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La revisione dei Principi contabili nazionali: i Principi OIC 13, 16 e 18.

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(1)

U

NIVERSITÀ

C

A

F

OSCARI DI

V

ENEZIA

Facoltà di Economia

Laurea Magistrale in Economia

Corso di Laurea in Amministrazione, Finanza e Controllo

Tesi di Laurea

LA REVISIONE DEI PRINCIPI CONTABILI

NAZIONALI: I PRINCIPI OIC 13, 16 E 18

Relatore: Ch.mo Prof. UGO SOSTERO

Laureando: ALBERTO FURLAN

Matricola: 825646

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INDICE

1 I principi Contabili Nazionali. . .

1

1.1 Cenni storici sull’evoluzione normativa Italiana. . . 1

1.2 La nascita dell’Organismo Italiano di Contabilità. . . 2

1.3 I principi Contabili Nazionali attuali e la loro revisione. . . 3

2 La revisione dell’OIC 16 “immobilizzazioni materiali”.

7 2.1 Le immobilizzazioni materiali, una definizione. . . 7

2.2 La revisione del OIC 16 . . . 9

2.3 Riclassificazione delle immobilizzazioni immateriali . . . 10

2.4 Terreni e Fabbricati. . . 11

2.5 Impianti e macchinari. . . 14

2.6 Attrezzature industriali e commerciali . . . 16

2.7 Immobilizzazioni destinate alla vendita. . . 17

2.8 Perdite durevoli di valore . . . 21

2.9 Ammortamento . . . 35

2.10 Capitalizzazione degli oneri finanziari. . . 41

2.11 I contributi in conto capitale. . . 53

3 La revisione dell’OIC 13 “le rimanenze di magazzino”.

57 3.1 Le rimanenze di magazzino, una definizione . . . 57

3.2 La revisione dell’OIC 13 . . . 58

(4)

3.4 Oneri finanziari e rimanenze. . . 77

3.5 Contributi in conto esercizio . . . 86

3.6 Metodo del prezzo del dettaglio . . . 89

4 La revisione dell’OIC 18 “ratei e risconti” . . .

97

4.1 Ratei e risconti, una definizione. . . 97

4.2 La revisione dell’OIC 18 . . . 98

4.3 Definizione e rilevazione dei ratei e risconti . . . 99

4.4 Classificazione dei ratei e risconti. . . 105

4.5 Rilevazioni successive e recuperabilità del valore . . . 107

4.6 Altre tipologie di ratei e risconti. . . 111

BIBLIOGRAFIA. . .

113  

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1. I principi contabili nazionali.

1.1 Cenni storici sull’evoluzione normativa italiana.

Per principi contabili s’intende l’insieme delle regole da seguirsi nella corretta contabilizzazione finalizzata alla predisposizione dei bilanci delle imprese. Per quanto riguarda lo scenario italiano per arrivare ad una completa regolamentazione normativa delle materia del bilancio, che considerasse anche la rilevanza fiscale, bisogna attendere il 1942, con la promulgazione del codice civile tutt’ora in vigore, ovviamente aggiornato. Un passo importante nell’evoluzione delle norme contabili italiane si ebbe nel 1974, con la costituzione della CONSOB, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa. Tale istituto tra i suoi scopi aveva quello di richiedere alle società quotate la redazione di bilanci di esercizio che rispondessero a norme create ad hoc e volte a ricercare la migliore qualità possibile delle forme di comunicazione societaria. L’importanza della CONSOB nel processo di evoluzione dei principi contabili nazionali è dunque da ricercare nel suo compito istituzionale, ovvero quello di garantire il regolare funzionamento del mercato dei capitali e della attività degli intermediari finanziari. Tra i poteri dell’ente spicca sicuramente quello dell’emanazione di Circolari, Delibere e Comunicazioni. Nel 1982 la CONSOB emanò la delibera 1079, che consigliava l’adozione di Corretti Principi Contabili, di fatto riconoscendo indirettamente il lavoro di un altro istituto nato un anno dopo: la Commissione per la Statuizione dei Principi Contabili (CSPC). Nata nel 1975, la CSPC si proponeva come risposta all’esigenza di uno sviluppo e aggiornamento della normativa contabile. Inizialmente tale commissione era formata esclusivamente da membri del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti CNDC ed era orientata a fornire l’interpretazione ed il punto di vista professionale sui principali temi legati alla redazione del Bilancio di esercizio. In seguito entrarono a far parte della CSPC anche membri del Consiglio Nazionale dei Ragionieri

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CNR fino a raggiungere un peso pari a quello del CNDC. Nel corso degli anni la CSPC ha emanato 30 documenti, sui diversi argomenti riguardanti il bilancio e sulla cui valenza giuridica si sono pronunciate negli anni varie sentenze che li hanno parificati di fatto a regole giuridizzate.

1.2 La nascita dell’Organismo Italiano di Contabilità.

Le tendenze in ambito internazionale con il passare degli anni hanno creato la necessità anche nel panorama italiano di creare uno standard

setter nazionale dotato di maggiore rappresentatività rispetto alla CSPC e

che fosse in grado di esprimere in maniera autorevole e coesa le istanze nazionali relative alla materia contabile. Per questo motivo nell’agosto del 2001 è stata costituita in forma di associazione l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC). Tale organismo è stato creato su iniziativa di tutte le principali categorie private di soggetti interessate alla materia. Tra i soci fondatori, in particolare, si riscontrano l’Assirevi (Associazione fra le società italiane per Azioni), il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, il Consiglio Nazionale dei Ragionieri, l’Abi (Associazione Bancaria Italiana, l’Andaf (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari), l’Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), l’Assilea (Associazione Italiana Leasing), l’Assonime (Associazione fra le società Italiane per Azioni), la Confagricoltura, la Confapi, la Confcommercio, la Confcooperative, la Confindustria e la Lega delle Cooperative, l’Aiaf (Associazione Italiana Analisti Finanziari, l’Assogestioni (Associazione Italiana del Risparmio Gestito),la Centrale Bilanci e la Borsa Italiana. L’operazione venne a suo tempo valutata favorevolmente dai Ministeri della Giustizia, dell’Economia e delle Finanze, oltre che dalla Banca d’Italia, dalla CONSOB e dall’ISVAP (Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni Private e d’interesse collettivo). Lo scopo principale dell’OIC consiste nel curare l’emanazione e l’aggiornamento dei principi contabili per la redazione dei bilanci per i quali non è prevista l’obbligatorietà del rispetto di quelli internazionali e di partecipare all’attività di elaborazione

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dei principi contabili internazionali tramite l’apporto di supporto tecnico agli organismi competenti, collaborando con gli altri standard setter europei. Inoltre l’Organismo Italiano di Contabilità ha come ulteriori scopi la promozione della cultura in ambito contabile e l’essere di supporto al Legislatore nell’emanazione della normativa in materia. Idealmente L’Organismo Italiano di Contabilità è nato per proseguire l’attività di emanazione dei documenti iniziata anni prima dalla CSPC e difatti i principi contabili dell’OIC sono, se riferiti ai medesimi argomenti, l’evoluzione di questi ultimi.

1.3 I Principi Contabili Nazionali attuali e la loro revisione.

Come indicato nel precedente paragrafo, i principi nazionali tutt’ora validi discendono direttamente da quelli emanati a suo tempo dalla CSPC, tant’è che spesso hanno mantenuto la numerazione originaria.

L’evolversi della materia comporta che in maniera frequente questi principi debbano essere rivisti da parte dell’Organismo Italiano di Contabilità che deve, quindi, aggiornarli e correggerli per adattarli alle nuove esigenze, siano esse di prassi o di normativa. L’argomento del presente elaborato riguarda proprio l’attività di revisione dei principi cominciata dall’OIC nel 2010 e che ha portato, a cavallo tra il 2011 ed il 2012, alla pubblicazione delle prime due tranche di principi rivisti. Attualmente, non considerando dunque il processo di revisione cui sono sottoposti, i principi contabili OIC in vigore sono i seguenti:

• OIC 1 – I principali effetti della riforma del diritto societario sulla

redazione dei bilanci di esercizio;

• OIC 2 – Patrimoni e finanziamenti dedicati ed uno specifico affare; • OIC 3 – Le informazioni sugli strumenti finanziari da includere nella

nota integrativa;

• OIC 4 – Fusione e scissione; • OIC 5 – Bilanci di Liquidazione;

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• OIC 11 – Bilancio di Esercizio, finalità e postulati;

• OIC 12 – Composizione e schemi del bilancio di esercizio; • OIC 13 – Le rimanenze di magazzino;

• OIC 14 – Disponibilità liquide; • OIC 15 – I crediti;

• OIC 16 – Le immobilizzazioni materiali; • OIC 17 – Il bilancio Consolidato;

• OIC 18 – Ratei e risconti;

• OIC 19 – Fondi per rischi ed oneri, trattamento di fine rapporto di

lavoro subordinato, i debiti;

• OIC 20 – Titoli e partecipazioni;

• OIC 21 – Il metodo del patrimonio netto; • OIC 22 – Conti d’ordine;

• OIC 23 – Lavori in corso su ordinazione; • OIC 24 – Le immobilizzazioni immateriali;

• OIC 25 – Il trattamento contabile delle imposte sul reddito; • OIC 26 – Operazioni e partita in moneta estera;

• OIC 28 – Il patrimonio netto;

• OIC 29 – Cambiamento di principi contabili, cambiamenti di stime

contabili, correzione di errori;

• OIC 30 – Bilanci intermedi.

Tale organizzazione deriva dalla revisione dei principi operata dopo la riforma del codice civile in ambito societario avvenuta nel 2004. Al tempo l’Organismo Italiano di Contabilità ha suddiviso i principi in due serie. La prima, compresa tra il principio numero 1 e il numero 6, era composta dai nuovi principi emanati in occasione della riforma. A riprova di ciò è l’argomento dell’OIC 1 ovvero “I principali effetti della riforma del diritto

societario sulla redazione dei bilanci di esercizio”. La seconda serie,

diversamente, composta dai principi compresi tra il numero 11 ed il numero 30 riproponeva i documenti emanati in precedenza dai Consigli

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Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri anch’essi modificati secondo le novità portate dalla riforma del diritto societario. Per tali principi era stata mantenuta la precedente numerazione, per scelta esplicita dello stesso Organismo Italiano di Contabilità, affinché ciò potesse facilitare la loro identificazione da parte dell’utenza.

La revisione a cui i principi sono attualmente sottoposti si propone di modificare quelli già esistenti ed elencati, e di crearne di nuovi. Ove non esista un Principio contabile dedicato a uno specifico argomento, infatti, l’Organismo Italiano di Contabilità procede con l’emanazione di nuovi documenti. Questo è il caso, ad esempio, delle bozze presentate nel febbraio 2012 ed intitolate “I certificati verdi” e “Le quote di emissione di

gas ad effetto serra” introdotte per fornire le giuste interpretazioni contabili

alle questioni sorte con l’introduzione dei nuovi strumenti per contrastare l’inquinamento e spingere verso una maggiore produzione di energia attraverso fonti rinnovabili.

Il procedimento di revisione è iniziato dopo aver raccolto i suggerimenti pervenuti a seguito della consultazione pubblica varata nel corso dell’anno 2010 ed ha riguardato aspetti formali e sostanziali. Le novità principali che hanno coinvolto i documenti in esame interessano innanzitutto la veste grafica. Tali nuove caratteristiche si esternano principalmente nella numerazione di ciascun paragrafo atta alla creazione di riferimenti per una migliore ricerca all’interno del principio e nella riorganizzazione dei contenuti secondo uno schema comune. Sono state, secondariamente, eliminate le note il cui contenuto, se importante, è stato riportato all’interno dei dei paragrafi. I riferimenti normativi si trovano ora nelle appendici. L’Organismo Italiano di contabilità ha deciso però di “non avvicinare i

principi contabili nazionali alla prassi internazionale, ma di rendere più adeguati alla moderna prassi contabile quelli esistenti” 1 difatti non si tratta spesso di “vere e proprie novità ma di chiarimento di cui le imprese                                                                                                                

1  Roscini Vitali F., “Principi contabili nazionali revisionati dall’organismo italiano di contabilità” in

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possono già tenere conto nella redazione dei bilanci” ancora prima

dell’effettiva entrata in vigore dei principi rinnovati che avverrà nel primo trimestre del 2013 in modo da poter prendere in considerazione tutte le osservazioni giunte. E’ per questo motivo, infatti, che si può parlare di principi “aggiornati”, “revisionati” o “novati” invece che di nuovi principi contabili.

Per quanto riguarda il presente lavoro si è scelto di operare il confronto tra le versioni tutt’ora valide dei principi OIC 13, 16 e 18, e quelle presentate in bozza negli ultimi mesi e destinate a sostituirle offrendo, inoltre, un confronto, quando significativo, con quanto previsto dai principi internazionali.

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2. La revisione dell’OIC 16 “immobilizzazioni

materiali”.

2.1 Le immobilizzazioni materiali, una definizione.

Le immobilizzazioni materiali sono quei beni che, per le loro caratteristiche, devono essere iscritti nell’attivo patrimoniale dei bilanci delle imprese. Essi sono trattati dal principio contabile italiano OIC 16, nonché dal codice civile che all’art. 2424 bis li definisce come “elementi

patrimoniali destinati ad essere usati durevolmente” ed espone

dettagliatamente dividendoli in quattro tipologie distinte:

1) Terreni e fabbricati 2) Impianti e macchinari

3) Attrezzatture industriali e commerciali 4) Altri beni

5) Immobilizzazioni in corso ed acconti”

Il principio 16 presentato in bozza li descrive come “beni di uso durevole,

in quanto costituiscono parte dell’organizzazione permanente delle società. Il riferirsi a fattori e condizioni durature non è caratteristica intrinseca ai beni come tali, bensì alla loro destinazione. Esse sono normalmente impiegate come strumenti di produzione del reddito della gestione tipica o caratteristica e non sono, quindi, destinate alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti dell’impresa”.

Caratteristica tipica delle immobilizzazioni immateriali dunque, come sono definite dal principio, non è tanto quella di essere beni che per loro natura hanno una durata pluriennale, quanto quella di essere beni che hanno un ruolo come strumento produttivo di reddito in quella che è l’attività tipica dell’impresa di cui si deve redigere il bilancio. Successivamente nel principio vengono infatti definite tre caratteristiche che devono essere contemporaneamente soddisfatte per far sì che un bene possa essere

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iscritto tra le attività patrimoniali di bilancio di una società come immobilizzazione materiale. La prima caratteristica è che il bene deve avere un’utilità pluriennale e che dunque deve concorrere alla formazione del risultato economico per più esercizi. La seconda caratteristica prevista dal principio contabile 16 è che le immobilizzazioni materiali devono essere “beni materiali acquistati o prodotti, ovvero somme anticipate a

fronte del loro acquisto”, si tratta dunque di beni materiali che possono

essere sia acquistati nel mercato esterno alla società (come un particolare macchinario) sia prodotti internamente come, ad esempio, una linea di produzione per l’assemblaggio in serie di prodotti finiti. Infine sono immobilizzazioni materiali, e come tali devono essere valutate secondo il principio nazionale 16, anche le somme anticipate a fronte dell’acquisto di tali immobilizzazioni.

Sempre il principio contabile al nuovo paragrafo 7 ritorna su quanto già affermato al paragrafo 5 meglio illustrando come “la caratteristica delle

immobilizzazioni materiali di riferirsi a fattori e condizioni durature non è intrinseca ai beni stessi acquisiti ma piuttosto alla loro destinazione”. In

questo paragrafo si ripete quindi che nonostante un bene possa essere per propria natura di durata pluriennale, questo non basta per far sì che possa essere considerato immobilizzazione, in quanto “le immobilizzazioni

immateriali […] non sono beni destinati alla vendita né alla trasformazione per l’ottenimento di beni destinati alla vendita, ma vengono utilizzate come strumenti di produzione”. Quella che sembra una ripetizione rispetto a

quanto già riportato nel paragrafo 5 va considerata, invece, come un chiarimento aggiuntivo volto a fugare qualsiasi dubbio riguardo il riconoscimento o meno dello status di “immobilizzazione” per quanto riguarda alcuni beni pluriennali per natura e, a riprova di ciò, difatti, sempre secondo il paragrafo 7 “non sono, dunque, immobilizzazioni

immateriali quegli immobili, quelle macchine o quei mobili e cosi via che costituiscono normalmente oggetto di compravendita da parte della società in quanto rientranti nella sua attività tipica” e conclude dicendo che

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“la destinazione economica dei medesimi beni può essere diversa, quindi

per imprese appartenenti a diversi settori economici”. Per fare un esempio

esplicativo un bene come un capannone industriale può essere sia un bene merce che un’immobilizzazione a seconda che a possederlo sia un’impresa che lo utilizza come sede della propria attività, essendo in questo caso un’immobilizzazione, oppure un impresa costruttrice che della costruzione e vendita di tale tipologia di bene costituisce la propria attività. Giungendo, in conclusione, a quella che può essere una definizione di “immobilizzazione materiale” aiutati dal codice civile e dal Principio nazionale OIC 16 possiamo dire che per immobilizzazione materiale si intende un bene avente per propria natura durata pluriennale, acquistato o prodotto internamente, che viene utilizzato durevolmente dall’impresa come strumento produttivo.

2.2 La revisione del OIC 16.

Le immobilizzazioni materiali sono trattate, per chi redige il bilancio secondo i principi nazionali, dal principio OIC 16 recentemente sottoposto ad un intervento di rinnovamento.

Al paragrafo 1 infatti si legge come “il principio contabile OIC 16 ha lo

scopo di disciplinare il trattamento contabile e l’informativa da fornire in nota integrativa per le immobilizzazioni materiali e fornisce i criteri per la loro rilevazione, classificazione, valutazione nel bilancio d’esercizio nonché le informazioni da presentare nella nota integrativa”. Il principio

contabile 16 è uno dei principali coinvolti dalle proposte di novazione di fine 2011 da parte dell’Organismo Italiano di Contabilità. Così come gli altri principi rielaborati, il nuovo principio 16 si basa sulla struttura riassunta dallo schema: ambito di applicazione, principali definizioni, classificazioni, rilevazione inziale, valutazione e rilevazione successiva, informazioni in nota integrativa. Le principali modifiche apportate sono state indicate in una sintesi indicata nel frontespizio della bozza, per quanto riguarda il principio 16 in oggetto sono state apportate le seguenti:

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1. E’ stata modificata la classificazione delle immobilizzazioni nello schema di stato patrimoniale con lo spostamento, in particolare, delle immobilizzazioni destinate alla rivendita che ora sono inserite in un “di cui” apposito

2. Sono state riformulate le disposizioni in materia di svalutazione durevole, fornendo precisazione in merito alla nozione di valore di mercato ed ai metodi per il calcolo del valore d’uso,

3. Si è intervenuto nella disciplina degli ammortamenti fornendo ulteriori chiarimenti in tema di “component approach” e in tema di valore residuo e contabile

4. Si è intervenuti sulla disciplina di capitalizzazione degli oneri finanziari per renderla più agevole come comprensione e utilizzo 5. E’ stata modificata la possibilità di scorporare il valore del terreno

da quello dei fabbricati.

2.3 Riclassificazione delle immobilizzazioni immateriali.

La classificazione delle immobilizzazioni materiali è stata oggetto di alcune modifiche da parte dell’organismo italiano di contabilità che l’hanno resa più attuale rispetto alla precedente versione.

La nuova riclassificazione comprende i paragrafi dal 14 al 25 ed è basata sul già citato articolo 2424 del codice civile che nello schema di bilancio nella voce dell’attivo B 11 contiene le voci2 all’interno delle quali vanno

riclassificate tutte le tipologie di immobilizzazioni materiali. Scopo del principio 16 è quello di fornire una corretta interpretazione dell’articolo 2424 indicando dove vadano riportate nello schema di bilancio le varie immobilizzazioni materiali secondo le proprie caratteristiche.

                                                                                                               

2“1Terreni e fabbricati, 2 Impianti e macchinario, 3 attrezzatture industriali e commerciali, 4 altri

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2.4 Terreni e Fabbricati.

Una delle novità della revisione del principio 16 è sicuramente quella riguardante i terreni e fabbricati e riportata nel paragrafo 15 che cita

“La voce “Terreni e fabbricati” comprende:

· Terreni (ad es.: pertinenze fondiarie degli stabilimenti, terreni su cui insistono i fabbricati, fondi e terreni agricoli, moli, ormeggi e banchine, cave, terreni estrattivi e minerari, sorgenti);

· Fabbricati industriali (ad es.: fabbricati e stabilimenti con destinazione industriale, opere idrauliche fisse, silos, piazzali e recinzioni, autorimesse, officine, oleodotti, opere di urbanizzazione, fabbricati ad uso amministrativo, commerciale, uffici, negozi, esposizioni, magazzini ed altre opere murarie);

· Fabbricati civili, la voce accoglie immobilizzazioni materiali che non sono strumentali per l’attività della società ma che rappresentano un investimento di mezzi finanziari oppure sono posseduti in ossequio a norme di carattere statutario o previsioni di legge (ad es.: immobili ad uso abitativo civile termale, sportivo, balneare, terapeutico; collegi, colonie, asili nido, scuole materne ed edifici atti allo svolgimento di altre attività accessorie); accoglie inoltre immobili aventi carattere accessorio rispetto agli investimenti strumentali (ad es.: villaggi residenziali ubicati in prossimità degli stabilimenti per l’abitazione del personale).

· Costruzioni leggere (ad es.: tettoie, baracche, costruzioni precarie e simili).”

Si nota immediatamente come rispetto alla versione precedente sia stato eliminata la possibilità di non scorporare il valore dei terreni da quello dei fabbricati quando il valore del terreno tende a coincidere con quello del fondo di ripristino o bonifica del sito ed inoltre è stato aggiunto tra i terreni la dicitura “terreni su cui insistono i fabbricati” che è volto a ricomprendere tra i terreni tutti quelli di pertinenza degli immobili posseduti. Con la versione aggiornata, quindi, non è più possibile classificare i terreni su cui insistono i fabbricati unitamente agli stessi e questo in considerazione

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della natura dei terreni che sono di fatto beni non ammortizzabili in quanto non hanno una svalutazione dovuta all’usura del tempo. Il nuovo principio prevede obbligatoriamente al momento dell’acquisizione di un fabbricato e della sua iscrizione tra le immobilizzazioni l’indicazione separata del valore del fabbricato stesso e del terreno su cui insiste, in quanto non ammortizzabile, che deve essere contabilizzato ad un valore che può essere facilmente ottenuto qualora il terreno sia stato acquistato prima della costruzione dell’immobile, o ad un valore risultato di stima quando lo scorporo avviene in assenza di un costo sostenuto direttamente. Il motivo di questo cambiamento, ossia l’obbligo di indicare sempre separatamente i valori dei terreni e fabbricati è da ricercarsi sicuramente nella volontà di ottenere una più corretta rappresentazione a bilancio dei cespiti posseduti, con particolare riferimento alle caratteristiche degli stessi trattandosi di beni differenti. In secondo luogo l’obbligo di indicare separatamente il valore dei terreni da quello dei fabbricati può essere letto come un avvicinamento della norma civilistica a quella fiscale. Secondo l’articolo 36 commi 7 ed 8 del D.L. 223/2006 “Ai fini del calcolo delle quote di

ammortamento deducibili, il costo dei fabbricati strumentali deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo delle predette aree è quantificato in misura pari al maggiore tra quello esposto in bilancio e quello corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo”. La norma riportata introduce, a partire dal 2006, il

dettato secondo cui il costo dei fabbricati strumentali, al fine del calcolo delle quote di ammortamento fiscalmente deducibili, deve essere assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il citato articolo aggiunge, inoltre, che fiscalmente il costo delle aree è quantificato come il risultato del raffronto tra il valore iscritto a bilancio e il 20% o 30% del costo complessivo a seconda che si tratti di fabbricati industriali o meno. Il principio contabile 16 aggiornato, dunque, si muove in direzione della ratio del legislatore

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fiscale imponendo che a bilancio i valori siano separati in modo che vi sia un più facile raffronto tra i valori di ammortamento civilistico del bilancio e quelli fiscalmente riconosciuti come deducibili dalla normativa. Di fatto, dunque, non è più previsto che i terreni possano essere contabilizzati tra i fabbricati come parte di essi ma è sempre d’obbligo, secondo il principio aggiornato, separare il valore del fabbricato da quello del terreno. Lo stesso argomento viene trattato dal numero 16 dei principi internazionali

International Accounting Standard (IAS) secondo il quale, al paragrafo 58

“i terreni e gli edifici sono beni separabili e sono contabilizzati

separatamente, anche quando vengono acquistati congiuntamente. Con qualche eccezione […] i terreni hanno una vita utile illimitata e quindi non vengono ammortizzati. Gli edifici hanno una vita utile limitata e perciò sono attività ammortizzabili”. Analizzando quanto detto dal principio

contabile internazionale si scopre come in questo caso la revisione del principio OIC 16 sia andata nella medesima direzione di quanto sostenuto dagli IAS internazionali. Tale posizione era stata già in precedenza ripresa dal legislatore con il citato Decreto 223/2006 per quanto riguardava la normativa fiscale circa il calcolo delle quote di ammortamento dei fabbricati contabilizzati senza la separazione del valore del terreno di sedime. Sembra quindi, per concludere, che l’Organismo Italiano di contabilità abbia deciso di seguire quanto già era previsto sia dai principi internazionali sia dai principi fiscali italiani e quindi il nuovo principio è stato aggiornato, si ritiene, per avvicinarsi alla consolidata pratica fiscale anche in ragione del fatto che una rappresentazione separata del valore dei terreni e degli immobili sposa appieno quello che è il principio di chiarezza di cui all’articolo 2423 2° co.3 del codice civile.

                                                                                                               

3  “Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la

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2.5 Impianti e macchinari.

La classificazione delle immobilizzazioni, presente al precedente, e tuttora valido, principio 16, paragrafo C ha subito delle altre modifiche, volte a fornire una maggiore precisazione delle ulteriori voci, in aggiunta a quella degli immobili, ricomprese dell’articolo 2424 del codice civile. Scendendo nel dettaglio l’Organismo Italiano di Contabilità ha fornito nuove spiegazioni ed esemplificazioni con l’intento di lasciare meno adito possibile a dubbi sulla classificazione dei cespiti a bilancio. Per quanto riguarda gli “Impianti Generici” viene chiarito che “sono gli impianti non

legati alla tipica attività della società (es.: servizi di riscaldamento e condizionamento, impianti d’allarme) quando il principio precedente

riportava per la stessa categoria “quali impianti di produzione e

distribuzione energia, officine di manutenzione, raccordi e materiale rotabile, mezzi per traino e sollevamento, centrali di conversione, parco motori, pompe impianti di trasporto interno, servizi vapore, riscaldamento e condizionamento, impianti di allarme”. Si nota che rispetto alla

precedente versione ora sono riportati meno esempi e si evidenzia il punto principale ovvero sul fatto che si tratta di impianti che non sono legati alla attività tipica della società. Si può riscontrare come la nuova versione sia migliore rispetto alla precedente, che con la sua elencazione di tipologie di impianto, anche se volte ad fornire esempi, rischiava di non ricomprendere tutte le casistiche che potevano essere ricondotte all’uso generico rispetto a quello produttivo. La versione aggiornata del principio 16, presente al nuovo paragrafo 16, stabilisce innanzitutto che gli impianti generici sono tutti quegli impianti che non sono legati direttamente alla attività produttiva tipica della società. Questa importante definizione compie un passo avanti rispetto alla precedente versione poiché chiarisce senza dubbi quale sia la corretta modalità per valutare se un impianto sia o meno generico, difatti basterà capire se l’impianto è parte attiva o solo accessoria rispetto alla produzione di beni della società oggetto dell’analisi. Qualora l’impianto ricopra un ruolo di supporto alla produzione attiva questo deve essere

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classificato come generico, e questa operazione può essere effettuata con qualsiasi tipo di impianto. La nuova descrizione di “impianti generici” oltre alla già citata precisazione porta anche alcuni esempi di impianti che possono essere classificati come tali ovvero impianti di riscaldamento, condizionamento e di allarme e in questo richiama quanto scritto nella versione precedente del principio 16, in questo caso però l’esempio è portato a spiegazione di un concetto generale ed è quindi di superiore ed indubbia efficacia.

Oltre alla voce già trattata dal documento 16 circa gli impianti generici il nuovo principio rinnovato ha portato una novità anche per gli impianti specifici. Questi infatti prima erano solo citati al paragrafo C (quasi fosse scontata la loro riconduzione alla propria voce di bilancio) mentre ora è prevista anche una definizione del tipo di quella utilizzata per gli impianti generici, ovviamente di significato opposto. Il nuovo documento 16 al paragrafo 15 definisce gli impianti specifici come “impianti legati alle

tipiche attività produttive dell’azienda”. Anche se può sembrare una

precisazione superflua, è pacifico che gli impianti specifici sono quello utilizzati nelle attività tipiche della produzione, l’intervento di definizione degli impianti specifici va considerato nell’ottica di offrire una maggiore chiarezza nella individuazione delle varie classi di cespiti e quindi, anche in considerazione di quanto già detto circa gli impianti generici è utile poiché le due definizioni, essendo tra loro complementari, ricomprendono tutte le possibilità di utilizzo di un impianto in azienda.

Il nuovo documento 16 provvede a definire anche l’ultima sottoclasse compresa alla voce B.II.2. dell’articolo 2424 “impianti e macchinari” ovvero quella dei “macchinari automatici” e “macchinari non automatici”. Anche in questo caso il principio novato contiene come novità una definizione che prima non era presente e che descrive con chiarezza cosa l’Organismo Italiano di Contabilità intende per macchinario automatico e non automatico, nel dettaglio si legge che “Si tratta di apparati in grado di

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automatico) determinate operazioni”. E’ importante considerare che la

descrizione ora non lascia adito a dubbi su che tipo di mezzo si debba considerare come macchinario, ovvero degli apparati in grado di svolgere particolari operazioni con o meno il bisogno dell’ausilio umano (caratteristica che rende automatico o non automatico), mentre in precedenza la mancanza di una definizione poteva lasciare spazio ad interpretazioni non tanto sull’automatico o meno, quanto sulla natura del macchinario stesso. In questo caso, come nei precedenti riportati, si ritiene che l’Organismo Italiano di Contabilità sia intervenuto spinto da un’esigenza di modernizzazione del principio comprendente precisazioni e definizioni volte e dissipare ogni dubbio circa la valutazione dei cespiti e sotto quest’ottica deve essere considerata, dunque, anche questa definizione che pur non portando nessun tipo di nuovo concetto non lascia certo adito a dubbi circa l’interpretazione di quali beni ricondurre a tale sottoclasse di bilancio.

2.6 Attrezzature industriali e commerciali.

Sempre secondo lo stesso disegno di modernizzazione di cui si è trattato ai punti precedenti è stata riformulata anche la didascalia della voce, ricompresa nello schema di bilancio al punto B.II.4, riguardante le “attrezzature”. La formulazione del principio tutt’ora in vigore non fornisce una descrizione di attrezzatura ma solamente una specificazione riportando che si tratta di attrezzatura “di officina, attrezzi di laboratorio,

equipaggiamenti e ricambi, attrezzatura commerciale e di mensa”.

Diversamente il documento rinnovato, proprio come già ha fatto per quanto riguarda i macchinari generici e specifici, fornisce una puntuale descrizione di quello che intende come attrezzatura, in modo da fornire al lettore uno strumento (la definizione) grazie al quale è senza dubbio in grado di comprendere quali beni vanno considerati iscrivibili a tale voce di bilancio. Scendendo nel dettaglio il nuovo principio considera attrezzature “strumenti (con uso manuale) necessari per il funzionamento e lo

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svolgimento di una particolare attività o di un bene più complesso” in

aggiunta alla definizione sono riportati alcuni esempi che sono gli stessi della precedenti versione del documento. Anche in questo caso la novità è una definizione che sostituisce, ed in questo caso integra, quanto portato nel documento precedente ottenendo come risultato l’aumento della facilità di interpretazione. Esaminando nel dettaglio l’Organismo italiano di Contabilità ritiene che la caratteristica principale dell’attrezzatura sia il suo utilizzo manuale da parte dell’utente, come infatti viene riportato, e il fatto che il suo utilizzo sia strumentale allo svolgimento di particolari attività o all’operatività di beni più complessi (come ad esempio un macchinario). Diversamente dalle “attrezzature” la voce “attrezzatura varia” non è stata rinnovata. Questo perché già nella versione ad oggi valida del principio è contenuta una definizione di tale tipologia di beni e non solo una serie di esempi. Per questo motivo, si ritiene che l’Organismo Italiano di Contabilità abbia deciso che non fosse il caso di operare un rinnovamento chiarificatore.

2.7 Immobilizzazioni destinate alla vendita.

Una delle maggiori novità contenute nel principio contabile 16 e riguardante la classificazione delle immobilizzazioni è sicuramente quella relativa alle immobilizzazioni destinate alla vendita.

Nel documento 16 tutt’ora valido è previsto che al momento in cui dall’organo amministrativo viene deliberato che un cespite passi da immobilizzazione materiale a bene destinato alla vendita questo venga contabilizzato passando dalle immobilizzazioni all’attivo circolante in apposita voce. Da questo momento gli ammortamenti non vanno più calcolati e il valore a cui deve essere esposto all’attivo circolante deve essere il minore tra il valore contabile netto e il prezzo presumibile di realizzo.

Le novità contenute nel principio novato riguardano la posizione nello schema di stato patrimoniale di tali immobilizzazioni, è difatti ora previsto

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al paragrafo 20 che “se la società decide di destinare un cespite alla

vendita, aggiunge alla voce cui si riferisce un “di cui destinate alla vendita” con indicazione del relativo importo”. Il nuovo principio, dunque, non

prevede più che il valore venga “spostato” nell’attivo circolante ma che venga mantenuto nella propria classe di immobilizzazione differenziato dagli altri cespiti da un di cui che ne esternalizzi immediatamente la sua differenza dagli altri in quanto “destinato alla vendita”. Per fare un esempio si pensi a un impianto, una linea di assemblaggio, di un prodotto. Questo particolare impianto è ovviamente evidenziato in stato patrimoniale, come visto nel paragrafo precedente, alla voce B.II.2. dell’attivo ovvero “impianti e macchinari” ad un determinato valore. Qualora il consiglio di amministrazione ravvisi la possibilità concreta di vendere il cespite esso rimarrà nella stessa voce di bilancio ma sarà differenziato dagli altri perché sarà riportato nel “di cui” della classe, creato per l’occasione, degli impianti destinati alla vendita e sarà valutato, come già previsto, al minore tra il valore contabile (al netto dunque delle quote di ammortamento ed eventuali svalutazioni) e il valore recuperabile tramite la vendita. Il nuovo paragrafo 20 però non permette che questa particolare classificazione venga operata per tutte le immobilizzazioni materiali destinate alla vendita ed infatti riporta tre requisiti che devono essere nel contempo soddisfatti. E’, inoltre, previsto che tale novità si applichi esclusivamente alle “immobilizzazioni di importo rilevante”. Il primo dei tre requisiti è che i beni siano vendibili alle condizioni attuali senza richiedere “sostanziali

modifiche” che possano “differirne l’alienazione”, la seconda caratteristica

è che la vendita appaia “altamente probabile alla luce delle iniziative

intraprese”, considerando il “prezzo” e le “condizioni di mercato”. Infine

l’operazione di vendita deve “concludersi nel breve termine”. Analizzando la nuova previsione si evidenzia immediatamente come l’iscrizione nella particolare voce del “di cui” non vada effettuata per tutte le immobilizzazioni che si destinano alla vendita, ma solamente per quelle di importo rilevante. Si ritiene che questo sia stato previsto dal OIC per

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salvaguardare lo schema di stato patrimoniale, in questo modo, infatti, si mantiene il valore delle immobilizzazioni inalterato nonostante si decida la vendita di qualcuna di queste, fornendo al contempo la precisazione che i beni in oggetto sono destinati ad essere alienati. Rispetto alla precedente versione del documento si ritiene che questa nuova previsione sia meglio rappresentativa della consistenza di bilancio delle immobilizzazioni, poiché lo spostamento delle stesse tra l’attivo circolante, per quanto il valore totale dell’attivo rimanga invariato, sottostimerebbe il valore di quest’ultime non ricomprendendo quei beni che fino a poco prima erano, per la società, immobilizzazioni a tutti gli effetti. Proprio per questo motivo, infatti, vanno inserite nel di cui le immobilizzazioni di importo rilevante, perché quelle di scarso valore non concorrono in maniera determinante alla formazione dell’attivo dello stato patrimoniale e il loro spostamento nell’attivo circolante non creerebbe un valore a bilancio sostanzialmente differente da quello effettivo. La classificazione di tali beni, inoltre, per gli altri requisiti posti dall’Organismo Italiano di Contabilità deve avere, si ritiene, carattere di continuità rispetto allo stato di immobilizzazione usata per la produzione, oltre che di univocità di destinazione. Questo perché tutte le tre condizioni hanno come punto comune il fatto che la dismissione a mezzo cessione dei cespiti presi in considerazione debba essere probabile oltre che prossima, o quantomeno nel breve termine, e deve avvenire per i beni nello stato in cui sono ancora utilizzati dalla società. Il primo requisito, scendendo nel dettaglio, prevede, infatti, che i beni debbano essere vendibili nelle condizioni in cui si trovano, o quantomeno senza che siano richieste sostanziali modifiche, questo perché deve essere garantita, si ritiene, una certa continuità tra il cespite che era iscritto tra le immobilizzazione a pieno titolo e quello che lo è nel “di cui

destinato alla vendita”. Una trasformazione o una particolare lavorazione

dello stesso per la predisposizione alla vendita che ne modifichi o stravolga le caratteristiche farebbe mancare i requisiti, si ritiene a ragione, del mantenimento del bene tra le immobilizzazioni materiali perché

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l’oggetto della vendita non sarebbe l’immobilizzazione che era iscritta a bilancio, ma un suo derivato o trasformazione. Inoltre l’OIC si sofferma, sempre nel primo punto, sul fatto che le lavorazioni non ne differiscano la possibilità di vendita, e questo sempre perché un periodo di preparazione alla vendita particolarmente lungo (anche senza lo stravolgimento o cambiamento della natura del bene) creerebbe una sorta di frattura (il tempo di lavori o modifiche) di continuità tra il loro utilizzo come immobilizzazione e la destinazione alla vendita e quindi in questi casi sarebbe scorretto classificare gli stessi ancora come immobilizzazioni poiché già da tempo fuoriusciti dal processo produttivo. Il secondo requisito prevede che l’alienazione sia “altamente probabile” ovvero si ritiene debba esserci un ragionevole grado di certezza sul fatto che la vendita vada a buon fine. Per considerare o meno se lo stato di vendita sia altamente probabile ci si deve basare su alcuni elementi che il paragrafo 20 indica, ovvero bisogna considerare quali sono state le “iniziative intraprese” (si riportano a titolo di esempio offerte di vendita, proposte o trattative) in considerazione del “prezzo previsto” e delle “condizioni di mercato”. Secondo questo punto quindi, le immobilizzazioni destinate alla vendita che rispondono alle già citate caratteristiche, possono essere iscritte al “di cui” solo quando vi sono degli elementi di probabilità della riuscita della vendita che vanno valutati in funzione di alcuni indicatori che sono le iniziative intraprese o le condizioni di mercato. L’ultima condizione riportata dall’OIC nella sua proposta di nuovo principio contabile 16, sempre al paragrafo 20, è che la cessione dell’immobilizzazione sia prossima, o meglio come viene riportato sia destinata a “concludersi nel breve periodo”. La ratio delle tre condizioni, si ritiene, è che il passaggio dallo status di immobilizzazione in uso da parte della società nel proprio processo produttivo a quello di bene destinato alla vendita sia immediato e dunque debba avvenire in maniera quasi “diretta”. Solamente quando questa condizione è soddisfatta, infatti, è possibile creare il di cui tra le immobilizzazioni a cui iscrivere il cespite

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destinato alla vendita. Qualora, infatti, la vendita effettiva del bene non fosse sicura, o la cessione non apparisse di possibile concretizzazione in un ragionevole periodo di tempo o ancora fossero necessari lavori che cambierebbero il bene rendendolo di fatto estraneo al processo produttivo, questi non andrebbero iscritti tra le immobilizzazioni ma riconsiderati nell’attivo circolante in quanto oramai privi delle caratteristiche che facevano di loro cespiti, la loro contabilizzazione come tali, inoltre, sarebbe scorretta. Terminando, questa nuova previsione del principio contabile 16 sembra essere stata pensata per fornire una più corretta rappresentazione dello stato patrimoniale ricomprendendo tra le immobilizzazioni quelle che vengono destinate alla vendita e che delle immobilizzazioni materiali ne mantengono le caratteristiche, mentre per le altre si continua a utilizzare, si ritiene a ragione, l’iscrizione tra l’attivo circolante come fossero beni merce. La nuova disposizione, inoltre, mantiene lo stesso profilo dal punto di vista fiscale, e non penalizza l’impresa qualora emerga una plusvalenza in seguito alla cessione dell’immobilizzazione in quanto può sempre essere applicato l’articolo 86 co. 4 del d.p.r. 917 del 1986 (Tuir) che prevede che la tassazione di tale plusvalenza possa essere dilazionata fino a cinque esercizi in quote costanti, purché il cespite sia stato posseduto per almeno 3 anni prima della sua vendita.

2.8 Perdite durevoli di valore.

Il documento 16 rinnovato ha portato novità anche riguardo le perdite durevoli di valore. Secondo quanto riportato dall’articolo 2426 del codice civile al comma 3 “l’immobilizzazione che, alla data di chiusura

dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i commi 1 e 2 deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata”. L’articolo citato impone che alla data di

chiusura di ogni bilancio di esercizio le immobilizzazioni siano sottoposte a una valutazione di periodo e che qualora fosse riscontrato un valore

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inferiore a quello iscritto a bilancio questo vada rettificato, viene inoltre previsto che se negli esercizi successivi i motivi della riduzione di valore vengono meno il valore deve essere nuovamente rettificato, ovviamente in aumento. Il codice civile nei commi 1 e 2 del già citato articolo 2426 prevede che il valore dell’iscrizione a bilancio delle immobilizzazioni deve essere quello del costo di acquisto o di produzione più gli eventuali oneri accessori che sono stati sostenuti per la messa in funzione e che questo valore ottenuto, inoltre, deve essere sistematicamente ridotto tramite ammortamento in funzione della residua possibilità di utilizzazione. Quest’ultima operazione va effettuata solamente per i cespiti che hanno una possibilità di utilizzo limitata nel tempo e non per quelli che, diversamente, mantengono le proprie caratteristiche d’uso invariate. Per l’interpretazione di quest’articolo del codice civile, ci si deve rifare ai principi italiani e internazionali e in particolare al documento 16 preso in esame dove vengono definiti i valori da considerare, come ad esempio la possibilità di utilizzazione di un bene, e la modalità di calcolo degli stessi. Nella versione tuttora valida l’argomento della perdita durevole di valore è trattato alla voce D.XIII mentre nel documento rinnovato e proposto in sostituzione sono considerati a partire dal nuovo paragrafo 83. Diversamente per i principi internazionali è previsto un intero principio ovvero lo IAS 36.

Secondo il paragrafo 84 del nuovo OIC 16 “la società valuta ad ogni data

di riferimento di bilancio, l’esistenza di indicatori che facciano prevedere difficoltà di recupero del valore netto del bene” e al manifestarsi di tali

indicazioni è ritenuto “necessario accertare se si sia verificata una perdita

durevole di valore”. Il principio quindi suggerisce l’adozione di alcuni

indicatori che siano in grado di rendere palese l’eventuale perdita di valore durevole. Già questa previsione è una novità rispetto al precedente documento 16, in quanto prima non si faceva riferimento ad indicatori ma solo a generici “sintomi che facciano prevedere difficoltà per il recupero

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d’indicatori fornisce anche un elenco esplicativo, ma non esaustivo, di quelli che ritiene vadano considerati come i principali. Sempre al paragrafo 84, infatti, sono elencati gli indicatori, ora chiamati “sintomi” come fosse un richiamo alla precedente versione del documento, che sono: “Diminuzione

del valore del mercato”, “cambiamenti dell’ambiente tecnologico, di mercato, economico e legale”, “cambiamenti nell’utilizzo o nello stato fisico del bene”, “evidenze interne” e infine “successive capitalizzazioni di costi”.

Per diminuzione di valore di mercato è inteso che il bene o complesso di beni tra cui quello preso in considerazione è ricompreso subisce una diminuzione di valutazione di quello che si ritiene possa essere il prezzo al quale essere venduto. Per cambiamenti dell’ambiente tecnologico, di mercato, economico e legale si intende il manifestarsi di cambiamenti che sono esterni alla situazione del bene ma che di fatto hanno come risultato la diminuzione della possibilità di utilizzo da parte della società, questo si verifica quando, ad esempio, una nuova tecnologia rende desuete quelle fino a quel momento utilizzate, ottenendo che di fatto tutto ciò che vi era direttamente legato (come un impianto che la sfruttava) risulta di valore inferiore rispetto a prima. Per cambiamenti nell’utilizzo o nello stato fisico del bene si intendono, invece, situazioni che si verificano sul bene della società e che ne riducono il valore come conseguenza, si possono considerare ad esempio destinazioni differenti d’uso o guasti che ne diminuiscano l’utilizzabilità. Per evidenze interne si considerano, invece, errori nel calcolo o nelle previsioni di utilizzazione di un determinato cespite che, di fatto, ne riducono il valore preventivamente stimato ed infine per successive capitalizzazioni di costi in misura superiore all’importo previsto si ritiene che l’OIC intenda il verificarsi di costi maggiori rispetto a quanto stimato. Come già specificato l’elenco degli indicatori non deve essere considerato esaustivo né tantomeno tassativo ma solo come punto di riferimento su quali indicatori considerare per verificare l’eventuale perdita di valore di una immobilizzazione materiale. Osservando il paragrafo 85, infatti, si nota che è lo stesso organismo

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italiano di contabilità a prevedere che possano essere utilizzati altri indicatori e difatti si legge che “se gli indicatori richiamati, o altri mostrano

che il valore netto contabile dell’immobilizzazione potrebbe eccedere il valore recuperabile dell’immobilizzazione occorre stimare quest’ultimo”.

Nella seconda parte del paragrafo, invece, viene esposta la corretta chiave di lettura della perdita di valore di un immobilizzazione al verificarsi della quale è necessario rideterminare, evidentemente a ribasso, l’iscrizione a bilancio. Questo avviene quando il valore netto contabile (ovvero, come riporta il codice civile, quello di costo o produzione diminuito degli eventuali ammortamenti) risulta eccedente il valore cosiddetto recuperabile. Rispetto al documento 16 precedente riguardo alla necessità di dover rideterminare il valore la nuova formulazione non cambia il principio in quanto al punto D.XIII veniva già previsto che “quando sussistono sintomi che facciano prevedere difficoltà per il

recupero del valore netto contabile tramite l’uso, è necessario accertare se si sia verificata una perdita durevole di valore” e inoltre “il valore d’iscrizione (al costo) delle immobilizzazioni materiali non può eccedere il valore recuperabile”. Paragonando le due versioni del documento 16 si

nota come su questo punto sostanzialmente non sia stato cambiato nulla in quanto è sempre previsto l’obbligo di rideterminare il valore qualora questo risulti diminuito ed inoltre è riportato sempre che il valore di iscrizione a bilancio non può eccedere il valore recuperabile. Quello che invece è stato modificato nella versione 2011 del principio è la definizione di valore recuperabile o meglio di quelli che sono gli elementi da prendere in considerazione per determinare tale valore. Nel documento precedente per valore d’uso si intendeva “il maggiore tra il presumibile valore

realizzabile tramite alienazione ed il suo valore in uso” mentre nel principio

rinnovato il paragrafo 86 definisce tale valore come il “maggiore tra il

valore d’uso e, ove oggettivamente determinabile, il suo presumibile valore realizzabile tramite alienazione”. Anche se a prima vista le due

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può notare che così non è. infatti è rimasto identico soltanto il concetto che definisce il valore recuperabile come il maggiore tra due valori, ovvero il valore d’uso e il valore ottenibile tramite l’alienazione del bene, mentre nel dettaglio nella precedente versione non è prevista nessuna limitazione alla determinazione del valore di alienazione, limitazione invece prevista dalla nuova definizione che prescrive che tale valore possa essere preso in considerazione solamente quando “oggettivamente determinabile”. Quest’ultima precisazione, ovvero l’utilizzo del valore di alienazione solamente quando oggettivamente determinabile, si ritiene sia stata, a ragione, introdotta per evitare l’utilizzo di valori stimati in maniera aleatoria e differenti da quelli effettivi. Dunque, le vere novità introdotte dal principio novato sono da ricercare nelle definizioni di valore d’uso e di realizzo, come tra l’altro è anche riportato nel frontespizio del principio pubblicato dall’OIC. Il valore realizzabile dall’alienazione è definito come “l’ammontare che può essere ricavato dalla cessione di una singola

immobilizzazione o di un complesso di immobilizzazioni in una normale transazione di mercato, al netto degli oneri diretti da sostenere per la cessione stessa” la definizione del principio precedente, e tuttora valido,

invece definisce tale valore come “l’ammontare che può essere ricavato

dalla cessione dell’immobilizzazione in una vendita contrattata a prezzi normali di mercato tra parti bene informate e interessate al netto degli oneri da sostenere per la cessione stessa” . Anche in questo caso le due

definizioni non differiscono di molto nei concetti, ovvero si parla di valore ottenibile in transazioni di mercato al netto delle eventuali spese da sostenere per portare a termine la cessione, si nota come nel nuovo principio si fa riferimento a “normali transazioni di mercato” che fanno presupporre, si ritiene, l’esistenza di un mercato effettivo cui riferirsi, diversamente nel principio precedente si parla di transazione a “prezzi

normali di mercato” anche qua facendo richiamo ad un mercato cui

confrontarsi indicando inoltre le caratteristiche che devono avere le parti contraenti per poter prendere in considerazione il valore oggetto della

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transazione, ovvero essere “informate e interessate”. E’ nella seconda parte del nuovo documento, precisamente al paragrafo 87, che si coglie la differenza con quanto era previsto precedentemente perché, come già visto riguardo la definizione di valore recuperabile, è riportato che “il valore

di mercato può considerarsi rilevante ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2427 n.3.bis […] solo qualora sia oggettivamente determinabile” ed inoltre “se manca la concreta possibilità di poter alienare il singolo bene o il complesso di beni, l’unico elemento da considerare è il valore d’uso.” In riferimento all’ultima definizione viene ribadito come le

immobilizzazioni possano essere valutate al valore ottenibile tramite alienazione solamente quando questa è determinabile in maniera oggettiva, e affinché questa condizione sia verificata si richiede la concreta, e quindi riscontrabile, possibilità di poter portare a termine l’alienazione. In mancanza di questa si potrà considerare solo il valore d’uso. Quindi, rispetto alla versione precedente, risulta rafforzata la condizione di oggettività posta a presupposto della determinazione del valore con tale tipologia di metodo, in quanto si richiede che la possibilità di vendita deve essere sia concreta che basata su di un valore riscontrato all’interno di un mercato esistente. La nuova previsione, dunque, fornisce la possibilità dell’utilizzo del valore di alienazione esclusivamente per quelle immobilizzazioni per le quali esiste effettivamente un mercato4, come nel caso degli immobili. Per tutti le altre tipologie di beni si deve far riferimento esclusivamente al valore d’uso.

Il rinnovamento del principio 16 ha investito anche il “valore d’uso” sul calcolo del quale sono state introdotte nuove precisazioni, così come si legge nella sintesi dei principali interventi apportati al OIC 16. Come già riportato in assenza di un mercato cui fare riferimento per determinare il valore effettivo di una particolare immobilizzazione ci si deve rifare al valore d’uso. L’OIC 16 al rinnovato paragrafo 88 riporta che al fine della                                                                                                                

4  Roscini Vitali F., “Principi contabili nazionali revisionati dall’organismo italiano di contabilità” in

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“determinazione del valore d’uso” si può “fare riferimento alla capacità di

ammortamento” e subito definisce che per tale capacità si intende la

“differenza tra ricavi e costi futuri attesi non attualizzati derivanti

dall’utilizzo di un bene immobilizzato o di un complesso di beni soggetto a valutazione” e inoltre specifica subito che “in tale accezione il valore d’uso misura la capacità del bene immobilizzato o di un complesso di beni di generare, negli esercizi successivi, flussi e ricavi”. Per calcolare il valore

d’uso, dunque, la nuova versione prevede che venga considerata la capacità di ammortamento di un particolare cespite, capacità intesa come “margine” creato raffrontando la quota di ricavi che il bene contribuisce a creare con i costi a esso stesso imputabili, questo perché dato che “il

recupero delle immobilizzazioni avviene normalmente attraverso gli ammortamenti, la capacità di ammortamento implica che i costi futuri attesi di produzione, inclusi gli stessi ammortamenti, trovino negli esercizi successivi, secondo delle ragionevoli aspettative, una adeguata copertura attraverso i ricavi futuri attesi che devono essere correlati al relativo utilizzo”. Il principio, inoltre, chiarisce anche quali costi e ricavi vadano

considerati e difatti, sempre al paragrafo 88, si specifica che si intende come ricavi quelli che concorrono a formare il “valore della produzione di

cui alla lettera A dell’articolo 2425 del codice civile” e per costi invece

quelli “definiti dalla lettera B dell’articolo 2425” ovvero costi e ricavi legati alla produzione, vanno infatti esclusi, se significativi “ricavi e costi riferibili

alle gestioni accessorie salvo che l’immobilizzazione non partecipi al processo produttivo dell’attività accessoria”. Il documento rinnovato,

inoltre, prevede che possano essere utilizzati altre metodologie per la determinazione del “valore d’uso”. Tali metodologie sono previste al paragrafo 89 e sono, ad esempio, l’uso di tecniche finanziarie come “l’attualizzazione di flussi di cassa netti futuri attesi derivanti dall’utilizzo del

bene immobilizzato […] fino al termine della vita utile compreso il flusso derivante dallo smobilizzo dei beni”. L’Organismo italiano di contabilità,

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calcolo del valore recuperabile, ma si limita a suggerire una strada “maestra” ovvero l’utilizzo della “capacità di ammortamento” e indicarne un’altra, l’attualizzazione dei flussi di cassa, prevedendo anche metodi ulteriori, a patto che vengano rispettate le condizioni inserite nel paragrafo 90. L’OIC infatti prevede che “a prescindere dal metodo utilizzato” per il calcolo del valore d’uso il risultato della valutazione deve rappresentare “il

valore recuperabile del bene immobilizzato […] alla data di riferimento del bilancio” e questo valore inoltre, prescrive sempre il principio al paragrafo

90, non deve considerare “gli eventuali effetti di investimenti futuri

incrementativi da sostenersi per aumentare la produttività dei beni” poiché

essi, si ritiene, non sono direttamente legati alle immobilizzazioni nel momento in cui sono prese in considerazione, in quanto gli eventuali aumenti di produttività dipenderebbero da investimenti futuri da capitalizzare a parte. Dunque è previsto che si possano utilizzare altri metodi oltre ai due riportati come esempi, ma sempre solo se il valore che queste differenti metodologie riescono a determinare risulti essere il corretto valore recuperabile del bene (o complesso di beni) oggetto di analisi alla data di riferimento del bilancio. Definito cosa intende la proposta di nuovo principio per “valore d’uso” analizziamo ora quanto viene riportato dal principio tutt’ora valido cercando di evidenziarne i maggiori elementi di novità e le eventuali evoluzioni. Il valore d’uso nel principio 16 del 2005 è trattato al già citato paragrafo D.XIII, dove viene enunciato il principio secondo cui esso va utilizzato per determinare il valore recuperabile dell’immobilizzazione materiale in alternativa al valore di realizzo. Secondo tale versione del principio il “valore in uso” è definito come “il valore attuale dei flussi di cassa attesi nel futuro derivanti o

attribuibili alla continuazione dell’utilizzo, compresi quelli derivanti dallo smobilizzo della stessa al termine della sua vita utile”, e inoltre viene

specificato che il calcolo di tale valore comporta che venga attuata una “stima dei flussi di cassa positivi e negativi” e una “definizione e

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prosieguo del paragrafo sono inoltre riportati quelli che l’organismo italiano di contabilità nel momento della redazione del principio riteneva come “elementi importanti” al fine del calcolo del valore in uso tramite l’attualizzazione dei flussi ed ovvero il tasso di interesse per gli investimenti privi di rischio (ovvero quei rendimenti che si ottengono da investimenti definiti non rischiosi come ad esempio depositi bancari o titoli di Stato), il premio per il rischio inerente l’attività (valore che varia da settore a settore e che definisce la redditività rispetto agli investimenti privi di rischio in base alle caratteristiche del mercato) ed altri aspetti come quello della liquidità del mercato di riferimento. La differenza tra le due versioni di principio che definiscono il “valore d’uso”, come viene chiamato nella proposta di nuovo documento, e il “valore in uso”, come nel principio tutt’ora valido, si ritrovano principalmente nei metodi illustrati per il calcolo che si trovano all’interno dei rispettivi paragrafi. Si nota, infatti, che nella versione aggiornata per la determinazione del valore si indica come principale l’utilizzo del metodo della capacità di ammortamento, metodo riferito alla capacità dell’immobilizzazione di generare nel futuro dei ricavi che, rapportati ai costi di competenza, indicheranno il valore della stessa. E’ inoltre chiarito che costi e ricavi devono essere quelli di produzione, salvo si tratti di un’immobilizzazione che partecipa al processo produttivo dell’attività accessoria. Oltre al metodo dell’ammortamento è previsto, a patto che il risultato sia il valore reale del bene alla data di bilancio cui si fa riferimento, anche l’utilizzo di altri sistemi per pervenire al calcolo del valore d’uso, come l’attualizzazione dei flussi di cassa netti futuri attesi. La versione precedente del principio 16, diversamente, definisce il valore in uso solamente come il valore attuale del flussi di cassa attesi nel futuro, ovviamente derivanti dall’utilizzo dell’immobilizzazione oggetto di valutazione e si concentra sul fornire alcune indicazioni circa gli indici da tenere in considerazione per pervenire ad un corretto risultato, come ad esempio il valore del tasso di interesse per gli investimenti privi di rischio ed premio per il rischio relativo al settore in cui opera la società. La

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differenza principale tra le due versioni, dunque, è che quella nuova non prevede un solo metodo di calcolo, ma ne indica un principale, mentre la versione precedente definisce come valore in uso il solo valore ottenuto tramite il metodo del valore attuale dei flussi di cassa per il quale suggerisce degli elementi chiave da tenere in considerazione per il calcolo. Considerando il metodo della capacità di ammortamento così come è definito al paragrafo 88 si nota che rispetto al principio del valore in uso calcolato sui flussi di cassa al valore attuale la differenza si fonda sui valori da considerare e sull’attualizzazione. Nel metodo dell’ammortamento, infatti, sono indicati come valori da utilizzare i ricavi ed i costi di produzione che non vanno attualizzati, mentre nel metodo del principio “precedente” è previsto l’uso di tutti i flussi di cassa attualizzati. Si ritiene che la nuova versione sia stata introdotta in considerazione del fatto che il calcolo del valore per mezzo della somma delle differenze future tra i ricavi e costi esclusivamente legati all’ambito produttivo sia più corretto poiché ha come risultato quello di ottenere il valore dell’immobilizzazione riferito al suo utilizzo come tale, gli altri eventuali movimenti che sono aggiuntivi rispetto all’ambito produttivo non sono considerati perché accessori alla funzione di immobilizzazione del bene. Oltre alla stima dei soli costi e ricavi di produzione il metodo dell’ammortamento contenuto al paragrafo 88 prevede che questi non siano attualizzati. Si ritiene che la mancata attualizzazione sia stata prevista non tanto perché errata, quanto perché spesso di difficile calcolo, difatti la presenza in certe situazioni di mercato di indici che sono risultato di una stima non permette di calcolare l’attualizzazione con un ragionevole grado di certezza. Si ritiene che quest’ultima previsione sia stata introdotta per evitare dunque l’utilizzo di attualizzazioni non corrette e quindi non rappresentative del reale valore cui il cespite deve essere valutato. Inoltre le attualizzazioni spesso non portano a risultati apprezzabilmente differenti e dunque migliori. Ad avvalorare tale tesi interviene quanto previsto dal paragrafo 89 del documento novato ove è previsto, infatti, che si possano

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