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INCONCRETO N.158

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Academic year: 2021

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158.

2018

Oltre 10 anni di

AETERNUM CAL

20838 Renate (MB) - Via Sirtori, zona industriale - tel. (+39) 0362 91 83 11 - fax (+39) 0362 919396 www.teknachemgroup.com - info@teknachem.it

#Editoriale

Dalla parte del Calcestruzzo: un materiale

moderno o la preistoria delle costruzioni?

Andrea Dari

“Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.”, Manzoni, I promessi Sposi Dei primi 50 grattacieli del mondo, ovvero gli edifici esistenti che superano i 346,3 metri, ben 35 sono stati costruiti negli ultimi 10 anni.

Di questi, nessuno è stato realizzato in solo acciaio, mentre 15 lo sono stati in solo calcestruzzo, e il resto in strutture miste o composite.

La Kingdom tower, o Jeddah Tower, il grattacielo che raggiungerà i 1000 metri di altezza, viene costruito interamente in calcestruzzo.

Restando in Italia, a City Life a Milano ci sono 3 grattacieli, le Torri Isozaki, Hadid e Libeskind, ovvero il dritto, lo storto e il curvo, uno di 209 m, uno di 177 m e l’altro di 174 m, uno completato. Tutte queste sono realizzate con calcestruzzo.

Con che calcestruzzo sono stati realizzati? con un Rck 30? con un S4?

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2018

La sfida delle prestazioni, dei ponti sempre più lunghi, degli edifici sempre più alti, delle strutture sempre più performanti, delle architetture sempre più aveniristiche ha fatta da motore per una ricerca senza sosta che ha portato a calcestruzzi biodina-mici, resistenti come l’acciaio, autoriparanti, durevoli come la pietra, bianchi come il marmo (e autopulenti), drenanti o impermeabili a seconda delle esigenze, sicura-mente al passa delle prestazione richiesta dalle costruzioni del futuro.

Il ruolo di queste sfide è stato imoortante: ricordo una pubblicazione del decennio scorso del Prof. Mario Alberto Chiorino, Emerito del Politecnico di Torino, già Presi-dente Onorario di ACI Italy Chapter e Honorary Membership del American Concrete Institute, in cui proprio sulla base degli studi sugli edifici alti aveva analizzato il fe-nomeno del CREEP fornendo informazioni importantissime per chi si occupa della progettazione e di si occupa di tecnologie e chimica del cemento. Studio inserito in un volume che FIB ha dedicato al tema della costruzione degli edifici alti un suo bol-lettino 3 anni, “Tall buildings: Structural design of concrete buildings up to 300m tall - State-of-the-art report” riportando considerazioni, studi e ricerche, un’anteprima tecnica di quello che faranno da base per lo sviluppo dei nuovi eurocodici.

E la prima considerazione che mi viene da esprimere è che a dispetto da quanto è stato pubblicato da molti media successivamente al crollo del viadotto polcevera, opera avveniristica di Morandi di oltre cinquant’anni fa, il calcestruzzo e i mate-riali cementizi non solo è un materiale affidabile e con prestazioni in grado di rispondere alle più severe prescrizioni progettuali,

ma è anche quanto mai vivo dal punto di vista della ricerca e dell’evoluzione tecnica.

#Editoriale

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#Primo_Piano

CALCESTRUZZO,

il materiale delle GRANDI OPERE

FEDERBETON

Conosciuto e utilizzato dall’uomo da oltre duemila anni, il calcestruzzo rappresenta la soluzione ideale per realizzare case, infrastrutture, opere piccole e grandi desti-nate a durare nel tempo e resistere alle avversità naturali.

Costantemente migliorato nelle sue prestazioni e nella sua versatilità, il calcestruz-zo armato è oggi il materiale più sicuro, durevole e sostenibile nelle mani dell’uomo per realizzare ogni tipo di costruzione.

Cos’è il calcestruzzo

Il calcestruzzo è il materiale più utilizzato al mondo dopo l’acqua ed è la soluzione principe nelle costruzioni grazie alle sue caratteristiche di resistenza, affidabilità, durabilità. È una “pietra fusa”, un conglomerato capace di adattarsi alle richieste in continua evoluzione di progettisti, ingegneri ed architetti.

Come si produce il calcestruzzo

Il calcestruzzo è prodotto all’interno di impianti industrializzati.

Lo studio della miscela, il “mix-design”, consente al produttore di calcestruzzo di in-dividuare i componenti più idonei e le giuste proporzioni per ottenere le prestazioni desiderate.

Cemento, aggregati, acqua, aria, additivi e eventuali aggiunte, opportunamente scelti e mescolati nelle giuste proporzioni, vanno a costituire il calcestruzzo fresco che, grazie alla consistenza plastica, può essere facilmente trasportato in cantiere e successivamente posto in opera. La reazione di idratazione del cemento a contatto con l’acqua determina l’indurimento del materiale fino al raggiungimento della resi-stenza richiesta dalla struttura.

Il controllo continuo della produzione (Factory Production Control) - attuato attra-verso l’automazione, la verifica dei materiali e dell’impianto, l’aggiornamento del personale - consente di garantire non solo le prestazioni richieste al materiale e determinate attraverso lo studio della miscela, ma anche la costanza delle stesse nel tempo.

Fra le prestazioni che oggi il mercato richiede ai materiali da costruzione grande importanza hanno anche quelle legate alla sostenibilità ambientale. In questo sen-so, il calcestruzzo ha enormi potenzialità. La produzione del calcestruzzo, infatti, è sostenibile dal punto di vista ambientale anche per la possibilità di utilizzare nella miscela materiali riciclati. Alla fine del suo ciclo di vita, il calcestruzzo può essere a sua volta riciclato per ridurne l’impatto. In questo modo si riduce lo sfruttamento delle risorse naturali e si evita l’impatto ambientale determinato dallo smaltimento dei rifiuti e dall’estrazione, produzione e trasporto.

Il calcestruzzo, grazie alla sua massa termica, contribuisce positivamente anche agli odierni obiettivi di efficienza energetica degli edifici.

Le origini: il “calcis structio”

Il calcestruzzo è un materiale già conosciuto dagli antichi romani. “Calcis structio” era la definizione che veniva utilizzata per le strutture realizzate con un composto di calce, sabbie pozzolaniche, mattoni e pietre macinati, acqua, che si è evoluto nei secoli fino a diventare l’odierno calcestruzzo. Esempio emblematico di strutture re-alizzate con tecniche di questo genere è l’imponente cupola del Pantheon a Roma. Tra la fine del Diciottesimo e l’inizio del Diciannovesimo secolo, sono stati messi a punto i primi procedimenti per ricreare artificialmente il comportamento dei legan-ti naturali (calce e pozzolana). Fino al brevetto del 1818 dell’ingegnere francese Louis-Joseph Vicat, che porta alla nascita del cemento, di gran lunga il legante più utilizzato per la produzione di calcestruzzo.

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ricostruzione successiva al devastante sisma che colpì Messina ed altre aree nel 1908. La necessità di fornire risposte immediate e di sicura solidità determinerà, per la prima volta, l’utilizzo su larga scala della tecnica costruttiva del calcestruzzo armato. Negli anni Trenta del Ventesimo secolo, il calcestruzzo armato è definitiva-mente il materiale più usato per le costruzioni ed è la prima scelta di progettisti ed architetti.

Dalla metà del Novecento sino ai giorni nostri, il calcestruzzo è stato considerato una vera e propria “pietra fusa”, per usare le parole di Pier Luigi Nervi, in grado di adattarsi alle esigenze specifiche della progettazione e della realizzazione delle opere più complesse, diventando così anche un materiale “a servizio” del bello, dell’estetica e della funzionalità. Architetti e designer l’hanno utilizzato per dare vita a creazioni sorprendenti che sposano la solidità alla creatività, perché il calcestruz-zo sa essere estremamente versatile mantenendo la sua totale affidabilità dal punto di vista della sicurezza strutturale.

L’evoluzione tecnologica

Come in tutti gli ambiti delle attività scientifiche e produttive, dall’informatica alla meccanica, dalla chimica alla medicina, nell’ultimo mezzo secolo si è registrata una significativa evoluzione anche nel calcestruzzo come materiale e nelle tecniche co-struttive basate sul suo impiego.

I progressi più significativi si sono registrati in questi ambiti:

reazioni rispetto agli agenti esterni, in particolare quelli aggressivi come la salse-dine, il ciclo gelo/disgelo, la sismicità;

• L’evoluzione del materiale, che è oggi ancora più durevole grazie all’utilizzo di additivi che limitano il ricorso all’acqua per ottenere la giusta lavorabilità, con la conseguenza di diminuire la porosità del materiale e quindi la sua sensibilità agli agenti esterni. È inoltre cresciuta la capacità dei produttori di adeguare le formulazioni dei calcestruzzi alle specifiche richieste progettuali (“calcestruzzo su misura”);

• L’evoluzione della tecnica progettuale, che mette a frutto la miglior conoscenza del materiale e delle sue “nuove” possibilità nella realizzazione di opere ancora più resistenti e durature (grazie anche all’avvento del BIM – Building Information Modelling, l’approccio che rappresenta in digitale il costruito, le sue caratteristi-che fisicaratteristi-che e funzionali prima caratteristi-che esso sia realizzato e lungo tutto il ciclo di vita, consentendo anche di prevederne il comportamento nel tempo);

• L’evoluzione della capacità di “messa in opera”, il vero e proprio “ultimo miglio” dove le conoscenze e le tecniche progettuali si concretizzano in un manufatto realizzato a regola d’arte capace di resistere nel tempo richiedendo nella gran parte dei casi soltanto una manutenzione “ordinaria”.

L’evoluzione della conoscenza e della tecnica produttiva del calcestruzzo sono ri-specchiate, a livello normativo, nella norma tecnica europea EN 206, dal 2001 rife-rimento fondamentale per la scelta (prescrizione) e la produzione del calcestruzzo, recepita in Italia e completata attraverso una norma tecnica complementare (UNI 11104), richiamata dalla normativa italiana cogente a partire dal 2008.

La EN 206 ha avuto il merito di introdurre una novità significativa nella fase proget-tuale, il requisito della durabilità, oggi alla base anche delle norme nazionali cogenti sulle costruzioni. Mentre le opere erano in passato progettate solo in funzione dei carichi attesi, oggi è richiesto che siano pensate, progettate e realizzate in funzio-ne di una loro attesa di durata di esercizio e delle condizioni ambientali specifiche (quindi degli agenti aggressivi ai quali saranno sottoposte) nelle quali assolveranno alla loro funzione.

Questa importante novità richiede che la natura dei materiali e la loro messa in ope-ra tengano conto anche della capacità dei calcestruzzi di resistere all’aggressione degli agenti esterni per un lungo periodo di tempo.

Oggi, questa possibilità è garantita per tempi ancor più lunghi che in passato, grazie a nuove tecniche e nuovi materiali.

Su questo aspetto sono concentrati la ricerca e lo sviluppo di tutta la filiera del ce-mento e del calcestruzzo.

Calcestruzzo armato: il meglio del calcestruzzo e dell’acciaio insieme.

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In una semplificazione estrema, la pri-ma è la capacità di sopportare carichi verticali, come il peso della stessa in-frastruttura sommato al peso dei mez-zi che la attraversano, scaricandolo sul terreno su cui l’opera stessa è an-corata.

La seconda è legata alla flessione che si determina ad esempio in caso di si-sma o in un ponte nella parte centra-le della campata. A seguito della fcentra-les- fles-sione, la parte inferiore della campata si trova sottoposta a trazione, mentre quella superiore a flessione.

Il materiale universalmente considera-to più adatconsidera-to a sopportare la compres-sione è il calcestruzzo. Il materiale più adatto a sopportare la trazione è, inve-ce, l’acciaio.

Combinati, essi danno vita al calce-struzzo armato, ovvero strutture in cal-cestruzzo che incorporano un’armatura in acciaio e pertanto capaci di resistere sia a compressione che a trazione. Questa soluzione, adottata ovunque nel mondo da quasi un secolo a que-sta parte, deve fare fronte al naturale processo di invecchiamento dei mate-riali che può essere accelerato da fat-tori aggressivi esterni come l’anidride carbonica, la salsedine o il ciclo gelo/ disgelo.

Gli agenti presenti in natura, nel tem-po, aggrediscono il calcestruzzo arri-vando progressivamente sempre più vicini all’armatura e causandone la corrosione.

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#Primo_Piano

Il male occulto del calcestruzzo

non è la carbonatazione

Andrea Dari - Editore

Il calcestruzzo è un materiale straordinario

Si produce utilizzando materie prime disponibile ovunque, è completamente rici-clabile, assume qualsiasi forma, grazie all’acciaio è in grado di acquisire l’unica proprietà in cui è debole, la resistenza a trazione, costa poco, resiste meglio di altri materiali a molte azioni esterne, come per esempio al fuoco e all’aggressione am-bientale, assorbe CO2, può essere drenante, può essere autoriparante, può essere impermeabile, per alcune tipologie di opere è insostituibile, è stato addirittura utiliz-zato per costruire delle navi ... però ...ha però un problema, un problema davvero importante.

Il problema del calcestruzzo non è la carbonatazione

Il problema non la carbonatazione, ne la resistenza ai cloruri, ne quella al gelo di-sgelo, ne quella all’abrasione, ne quella agli urti … a tutti questi problemi ci sono consolidate e affidabili soluzioni tecniche.

Il problema sta nel fatto che … è troppo facile, anzi, apparentemente troppo facile da produrre e mettere in opera.

Sull’aggettivo apparentemente ci torneremo presto. Per il momento concentriamoci sul “Facile”.

Il calcestruzzo: un prodotto “facile” da produrre

Facile da produrre, perchè in Italia per farlo è sufficiente avere un impianto di stoc-caggio e dosaggio, non serve infatti il mescolatore come in quasi tutti i Paesi civi-lizzati, qualche dispositivo ambientale, un bollettario, un cellulare, una licenza e qualche permesso. Questa facilità ha portato negli anni del boom dell’edilizia alla nascita di un numero elevatissimo di aziende e impianti.

Nel 2001 il rapporto ATECAP (il primo rapporto del settore, nato su iniziativa di San-dro Polidori, allora presidente della Commissione Economia e Mercato, e del sotto-scritto che faceva il giovane direttore pro-tempore) in Italia operavano quasi 2.500 impianti, ma erano solo 3 le aziende con più di 50 impianti: il 96% delle aziende aveva uno o due impianti. In quegli anni si valutava quindi una produzione di circa 26.000 metri cubi/annui per impianto. Circa il 90% degli impianti era orizzontale, ovvero il sistema più lento ma che richiede un minore capitale di investimento inizia-le, e solo il 40% degli impianti era automatizzato. Un dato, quello del calcestruzzo prodotto, che è cresciuto fino al 2006/7 quando si sono sfiorati gli 80 milioni di metri cubi, e con essi sono cresciuti anche il numero di impianti. Ricordo che in quegli anni vi erano città come Bologna o Brescia in cui dove ti giravi vedevi impianti di betonaggio che producevano e pompe che gettavano.

Arriva la crisi: crolla la produzione di calcestruzzo, ma non il numero di impianti di betonaggio

Con la crisi i metri cubi di calcestruzzo prodotti in Italia sono crollati di oltre il 60%, ma il numero di impianti è calato di una percentuale inferiore. Al momento si valuta siano ancora attivi circa 2.000 impianti e si sia arrivati a una produzione annua/ impianto di 12/13.000 metri cubi di

cal-cestruzzo.

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pro-#

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#Primo_Piano

Sistema

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(autocicatrizzazione delle fessurazioni)

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una percentuale sconcertante di professionisti, imprese e committenti è che il calce-struzzo sia facile da produrre.

Poca selezione dei fornitori, pochi controlli

Allora la variabile principale di scelta diventa il prezzo, anni lo sconto.

Chissenefrega se le sonde dell’impianto non sono tarate, se l’autobetoniera è di un padroncino che non fa manutenzione alle pale (quelle che teoricamente dovrebbe-ro mescolare il calcestruzzo in assenza di un mescolatore), se le materie prime non vengono selezionate e controllate, se la prestazione attesa è frutto di una ricetta del 2007, se l’azienda non ha un tecnico preparato per la qualifica e controlli del calcestruzzo.

L’importante è che il calcestruzzo costi poco. Tanto poi i controlli tornano sempre, chissà perchè, tanto il direttore dei lavori non sta mai in cantiere. E poi il fornitore ha l’FPC !!!

Questo è il clima che ha favorito la cultura del calcestruzzo depotenziato, termine che piace tanto ai giornali, che nel sud italia ha portato all’infiltrazione della crimi-nalità organizzata, che ha privilegiato chi non investe e penalizzato chi crede nella correttezza e nella qualità.

FPC, un costo inutile per il settore, una certificazione che non fa selezione

Volete sapere quanti impianti operano in Italia? Basta andare su http://sicurnet2. cslp.it/Sicurnet2/Certificato e si trovano tutti gli impianti operativi. Infatti è previsto per legge che un impianto di betonaggio deve avere l’FPC. Ma non è purtroppo così. Innanzitutto che cosa è l’FPC: è la certificazione del

con-trollo di fabbrica dell’impianto, e prevede alcuni requisiti

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#Speciale PONTE MORANDI

Il crollo del ponte Morandi

a Genova

Redazione INGENIO

Il crollo del ponte Morandi, un doveroso approfondimento tecnico

Alle 11.36 del 14 agosto 2018 sotto una pioggia incessante, un boato assordante ha squarciato la città di Genova cancellando per sempre dalle cartine autostradali un tratto importantissimo della viabilità della città ligure e un pezzo della storia dell’in-gegneria italiana: un tratto del viadotto sul Polcevera, un tratto del famosissimo Ponte Morandi, crollava portando con se 43 vittime.

Di seguito una raccolta di tutto il materiale tecnico che INGENIO ha raccolto sul pon-te, sulla tecnologia usata, sui materiali e la loro durabilità ma anche sulla sicurezza delle infrastrutture, temi che terrà continuamente aggiornati.

Qualche dato sul ponte Morandi

Lungo 1.182 metri il ponte Morandi presenta un’altezza al piano stradale di 45 metri e attraversa il torrente Polcevera tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, pas-sando anche sopra la rete ferroviaria. Il viadotto, progettato da Riccardo Morandi,

ferroviario, case e industrie. Facendo parte del tracciato dell’autostrada A10 costituisce un’infrastruttura strategi-ca per il collegamento viabilistico fra il nord Italia e il sud della Francia oltre a essere il principale asse stradale fra il centro-levante di Genova, il porto con-tainer di Voltri-Pra’, l’aeroporto Cristo-foro Colombo e le aree industriali della zona genovese.

Ponte sul Polcevera, inaugurato nel 1967

Inaugurato nel settembre 1967, dopo 4 anni di lavori, il viadotto Polcevera rap-presenta una pietra miliare nella storia delle autostrade italiane, sia per la complessità della soluzione tecnica, sia per l’e-levato risultato estetico.

Si trattava di un compito arduo, data la quasi totale occupazione del suolo sotto il viadotto: esso venne brillantemente risolto con una raffinata struttura a due campate principali (lato est), sorrette da tre alti piloni e tiranti in calcestruzzo armato, cui se-guivano verso ovest ulteriori campate minori tradizionali.

Due le particolarità strutturali di questo ponte: gli stralli, che a differenza di quanto avviene per i ponti in acciaio non formano un ventaglio o un’arpa, sono solo una coppia per lato e sono realizzati in calcestruzzo armato precompresso; le modalità di realizzazione dell’impalcato (la parte che sostiene direttamente il piano viabile) in calcestruzzo armato precompresso, secondo un brevetto ideato dallo stesso Mo-randi. (cit. Occhiuzzi)

Scheda tecnica del Ponte Morandi

> Anno di costruzione: 1963-1967 (inaugurato nel 1967) > Campata maggiore: 210 m

> Lunghezza: 1182 m

> Tecnologia costruttiva: calcestruzzo armato precompresso > Forma delle pile: cavalletto rovesciato bilanciato

> Altezza delle pile: 90 m

> Stralli: Trefoli in acciaio rivestiti di calcestruzzo

Chi è Riccardo Morandi

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#Speciale PONTE MORANDI

del 1908. Tornò poi a Roma continuando lo studio o la soluzione dei problemi tec-nici connessi a questo tipo di struttura (allora nuova per l’Italia), ricca di promesse e di avvenire. Insegnò Tecnologia dei materiali e Tecnica delle costruzioni presso l’Università degli studi di Roma. Ricevette la laurea honoris causa dalla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Monaco di Baviera e dalla Facoltà di Architettura dell’U-niversità di Reggio Calabria. Morì il 25 dicembre 1989.

Egli rappresenta l’uomo che con maggior coraggio ha cercato di superare i limiti del materiale e delle forme strutturali. La leggerezza delle sue strutture e le loro stesse forme e proporzioni, testimoniano una continua ricerca di una intelligente utilizza-zione del materiale fino ai limiti consentiti dalla sua natura. Dopo il 1951 egli realizzò tutta una serie di ponti ad arco e a travatura: il ponte delia Vella, presso Sulmona di 22 metri e con cavalletti obliqui; il viadotto della Fiumarella (Catanzaro), lungo 467 m; il ponte di Maracaibo in Venezuela lungo otto chilometri e settecento metri; il viadotto sul Polcevera a Genova (quello crollato). Fra le molte opere egli realizza anche un hangar a Firenze, che ricopre un’area di 3.500 M2 senza sostegni inter-medi; il padiglione sotterraneo dell’automobile a Torino, superficie senza appoggi di 160 m per 70 m e le aviorimesse Alitalia a Fiumicino (1960-1962).

Il crollo del viadotto

Il 14 agosto 2018 la sezione del ponte che sovrasta la zona fluviale e industriale di Sampierdarena, lunga circa 250 metri, è crollata insieme al pilone occidentale di sostegno (pila 9) provocando 43 vittime fra gli automobilisti che transitavano e tra gli operai presenti nella sottostante area.

In questo momento le Autorità giudiziarie stanno

inda-gando sulle varie responsabilità, perché questo è il loro PROSEGUI LA LETTURA

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#Speciale PONTE MORANDI

L’invenzione di Morandi

Tullia Iori, Sergio Poretti

Premessa: pubblichiamo questo articolo per gentile concessione della prof.ssa Tul-lia Iori. L’articolo è tratto della serie SIXXI / 4 - Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, a cura di Tullia Iori e Sergio Poretti, ed. Gangemi, Roma 2017

Un logo della Scuola italiana di ingegneria

Il ponte strallato omogeneizzato di Riccardo Morandi è uno dei loghi della Scuo-la italiana di ingegneria, negli anni del boom.

Mentre le cupole olimpiche di Nervi evidenziano il flusso delle tensioni interne, met-tendosi in perfetta sintonia con la natura, il cavalletto inventato da Morandi raf-figura l’equilibrio delle forze esterne, il gioco di pesi e contrappesi, delle spinte

e delle controspinte: al naturalismo delle forme resistenti contrappone l’artificioso scientismo delle figure in equilibrio.

A definirne l’originalità – e quindi l’italianità – contribuisce soprattutto il modo di co-struire. Quando il cavalletto bilanciato viene abbozzato per la prima volta, nel

secon-do progetto per il ponte sulla laguna di Maracaibo, il ponte strallato è ben conosciuto a livello internazionale ma è di acciaio.

L’invenzione di Morandi consiste nel costruire la struttura strallata con il ce-mento armato precompresso.

Da qui nasce lo stupore: la leggerezza tipica del sistema tirantato entra in con-trasto con la natura muraria della struttura.

La possibilità di costruire in opera questo colossale congegno è basata sulla fiducia sconfinata che Morandi nutre per la precompressione, che per lui è uno strumen-to straordinariamente versatile: ci si può fare tutstrumen-to. È il trucco che consente di

esaltare la sensazione di arditezza delle sue strutture. Ma è anche il dispositivo po-tentissimo che aiuta a risolvere i problemi più complessi del cantiere: costruire nel vuoto facendo a meno delle centine, regolare le sollecitazioni durante le fasi costruttive intermedie.

Le figure strutturali di Morandi, mettendo in scena equilibri arditi, trasmettono visi-vamente il senso della modernità: esaltano le potenzialità della scienza, valorizzano le nuove abilità del costruttore scientificamente consapevole. Riprendendo così, da una parte, il filo degli esperimenti sulla muratura armata dell’Italia ottocentesca e dall’altra la linea visionaria esaltata dal futurismo.

I primi Ponti di Morandi

Nella prima parte della sua attività Morandi è stato principalmente un progettista di autorimesse e cinema. Solo nel 1938, insieme ai fratelli Giovannetti - Massimo,

Riccardo e Corrado - si cimenta con “un tema che, naturalmente senza saperlo

intimamente” ci dice Morandi - “consideravo uno dei più importanti e dei più legati alla mia sensibilità”: il ponte. L’occasione è l’appalto concorso per il ponte

autarchico di San Giovanni dei Fiorentini sul Tevere, per il quale propone un’ar-cata di 93 metri di luce realizzata con conci di granito resistentissimo dell’Isola del

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#Speciale PONTE MORANDI

Pur sconfitto nel concorso, da quel momento progetterà e realizzerà centinaia di ponti, complici le nuove esigenze dettate dalla ricostruzione post-bellica, che

ri-chiede lo sforzo di tutti gli ingegneri per riprogettare le migliaia di ponti demoliti. Lun-go le linee principali di fronte, sul Liri e sul Garigliano ma anche sull’Arno, Morandi sperimenta tutte le tipologie possibili, economiche e rapide, vincendo gli appalti con decine di imprese diverse.

Due sono i modelli preferiti: l’arco e la travata, prima a contrappesi (come nel

ponte Ercolaneo a San Giorgio) e poi, dal 1950, precompressa.

Ponte Amerigo Vespucci sull’Arno, Firenze

Nel Ponte Amerigo Vespucci sull’Arno a Firenze, disegnato già nel dicembre 1953 per l’appalto-concorso, la tradizionale travata a contrappesi evolve nelle mani di

Morandi e si trasforma nell’originale versione a tiranti sottesi. Morandi modifica

a piacimento le sollecitazioni nelle travi appoggiate (eliminando ben il 67% del mo-mento flettente) aggiungendo tiranti inferiori alle estremità delle loro brevi apofisi, giusto oltre l’appoggio, presollecitandoli e bloccandoli alle fondazioni. Tutto è ben nascosto all’interno delle voluminose ma cave pile murarie.

Ponte sul Cerami, Gagliano Castelferrato

Nel ponte sul Cerami a Gagliano Castelferrato in Sicilia, elaborato per la Cassa del Mezzogiorno, i tiranti vengono lasciati in vista “in maniera da determinare

una schietta impressione architettoni-ca di forma originale” (dalla relazione del 10 gennaio 1955). Il tirante “sot-teso”, composto da cavi protetti da tubi di eternit, nel gennaio 1959 sarà rivestito da scatole di cemento, anti-cipando l’immagine dell’omogeneiz-zazione che sarà staticamente

valo-rizzata solo più tardi, nel ponte per la via Olimpica a Roma (febbraio 1959) e in quello identico sul Vella a Sulmona (settembre 1960).

Nel Padiglione Sotteraneo a Torino Esposizioni, la soluzione a tiranti sottesi raggiunge il culmine.

Alla banale teoria di archi progettata da Bonadé Bottino, Morandi sostituisce l’intreccio romboidale di travi sottilissime, precompresse, vincolate ai pilastri inclinati, pen-doli incernierati-incernierati dall’equilibrio apparentemente incerto. Segreto, nel

muro, c’è il tirante, da cui dipende la stabilità della struttu-ra che appare come un giocattolo meccanico di ispistruttu-razio- ispirazio-ne futurista, perfetta scenografia di un’aerodanza.

Padiglione sotterraneo a Torino Esposizioni, R. Morandi con con V. Bonadé Bottino, 1959 (AFAitec)

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#Speciale PONTE MORANDI

Le Strutture Strallate Omogenee

in Cemento Armato, di Riccardo Morandi

Andrea Dari - Editore INGENIO

Nel 1980 Riccardo Morandi scrisse un articolo che verrà pubblicato su una splendida rivista del tempo, oggi pur-troppo chiusa, “L’Industria Italiana del Cemento”, dal titolo “Le Strutture Strallate in Cemento Armato”.

Il ponte strallato in cemento armato: un’idea nata nel 1957

“Ventitre anni fa, nella primavera del 1957, sotto l’assillo di dover inventare una inusitata applicazione del calce-struzzo, cioè un ponte con grandissime luci (almeno per allora) per cui non era conveniente ricorrere a strutture spin-genti e non era conveniente nemmeno usare strutture metalliche data l’ecce-zionale aggressività dell’atmosfera è nata la prima idea della struttura strilla-ta omogeneizzastrilla-ta in calcestruzzo. Poichè da allora e per ventitré anni ho perseverato nell’intento di perfezionare sempre di più un’applicazione che si è subito rilevata particolarmente adatta per contribuire alla conquista di luci sempre maggiori per opere in calcestruzzo armato, ritengo sia interessante ripercorrere questo ormai lungo cammino, rileggendo criti-camente le soluzioni adottate per i vari temi, spesso così diversi specialmente dal punto di vista ambientale.

Nel prosieguo quindi mostrerò e commenterò brevemente i più importanti ponti strallati in cemento armato da me progettati …”

Sono queste le parole con cui Riccardo Morandi. Si tratta di un lungo articolo, in cui l’autore ci spiega come si è arrivati ai ponti strallati in Calcestruzzo armato. Era il 1957, e non si utilizzavano programmi di calcolo, ogni scelta innovativa era fatta sul-la base di intuizioni tecniche supportate da un’ampissima conoscenza delsul-la scienza e della tecnica delle costruzioni, dei materiali, dei problemi di cantierizzazione, delle

Il ponte strallato omogeneo in cemento armato

“Si è convenuto di chiamare ponte strallato un sistema resistente a travata rettilinea vincolata su appoggi, in par-te concettualmenpar-te rigidi (le spalle e le pile) ed in parte a comportamento note-volmente diverso dai precedenti e cioè caratterizzati dal valore della loro co-stante elastica comparabilmente molto minore, perchè costituiti dai terminali di tiranti obliqui (gli stralli) passanti sulle estremità superiori di antenne verticali poste in corrispondenza degli appoggi di cui sopra.”

È questa la definizione da Riccardo Morandi a questa tipologia di ponti, che non solo sono gradevoli dal lato estetico, ma, in confronto con il ponte sospeso, risultano più convenienti nel campo di luci tra i 200 m e i 1100 m, soprattutto se è previsto il transi-to ferroviario. Infatti il ponte strallatransi-to rispettransi-to al ponte sospeso è meno deformabile, più facilmente costruibile e comporta un quantitativo di acciaio ad alta resistenza (per i cavi) decisamente inferiore. E infatti Morandi scriveva: “un siffatto sistema resistente offre una serie di interessanti particolarità che lo rendono adatto alla rea-lizzazione di ponti di grandi luci in cemento armato, essenzialmente per il fatto che la componente della reazione dei tiranti obliqui, passante per la superficie bari cen-trale orizzontale della travata, equilibrata per ogni disposizione di carico simmetrico rispetto al piano trasversale passante per l’asse della pila generica, determina una sforzo a compressione (variabile al variare dei carichi aleatori sulla travata stessa) che produce una forte riduzione delle tensioni di trazione di essa, con conseguente risparmio di armatura metallica”.

Perchè STRUTTURE STRALLATE OMOGENEE

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SICURO, nei limiti dei sovraccarichi massimi di esercizio

Ma l’ingegnere pone un’attenzione importante, forse una delle possibili cause del crollo e che molti commentatori, anche tecnici, non hanno non solo considerato, anzi hanno escluso: “nei limiti dei sovraccarichi massimi di esercizio è da escludere per i tiranti il prodursi di fessurazioni nelle guaine di protezione di calcestruzzo con conseguente, come già detto, protezione assoluta nel tempo dell’acciaio”.

È lo stesso Morandi che evidenzia come vi sia un problema - come per ogni struttu-ra, peraltro - di rispettare i limiti di sovraccarichi massimi di esercizio.

11 ponti che rappresentano altrettante elaborazioni obbligate da differenze ambientali

Morandi nell’articolo analizza 11 diversi ponti, che come lui afferma sono simili ma diversi perchè “diversamente elaborati in funzione dell’ambiente”:

Il Ponte sulla laguna di Maracaibo (Venezuela) Il Ponte di Goteborg

il Ponte sulla Schelda di Anversa il Viadotto sul Polcevera

il Ponte sulla Roma-Fiumicino all’Ansa del Tevere della Magliana il Ponte di Wadi Kuff in Cirenaica

il Ponte sulla Baia di Vigo (Spagna)

il Ponte sul Rio Magdalena a Barranquilla (Colombia)

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Morandi: Su alcune recenti realizzazioni di strutture

in cemento armato e cemento armato precompresso

Andrea Dari

Dopo il crollo del viadotto Polcevera, detto anche ponte Morandi, abbiamo purtroppo sentito di tutto, anche sul fat-to che l’ing. Riccardo Morandi fosse un genio della costruzione di ponti e, più in generale, della tecnica delle costruzio-ni. Per questo abbiamo cercato di af-frontare il tema in modo tecnico con un dossier che man mano che troviamo nuove informazioni aggiorniamo. Il Dossier è visibile a questo LINK. Grazie a un post dell’Ing. Vincenzo Ca-ruso è stato possibile avere un articolo scritto proprio da Riccardo Morandi dal titolo: “Su alcune recenti realizzazio-ni di strutture in cemento armato e cemento armato precompresso”

pubblicato nel 1958 su “Atti e Rasse-gna Tecnica”, rivista della SIAT - So-cietà Ingegneri e Architetti di Torino, annoverata tra le più antiche associa-zioni italiane in attività .

“Atti e Rassegna Tecnica”, rivista della SIAT

Nata nel 1868 come «Atti della Società degli Ingegneri e Industriali in Torino», la prima denominazione dell’attuale SIAT, la rivista è tra le più antiche te-state tecniche, non solo italiane, tuttora attive. Sospesa a ridosso del ventennio fascista, non riprese le pubblicazioni per via delle leggi avverse al libero as-sociazionismo, ma venne subito

rifon-Molti dei protagonisti della cultura architettonica e ingegneristica italiana vi hanno contributo, da Carlo Mollino a Pier Luigi Nervi, da Augusto Cavallari Murat a Roberto Gabetti (questi ultimi ne furono anche lungamente direttori).

LINK al sito della rivista.

L’articolo di Morandi

Nell’articolo sono molte le informazioni interessanti che si possono trovare per com-prendere meglio le scelte che hanno portato alla progettazione del viadotto polce-vera, tra cui una che parla proprio del sistema dei tiranti che è stato adottato, però del simile ponte realizzato sul lago di Maracaibo:

“Se avessi previsto dei semplici tiranti di acciaio mi sarei imbattuto, per il passaggio dei carichi accidentali (pernso in particolare a quelli severissimi ferroviari) in due se-rie difficoltà: la prima che l’allungamento dei tiranti dovuti al suddetto passaggio dei carichi avrebbe lesionaito qualsiasi guaina in calcestruzzo gettata a loro protezione e che l’allungamento stesso sarebbe stato di tale entità da disturbare addirittura il transito dei veicoli ferroviari sul ponte (l’abbassamento della sede stradale sarebbe stato di circa 1 metro).

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#Speciale PONTE MORANDI

diminuzione di compressione, senza mai raggiungere il valore zero, per cui fossero da escludersi concettualmente le fessuraizonei e le deformazioni sarebbero state ridotte dal rapporto tra modulo elastico dell’acciaio e quello del calcestruzzo. È da considerare inoltre che la componente orizzontale della reazione, in corri-spondenza del punto di innesco del tirante della travata orizzontale, costituisce uno sforzo di autocompressione della travata che contribuisce sensibilmente alla buona risoluzione economica del problema.”

Ponte Morandi: il peso proprio della struttura e le soluzioni adottate

Nell’articolo Morandi ci parla anche delle altre soluzioni adottate, in particolare per la gestione dei carichi del peso proprio della struttura.

“Come ho già detto, per quanto si riferisce al peso proprio della struttura, i due si-stemi risultano bilanciati e la risultante delle azioni passa per le verticali delle due pile antenne. Il passaggio dei carichi invece determina una sissimetria delle azio-ni entro le due braccia dei tiranti, ed a sua volta induce sulle antenne degli sforzi tensionali che hanno obbligato a determinare una condizione di congruenza tra le deformazioni elastiche dei tiranti e quelle delle antenne. Da considerare inoltre che il passsaggio dei carichi sulla luce centrale non produce un sollevamento sensibile in corrispondenza degli attacchi dei tiranti sulle pile a cavalletto, posti ai limiti delle due luci adiacenti a quella centrale”

“Queste due ultime pile a cavalletto presentano altresì la caratteristica di pemettge-re all’atto della messa in tensione dei tiranti, una certa traslazione sul piano orizzon-tale e questo allo scopo di poter utilizzare la componente sul detto piano orizzonta-le dello sforzo di pretensione dei tiranti medesimi quaorizzonta-le

tensione di auto-precompressione delle luci comprese PROSEGUI LA LETTURA

L’importanza dell’opera di Morandi sull’evoluzione

dei ponti e viadotti

Antonino Recupero - Università di Messina

Ormai sono passati alcune settimane da quel maledetto 14 agosto 2018 nel quale la nazione ha assistito alla morte di 43 concittadini vittime innocenti e nello stesso tempo al crollo di uno dei simboli della ricostruzione post-bellica. È forse il segno del destino, il segnale che questa Italia ormai si incammina lentamente verso il proprio declino?

I ponti di Morandi stanno sù?

Purtroppo la reazione degli italiani è stata diversa da quella che io mi aspettavo, in qualche modo; loro cercavano solo il colpevole e lo hanno già trovato.

Ormai nei bar, nei parchi giochi per bambini, nelle piazze del paese, al supermerca-to tutti sanno che “i ponti di Morandi non stanno su”. I sindaci del Bel Paese vanno nelle proprie città alla spasmodica ricerca di un ponte Morandi, se non lo trovano ne cercano anche un surrogato, uno “tipo Morandi”, da poter chiudere. Così aumenta-no il consenso nei confronti dei propri elettori.

Ponti, materia da specialisti

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#Speciale PONTE MORANDI

mondiale. So, perché alcuni di loro li ho sentiti anche dopo, che non hanno cam-biato idea.

Ma allora perché gli italiani hanno emesso la loro personale sentenza. Gli italiani sono un popolo strano molto emotivo e umorale lontani dallo stereotipo del tecnico puro, quale credo di essere diventato io con gli anni.

Non riflettono, usano l’istinto, e poi sono tuttologi: medici, avvocati, ingegneri, alle-natori di calcio .. a secondo le necessità. Anche il mio panettiere, oggi, sa o crede di sapere cosà è un ponte strallato.

Io ci ho impiegato 30 anni per avere seri dubbi quando ne studio, progetto e analizzo uno. Lui, invece, in una settimana è giunto al punto di sentenziare sulla inidoneità del progetto di Morandi. Ma la cosa peggiore e sentirlo dire ai colleghi ingegneri che si sono uniti al coro.

Morandi è un genio, lo è stato e noi che amiamo i ponti, li abbiamo studiati, per passione prima che per lavoro, glielo riconosciamo. Egli è stato un visionario un precursore uno che ha fatto del motto latino di dannunziana memoria “memento audere semper” una ragione di vita professionale. Egli ha fatto fare all’Ingegneria dei “ponti in calcestruzzo” quel balzo in avanti che in tempi normali avremmo fatto in una trentina di anni. Non voglio qui cantare gli elogi dell’attività professionale di Morandi e quindi cercherò di spiegare la mia ragione

solo su quella tipologia strutturale che oggi è oggetto di

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#Gli interventi successivi sul ponte Morandi

Ing. Camomilla: come e perché intervenimmo sugli

stralli della pila 11 del Ponte Morandi nel 1992

Gabrielle Camomilla - Terotechnologist expert in maintenance and road management

Crollo del ponte Morandi: conoscere per comprendere

In questi giorni, dopo il crollo di una parte del viadotto Polcevera, con INGENIO ab-biamo cercato di pubblicare una serie di approfondimenti tecnici - a cominciare da alcuni articoli di Riccardo Morandi - per aiutare chi opera nel settore a comprendere chi fosse l’ing. Morandi stesso, le caratteristiche del ponte, le manutenzioni realiz-zate, i punti di debolezza e di forza. Uno dei temi più interessanti riguarda proprio l’intervento di manutenzione del 1992 su uno degli stralli, quello della pila 11, una manutenzione effettuata durante le “Colombiadi” di Genova, quindi in un momento di grande traffico per il capoluogo ligure.

Abbiamo ritrovato - grazie a un lettore - due pubblicazioni tecniche:

• la pubblicazione IABSE dove gli autori sono prof. F. Martinez Y Cabrera, l’Ing. Camomilla, l’ing. Marioni e l’ing. Pisani.

• la pubblicazione che fu presentata in ambito scientifico a Shangai dal prof. F. Martinez Y Cabrera, l’Ing. Camomilla, l’arch. Donferri Mitelli e l’ing. Pisani

Entrambre descrivono tutto l’intervento con particolari diversi.

Abbiamo anche intervistato l’ex Direttore della Ricerca e Manutenzione di Au-tostrade, Gabriele Camomilla, uno degli autori e quindi delle figure che seguirono

l’intervento.

Ecco il testo e in allegato l’articolo Andrea Dari

L’intervista all’Ing. Gabriele Camomilla

Andrea Dari: Ing. Camomilla, nel 1992 avete riparato uno strallo di una delle pile del ponte Morandi. Come scopriste il problema?

Gabriele Camomilla: Il ponte era oggetto di ispezioni accuratissime e costanti,

an-che alla sommità dei piloni 90 metri dal suolo.

Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull’ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d’acciaio e questo aveva portato alla corro-sione per dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le azioni a cui l’acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg) erano di gran lunga inferiori

Il difetto costruttivo era questo: i fili ad altissima resistenza avrebbero dovuto essere tra loro tutti distanziati per es-sere tutti avviluppati dal calcestruzzo, che ha un notevole potere di protezio-ne dalla corrosioprotezio-ne delle strutture di acciaio. A causa di un difetto costrut-tivo, invece, tutti questi fili si sono tro-vati impacchettati in sommità alla pila, per cui non erano bene avviluppati dal calcestruzzo. Questo consentiva il pas-saggio di una parte di aria, e quindi l’at-tacco dell’acciaio.

In pochi giorni avviammo l’intervento. Allora non c’era una legge che buro-cratizzasse la manutenzione, quindi fu relativamente semplice farlo, a parte le discussioni sul “come” farlo. Autostra-de aveva una sua società di costruzio-ni, Italstrade Spa sempre IRI con la sua filiale locale ISA Appalti, e con essa av-viammo l’intervento.

Andrea Dari: Perchè lo strallo era protetto con il calcestruzzo, un ma-teriale che ha, a sua volta, problemi di durabilità?

Gabriele Camomilla: Perchè stiamo

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pro-#

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Nello strallo la protezione era costituita da conci in calcestruzzo che a strallo te-sato, venivano precompressi con appositi ulteriori cavi, che impedivano che detto rivestimento protetivo andasse in trazione e si fessurasse al passaggio dei veicoli e/o per motivi di temperatura o altro Quella era la tecnologia innovativa morandiana per proteggere l’acciaio in un ambiente soggetto a forti aggressioni anche per come funzionano gli stralli che sono deg i appoggi “dall’alto”, mobili sotto traffico.

Il calcestruzzo era precompresso, per garantire l’assenza di fessure; solo in segito si sono sviluppati gli stralliseparati ad “arpa” ricoperti di polietilene pesante come quelli usati nella riparazione. La precompressione però la rendeva

difficile come rende difficile qualsiasi demolizione incontrollata.

Su questo vorrei evidenziare un aspetto di cui si è parlato in questo giorni molto poco e in cui invece si è fatto molta comunicazione allarmistica.

Molti ponti in cui si raccontano problematiche di crollo imminente non stanno crol-lando ma hanno problemi sui copriferro carbonatati dalla CO2 e non più ptotettivi dei ferri esterni che per questo arrugginiscono ed espellono, con l’aumento di volume degli ossidi che si sono formati, la parte esterna del calcestruzzo non più protettiva Lo spessore di questi copriferro è molte volte più basso dello spessore delle prote-zioni degli stralli del Polcevera che, per carbonatarsi completamente, hanno biso-gno di più dei 60 anni passati.

Tutti questi ponti aggrediti, ma ancora portanti, avrebbero bisogno di una manuten-zione che ricostruisse le protezioni utilizzando, per esempio, malte reoplastiche a ritiro compensato frutto del genio del prof. Collepardi e la protezione catodica delle armature, altra eccellenza italiana applicata per esempio da me su alcuni ponti del vecchio Bologna Firenze e più recentemente dall’ANAS

sul viadotto Sfalassà della Salerno Reggio credo nel 2011, prima che si interrompesse il suo completamento.

#Gli interventi successivi sul ponte Morandi

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#Gli interventi successivi sul ponte Morandi

E se il vecchio ponte Morandi potesse essere

salvato…

Gabriele Camomilla - Terotechnologist expert in maintenance and road management Stefania Alessandrini - Caporedattore INGENIO

La chiave di lettura sta nel guardare al passato per pensare al futuro

Non tutto va distrutto

Anzi partendo dall’analisi della riparazione della Pila 11 è facile comprendere come un ponte moderno - macchina tecnologica, possa durare centinaia di anni! A spiegarci il perché l’ing. Gabriele Camomilla ex Direttore della Ricerca e Manutenzione di Autostrade.

Continua il dibattito sul Ponte Morandi, e lo si fa ormai parlando solo del nuovo ponte. Sul tavolo per ora una proposta scarsamente operativa di Renzo Piano e molti dibattiti su chi deve costruirlo, sui tempi di ricostruzione, sulle concessioni… “Subito la demolizione e nuovo ponte per Genova nel 2019. La parola d’ordine è: facciamolo bene e in fretta” cosi ha commentato e sintetizzato il Presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti in una intervista sul Corriere della Sera, parole che descrivono bene “l’aria che si respira” e che per ora sono solo desideri più che piani. Poco importa di ciò che è rimasto in piedi, in quanto solo il simbolo di una disgrazia che deve essere archiviata al più presto nelle menti e soprattutto dagli occhi di chi resta. Ma non tutti sono della stessa idea.

Per l’ing. Camomilla, che nel 1992 ave-va seguito il complesso intervento di risanamento dello strallo della Pila 11, (ndr è possibile scaricare il pdf con la descrizione dettagliata degli interventi e dei controlli che ne sono conseguiti), il ponte va salvato nelle sue parti cer-tamente sicure e durevoli e ricostruito per il resto. Ma cerchiamo di capire il perché e cosa questa vicenda può in-segnarci.

Chiacchierando con l’ing. Camomilla, ex Direttore della Ricerca e

Manuten-sono molte e sarebbe un peccato perdere l’occasione per pensare ad un vero siste-ma di sicurezza dei ponti oggi più facilmente realizzabile e operativamente funzio-nante di quanto lo fosse 26 anni fa.

Le strutture parlano: ecco come guardare al futuro dei ponti

Innanzitutto, per esempio, va osservato che le strutture come i ponti, prima di morire emettono i cosiddetti gridi di dolore ossia delle frequenze tipiche che richiamano

“grida di aiuto”. Ci sono alcune frequenze che variano a seconda del tipo di materia-le e che indicano uno stato di “difficoltà della struttura” nei suoi diversi stadi. Queste frequenze sono rilevabili da sensori, di costo e dimensioni contenute, che,

trasmet-tendo le informazioni ad un centro di controllo, possono permette ai ponti di durare.

Questo è il futuro.

È questa la prima ricetta che l’ing. Camomilla mi da parlando del futuro dei ponti, lin-fa vitale del nostro sistema di trasporto che ci permette di vivere ai livelli a cui siamo abituati e che consideriamo immutabili, ma non mi nasconde che, in Italia spesso, è l’investimento, insieme alla burocrazia, che frena la piena sicurezza delle infrastrut-ture; “basti pensare che in termini bilancistici delle società, la manutenzione, tanto strombazzata in questi giorni e quasi mai praticata, è una voce di spesa e non di investimento, come dovrebbe.”

Se si arrivasse – aggiunge l’ingegnere - ad una valutazione dello stato delle ope-re generalizzata con metodi adatti, seguita da interventi mirati nei punti critici o destinati a divenire tali, avremmo ottenuto il sistema di controllo con preav-viso dei ponti.

Già la diffusione della protezione catodica (che evita per esempio il distacco del copriferro, giudicato erroneamente prodromo di crollo imminente) darebbe luogo all’arresto per decenni e decenni a quel degrado che, anche se solo estetico, terro-rizza gli amministratori delle strade di ogni ordine e grado.

I metodi da perfezionare, ma già tecnicamente risolti, sono la soluzione.

“Non può essere, per esempio, l’analisi modale che, per il controllo dei ponti, è sen-za dubbio oggi migliorata rispetto a 20 anni fa, ma che rimane ancora poco precisa e sensibile, e complessa nell’applicazione per usarla in modo diffuso.

Quello che serve sono metodi/analisi affidabili che possano essere gestiti da tecnici formati ad hoc (lavoro vero per giovani), anche perché i ponti più importanti

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#Gli interventi successivi sul ponte Morandi

dubbio, un esempio per la gestione preventiva delle opere sospette o particolarmente importanti, ma è tutto il sistema di controllo che va profondamente rivisitato, partendo dall’analisi visiva, ma automatizzata con l’uso di droni e l’esame au-tomatico delle immagini ottenute fino ai criteri di prima selezione. I

l controllo remoto centralizzato sugli elementi rimanenti giudicati a rischio permet-terebbe di dare un preavviso sufficiente per intervenire in sicurezza sulle eventuali problematiche localizzate dai sensori.

Non è più fantascienza, ma la distrazione diffusa dei tecnici dello Stato ne impedi-sce lo sviluppo in quanto spesso essi applicano solo regole certe, di tipo formale e non scientifico che non danno le informazioni che servirebbero e non hanno quindi il controllo reale dei loro manufatti.”

Ecco perché si potrebbe e si dovrebbe salvare ciò che resta del Ponte sul Polcevera

“Sarebbe un peccato abbattere un’opera come quella dell’ing. Morandi” – così com-menta subito l’ing. Camomilla.

“Il ponte di Morandi è un’opera di oltre 1100 metri in cui solo una parte di circa 200 metri è crollata. Prima di pensare a ricostruirne uno nuovo, sarebbe opportuno ricordare e capire come è stato riparato lo strallo della Pila 11 dove nel 1992 sono stati realizzati degli interventi che ne consentirebbero una vita lunga anche centi-naia di anni, e questo grazie alla possibilità (ndr. come descritto dettagliatamente nell’articolo integrale scaricabile sotto in pdf) di

sosti-tuzione dell’anima d’acciaio sfilabile degli stralli portati

all’esterno. PROSEGUI LA LETTURALINK all’articolo completo

RESTAURO e RIPARAZIONE del PONTE MORANDI:

le motivazioni tecniche di una scelta razionale

Gabriele Camomilla

Vorrei precisare innanzitutto che quanto qui mi accingo a scrivere è condiviso da un nutrito gruppo di tecnici ed esperti, che di recente hanno firmato una petizione sulla conservazione e il riuso della parte esistente del viadotto polcevera.

Per questo spesso parlerò al plurale, a sottolineare il valore corale di ciò che mi accingo a scrivere.

Ponte Morandi, si parla solo di demolizione

La considerazione di partenza è che, attualmente, purtroppo, si parla soltanto della demolizione di ciò che resta del Ponte Morandi e della sua ricostruzione integrale. Lo si fa in modo spesso superficiale e si ipotizzano tempi del processo non congrui con la realtà delle azioni necessarie, che sono sicuramente sottostimate, anche non considerando i tempi non tecnici connessi alle azioni.

Sorprende quindi che non si stia valutando, invece, quella che è la soluzione più ragionevole: procedere con una verifica dell’esistente, seguita da una ricostru-zione della parte crollata, utilizzando la sua fondaricostru-zione.

Questa scelta potrebbe dar luogo ad una struttura funzionale e durevole nel tempo, rispettando il vincolo spesso indicato di un anno.

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#Gli interventi successivi sul ponte Morandi

morandiana: ma tale preoccupazione, se ha un significato per le tre pile strallate, è completamente inesatta per i 700 metri ancora in piedi del tratto con le pile a V verso la galleria Coronata.

Questa opinione però è dovuta a nostro parere all’approccio al problema fino ad oggi seguito che ha generato un timore diffuso non solo per l’opera genovese, ma per tutti i ponti italiani.

Una revisione tecnica del problema potrebbe servire anche a ridimensionare questa percezione.

Spiegazioni tecniche delle richieste

Le strutture da demolire secondo l’attuale giudizio dei periti sono:

• 8 campate da 75 metri con pile a V (circa 600 metri di ponte); si tratta però di strutture restaurabili rapidamente data l’assenza di traffico nelle loro parti di maggior consumo, che sono gli appoggi delle campate portate, il cui stato però non dovrebbe essere particolarmente degradato.

• La pila 11. Ma ricordiamo che per questa pila gli stralli sono stati sosti-tuiti nel 1993/94 (vedi articolo “Ing. Camomilla: come e perché inter-venimmo sugli stralli della pila 11 del Ponte Morandi nel 1992”) e, o sono in buone condizioni (verificabili facilmente), o sono facilmente sosti-tuibili visto che hanno cavi sfilabili e sostituibili uno ad uno. Ricordiamo che essi hanno sostituito i 4 stralli “unici” con 48 stralli esterni, separati trattati con nuovi criteri (per l’epoca) anti corrosione e, come detto, sfila-bili e sostituisfila-bili uno alla volta, anche in presenza di traffico. Il moncherino costituito dal vecchio strallo serve solo alla loro rigidezza ma non ha capacità portante.

• I nuovi tiranti degli stralli del pon-te morandiLa pila 10 sovrastanpon-te 150 appartamenti attualmente eva-cuati, che in caso di demolizione

moliti. Questa pila dovrebbe poter es-sere trattata con gli stessi criteri della pila 11, dopo aver esperito le indagini di stabilità in corso. Essa ha rispetto la 11 il vantaggio dell’assenza di traffico e di diminuzione, pur sbilanciata, del ca-rico portato, pari al peso della campa-ta caducampa-ta. In effetti i cavi porcampa-tanti degli stralli sono stati protetti nella costruzio-ne con un rivestimento precompresso per evitare che si fessurasse nel tempo data anche la sua mobilità sotto traffico dovuta all’interscambio continuo di sol-lecitazioni legate al passaggio del traf-fico ed agli altri agenti come il vento e le dilatazioni termiche di antenna, stralli ed impalcato a cassone dei quali solo gli stralli interni erano sempre in trazione mentre antenna e cassone erano sempre compressi per come è stata concepita la struttura. La camicia protettiva in cls, che difende l’anima di acciaio interna (main cables) con i sui spessori non fessurabili ben superiori a quelli dei normali copriferro, ne ha però di fatto impedito l’ispezio-ne diretta ed ha richiesto sistemi di controllo più sofisticati. Ciò che sembra sia stato rilevato dalle misure è comunque una possibile degradazione di alcuni dei soli cavi secondari, che hanno il solo compito di precomprimere la camicia protet-tiva e che vengono resi inutili da un intervento come quello della pila 11.

I vantaggi della conservazione dell’esistente

Il mantenimento e la trasformazione delle parti restanti opportunamente restaurate darebbe i seguenti vantaggi:

• Si potrebbe utilizzare il tratto residuo delle pile a V per alimentare il cantiere di rico-struzione del tratto crollato, trasportando su di esso i nuovi elementi di ponte pre-fabbricati in acciaio senza intasare le strade della città. Ricordiamo che lo stato dei calcestruzzi ritenuto insufficiente dai periti per la presenza di placcature in guaina bituminosa nera è probabilmente più legato alla protezione della caduta di piccoli elementi di copriferro che di una sofferenza strutturale, tali difetti superficiali sono eliminabili da interventi del tipo mostrato per le pile e che forse sono già previsti come normale manutenzione. Ricordiamo ancora che la demolizione comporte-rebbe gravi disagi alle fabbriche sottostanti oltre alla moltiplicazione dei tempi. • La pila 10 doveva ricevere un trattamento analogo a quello della pila 11 e non

è stata ancora verificata nel suo stato in essere; qualora risulti stabile, può es-sere trattata con il vincitore della gara indetta dalla

concessionaria a questo fine e che potrebbe essere PROSEGUI LA LETTURA

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#Commenti e analisi tecniche sul crollo e sulle strutture rimaste

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Ponte Morandi: dal NYT una ricostruzione grafica

del crollo grazie ad alcune testimonianze

Redazione INGENIO

Il New York Times, grazie ad un’analisi tecnica di quanto accaduto e a due testimo-nianze, ha ricostruito graficamente le fasi del crollo del ponte polcevera, detto anche Ponte Morandi.

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#Commenti e analisi tecniche sul crollo e sulle strutture rimaste

LINK al sito

Il crollo del ponte Morandi e le “lezioni”

che ci lascia

Giovanni Cardinale - Vicepresidente CNI

Il pensiero ai fatti del 14 agosto 2018 non può che riguardare, prima di tutto, le vittime, le famiglie coinvolte, gli affetti irreversibilmente infranti, oltre che la solidarietà delle persone comuni e l’impareggiabile sistema, strutturato e volontario, dei soccorsi. Per tutti quelli che guardano alle costruzioni, alle opere di ingegneria in generale, stando dalla parte degli “addetti ai lavori”, il crollo offre anche altre riflessioni che,

in queste settimane, hanno occupato gran parte della discussione tecnica ed anche di quella che, dalle informazioni di natura tecnica, deriva altre riflessioni di carattere politico, amministrativo, sociale, economico.

Ingenio ha dedicato molto spazio a queste riflessioni; uno spazio aperto e non co-stretto entro binari precostituiti, che oggi, attraverso una selezione dei tanti articoli e dei tanti commenti, viene riproposto all’attenzione di tutti per quel contenuto tecnico scientifico che, pur nella tragedia, ha una utilità concettuale e formativa di rilievo.

Una sintesi che parla il linguaggio del protagonista (l’ing. Morandi), della sto-ria, della ricerca, delle esperienze sul campo.

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#Commenti e analisi tecniche sul crollo e sulle strutture rimaste

di sperimentazione ed innovazione delle tecnologie e dei processi costruttivi, oltre che della responsabilità di un mestiere, quello dell’Ingegnere, tanto affascinante e coinvolgente quanto fortemente connesso al concetto di rischio nella sua più ampia accezione.

Un ponte in cemento armato precompresso che, con il suo crollo, riporta inevitabil-mente sulla scena tutta la forza delle idee di chi vede in questo materiale il nemico più grande di costruzioni sicure e durabili.

Basta coi fondamentalismi materici

È mia convinzione che una delle tante lezioni che questo crollo disastroso deve

darci è quella che riguarda la necessità, sempre più e sempre meglio, di abban-donare i fondamentalisti materici di chi dice, senza contesto e senza confronto,

“tutto legno”, “tutto acciaio”, “tutto vetro” …, per sostituirli con l’essenza del “fare progetto” che, prima di tutto, vuol dire valutare le opzioni, analizzarle, confrontarle,

scegliere e, come certo fanno anche gli ingegneri, e come dice il sociologo Ulrich Beck, prendere “decisioni in condizioni di rischio”.

E dopo la scelta, dopo il progetto, dopo la costruzione, “..la preziosa esigenza di riandare con il pensiero alle ipotesi fatte, ai calcoli…” (P. Pozzati) riprendere tutte quelle valutazioni per indirizzare verso l’attenzione al ciclo di vita, la manutenzio-ne, il monitoraggio.

Tornare alla conoscenza dei materiali

Per il materiale cemento armato, e per quello precompresso con tecniche di post tensione in particolare, la lezione più grande è quella di un materiale bellissimo che deve, però, essere conosciuto e progettato in ogni dettaglio, incluso quello materico connesso ai materiali componenti (il calcestruzzo, l’acciaio); necessità che stride un pò con la pressoché generalizzata eliminazione dei corsi di tecnologia dei materiali nella formazione degli ingegneri civili ad indirizzo strutturale.

Fu un ingegnere de Genio Civile del centro della Francia ad innovare, nel 1905, il sistema della costruzione o ricostruzione dei ponti; quell’ingegnere si chiamava Eugene Freyssinet e con lui, non solo con lui, la strada alle costruzioni in cemento armato, e poi in cemento armato precompresso, fu definitivamente tracciata.

“Il cemento armato precompresso deve però difendersi anche da altri nemici parti-colarmente insidiosi: la corrosione e la rottura spontanea sotto sforzo…. il precom-presso è così diventato un sorvegliato speciale…” così, il prof. Franco Levi (“Cin-quant’anni Prima - dic. 2003)

Il ponte Morandi, resta giustamente protagonista di questa fase del “dopo crollo”, perchè le scelte sulla prossima ricostruzione dovranno comunque fare i conti con la sua storia oltre che con le porzioni ancora in situ.

E per il futuro ponte?

totale o ricostruzione solo della porzione crollata - essa sia fatta dopo una attenta valutazione di tutti gli aspetti e non sulla scorta di scelte emotive di nessun genere e della adesione “senza se e senza ma” alle teorie della più rigorosa conservazione o a quelle, opposte, della necessità della sostituzione moderna.

“I ponti li costruiscono gli ingegneri. A Genova serve un bravo progettista di Ponti”, dice Renzo Piano; penso che si possa anche andare oltre una affermazione che po-trebbe anche sembrare generica; è mia convinzione che, per la stragrande maggio-ranza dei progetti tanto per nuove costruzioni quanto per gli interventi sul costruito, serva una visione interdisciplinare e multidisciplinare.

Il tempo del cordoglio e del dolore resterà tra noi ancora per molto; forse, le critiche anche feroci indirizzate al progettista, e quell’ansia di ricercare ogni sua opera per demonizzarla e coinvolgerla nella spirale di fini annunciate, inizieranno lentamente a regredire, lasciando spazio a più meditate valutazioni tecniche e scientifiche. L’immagine della distruzione e della rovina che ancora oggi è sotto i nostri occhi rappresenti il proposito di un impegno sempre più attivo e pressante, di tutti (par-lamento, governo nazionale, governi locali, tecnici) sui

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158.

2018

#Commenti e analisi tecniche sul crollo e sulle strutture rimaste

A Genova costruire il Ponte significa ricostruire

una parte di città

Flavio Piva - Direttivo CENSU

Il dramma di Genova ha scatenato emozioni di ogni tipo; l’elaborazione collettiva del grave lutto dopo il mo-mento dei perché, della ricerca dei col-pevoli e delle cause, giunge ora alla fase più rigenerante: come ricostruire il Ponte di Genova, con le maiuscole

perché oggi questa costruzione è di-ventata un simbolo internazionale. Gli antichi ponti in muratura rappre-sentano ancora oggi monumentalità integrata alla città; quelli della prima

era dell’acciaio e poi del cemento, più arditi, cominciavano a staccarsi dalla città per diventare oggetti a se, anche molto belli ma spesso hanno generato intorno solo sottovie e “non luoghi”. Solo i migliori hanno rispettato la città interpretandola, dal Ponte Vecchio di Firenze al ponte Dom Luís I a Porto. Se si accetta questo approccio, non è chi non veda che il problema è traslato di livello, dal ragionare su un’opera a rigenerare un’area urbana, spostato quindi sul piano dell’urbanistica, quella più sfidante per una città.

I ponti delle Città

I ponti interni alle città non sono mai solo un’opera per superare fiumi o valli ma

hanno sempre assunto significati iconici o rappresentativi.

Il ponte Morandi nel 1963 era il simbolo della genialità ingegneristica italiana, del miracolo economico e di una città in espansione turbinosa. La sua caduta avviene oggi in un momento storicamente molto diverso ma, come negli anni ‘60, la sua ricostruzione oggi può essere occasione di rappresentare diversamente il futuro.

che rivoleva la sua identità; a Genova lo si invoca solo perchè potrebbe acce-lerare i tempi.

Non solo un problema strutturale o architettonico

Ma ripristinare la struttura crollata sen-za ripensarne il ruolo nel contesto ur-bano è veramente saggio?

Sul piano strutturale, siamo tutti ansio-si di capire le cause e la dinamica del crollo; come tecnici vogliamo capire i limiti del progetto, quelli dei materiali e le criticità dei modi delle manutenzioni. Ma sulla ricostruzione dobbiamo esse-re bravi: dobbiamo inseriesse-re il massimo dell’intelligenza progettuale sulle opere da realizzare e sui modi cui arrivarci. Velocità ed efficacia vanno coniugate; l’area è una parte complessa di una cit-tà complicata, l’approccio deve essere globale.

Cito due considerazioni, buone sintesi della sfida da affrontare.

Dice Bertolaso: “In otto mesi si fa un ponte “baby”, una bretella in acciaio. Un’altra cosa è fare il ponte più importante di questo Paese. Un’opera strategica che va fatta, non dico andando piano, ma mettendo sul tavolo un progetto serio, elaborato bene, condiviso con la cittadinanza e l’amministrazione locale”.

Anche Renzo Piano considera elemento imprescindibile della sua “idea di ponte” - da lui donata alla città di Genova - la “rigenerazione dell’intera area della Val Polce-vera, di grandissima importanza, anche se sostanzialmente periferica ma strategica per la città, in un’ottica di un suo rinnovamento economico, tecnologico, sociale oltre che culturale”.

Rigenerare, più che ricostruire

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