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1 INQUADRAMENTO GENERALE DELL’AREA IN ESAME

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INQUADRAMENTO GENERALE

DELL’AREA IN ESAME

1.1 – Inquadramento geografico e caratteristiche morfologiche

L‟area presa in esame si estende in tutta la pianura del Comune di Castagneto Carducci (provincia di Livorno), compresa nei confini amministrativi e non oltre la zona pedecollinare del comune stesso. La pianura si colloca in quella che è definita “Bassa Val di Cecina” ed è delimitata a N dal Comune di Bibbona, a W dal Mar Tirreno, a S dall‟agglomerato urbano di S. Vincenzo ed a E dai M. della Gherardesca.

Nella seguente tabella, oltre all‟elenco dei centri abitati presenti sul territorio comunale, è riportata anche la posizione geografica, l‟altimetria dei luoghi e la posizione relativa rispetto al capoluogo; nella seconda colonna è riportata la popolazione residente locale nell‟area di competenza

(Protezione Civile, 2009 - Dati di base territoriali).

La piana del Comune di Castagneto ha una superficie areale di poco meno di 50 km2. Sul lato occidentale, lungo la costa, è presente un cordone dunale non sempre continuo, dove in genere non

Frazione Popolazione Residente Coordinate Altitudine l.m.m. Distanza dal capoluogo Castagneto Carducci (Capoluogo) 1593 Lat: 43° 10‟ N Long: 1° 51‟ W 192 m - Donoratico 5624 Lat: 43° 10‟ 20‟‟ N Long: 1° 53‟ 02‟‟ W 21 m 5 km Bolgheri 716 Lat: 43° 13‟ 56‟‟ N Long: 1° 50‟ 02‟‟ W 110 m 16 km

Marina Di Castagneto 339 Lat: 43° 10‟ 20‟‟ N

Long: 1° 54‟ 41‟‟ W 11 m 8 km

1.1 – Raffigurazione della provincia di

Livorno: in rigato rosso l‟ubicazione della piana del Comune di Castagneto Carducci.

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si superano i 12 m di dislivello: esso caratterizza il paesaggio della bassa costa toscana, dove spiagge sabbiose di ampiezza variabile tra i 30 e i 100 m vengono interrotte da una serie di dune generalmente di forma allungata lungo la direttrice NO-SE, parallele alla linea di riva. Nel lato interno la pianura risale dolcemente da W verso E lungo tutta la sua estensione in una zona penepiana che raggiunge i 50-60 m di quota, passando poi a un retroterra prettamente collinare. Il limite tra la zona di piana e quella collinare risulta più netto verso S dove dal fosso dell‟Acqua Calda la prima tende a restringersi molto, fino a chiudersi del tutto nei pressi del paese di S. Vincenzo in una forma triangolare; qui i rilievi collinari si stagliano sul paesaggio in modo molto più deciso, in coincidenza dei M. della Gherardesca, mentre si addolciscono a N, dove vanno a costituire la dorsale collinare che forma lo spartiacque con la valle del torrente Sterza.

La maggior parte dei corsi d‟acqua defluenti dalle colline ha una direzione preferenzialmente E-W, e attraversando la pianura costiera sfociano direttamente in mare o confluiscono in corsi d‟acqua di dimensioni maggiori; la continuità della fascia sabbiosa dell‟arenile è infatti interrotta dalle incisioni dei fossi che si riversano in mare, essi hanno più che altro regime torrentizio e modeste portate, riscontrabili perlopiù nei periodi autunnali e invernali.

Vengono di seguito elencati i torrenti principali, che attraversando la piana, hanno diretto sbocco al mare.

Nome Zona

F.sa Carestia Vecchia Nord Della Pianura, confine comunale con

Bibbona

F.sa Di Bolgheri Località Seggio, poco a Nord di Marina Di

Castagneto

F.so Della Carestia Località Pianetti, Poco a Sud di Donoratico

F.so Dell’Acqua Calda Località Olmaia, Sud della Pianura

Botro Fichi Località Suvereccio, Sud della Pianura

1.2 – Immagine in 3d-fittizio eseguita tramite Terrafly2 rappresentante la piana del Comune di Castagneto Carducci

con alcune delle località e dei fossiprincipali.

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Lo sbocco al mare di questi torrenti non è costante durante tutto il corso dell‟anno: spesso, nei periodi d‟inattività la foce viene chiusa dal cordone sabbioso della spiaggia, che viene poi liberata in occasione degli episodi di piena.

I torrenti sopra elencati sono stati utilizzati, quando possibile, come sezioni naturali del suolo nei loro punti più approfonditi durante il periodo di rilevamento geologico.

1.2 – Introduzione all’uso del suolo nella piana di Castagneto

La piana appartenente al Comune di Castagneto Carducci è una piana esondabile dominata da un uso del suolo di tipo agricolo; in relazione al suo uso è possibile suddividere il circondario comunale in 4 zone generali che si estendono longitudinalmente al territorio, di cui le prime tre rientrano totalmente nell‟area in esame.

1a zona: compresa tra 0 e 10-12 m s.l.m. è caratterizzata nella costa da spiagge e cordoni dunali e

zone acquitrinose di retroduna la maggior parte della quali oggi bonificate.

2a zona: compresa tra 10-12 e 35 m s.l.m. comprende suoli coltivati, perlopiù a vigneto ed oliveto e

in minore percentuale a seminativo semplice ed ortaggi.

3a zona: compresa tra 35 e 60 m s.l.m. comprende suoli con culture arboree specializzate, quasi

esclusivamente vigneti ed oliveti.

4a zona: compresa tra 60 e 160 m s.l.m. comprende la zona prettamente collinare dove alle colture

di vigneti ed oliveti si associano boschi cedui e misti.

Dal punto di vista agricolo la ricchezza minerale e la fertilità dei terreni sono eccellenti; i problemi derivano dai ristagni delle acque soprattutto nei periodi invernali, derivanti dalla natura alluvionale della piana. Essa è stata infatti in passato occupata da diverse paludi, la maggior parte delle quali è stata bonificata per colmata nel XIX Secolo (Cherubini et al., 1987); tuttavia alle spalle della fascia costiera, caratterizzata dai cordoni dunali come detto precedentemente, persistono zone acquitrinose, soprattutto nella parte N, come nel rifugio faunistico Oasi di Bolgheri, istituita come oasi privata italiananel 1959; essa in territorio di Bolgheri, si estende dalla Via Aurelia fino al mare. Altre aree palustri sempre nella parte N trovano sviluppo nella zona retrostante il Tombolo, in località “Il Grumolo” in piena proprietà Antinori.

1.3 – A sinistra: stralcio della carta di sintesi di uso del

suolo della Toscana (Scala 1:50.000, non in scala nella foto) con evidenziato in rosso i confini dell‟area in esame.

In alto: la sua legenda per le classi evidenziate. Da: Piano assetto idrogeologico (2004) - Carta di sintesi delle classi di uso del suolo alla scala 1:100.000; Bacino Toscana Costa - modificato

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La zonazione precedentemente descritta è tratta dalla carta aggiornata delle classi di sintesi dell‟uso del suolo della Toscana (fig.1.3) (Piano Assetto Idrogeologico ATO 5, 2004): dietro la fascia costiera sono presenti vaste pinete (in verde), impiantate a seguito delle bonifiche al fine di proteggere i retrostanti terreni (classe 3a: boschi di latifoglie, conifere e misti). Nell‟entroterra le zone marroni sono relative alle coltivazioni (classi 2f, 2a: colture permanenti (vitigni) e seminativi non irrigui). L‟Oasi di Bolgheri è rappresentata in verde bottiglia (classe 2e) e la fascia pedecollinare in verdino chiaro (classe 2d: vigneti, frutteti e oliveti).

Le aziende vinicole e quelle produttrici dell‟olio hanno reso la zona in questione famosa in tutto il mondo, avvalendosi anche di numerosi lavori geopedologici che si possono reperire in letteratura: in primis si ricorda uno studio geopedologico, condotto da specialisti del politecnico agrario di Wageningen in Olanda (Breteler H.G.M., 1983 - The soil condition of parts of the provinces of

Livorno, Pisa and Grosseto, Italy); esso però dimostratosi in seguito non sufficiente ai fini di una

zonazione particolareggiata del territorio, ha richiesto successivi aggiornamenti che hanno portato all‟individuazione di ulteriori unità pedologiche, alla correzione dei limiti precedentemente tracciati ed a descrivere più efficacemente le caratteristiche dei suoli (serie, fasi e varianti di serie) utilizzando la metodologia suggerita dalla Soil Taxonomy.

Non è sede di questo lavoro entrare specificatamente nel merito di ciò, ma resta comunque importante ricordarlo per completezza. Torneremo più avanti a parlare della distribuzione dei suoli all‟interno della piana e della forte antropizzazione del territorio.

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INQUADRAMENTO GEOLOGICO

2.1 – Richiami storici

Lo studio della geologia della piana del Comune di Castagneto Carducci riguarda essenzialmente quelle unità litostratigrafiche appartenenti al Complesso del Neoautoctono Toscano; essa è appartenente al settore meridionale della Toscana, area dettagliatamente studiata sin dalla metà del XIX Secolo, vista la sua notevole importanza mineraria; alcuni autori (Coquand, 1845; Pilla,

1846-47; Meneghini, 1853; Cocchi, 1855-56; Vom Rath, 1868; Simonelli, 1882-83) si occuparono

principalmente della stratigrafia dei sedimenti mesozoici e terziari studiandone soprattutto il contenuto paleontologico; altri autori (Pareto, 1842; D’Achiardi, dal 1872 al 1886; Dalmer, 1887

ed altri Autori) si dedicarono maggiormente allo studio petrografico del magmatismo ed allo studio

mineralogico dei giacimenti delle Colline Metallifere.

All‟inizio del secolo successivo, con l‟instaurarsi dei progetti di cartografia italiana alle varie scale, si procedette a uno studio più analitico; a tal proposito merita attenzione la pubblicazione del F° 119 della Carta Geologica d‟Italia in scala 1:100.000 pubblicato nel 1906 da Lotti (Lotti, 1906).

Per tutta la prima metà del XX Secolo sono stati redatti numerosi studi di tipo petrografico – mineralogico in concomitanza con l‟attività estrattiva della zona (Stella, 1912, 1921, 1927, 1938;

Aloisi, 1927; Rodolico, 1931-1938, 1945; Dorn, 1942); ma il primo lavoro che studia in modo

dettagliato la geologia nell‟area compresa tra Castagneto Carducci, il mare ed il F. Cornia è ad opera di Giannini nel 1955 (Giannini et al., 1955), esso è corredato da una carta geologica a scala 1:25.000 e da numerose sezioni geologiche (circa una dozzina) entrambe a colori. La novità di quest‟opera consiste, per la prima volta, un tentativo nel distinguere le varie litologie appartenenti al “Quaternario”. Inoltre Giannini è uno dei primi a introdurre il termine di “Neoautoctono” per quei sedimenti, deposti dopo la messa in posto dell‟”Alloctono”; esso però ha ritenuto che intorno ai monti di Campiglia M.ma questi sedimenti avessero solo origine quaternaria, mentre in seguito è stato dimostrato che essi avessero età anche molto più antiche (a partire del Miocene come vedremo più avanti).

In verità anche Trevisan in precedenza (1952) aveva introdotto il termine “Neoautoctono” precisandone il significato di: <<…complesso sedimentario depostosi in loco dopo l‟arrivo, per trasporto tettonico, dei complessi alloctoni (allora detti “Argille Scagliose Ofiolitifere”) sopra le Formazioni della Serie Toscana…>> (Trevisan, 1952).

Dalla monografia di Giannini (1955) ha fatto seguito una serie di lavori riguardanti il territorio compreso nel F° 119 Massa M.ma; in modo particolare hanno trattato sul Neoautoctono: Giannelli, et

al. (1963); Lazzarotto & Mazzanti (1965); ancora Lazzarotto & Mazzanti (1966-67); Dallan &

Salvatorini (1967). Numerosi altri autori si sono invece interessati allo studio di altre unità tettoniche più profonde, quali la serie della Falda Toscana e le varie facies alloctone.

Tutti questi studi, a partire della monografia del Giannini nel ‟55 trovano la loro sintesi nel 1969, con la stampa della seconda edizione del F° 119 Massa M.ma che nasce sotto la direzione di Trevisan.

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Gli anni settanta trascorreranno senza che via sia particolari nuovi rilevamenti geologici nell‟area del nuovo F° 119, tuttavia iniziano una serie di studi promossi dal CNR nel 1971 sulla morfologia costiera e sul trasporto detritico sul litorale della provincia di Livorno, i quali prendono origine da uno studio isolato di Saggini (1966); a tal proposito si possono ricordare: Celestre et al. (1976); Bartolini & Pranzini (1976); Gandolfi & Paganelli (1976, 1979); Aiello et al. (1979).

Gli studi sui sedimenti neogenici e quaternari tornano di grande attualità all‟inizio degli anni ottanta nell‟ambito del sottoprogetto “Neotettonica”: è del 1978 una nota di Ambrosetti et al. che ricostruisce l‟evoluzione paleogeografica e tettonica dei bacini in questione nel Pliocene e Pleistocene inf. (Ambrosetti et al., 1978); Si ricordino anche Giannelli et al. (1982), che esegue uno studio stratigrafico–paleontologico sui sedimenti del Pliocene e Pleistocene inf. della zona compresa

2.1 – A sinistra: Stralcio interessante la piana di Castagneto contenuto nella carta geologica della Toscana

meridionale di Giannini (1955) (scala 1:200.000, non in scala nella foto).

A destra: particolari della legenda della carta riguardanti il Complesso del Neoautoctono Toscano e dei successivi

sedimenti olocenici (Complesso delle Formazioni Marine e Continentali del Quaternario).

Da: Giannini et al. (1955) - Carta geologica della Toscana meridionale alla scala 1:200.000 – originale.

2.2 – Particolare della carta geologica di Mazzanti et al. (1965). Lo stralcio è riguardante una zona esterna all‟area

esaminata.

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tra Riparbella e Bibbona e Galiberti (1982), che pubblica la schema stratigrafico del Quaternario della zona compresa tra Castiglioncello, Guardistallo e S. Vincenzo; è a questi studi che faremo

riferimento per le attribuzioni cronologiche delle varie unità litostratigrafiche. I più recenti lavori di Bossio et al. (1993) e di Costantini et al. (1993), che proseguivano gli studi

precedenti, sono stati utilizzati come linee guida per la realizzazione dell‟inquadramento geologico di questa tesi.

Particolare attenzione merita anche il lavoro di Mazzanti & Sanesi (1987), poiché descrive in dettaglio la stratigrafia del Pleistocene inf., medio e sup. e dell‟Olocene. Tali studi a distanza di quasi trent‟anni sono considerati ancora molto validi, salvo alcune critiche che vengono mosse riguardo possibili “sovra-interpretazioni”.

Il più recente lavoro di Sarti & Guidi (2005), suggerisce un‟analisi utilizzando non le unità litostratigrafiche, ma attraverso le moderne UBSU (Unconformity Bounded Stratigraphic Units) e le Unità Allostratigrafiche (UA) portando l‟esempio di una ricostruzione cartografica di alcune formazioni che interessano in gran parte l‟area in esame (vedi 4.2).

2.2 – Cenni sulla genesi dei bacini neogenici toscani

Partendo da uno sprofondamento tettonico dopo la fase parossismale dell‟Appennino settentrionale, prendono origine diversi bacini di sedimentazione in quella che è l‟attuale area Tosco-Umbra. Processi distensivi s‟instaurano a partire dal Tortoniano, creando depressioni tettoniche di tipo Graben attraverso due fenomeni che si susseguirono nel tempo: il primo ha portato all‟assottigliamento della crosta superiore ad opera di faglie dirette a basso angolo, il secondo alla creazione di sprofondamenti limitati da faglie dirette ad alto angolo (fig. 2.3) (Federici & Rau,

1980; Bartolini et al., 1982).

Tali depressioni, sono dovute da sistemi di faglie dirette, che in genere hanno direzione appenninica (NW – SE) e sono talora interrotte da dislocazioni trasversali antiappenniniche. E‟ all‟interno di tali depressioni tettoniche che s‟instaurano dei bacini intermontani fluvio-lacustri e marini, sempre più recenti da W verso E.

I bacini più antichi sono quelli della Val di Fine – Val di Cecina e di Viareggio – Val di Magra (fine Tortoniano-Messiniano), seguiti poi verso E da quelli dell‟Era e dell‟Elsa (dal Pliocene inf.), poi da quelli della Lunigiana, Garfagnana (Valle del Serchio) e Val d‟Arno (dal Pliocene sup.) ed infine da quelli di Firenze – Pistoia, del Mugello, del Casentino, della Val di Chiana e della Val Tiberina, attivi dal Pleistocene sup.

2.3 – Modello illustrante lo sprofondamento

tettonico dei bacini tramite un‟associazione di faglie listriche normali con una strike-slip in crosta assottigliata.

Da: Bally et al., (1981) - Listric normal faults – originale.

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Vi è una stretta dipendenza tra la sedimentazione nei bacini neoautoctoni e l‟attività delle faglie distensive formanti fosse e pilastri tettonici (Giannini & Tongiorgi, 1959).

La sedimentazione in questi bacini non è legata però solo agli sprofondamenti tettonici, nei come ad esempio in quello di Castiglioncello – S. Vincenzo, ma è collegata anche alle variazioni del livello di base, da mettere in relazione alle variazioni climatiche. Ciò apparirà con netta evidenza nei depositi costieri e in quelli fluviali del Pleistocene sup., di cui parleremo in modo specifico più avanti.

2.3 – I Bacini sedimentari di Castiglioncello - S. Vincenzo e S.

Vincenzo - Portiglione

Riproponendo lo schema della cartografia generale del nuovo F° 119 Massa M.ma (fig. 2.1) si osserva che i depositi del Complesso Neoautoctono sono stati distinti per età, suddividendoli rispettivamente in depositi quaternari, depositi pliocenici e miocenici. Questa semplificazione serve per mettere in risalto le parti di due bacini di sedimentazione: il bacino di Castiglioncello – S. Vincenzo e il bacino di S. Vincenzo – Portiglione (fig. 2.4).

L‟area studiata è compresa nel bacino di Castiglioncello – S. Vincenzo, dove sono presenti prevalentemente sedimenti miocenici e pleistocenici (fig. 2.5). Tale bacino si allunga con asse NNW – SSE per 35 km mentre la sua larghezza nel tratto più ampio misura circa 13 km.

Il bacino di Castiglioncello – S. Vincenzo è caratterizzato sul bordo NE, da Castiglioncello a Bibbona, da sedimenti del Pleistocene inf. a base trasgressiva, mentre nella restante parte sono presenti depositi più recenti appartenenti ai cicli eustatici del Pleistocene medio e sup.

I più recenti sedimenti olocenici affiorano sia lungo una stretta e sottile striscia litoranea sia lungo i corsi d‟acqua principali che attraversano la piana in direzione E – O.

2.4 – Distribuzione dei principali

bacini neogenici e quaternari (in rosso) all‟interno della Toscana; in puntinato i bacini plio-pleistocenici con depositi fluvio-lacustri, in rigato i bacini mio-pliocenici con depositi continentali e marini. Nel cerchio blu è individuato il bacino di Castiglioncello – S. Vincenzo in cui si stanzia la pianura di Castagneto Carducci, nel cerchio verde il successivo bacino di S. Vincenzo – Portiglione.

Nel riquadro: 1 - principali fronti

di accavallamento. 2 - faglie principali al bordo dei bacini. 3 - linee tettoniche trasversali. 4 - faglie minori al bordo dei bacini.

Da: Bossio et al. (1992) - I bacini distensivi neogenici e quaternari della Toscana – modificato.

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Dallo schema tettonico della fig. 2.5 possiamo trarre che la maggioranza dell‟area è priva di affioramenti di depositi pliocenici trovandosi questi solo in parte del settore centro-settentrionale e in parte di quello centro-orientale. Mazzanti & Sanesi (1987) per spiegare questa lacuna di sedimentazione invocano un nuovo sollevamento tettonico di tutta l‟area, cui ha fatto seguito nel Santerniano ed Emiliano (Pleistocene inf.\medio) un nuovo sprofondamento sia per la formazione di nuove, sia per la riattivazione di vecchie faglie. In seguito verificheremo anche noi che la neotettonica abbia giocato un ruolo importante in questa porzione del bacino, andando a esaminare attraverso il TIN costruito, le quote cui risiedono alcune formazioni geologiche del Neoautoctono Toscano che potrebbero essere state interessate da tale sollevamento.

Tuttavia questa teoria non sembra però essere totalmente condivisibile, poiché nella parte più orientale della piana di Castagneto, in profondità al di sotto dei sedimenti più recenti, alcune sezioni geologiche da noi ricavate attraverso la correlazione stratigrafica di sondaggi meccanici rivela ancora la presenza delle Argille Azzurre plioceniche (FAA) e dubitativamente delle Marne a

Bithynia (ma) (vedi sezioni geologiche allegate).

Riferendosi a Costantini et al. (1993), alla più recente cartografia alla scala 1:10.000 (F° 294 e 395) e alla versione più recente della legenda istituita dal progetto CIPE del centro di geotecnologie dell‟università di Siena, secondo le direttive dell‟Ottobre 2009, vengono qui di seguito elencate le unità tettoniche, il complesso magmatico neogenico e ed i depositi più recenti (neogenici e quaternari) compresi nell‟area studiata:

- Falda Toscana

- Unità tettonica Gottero - Unità tettonica Ottone

- Complesso Magmatico Neogenico

2.5 – Carta geologica schematica del bacino di

Castiglioncello – S. Vincenzo. In rosso sono evidenziati i confini dell‟area strettamente in esame; si noti la lacuna dei sedimenti pliocenici all‟interno del bacino di sedimentazione (vedi testo).

Da: Mazzanti & Sanesi (1987) - Geologia e morfologia della bassa Val di Cecina - modificato

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- Complesso del Neoautoctono Toscano

Quest‟ultimo in uno schema di prima istanza comprende:

- Depositi lacustri e lagunari post-evaporitici messiniani - Depositi marini pliocenici

- Depositi marini e continentali del Pleistocene inf. - Depositi continentali del Pleistocene medio - Depositi marini e continentali del Pleistocene sup.

Non saranno descritte in questa tesi quelle formazioni che non sono presenti nell‟area cartografata, rimandando ad altri testi per una più ampia comprensione della geologia della bassa Val di Cecina

(Censini, et al. 1992; Costantini, et al. 1993; Bossio et al. 1992; Mazzanti & Sanesi 1987).

2.4 – Cenni sulle unità tettoniche Gottero e Ottone affioranti

nell’area

Riproponendo lo schema della legenda della C.G. allegata, andiamo ad elencare e descrivere le formazioni affioranti nell‟area studiata, partendo da quelle relative al dominio ligure, ovvero il Flysch calcareo-marnoso di Ottone (OTO) e le Argille e Calcari Palombini (APA).

Tali formazioni secondo l‟interpretazione di Costantini et al. (1993) appartengono a due unità tettoniche differenti:

- Unità di Monteverdi M.mo – Lanciaia (Flysch di Ottone, allora denominato come “Flysch

calcareo-marnoso di Monteverdi M.mo”).

- Unità ofiolitifera superiore (Argille e Calcari Palombini).

Recentemente (Progetto CARG Reg. Toscana) la formazione del Flysch calcareo-marnoso di Monteverdi M.mo è stata rinominata Flysch di Ottone (Unità Tettonica Ottone) e la formazione delle Argille e Calcari Palombini, pur avendo conservato il suo nome è stata assegnata all‟Unità Gottero.

APA – Argille e Calcari Palombini

La formazione poggia stratigraficamente sui Calcari a Calpionella con i quali mostra rapporti di eteropia nella sua parte basale; è stata da noi cartografata solo nei pressi di Poggio Caccia al Palazzo a S della Macchia di S. Martino. Si tratta di argilliti e argilliti siltose, con marne finemente fogliettate, di colore variabile dal grigio scuro al marrone; vi sono intercalati strati calcarei e calcarei-silicei (Palombini)(1) sempre a grana finissima di colore solitamente grigio o grigio scuro, spessi da pochi cm fino a 2 m.

Affioramenti in buona condizione di esposizione presso il fosso Caccia al Palazzo hanno mostrato subordinati strati di arenarie quarzose grigie, finissime; secondo Costantini et al. (1993), tali intercalazioni arenacee non sono rare essendo state descritte anche nell‟area ad E – NE di Bolgheri. Sempre Costantini et al. (1993) datano la parte basale della formazione nell‟area “Frassine – Carboli” per la presenza di Calpionella alpina, Calpionella elliptica e Calpionellopsis oblonga ad un‟età riferibile al Cretaceo inf.(2)

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Un aspetto caratteristico dei calcari Palombini consiste nella concentrazione della silice al letto ed al tetto di ogni singolo strato, di modo che si sviluppano nelle due superfici livelli più coerenti. La migrazione della silice inoltre fa si che, per effetto dell‟azione meteorica, lo strato sia maggiormente eroso nella parte centrale assumendo in tal modo la tipica forma ad incudine.

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Sono comunque numerosi gli autori che determinano l‟età della base della formazione nell‟Appennino settentrionale a seconda dell‟eteropia con il Calcare a Calpionella, dal Berriasiano al Valanginiano.

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OTO – Flysch di Ottone

Il Flysch di Ottone affiorante a margine sudorientale dell‟area di studio mostra le migliori sezioni lungo i piedi delle Colline Sagalari e poco a N dell‟abitato di Castagneto Carducci (Costa al Moro, S. Giusto), e per tutto il rilievo del M. Pergoli e del Poggio Tortelli, intorno a quote comprese tra gli 80 e i 130 m.

La formazione è costituita da sequenze torbiditiche arenacee e calcareo-marnose, anche molto potenti, in cui sono scarsamente rappresentati i litotipi a granulometria maggiore.

Nell‟area cartografata la formazione presenta caratteri uniformi, anche se spesso è ricoperta da depositi detritici recenti, per i quali è stato difficoltoso il rilevamento; in genere però esistono forti eterogeneità litologiche all‟interno della stessa formazione; a tal proposito rimandiamo al lavoro di Costantini et al. (1993), che con numerose colonne stratigrafiche e dettagliate descrizioni, descrivono molto minuziosamente la formazione.

2.7 – In Alto: Affioramento della formazione del Flysch di

Ottone, fotografato lungo la strada che da S.Giusto sale fino al paese di Castagneto Carducci.

A destra: particolare della stessa formazione fotografato più a N,

nei pressi di località Castruccio (zona del Vallone di Segalari) al contatto con detrito.

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Non è facile fornire precise indicazioni sullo spessore della formazionedel Flysch di Ottone non conoscendone la base né il tetto; in letteratura tale spessore non supera comunque i 500-600 m. Lo studio micropaleontologico della formazione (allora denominato Flysch di Monteverdi M.mo) è stato condotto sui foraminiferi (Lazzarotto & Mazzanti, 1964; Giannelli et al., 1965; Lazzarotto,

1967; Bannino & Cerrina Feroni, 1967): la microfauna più diffusa è costituita da associazioni

cronologicamente poco significative, con radiolari calcitizzati, spicole di spongiari, foraminiferi appartenenti al gruppo Hedbergella – Ticinella, Heterohelicidae, Pithonella ovalis e Pithonella

sphaerica; un più recente lavoro di Marino & Monechi, (1994) eseguito sui nannofossili calcarei

individuerebbe associazioni riferite al Campaniano – Maastrichtiano (Cretaceo sup.); in linea generale Costantini et al. (1993) assegnano al Flysch calcareo marnoso di Monteverdi M.mo un‟età compresa tra il Santoniano sup. ed il Paleocene sup.

2.5 – Cenni sulle unità del Complesso magmatico neogenico

affioranti nell’area

Il Complesso Magmatico Neogenico, messo in posto tra 5,7 e 3,7 Ma comprende:

- Intrusione granodioritica di Botro ai Marmi (non affiorante nell‟area di studio) - Filoni di porfido augitico e skarn (non affiorante nell‟area di studio)

- Vulcaniti di S. Vincenzo (affioranti nella porzione S della carta, a N di S. Vincenzo)

Le tre tipologie presenti, dovrebbero prendere origine da una stessa sorgente, costituita da un fuso anatettico di tipo quarzomonzonitico, posto a una profondità di 8-10 km (Barberi et al., 1967). Sono inoltre noti metamorfismi di contatto tra le rocce carbonatiche e l‟intrusione di Botro ai Marmi.

V – Vulcaniti di S. Vincenzo

Comprendono rocce effusive riolitiche, che si estendono su un‟area di circa 10 km2; esse costituiscono le colline a N-W dell‟abitato di S. Vincenzo; affiorando presso le zone di Poggio Le Grascette, Poggio alla Scala e Poggio all‟Aione. In varie aree della zona cartografata le vulcaniti poggiano in prevalenza sul Conglomerato di Montebamboli (m8), mentre altrove i contatti sono

pochi visibili; tuttavia Costantini et al. (1993), afferma che essi poggiano anche sulle formazioni appartenenti sia alle Unità Liguri sia alla Falda Toscana (Scaglia e Macigno), indicando così che intensi processi erosivi si erano verificati ancora prima della loro messa in posto, datata 4,3Ma. Per una più approfondita conoscenza sulla variabilità litologica delle Vulcaniti di S. Vincenzo, sulla composizione mineralogica ed analisi chimico-petrologiche e sulla geochimica degli isotopi, si rimanda a Ferrara et al. (1989), Poli et al. (1989), e Feldstein et al. (1994).

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2.6 – Cenni sulle unità del Complesso del Neoautoctono Toscano

affioranti nell’area

Sotto la denominazione di Neoautoctono Toscano sono compresi tutti i sedimenti appartenenti ai depositi miocenici, pliocenici e quaternari che si sono formati in loco, senza trasporto tettonico dallo smantellamento delle unità sottostanti.

Nelle pagine seguenti saranno descritte solo quelle formazioni che sono state incontrate nell‟area di studio, in ordine cronologico inverso per come appaiono nella legenda della C.G. allegata.

Per la loro denominazione, in questo caso sono state ignorate coscienziosamente le direttive CARG e ISCC e sono state conservate le vecchie sigle con cui venivano cartografate da Mazzanti & Sanesi (1987), da Bossio et al. (1992) e da Costantini et al. (1993), oramai entrate nell‟uso comune del lessico geologico, in cui la lettera indica l‟età geologica della formazione secondo il seguente schema:

m - Messiniano p - Pliocene

q - Quaternario (Pleistocene)

Ed il numero indica la successione cronologica.

2.6.1 – Depositi lacustri e lagunari post-evaporitici messiniani

Questo ciclo stratigrafico del Miocene sup.(3) è costituito da una facies di “lago –mare” costituita da svariate formazioni. Esso è talora discordante sul precedente Messiniano e spesso sovrapposto direttamente su formazioni pre-neoautoctone (Costantini et al., 1992).

Nella zona studiata le formazioni messiniane che ci interessano direttamente sono:

- Argille, sabbie e marne sabbiose lacustri con Bithynia (ipotizzate nella parte orientale della

piana di Castagneto Carducci a una profondità di circa 50 m vedi sez. allegate A, B, C)

- Conglomerato di Montebamboli

__________________

(3)

In realtà la definizione dell‟età dell‟inizio della sedimentazione neoautoctona nella Toscana meridionale presenta notevoli difficoltà poiché quest‟ultima è costituita alla base da depositi continentali. Bossio et al. (1993), dichiara che un‟indicazione sul limite inferiore della sedimentazione si può ricavare dallo studio biostratigrafico dell‟Arenaria di Ponsano considerata semialloctona.

2.8 – Affioramento di

Vulcaniti fotografato a N di S. Vincenzo lungo il Poggio all‟Aione.

(14)

ma – Argille, sabbie e marne sabbiose lacustri con Bithynia

Formazione ipotizzata in corrispondenza di alcuni sondaggi meccanici alla profondità di circa 50 m nella parte settentrionale della piana di Castagneto Carducci e affioranti in corrispondenza della località Le Capannelle a N-W di Sassa poco al di fuori dell‟area studiata.

La formazione comprende (Costantini et al., 1993) argille grigie massive con alla base ed al tetto sottili livelli di marne calcaree e calcari scuri; nelle argille abbondano associazioni tipicamente limniche composte da Ostracodi, oogoni di Characecae, opercoli di Bithynia; esse vengono interpretate come un deposito lacustre distale mentre le sabbie ad esse laterali rappresentano un deposito di delta.

Per questa formazione è indicata un‟età relativa al Miocene sup.

m8 – Conglomerato di Montebamboli

Questa formazione affiora nell‟area di studio nei pressi di Villa Donoratico e Cascine Serristori (versante occidentale dei M. di Campiglia M.ma), Poggio Mucchi e in affioramenti minori lungo il versante occidentale dei rilievi a N di S. Vincenzo a contatto con le soprastanti vulcaniti (Poggio all‟Aione e Poggio alla Scala)(4).

Il Conglomerato di Montebamboli è formato in prevalenza da ciottoli calcarei provenienti dalle formazioni delle unità Liguri e Subliguri, raramente contiene anche ciottoli di eurite e di porfido granitico elbano.

Lo spessore originario è mal valutabile vista l‟intensità dell‟erosione subita ma si dovrebbe assestare sull‟ordine del centinaio di metri.

L‟età della formazione è riferibile al Miocene sup.; essa si trova sotto sedimenti trasgressivi datati al Pliocene inf. e sotto le Vulcaniti di S. Vincenzo.

__________

(4)

In realtà questi affioramenti presentano caratteristiche più simili a quelle della formazione di Villa Poggio al Piano della Val di Fine che non propriamente al Conglomerato di Montebamboli, ma d‟altronde la posizione stratigrafica di queste due formazioni è esattamente la stessa e si possono differenziare solo per leggere variazioni di facies, più lagunare la prima, più fluvio-torrentizia la seconda.

2.9 – Affioramento del Conglomerato di Montebamboli, con ciottoli fortemente eterometrici, fotografato lungo la

strada che sale da Villa Donoratico al Poggio le Grascette; non lontano dal contatto con le soprastanti Vulcaniti di S.Vincenzo, dove è stata scattata la foto 2.8.

(15)

2.6.2 – Depositi marini pliocenici

Dopo la chiusura del ciclo di “lago – mare” ha inizio un nuovo ciclo, caratterizzato da una trasgressione pliocenica prettamente marina dovuta a sprofondamenti di tipo tettonico di estensione molto più ampia di quella del Messiniano medio-sup.

Le formazioni di tale ciclo che interessano l‟area in esame sono:

- Conglomerati della trasgressione pliocenica (ipotizzati interpretando le litologie dei vari sondaggi nella parte orientale della piana di Castagneto Carducci a una profondità di circa 50-60 m. vedi sez. allegate A, B)

- Argille Azzurre

pc – Conglomerati della trasgressione pliocenica

Non affioranti nell‟area di studio, essi sono stati ipotizzati nella parte orientale della piana a una profondità stimata sull‟ordine dei 50 – 60 m.

La formazione comprende conglomerati a matrice sabbiosa, talora siltoso-argillosa di ambiente marino-litorale. Nei sondaggi presentano spessori sempre modesti, di pochi metri.

L‟età della formazione è riferibile al Pliocene inf.

Con l‟avanzamento della trasgressione ha inizio una deposizione più pelagica, costituita da sedimenti più fini (vedi fig. 2.10)

FAA(5) – Argille Azzurre

Tale formazione affiora in località “La Fornace” a S di Bolgheri e lungo il Botro delle Macine nella zona della Macchia di S. Martino.

Nell‟area in questione le Argille Azzurre confinate in affioramenti molto piccoli sono formate da sottilissime lamine di limo e di sabbia molto fine.

Lo spessore della formazione che in letteratura è indicato intorno ai 300 m. non è misurabile integralmente poiché non è riconosciuta ne la base ne il tetto, ad ogni modo lo spessore affiorante si attesta intorno ai 20 m.

____________________

(5)

In realtà sarebbe “p” la sigla riportata da Costantini, et al. (1993) in accordo con quanto già scritto in 2.6; tuttavia per questa formazione viene utilizzata la sigla FAA, tratta dal progetto CIPE della Reg. Toscana.

2.10 – Schema paleogeografico della Toscana a Sud dell‟Arno nel

Pliocene medio: in rigato obliquo le aree sommerse, in rigato verticale le aree emerse nel momento di massima estensione del mare, in puntinato affioramenti attuali noti del Pliocene. In evidenza nel riquadro rosso l‟area della piana di Castagneto Carducci, sommersa durante tale periodo. Come già accennato in 2.3, Mazzanti & Sanesi (1987) ipotizzano una lacuna nel rinvenimento di sedimenti pliocenici probabilmente in seguito ad un sollevamento tettonico.

Da: Ambrosetti et al. (1978) - Evoluzione Paleogeografica e tettonica dei bacini Tosco-Umbro-Laziali nel Pliocene e nel Pleistocene inferiore - modificato

(16)

La presenza di questa formazione è segnalata anche nel sottosuolo nordorientale della piana, sulla base della litostratigrafia di alcuni sondaggi in località “Sughereccio” e “Le Contessine”.

L‟età della formazione è compresa in un intervallo tra il Pliocene inf. ed il Pliocene medio.

2.6.3 Depositi marini del Pleistocene inferiore

Dopo un ciclo trasgressivo marino del Santerniano – Emiliano, non rappresentato nella C.G. da nessuna formazione affiorante, prende atto un nuovo ciclo di trasgressione marina che è caratterizzato da una sola formazione:

q5 – Calcareniti sabbiose, sabbie e conglomerati di Bibbona

La formazione affiora tra il Fosso delle Tane a Bibbona, e il Botro delle Macine, nella zona a S-W di Bolgheri (lungo il Botro delle Fornaci, il fosso della Fonte, suo affluente, e lungo il fosso Carestia Vecchia), in zona “La Sassicaia” e Podere Contessa Nella o più a S, lungo il Botro delle Macine.

Le Calcareniti di Bibbona, che altrove giacciono sui Calcari sabbiosi di Montescudaio (formazione q3 non menzionata), nella zona di studio sormontano direttamente le FAA.

La formazione comprende un insieme assai variabile di calcareniti sabbiose diversamente cementate, di sabbie a varia granulometria, di minuti conglomerati a matrice sabbiosa o calcareo-detritica ad andamento lenticolare spesso a loro volta suddivise in lamine piano parallele o sigmoidali incrociate, specialmente nelle frazioni sabbiose. I conglomerati, ben classati, sono invece formati da ciottoli provenienti dalle Unità Liguri e Subliguri, hanno dimensioni assai variabili da medio a piccole.

L‟ambiente di deposizione è quello di spiaggia sommersa, come dimostra il ritrovamento Pectinidi e

Glycymeris spesso molto usurati; d‟altro canto però alcuni strati documentano un ambiente di

spiaggia emersa fino a quello di preduna, restituendo una “Pebbe Culture” tramite choppers uni e bifacciali con scarsa industria su scheggia (per la maggior parte strumenti denticolati) (Galiberti,

1974 e 1982). Quest‟ultima riveste però nell‟ambito della datazione, solo un significato generico nel

dominio del Pleistocene inf. o medio; pur tuttavia Bossio et al. (1992), affermano la correlazione di

q5 con il tetto della formazione delle Sabbie delle Fabbriche datate al Siciliano inf.

2.11 – Panoramica del

lago artificiale, lungo il Botro delle Macine, ai confini con i vigneti dell‟Ornellaia; in questa zona sono stati rinvenuti sedimenti argillosi di colore grigiastro–azzurro,

riconducibili alla

formazione delle Argille Azzurre. Tuttavia la forte presenza di detrito e vegetazione non ha permesso la fotografia di affioramenti chiari.

(17)

2.6.4 Depositi continentali del Pleistocene medio

A un ambiente di deposizione chiaramente marino, ne succede uno di ambiente continentale. Le formazioni appartenenti a tale ciclo che interessano l‟area in esame sono:

- Conglomerati di Bolgheri - Sabbie di Val di Gori

q6 – Conglomerato di Bolgheri

(6)

La formazione arealmente molto estesa (da Cecina fino al fosso di Bolgheri), nell‟area di studio affiora all‟estremità nordorientale della piana di Castagneto.

Essa giace sulla formazione delle Calcareniti, sabbie e conglomerati di Bibbona (q5) e sulle Argille

Azzurre (FAA) oppure direttamente sulle Unità Liguri, in particolare le Argille e Calcari Palombini.

____________________

(6)

Costantini, et al., (1993) suddividono in membri la formazione: q6‟ – Conglomerati di Podere S.Luigi, q6‟t – Travertino

di Podere S.Luigi, q6‟‟ – Sabbie, Ciottoli e piccole Lenti di Calcareniti di Podere Pescinoni. Per semplificare il lavoro e non

andare incontro a dubbiose attribuzioni si è preferito non procedere in ulteriori suddivisioni.

2.12 – Sopra: particolare di un affioramento di q5 che costeggia la

via Bolgherese nei pressi di località Cerrone.

A destra: affioramento di q5 lungo le sponde del Botro delle Macine

nei pressi di località “Le Mandrie” (incisione torrentizia).

2.13 – Particolare di una

superficie fresca della formazione Calcareniti sabbiose, sabbie e conglomerati di Bibbona (q5): si notino i piccoli ciottoletti di ghiaia, spesso arrotondati, cementati tra di loro. Non sono rari anche i rinvenimenti fossiliferi. In scala il manico del martello.

(18)

La formazione è caratterizzata da conglomerati a ciottoli fortemente eterometrici, spesso assai grossolani, provenienti dal rimaneggiamento delle Unità Liguri, cui si aggiungono talora elementi di calcedonio per i quali è problematica l‟interpretazione della provenienza(7).

Questa formazione, in matrice sabbiosa e argillosa in quantità molto varia, contiene anche lenti di argille siltose grigio perla, dello spessore fino a circa 2 m ed estensione laterale da metriche ad ettometriche del tutto prive di ciottoli. La stratificazione è in genere piuttosto disordinata, talora inclinata.

La potenza originaria è difficilmente valutabile poiché si è deposta su di un substrato ad incisioni vallive, ma ad ogni modo la potenza massima non dovrebbe superare i 20 m.

Le caratteristiche sedimentologiche sono quelle di un delta fluviale: mentre la parte superiore della formazione ha origini continentali, quella inferiore si è invece deposta con ogni probabilità in ambiente marino (Costantini, et al., 1993), per la presenza di ciottoli calcarei forati da litofagi che ne documentano l‟ambiente ma non ovviamente la batimetria. Gli affioramenti presenti nell‟area di studio non presentano tuttavia tali caratteristiche, lasciando quindi supporre di essere nella parte superiore della formazione.

Presenta anche sporadici segni di pedogenizzazione che, unitamente a processi di modellamento, hanno caratterizzato le parti alte della formazione, da cui si deduce che verosimilmente siano sempre state semi-emerse o in emersione, in un clima caldo-umido, per un periodo sufficientemente lungo da produrre paleosuoli(8).

Per la precisazione cronologica di questa formazione, nessun Autore in letteratura si sbilancia oltre un generico “Pleistocene medio”, vista l‟assenza di fossili utili alla datazione.

q7 – Sabbie di Val di Gori

Le sabbie rosse di Val di Gori affiorano in direzione N-S lungo quasi tutto il margine orientale della piana; sono state cartografate in prossimità delle zone pedecollinari tra le quote 55-70 m circa. La formazione è costituita in prevalenza da sabbie di colore rosso vivo, con notevole scheletro argilloso e assetto massivo, talora con ciottoli sparsi, risultate sterili dal punto di vista fossilifero ma che hanno rivelato la presenza di industrie del Paleolitico inf.(Clactoniano e Acheuleano, Cresti

____________________

(7)

Secondo Mazzanti & Sanesi (1987), potrebbero derivare dallo smantellamento dei filoni presenti in Val di Sterza, oppure dallo smantellamento di formazioni conglomeratiche più antiche, caratterizzate superficialmente da una notevole evoluzione paleopedologica.

(8)

Secondo Costantini, et al. (1993), essi sono riferibili ad Ultisuoli.

2.14 – Particolare di un affioramento di

conglomerato di Bolgheri comprendente elementi grossolani ed eterometrici, di chiara origine fluviale, fotografati lungo la via Bolgherese nei pressi dei Poderi Sassicaia.

(19)

& Galiberti, 1979) a E di S. Vincenzo e nella zona fuori carta tra Vada e Rosignano M.mo; l‟età è

quindi quella del Pleistocene medio, alla luce anche della sua posizione stratigrafica tra i conglomerati di Bolgheri (q6) alla base e le successive Sabbie di Donoratico (q9) al tetto.

L‟ambiente di sedimentazione delle sabbie di Val di Gori è di sicura origine continentale (9)

, dove si sono deposti sedimenti in larga parte probabilmente colluviali e di esondazione fluviale, con plaghe a concentrazione di sabbie più grossolane e “sciacquate”, agglutinate in calcareniti (secondo Costantini et al. (1993), riferibili ad un sottoinsieme di q7 denominato q7p). Altre plaghe, invece si

sono unite a depositi detritici pur sempre minuti, ma di dimensioni nettamente maggiori, andando così a formare lenti alluvionali di conglomerati (denominati q7c sempre secondo Costantini et al.

1993)(10).

Gran parte delle Sabbie di Val di Gori è interessata da un‟intensa pedogenesi con suoli che gli Autori vari riferiscono ad Alfisuoli Palexeralfs i quali richiedono un‟evoluzione in un clima caldo-umido. La deposizione del sedimento sarebbe stata in realtà anteriore vista la posizione stratigrafica (Pleistocene medio) ma l‟evoluzione della maggior parte della paleopedogenesi sarebbe avvenuta durante il Tirreniano, con l‟inizio del quale attualmente si fa coincidere l‟inizio del Pleistocene sup. e la deposizione delle successive sabbie di Donoratico (q9).

_______________

(9)

Vari Autori tra cui Costantini et al. (1993) e Mazzanti & Sanesi (1987), attribuiscono la maggior parte delle sabbie di Val di Gori ad una genesi eolica vista anche la dimensione fine dei granuli; tale genesi è sicuramente probabile all‟interno di tale deposito, ma è a nostro avviso poco probabile che sia la principale, vista la quota della linea di riva della zona nelle ricostruzioni del Pleistocene medio, è probabile che la maggior parte di tali sabbie abbia invece origine fluviale.

(10)

Gli autori riportano anche: <<…allo sbocco della Piana di Palmentello della Valle del Pozzaletto e…presso Lumiere, della Valle di Campiglia M.ma, queste sabbie si trovano alternate a lastre di travertino (q7t) originatesi verosimilmente in

corrispondenza di cascate di acque ricche di carbonati provenienti dal rilievo calcareo di Campiglia M.ma.

2.15 – A sinistra: Affioramento delle Sabbie rosse di

Val di Gori (q7), fotografato nei pressi dello svincolo

della Via Aurelia, all‟uscita per il paese di S. Vincenzo, subito sotto il poggio S. Vincenzo; l‟acqua meteorica ha dilavato le coperture mettendo in evidenza la formazione.

In alto: particolare della stessa formazione, le

screziature nere sono tracce lasciate da frustoli carboniosi.

(20)

2.17 – Particolare di un

affioramento di Sabbie di Val di Gori fotografato poco a N di S. Vincenzo, nei pressi dello svincolo della Via Aurelia, all‟uscita per il paese. Si tratta di un piccolo straterello eroso di materiale calcarenitico (q7p).

Tali elementi sono stati osservati spesso negli affioramenti di sabbie molto rosse, attribuite da noi alle Sabbie di Val di Gori, nelle porzioni più ad E della C.G.

2.16 – Affioramento delle Sabbie rosse di Val di Gori (q7) fotografato nei pressi del Podere

(21)

2.6.5 Depositi marini e continentali del Pleistocene superiore

L‟ultimo ciclo è costituito dall‟alternarsi di calcareniti di ambiente marino poco profondo, di spiaggia e di duna costiera con sabbie di origine continentale del tutto simili alle precedenti, è un ciclo legato principalmente a variazioni eustatiche e a una forte subsidenza.

Le formazioni appartenenti a tale ciclo sono:

- Calcareniti di Biserno - Sabbie di Donoratico

- Ghiaie e Sabbie di Quadrelle

q8 – Calcareniti di Biserno

Questa formazione affiora in una ristretta fascia della piana in direzione longitudinale, in prossimità della linea di riva alle spalle delle dune attuali o “archeologiche”, spesso semisepolta dalle stesse dune o dalle alluvioni oloceniche e i depositi palustri di retroduna.

Le Calcareniti di Biserno si ritrovano anche nel sottosuolo della piana, come documentano le stratigrafie dei pozzi idrici (vedi sezioni geologiche allegate).

Dalle sezioni geologiche si osserva che la formazione si approfondisce sempre più verso E, sotto la piana di Castagneto e si ritiene che gli affioramenti di queste calcareniti lungo i litorali attuali siano dovuti semplicemente al dilavamento delle sabbie soprastanti(11) e che in epoche più o meno recenti ne fossero ricoperti.

La formazione è costituita da calcareniti più o meno sabbiose e sabbie cementate con sporadici ciottoli, spesso forati da litofagi.

La maggior parte degli Autori (Mazzanti & Sanesi, 1987; Mazzanti, 1980; Cortemiglia, 1983;

Censini, et al., 1992; Costantini, et al., 1993) fanno riferimento per descrivere tale formazione agli

affioramenti tipo della Baia di Baratti dove sono descritti tre livelli di questa “Panchina” separati attraverso superfici di unconformity da sabbie rosso-arancio (q9); gli Autori riconoscono

nell‟alternarsi dei livelli tre fasi trasgressive intratirreniane (Würm I, II, III)(12)

dove viene deposta la calcarenite e tre fasi continentali, dove vengono deposte le Sabbie di Donoratico, distribuite su di un terrazzo policiclico che raggiunse nelle facies marine quote di non oltre 15 m. Livelli diversi di calcareniti alternati a sabbie rossastre o nocciola sono presenti spesso anche nei log dei pozzi da noi esaminati lungo la piana di Donoratico.

Mazzanti & Sanesi (1987) interpretano queste alternanze di sabbie al di sopra dei livelli calcarenitici come passaggi laterali di facies tra due depositi di ambiente diverso.

Recenti lavori inoltre (Mauz, 1999) hanno suddiviso le alternanze di sabbia continentale e calcareniti marine presenti nella Baia Baratti nei rispettivi MIS (vedi 4.3) (Marine Isotope Stage) sulla base di racemizzazioni di aminoacidi e da studi sulla termoluminescenza degli orizzonti di panchina (il più basso deposito marino è appartenente al MIS 5c\a, il secondo a MIS 3 ed il terzo a

MIS 2\1, l‟ordine dei MIS è decrescente dal più vecchio al più giovane e rispettivamente

corrispondono ad 43±25 ka, 19±2 ka e 15±1 e 7±1 ka).

_______________

(11)

Questo in contrapposizione ad alcuni Autori più vecchi che attribuiscono la genesi di tali calcareniti ad un‟azione cementante delle vicine acque marine.

(12)

In realtà secondo Costantini et al. (1993), le Calcareniti di Biserno appartengono specificatamente alla terza fase, rinominando le calcareniti delle prime due fasi rispettivamente come: formazionedi Castiglioncello e formazionedi Baratti II; tuttavia come vedremo più avanti esistono in letteratura opinioni contrastanti riguardo a ciò e più in generale riguardo l‟interpretazione dei cicli intratirreniani Wurm I II e III e della sezione affiorante alla Baia di Baratti. Dato che nel rilevamento in campagna è impossibile distinguere i livelli di calcarenite con sicurezza, abbiamo preferito unire il tutto in un‟unica formazione denominata con il nome dell‟ultimo livello (formazione di Biserno) come del resto avevano precedentemente fatto alcuni autori.

(22)

q9 – Sabbie di Donoratico

E‟ la formazione più estesa all‟interno della piana di Castagneto Carducci come si può osservare nella zona centrale, nel distretto dell‟abitato di Donoratico e più a S fino a S. Vincenzo; nella zona settentrionale soggiace spesso ai depositi alluvionali olocenici e a quelli palustri, anche se spesso affiora in svariate “isole” dove trovano posto gli antichi poderi poiché si trovavano in posizione privilegiata rispetto alle circostanti aree leggermente più basse che erano a maggior rischio di esondazione. Attualmente, in seguito probabilmente alle opere di bonifica e modellazione del suolo per fini agricoli, tali differenze di quote sono meno evidenti (come si evince dal TIN delle quote topografiche che è stato costruito, allegato C.3).

Affioramenti caratteristici delle Sabbie di Donoratico si osservano nei pressi de “I Greppi”, “I Greppi Cupi”, “Le Fornacelle”, ad E di Donoratico e quelli più a S presso i Poderi Ricciardi e Averardo, Casa Rossa ed i Poderi Confalonieri e Serristori.

La formazione comprende sabbie massive, prive di strutture interne e di fossili, di ambiente continentale come le precedenti sabbie di Val di Gori (q7) probabilmente con un maggior apporto di

tipo eolico oltre a quello colluviale e di esondazione fluviale, con quantità variabili di ciottoli o di materiali detritici brecciformi. Lo spessore è variabilissimo, nell‟ordine delle decine di metri; queste variabilità sono dovute principalmente al fatto che gli accumuli nelle diverse aree della piana poggiano su di un substrato morfologicamente disomogeneo, caratterizzato da diverse incisioni diversamente potente.

Come le Sabbie di Val di Gori, dalle quali è difficile fare una distinzione netta e sicura su base delle sole osservazioni in campagna, anche le Sabbie di Donoratico sono caratterizzate da un‟intensa alterazione e da processi di pedogenesi che hanno dato luogo ad inceptisuoli; inoltre il fortissimo uso del suolo da parte dell‟uomo che ha prodotto profonde modificazioni del paesaggio ha reso il loro riconoscimento molto difficoltoso.

2.18 – Colonna stratigrafica semplificata visibile sulla falesia al fondo della Baia

Baratti; in evidenza le 3 presunte fasi trasgressive intratirreniane Würm I II e III, alternate alle sabbie di Donoratico. Viene riportato anche il corrispettivo MIS calcolato negli anni da vari autori; la spiegazione è nel testo.

Da: Cortemiglia G.C. et. al (1983) - Geomorfologia della Baia Baratti (Livorno) e della sua spiaggia - modificato

(23)

L‟età delle Sabbie di Donoratico, in assenza di reperti paleontologici specifici si può dedurre dalla sua giacitura (è più recente delle Calcareniti di Biserno del Pleistocene medio – sup.) e dalla presenza di industrie del Paleolitico medio, attualmente considerate corrispondenti all‟arco cronologico del Tirreniano ed in gran parte anche alla glaciazione del Würm, almeno fino a circa 40 Ka anni or sono; sul limite cronologico superiore invece Costantini et al. (1993), riportano: <<…In alcuni casi questo limite risulta netto in quanto corrispondente ad una fase erosiva molto importante…In altri casi abbiamo indicazioni di erosioni e di accumuli molto più modesti, come per es. ai laghetti dei Greppi Cupi di Donoratico, con una porzione di sabbie evidentemente più tardiva, documentata nel caso di industrie dell‟Epigravettiano sup., in corrispondenza dei quali la precisazione esatta della distinzione cartografica richiederebbe un lavoro di estremo dettaglio

2.19 – Panoramica del Podere Villa Magna a N di S. Vincenzo, dove affiorano le Sabbie di Donoratico.

2.20 – A sinistra: panoramica del laghetto artificiale presso i Greppi Cupi, nel cuore della pianura di Castagneto

Carducci; un tempo tale zona era sede di una cava di sabbia.

A destra: affioramento messo a nudo a seguito di un piccolo crollo lungo il Botro Fichi, a N di S. Vincenzo; si noti il

(24)

probabilmente neanche possibile per le uniformizzazioni operate dalle lavorazioni agricole e dai ricoprimenti edilizi…>>.

q10 – Ghiaie e sabbie di Quadrelle

La formazione affiora all‟estremità settentrionale della piana di Castagneto a N, tra “Campo al Noce” e nella zona de “Le Sondraie” ad W.

Essa presenta più corpi molto piatti riferibili a coni alluvionali anastomizzati, formati da ghiaie a scarso grado di arrotondamento e sabbie limoso-argillose deposti allo sbocco in pianura di più paleotorrenti.

I clasti erano forniti con tutta probabilità dai Conglomerati di Bolgheri (q6) (smantellato e

ridepositato più a S); La parte N della pianura è infatti ricca di paleoalvei, come indicato nella nuova C.G. allegata.

La posizione stratigrafica della formazione delle Ghiaie e Sabbie di Quadrelle, sovrastante le sabbie di Donoratico (q9), in mancanza di reperti fossili o d‟industrie paleolitiche, porta ad assegnarle

un‟età più recente del Pleistocene medio – sup.

2.7 – I depositi olocenici

Depositi postneogenici sono ampiamente rappresentati all‟interno della piana di Castagneto Carducci, essi sono stati suddivisi sulla base dei processi morfogenetici che li hanno generati (acque correnti superficiali, acque ristagnanti, gravità, vento) e successivamente i vari depositi sono stati distinti su base granulometrica.

Il rilevamento di campagna di questo tipo di coperture non è stato agevole, soprattutto per quanto riguarda i depositi di origine fluviale, poiché spesso il grado di antropizzazione delle zone e l‟uso

2.21 – Panoramica della zona del Galoppatoio, dove affiorano ghiaie rudiche attribuita da tutti gli autori alla

formazione delle Ghiaie e Sabbie di Quadrelle (q10), la quale chiude l‟ultimo ciclo del Complesso del Neoautoctono

Toscano.

(25)

del suolo rendeva praticamente impossibile qualsiasi distinzione; siamo comunque riusciti a ricostruire egregiamente tali contatti anche grazie all‟uso delle foto aeree, alla consultazione di alcune fonti storiche riguardanti quelle zone che nella piana erano state colpite dalle esondazioni, o quelle zone bonificate, un tempo ricoperte da paludi, e grazie anche al confronto con precedenti cartografie geologiche.

Tutte le sigle cartografiche riferite a questi depositi recenti e meno recenti, e tutte le loro raffigurazioni simboliche, provengono dalla legenda del progetto CARG, geologia delle Reg. Toscana (Ottobre 2009), già utilizzata per altre formazioni come in precedenza detto.

Secondo tali direttive la prima lettera indica il tipo del deposito, mentre lettere e numero successivo indicano la sua natura e la sua granulometria secondo il seguente schema:

a - per i depositi quaternari detritici

b - per i depositi alluvionali (bn per quello antichi) c - per i depositi glaciali (non presenti)

d - per i depositi eolici

e - per i depositi palustri\lacustri g - per i depositi di spiaggia

h - per i depositi antropici (non riportati nella C.G.)

La lettera a pedice della sigla si riferisce invece all‟età del deposito, per cui ad esempio depositi di natura continentale di tipo alluvionale (b) sono identificati con l‟aggiunta di una lettera a pedice in ordine crescente, dal deposito più recente al più antico:

bna - per i depositi alluvionali del Pleistocene sup. – Olocene

bnb - per i depositi alluvionali del Pleistocene medio

bnc - per i depositi alluvionali del Pleistocene inf.(13)

Nelle prossime pagine saranno descritti i depositi olocenici riconosciuti all‟interno dell‟area di studio, i quali sono stati classificati e riportati nella legenda della C.G. secondo il seguente criterio:

- Depositi alluvionali attuali e recenti

- Depositi palustri attuali e di recente bonifica - Depositi costieri

- Depositi dovuti a processi gravitativi attuali e recenti

2.7.1 – Depositi alluvionali attuali e recenti

Depositi alluvionali dovuti a processi delle acque superficiali, sono stati (come appare evidente nella legenda della C.G. allegata) distinti al loro interno in base all‟età in:

b – Depositi alluvionali attuali

Tali depositi sono stati poi a loro volta suddivisi in base alla granulometria (come in precedenza accennato) in:

bc – Ghiaie e sabbie

bd – Sabbie prevalenti

be – Sabbie fini e limi

Essi sono rappresentati all‟interno della C.G. in colore arancione su sfondo bianco e sono stati

___________________

(13)

nel caso di depositi alluvionali per i quali sia possibile distinguere ordini di terrazzi si può aggiungere un numero dopo

la sigla bn, prima della lettera a pedice in ordine crescente dal terrazzo più recente al più antico, ad es. bn1a deposito

(26)

limitati agli attuali corsi d‟acqua, ricoprono infatti sottili strisce riferibili esclusivamente agli alvei torrentizi ed in taluni casi vengono estesi poco al di fuori di essi.

bn – Depositi alluvionali recenti e antichi

Tali depositi sono stati poi a loro volta suddivisi in base alla granulometria in:

bnac – Ghiaie e sabbie

bnad – Sabbie prevalenti

bnae – Sabbie fini e limi

Essi rappresentano i depositi olocenici di maggior estensione all‟interno dell‟era di studio.

Anche se non tutti gli episodi alluvionali sono riconducibili ad un arco temporale definito, è verosimile che quelli più antichi risalgano per gran parte al sovralluvionamento vallivo corrispondente all‟innalzamento del livello eustatico post-tirreniano (Mazzanti & Sanesi, 1987). I depositi alluvionali più antichi (bn) sono molto diffusi nella piana di Castagneto; essi giacciono ora sulle Ghiaie e Sabbie di Quadrelle (zona a N dell‟area di studio), ora in grande prevalenza sulle Sabbie di Donoratico (zona centrale della piana).

Sono stati riconosciuti corpi alluvionali di una certa importanza nelle zone di S. Guido, Le Macchiaiole, Ferrugini, Podere Pietrafitta e Podere S. Uberto.

Il corpo alluvionale di maggior estensione è però quello centrale, della Fossadi Bolgheri e del suo affluente il Botro delle Macine, per il quale si possono ipotizzare gli spessori maggiori, dell‟ordine dei 10-15 m., visti anche i dati litologici provenienti dalle perforazioni. Più piccolo invece il deposito alluvionale a S del Fosso della Carestia come del resto si evince anche dalla C.G. allegata. Resta comunque veramente difficile individuare con certezza i contatti tra le più recenti formazioni neoautoctone (q9, q10) e i successivi depositi alluvionali olocenici, sia arealmente, sulla base delle

osservazioni in campagna, sia per quanto riguarda i dati di profondità; queste difficoltà potrebbero essere imputate al fatto che in passato devono essere stati comuni episodi di asportazione e rideposizione delle sabbie q9 e q7 e delle ghiaie provenienti dalle formazioni q10 e q6 (già le stesse

ghiaie q10 della formazione Ghiaie e Sabbie di Quadrelle provengono in larga parte dai depositi

collinari del Conglomerato di Bolgheri q6 in parte smantellato e rimaneggiato).

Sempre relativamente ai depositi alluvionali recenti ed antichi, sono stati segnalati nella C.G. allegata alcune conoidi alluvionali, costruite dai torrenti al loro sbocco nell‟area di piana.

Si segnalano in particolar modo quelle lungo il Fosso Acquabona, lungo il Fosso ai Molini ed il suo affluente il Botro Cucitoli ed infine lungo il Fosso della Carestia. Tali conoidi sono state parzialmente riprese dalla cartografia precedente dopo le osservazioni fatte in stereoscopia, tuttavia vi è una notevole difficoltà nel riconoscere questi elementi visto il grado di antropizzazione e il rimodellamento del territorio che ha portato alla parziale cancellazione delle forme originarie. Sono state riconosciute sempre tramite lo studio in stereoscopia numerose tracce di paleoalvei in larga parte confermate anche dal confronto sia con la C.G. della Reg. Toscana che con la carta geomorfologia del piano strutturale del comune (2006); sono stati quindi riportati in tratteggiato blu parte dei loro percorsi e le loro direzione di scorrimento.

Essi si concentrano in larga parte nelle zone morfologicamente più basse, dove il loro percorso è stato rettificato e in parte cancellato dalla bonifica delle aree e dall‟uso del suolo, tuttavia possono essere riconosciute sul territorio queste particolari lineazioni che evidenziano vecchi meandri morti, molto spesso affiancati da filari di alberi, come ad esempio nella zona delle Mandrie e dei “Prati del Casone” poco a N di M.na

di Castagneto dove il percorso del fosso di Bolgheri è stato, in queste zone prossime alla foce, rettificato, oppure come nelle zone del Padule e di Campo al Noce, dove si

(27)

riconoscono in modo evidente le antiche tracce dei due fossi, il Carestia Vecchia e la fossa Camilla i cui percorsi sono stati deviati all‟altezza dei galoppatoi fino al confine comunale.

2.7.2 – Depositi palustri attuali e di recente bonifica

ea – Depositi Palustri attuali o di recente bonifica

Nelle aree morfologiche più basse della piana, sono stati individuati depositi palustri di retroduna, in gran parte bonificate per colmata. I depositi arealmente più grandi e di maggior spessore sono sicuramente quelli nell‟area dell‟Oasi di Bolgheri (zona de “Il Padule” e zona “Cioccaie”), dove per altro scarseggiano i dati stratigrafici provenienti dalle perforazioni; questi depositi proseguono poi verso S fino all‟area oggi bonificata di M.na

di Castagneto. Si ritrovano anche nelle località: Le Preselle, a S di M.na, ai Prati del Casone, a N di M.na di Castagneto e nelle zone più costiere de “Il Pescinone” e presso il Podere la Bassa, dove ricoprono le calcareniti di Biserno (q8); raramente

questi depositi si estendono nelle zone interne delle piana, se non nelle zone di Campo al Cerro e presso il Podere Contessa Emma Olimpia.

2.23 – Zona di passaggio tra le argille palustri scure (ea) ed una vecchia duna costiera (da), sepolta ormai dalla

vegetazione. Foto scattata a S di M.na di Castagneto nelle vicinanze del campeggio Belmare.

2.22 – Zona acquitrinosa nei

pressi de “Il Tombolo” poco a S di M.na Di Castagneto; tali zone sono oggi bonificate ed utilizzate per coltivazioni agricole, tuttavia permangono ancora ristagni d‟acqua.

(28)

Anche per la cartografia dei depositi ea sono state d‟aiuto le foto aeree.

Indicazioni sull‟andamento di antichi paludi sono contenute nella cartografia pregeodetica, conservata nell‟Archivio di Stato di Firenze ed in quello di Siena, nella Sala Consiliare del Comune di Bibbona e presso i Conti della Gherardesca. Tutte queste carte, non più antiche della seconda metà del XVIII sec., mostrano, talora con ricchezza di particolari, l‟estensioni delle paludi prima degli interventi che ne ridussero le dimensioni o che li prosciugarono quasi del tutto nella prima metà del XIX sec. (Cherubini, et al. 1987).

2.7.3 – Depositi dovuti a processi gravitativi attuali o recenti

aa – Coperture detritiche indifferenziate

Indicate nella C.G. allegata con un puntinato rosso su sfondo azzurro indicano accumuli di detrito riconducibili ad un processo genetico di tipo gravitativo.

Essi si concentrano nelle aree pedecollinari ai piedi degli affioramenti lungo i Monti della Gherardesca, in particolar modo ai piedi degli affioramenti di Argille e Calcari Palombini (APA) e del Flysch di Ottone (OTO).

a1

(14)

– Frane con stato di attività e tipo di movimento indeterminato

Sotto questa dicitura sono stati cartografati gli accumuli di frana, indifferenziate sia come movimento sia come stato di attività. Sono state cartografate nelle aree marginali, ai piedi dei rilievi collinari, grazie all‟utilizzo delle foto aeree.

2.7.4 – Depositi Costieri

Vengono qui raggruppati sia i depositi di spiaggia attuali sia i depositi costieri dovuti a processi eolici.

g2a – Depositi di spiaggia

___________________

(14)

Nella simbologia cartografica delle frane, il tipo di movimento è dato dalla forma del retino, nel nostro caso quella a

lobi riportata nella C.G. allegata viene utilizzata per non specificare il tipo di movimento franoso, il numero in pedice dopo la prima lettera indica il tipo di deposito gravitativo (frana) mentre lo stato di attività viene evidenziato con il colore (nel nostro caso nero poiché indeterminato).

2.24 Una vigna fotografata poco a N del Botro Dei Molini in località “il Capannone”, impiantata nel detrito (aa).

Nella foto sono visibili numerosi clasti provenienti

dalla sottostante

formazione delle Argille e Calcari Palombini (APA).

Figura

Tabella riassuntiva dei principali dati di base.
Tabella riassuntiva della cartografia di base utilizzata.

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