questioni da segnalare in questa pre- messa, perché si va definendo su questi temi, fra polemiche giornalisti- che, discorso politico, contributi dottrinali, un senso comune diffuso e irriflesso che orienta anche la concreta azione legislativa.

Gli obiettivi di questo saggio, in realtà, sono molto più modesti. Pren- do sul serio l’avvertimento di Capano:

Per governance si deve intendere l’insieme delle regole e delle pratiche istitu- zionalizzate mediante le quali i processi decisionali vengono formulati e imple- mentati. Insomma, l’assetto istituzionalizzato mediante il quale viene esercitata la funzione di coordinamento (governo) delle politiche nazionali e istituzionali (nel senso delle politiche perseguite dalle singole università). Pertanto non si de- ve commettere l’errore di identificare la governance degli atenei semplicemen-

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te con gli assetti formali, così come non si deve identificare la governance di si- stema semplicemente con l’organigramma delle istituzioni che compartecipano alle decisioni nazionali. Si tratta di una identificazione che viene spesso operata a volte a fini retorico-divulgativi che non è solo imprecisa ma anche fuorviante.

Gli assetti di governance, infatti, non sono costituiti solo dal disegno istituziona- le ma anche, ad esempio, dalle regole relativamente all’allocazione delle risorse finanziarie, dai sistemi di valutazione, dall’insieme delle relazioni (formali e in- formali) strutturatesi fra gli attori. Certamente gli assetti formalizzati contano nell’influenzare il coordinamento dei processi decisionali, ma non sono le uniche variabili rilevanti. Insomma il concetto di governance tiene insieme sia il “chi” go- verna sia il “come” si governano le politiche e i processi decisionali pubblici; sia la mappatura della distribuzione dei ruoli e del potere decisionale sia le modali- tà mediante le quali le decisioni vengono prese ed attuate19.

Lo storico empirico, intimorito, si ritrae. Non userò il termine governan- ce se non all’interno di citazioni. Personalmente ritengo, ma la questione è forse controversa, che su un piano generale occorrerebbe attribuire la priorità ad un quadro di sistema;

Se dunque l’obiettivo della riforma è quello di incrementare la qualità e l’eco- nomicità della prestazione del servizio, i profili organizzativi che più incidono su tale aspetto non risiedono tanto nella minuta governance degli atenei italiani (pur meritando significativi correttivi), ma nella complessiva governance del si- stema universitario nazionale20.

Da questo punto di vista, tuttavia, una sommaria ricostruzione storica avrebbe presentato aspetti di eccessiva complessità. I principali muta- menti formali all’interno del governo delle università possono invece es- sere riassunti con qualche efficacia; e si tratta di informazioni, spero, co- munque non irrilevanti anche ai fini di una riflessione sulle tendenze in atto della politica universitaria.

Appunti per una cronaca istituzionale

«I Rettori, i Provveditori e gl’Ispettori provinciali, ciascuno nel rispettivo ramo, rappresentano il Ministro e ne fanno eseguire gli ordini»; «Il Ret- tore è preposto, subordinatamente al Ministro, al governo immediato dell’Università» –«attribuzione al rettore della rappresentanza legale del- l’università e delle funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche; della responsabilità del persegui- mento delle finalità dell’università secondo criteri di qualità e nel rispet- to dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del me- rito; della funzione di proposta del documento di programmazione trien- nale di ateneo […] anche tenuto conto delle proposte e dei pareri del se- nato accademico, nonché della funzione di proposta del bilancio di pre- visione annuale e triennale e del conto consuntivo; della funzione di pro- posta del direttore generale […] nonché di iniziativa dei procedimenti disciplinari […]; di ogni altra funzione non espressamente attribuita ad altri organi dallo statuto». Questi due testi, gli articoli 34 e 149 della leg- ge 13 novembre 1859, la ‘legge fondamentale’ Casati, e l’articolo 2 del di- segno di legge di iniziativa governativa approvato dal Senato il 29 luglio 2010 –nella sua stesura emendata dalla commissione competente della Camera dei Deputati –, sono separati da poco più di centocinquant’anni di storia universitaria italiana, e mostrano, con assoluta evidenza, il pun- to di partenza e gli esiti –formalmente ancora provvisori, ma largamen- M. Moretti

16

19CAPANO, Autonomia e governance: miti e re- altà in prospettiva comparata, p. 125.

20POLICE, Verso nuovi strumenti di governan- ce nelle università ?, p. 103.

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17

Sul governo delle università nell’Italia contemporanea

21GRAZIOSI, L’università per tutti, p. 57.

22Sulla storia dell’università italiana in età li- berale, con particolare riferimento alle tema- tiche qui discusse, si tenga conto almeno di BRUNELLOPALMA, L’università fra accentra- mento ed autonomia, Urbino, Università degli Studi di Urbino, 1983; ALBINOSACCOMANNO, Autonomia universitaria e costituzione, I. L’au- tonomia universitaria nello Stato liberale, To- rino, Giappichelli, 1989; SIMONETTAPOLENGHI, La politica universitaria italiana nell’età della Destra storica (1 8 4 8 -1 8 7 6 ), Brescia, La Scuo- la, 1993; L’Università tra Otto e Novecento: i modelli europei e il caso italiano, a cura di ILA-

RIAPORCIANI, Napoli, Jovene, 1994; FLORIANA

COLAO, La libertà di insegnamento e l’autono- mia nell’università liberale. Norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia (1 8 4 8 - 1 9 2 3 ), Milano, Giuffrè, 1995; ILARIAPORCIANI- MAUROMORETTI, L’Università nell’Italia libe- rale, in L’istruzione universitaria (1 8 5 9 - 1 9 1 5 ), a cura di GIGLIOLAFIORAVANTI-MAURO

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MANO, Messina, Sicania, 2007, 3 vol., I, p. 323- 379: FLORIANACOLAO, Tra accentramento e au- tonomia: l’amministrazione universitaria dal- l’Unità a oggi, ivi, p. 287-321; MAUROMORET-

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MIDIRI, L’istruzione universitaria tra servizio pubblico ed autonomia funzionale, Torino, Giappichelli, 2004; amplissima guida alla nor- mativa è L’università italiana. Repertorio di atti e provvedimenti ufficiali 1 8 5 9 -1 9 1 4 , a cu- ra di ILARIAPORCIANI, Firenze, Olschki, 2001.

23Si veda, sul punto, GABRIELLACIAMPI, Il go- verno della scuola nello Stato postunitario. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione dalle origini all’ultimo governo Depretis (1 8 4 7 -1 8 8 7 ), Milano, Edizioni di Comunità, 1983; inoltre Il Consiglio superiore della pub- blica istruzione 1 8 4 7 -1 9 2 8 , a cura di GABRIEL-

LACIAMPI-CLAUDIOSANTANGELI, Roma, Mini- stero per i beni culturali e ambientali –Ufficio centrale per i beni archivistici, 1994.

te condivisi, mi sembra, nell’ambito della progettualità politica e del di- scorso pubblico sull’università italiana contemporanea – di un lungo e complesso processo di modificazione degli assetti interni, delle struttu- re di governo degli atenei, e del rapporto fra università e potere esecuti- vo. Di questo processo vorrei rammentare qui, in modo sommario, al- cuni passaggi fondamentali, mettendo in evidenza gli elementi che mi sembrano utili alla comprensione di vari snodi della recente storia uni- versitaria italiana, per giungere ad una trasformazione, in atto, dai tratti in parte ambigui, e non tutti rassicuranti nella prospettiva di una neces- saria azione riformatrice, ma non eversiva di una tradizione istituzionale e di pratiche che vanno invece attentamente riconsiderate. Da questo punto di vista penso che sia nel giusto Andrea Graziosi quando, nel qua- dro di un esame pure fortemente critico della politica universitaria ita- liana degli ultimi decenni, sottolinea i pericoli legati alle aspettative e al pensiero dei riformatori radicali e spesso appassionati, che non si rendono con- to che l’esistente, per quanto imperfetto, è una risposta a problemi reali, e che la sua semplice eliminazione, lungi dall’essere una semplificazione razionaliz- zatrice, è in genere un arretramento. Per avanzare è quasi sempre più efficace migliorare e sostituire, piuttosto che azzerare21.

Il disegno della Casati, sul terreno che qui ci interessa, era definito piuttosto nettamente, tanto sul piano dei principi ispiratori che su quello di alcune articolazioni pratiche22. Come è ben noto, il ruolo del ministro, che «mantiene ferme tra le autorità a lui subordinate i vincoli di supre- mazia e di dipendenza stabiliti dalle leggi e dai regolamenti; decide sui conflitti che possono sorgere tra di esse; riforma ed annulla gli atti delle medesime» (art. 4), era assolutamente centrale; e del resto fra le autorità menzionate all’articolo 2 come responsabili, accanto al ministro, dell’am- ministrazione centrale della pubblica istruzione erano menzionati il Con- siglio superiore23ed i tre ispettori generali –degli studi superiori, di quel- li secondari classici, di quelli tecnici, primari e normali –, con i consiglie- ri e gli ispettori equiparati nel grado e nei diritti, e tutti di nomina regia. In questo quadro si comprende meglio il senso di quella funzione di ‘rap- presentanza’ del potere esecutivo attribuita ai rettori, equiparati, si è det- to, ai provveditori agli studi ed agli ispettori provinciali scolastici come au- torità amministrative subordinate a livello locale, e incaricati di vigilare sull’osservanza di leggi e regolamenti, di decidere su eventuali ricorsi e di svolgere, in prima istanza, compiti di natura disciplinare, di agire in ma- niera coordinata «per le attinenze che esistono fra i respettivi rami d’istru- zione, e colle Autorità provinciali e comunali per tutto ciò che concerne l’Istruzione pubblica» (artt. 34-38). Nominati per decreto regio, di fatto dal ministro, «fra i Professori ordinari dell’Università a cui appartengono», i rettori sarebbero rimasti in carica per un solo anno, con possibilità di es- sere riconfermati nell’incarico senza espliciti limiti previsti dalla legge (art.

31). Il potere ministeriale di nomina non riguardava, però, l’università di Napoli, per la quale la legge 16 febbraio 1861 prevedeva l’elettività del ret- tore da parte dei componenti del corpo accademico, sulla base di una ro- sa di tre nomi designati da una delle facoltà, a turno, fra i propri membri.

Per quel che concerne le attribuzioni di governo degli atenei,

I rettori erano responsabili della legalità all’interno dei loro istituti, con il pote- re di riformare o annullare gli atti delle «Autorità e [de]gli Ufficiali che sono pre- posti alle diverse Facoltà ed agli stabilimenti che sono annessi all’Università»

(art. 151); dispensatori, tramite segnalazione al ministero, di ricompense e san-

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