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IL FENOMENO MIGRATORIO: Migrazioni e migranti Capitolo 1

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Capitolo 1

IL FENOMENO MIGRATORIO: Migrazioni e migranti

1.1 L’umanità nomade

La storia delle migrazioni ha inizio con la storia del genere umano, nella Rift Valley, in Africa, dove per la prima volta sono comparsi l‟homo erectus e l‟homo sapiens, per poi diffondersi prima in Europa e, più tardi, in altri continenti. L‟umanità era impegnata in incessanti spostamenti per seguire le prede di cui si cibava, per scoprire nuovi territori di caccia, per fuggire da carestie e calamità. Nel mondo antico la colonizzazione greca e l‟espansione romana sono dipese dalle migrazioni, le invasioni barbariche sono state migrazioni generate dallo spostamento di altri popoli (i mongoli in Asia), i mercanti del medioevo furono protagonisti delle prime esperienze di scambi economici internazionali. La colonizzazione delle Americhe e degli altri continenti ha fatto muovere, con insediamenti spesso violenti, gli europei verso nuovi paesi creando la necessità di migliorare continuamente gli scambi (economici, di informazioni, di persone) con la madrepatria.

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Robin Cohen in una ricerca di natura storica condotta a Cambridge sul fenomeno delle migrazioni mondiali (Cohen, 1995) distingue, dall‟epoca moderna ad oggi, una serie di principali eventi migratori, il più rilevante dei quali è strettamente connesso alle colonizzazioni e consiste nella deportazione degli schiavi verso le Americhe, ed in misura minore verso l‟Oceano Indiano e il mar Mediterraneo, tra il XVIII e il XIX secolo: fenomeno che ha costretto a spostarsi da 12 a 15 milioni di persone e che continua ad avere un‟eco tra i discendenti afro-americani degli schiavi. Contemporaneamente dall‟Europa i cittadini delle grandi potenze mercantili si spostavano nei Nuovi Mondi inizialmente stimolati dagli stati (specialmente operai, contadini, disertori, detenuti, orfani) poi sempre più autonomamente alla ricerca di “fortuna”.

Ulteriori ondate migratorie si sono registrate:

- tra il 1850 ed il 1930 verso gli Stati Uniti, che stavano assurgendo al ruolo di potenza industriale mondiale: si calcola che 12 milioni di persone provenienti dall‟Europa settentrionale, meridionale e orientale sbarcarono in quegli anni a New York; più di 13 milioni di italiani si spostarono dall‟Italia verso le Americhe ed i paesi europei più avanzati (Francia, Germania, Svizzera);

- dopo la 2° guerra mondiale fino agli anni ‟70 verso Europa (dal ‟74 ci fu un blocco ufficiale delle frontiere in seguito allo shock petrolifero) e fino agli anni ‟90 verso NordAmerica e Australia, che necessitavano di manodopera immigrata per mantenere e cavalcare il boom economico;

- negli ultimi venti anni verso l‟Asia, nuovo motore dell‟economia globale.

Le migrazioni internazionali non sono quindi un fenomeno nuovo e “sono associate in genere ad importanti eventi o problemi globali: espansione economica, processo di costruzione delle nazioni, trasformazioni politiche ma anche conflitti, persecuzioni, espropri” (Koser, 2009:15).

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1.2 I migranti: chi sono, quanti sono, le tendenze attuali

Non è senz‟altro agevole definire chi siano gli immigrati: proprio il breve excursus storico precedente dimostra come siano eterogenei e fluidi i processi etichettabili come migrazioni. La base di partenza può comunque essere ripresa dalla proposta delle Nazioni Unite che definisce migrante “una persona che si è

spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno”, anche se questa proposta non tiene conto delle

migrazioni interne, di chi si sposta per meno di un anno (ad esempio i lavoratori stagionali), delle diverse visioni giuridiche di chi siano immigrati e chi cittadini (spesso i figli di immigrati, pur essendo nati e cresciuti nel paese di trasferimento dei genitori, sono considerati stranieri).

Con le migrazioni contemporanee avviene poi il superamento dell‟identificazione del migrante con una sola figura sociale: il lavoratore straniero, maschio, solo, poco qualificato. Oggi gli immigrati per lavoro “non sono più soltanto maschi, non sono necessariamente poco istruiti e privi di esperienze professionali” (Ambrosini, 2005:20), possono spostarsi solamente per alcuni periodi (stagionali o a contratto) e diventare anche imprenditori (imprenditorialità etnica) dopo essere arrivati per altre ragioni (in genere lavoro dipendente).

A fianco dei lavoratori stranieri ci sono i familiari al seguito, il cui arrivo è stato facilitato dall‟ampliamento della disciplina dei ricongiungimenti familiari: “donne e bambini tendono a normalizzare il profilo anagrafico dei migranti rendendolo più simile alla popolazione nativa” (Ambrosini, 2005:21). Si parla così dei migranti di “seconda generazione” per i figli degli immigrati nati nel paese ricevente o ricongiunti da piccoli. Per i figli nati nel paese ospitante Ambrosini parla di “migranti senza migrazione” (2005:23) verso i quali però le legislazioni nazionali non hanno un atteggiamento univoco: in alcuni casi sono considerati cittadini, in altri potranno diventarlo richiedendo la cittadinanza una

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volta raggiunta la maggiore età, in altri ancora sono stranieri. In questo senso “non è possibile pensare alla pratica della cittadinanza senza confrontarsi con il tema delle migrazioni internazionali: la relazione infatti tra immigrazione e cittadinanza sta al cuore di molte delle tensioni venute alla luce degli ultimi anni. […] I confini della comunità politica, per come essi erano definiti all‟interno dello Stato-Nazione, non sono più in grado di dare adeguatamente forma all‟appartenenza” (Zanfrini, 2007:14).

Sempre maggiore negli ultimi decenni è poi la componente dei rifugiati e dei richiedenti asilo, che in genere si trovano nei paesi confinanti con il proprio dal quale sono fuggiti. In base alla Convenzione delle Nazioni Unite (Ginevra, 1951) il rifugiato è definito come una persona che risiede al di fuori del suo paese di origine, che non può o non vuole ritornare a causa di un “ben fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, opinione politica” (art. 1). Il richiedente asilo è una persona che si sposta attraverso le frontiere in cerca di protezione ma che non rientra nei criteri della Convenzione di Ginevra in quanto non in grado di dimostrare di essere il bersaglio di una persecuzione esplicita.

Castles (2000) tende a parlare in questi casi di “migrazioni forzate”, aggiungendo anche chi deve trasferirsi per effetto di catastrofi naturali o progetti di sviluppo (es. costruzione di strade o dighe) che sconvolgono l‟ambiente di vita privando le persone dei mezzi di sussistenza.

La regolazione sempre più stringente degli ingressi nei paesi sviluppati ha poi formato le figure dei migranti irregolari, dei clandestini e delle vittime dei traffici di essere umani. Nel nostro paese “il gruppo dei clandestini è costituito da stranieri che hanno varcato illegalmente i confini dello stato e sono rimasti nel sommerso fino al momento della regolarizzazione; il gruppo degli irregolari è invece formato da individui che erano già in possesso di un permesso di soggiorno, ma che si sono trattenuti in Italia oltre il periodo autorizzato” (Colombo e Sciortino, 2002: 60).

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In realtà l‟analisi sociologica è piuttosto cauta nella distinzione tra immigrazione regolare e irregolare perché è creata appunto dai dispositivi di regolazione dell‟immigrazione istituiti dagli stati ospitanti. “L‟immigrazione regolare infatti può essere considerata in un certo senso un prodotto della regolazione normativa, che incasella e tratta diversamente i vari soggetti migranti, inquadrandone alcuni come regolari e lavoratori, altri come regolari ma non autorizzati al lavoro, altri ancora come irregolari bensì in vario modo inseriti nei sistemi economici dei paesi riceventi” (Ambrosini, 2005:49).

Infine vi sono i migranti di ritorno, cioè “coloro che rientrano nel paese di origine dopo aver trascorso un periodo della loro vita in un altro paese” (Ambrosini, 2005:24). Considerato positivamente sia dai paesi ospitanti (a volte attivamente promosso come nel caso recente di Pisa con i rom ed i senegalesi) sia dai paesi di origine per l‟apporto di capitali, esperienza e competenze professionali, in realtà è “un processo difficile dal punto di vista psicosociale perché spesso si tratta di una nuova immigrazione, con tutti i disagi, le frustrazioni e le difficoltà di adattamento che comporta” (Ambrosini, 2005:24).

La difficoltà nel definire chi sia il migrante produce anche la difficoltà nel quantificare il fenomeno delle migrazioni. Abbiamo riportato nell‟introduzione alcuni dati dell‟IOM e riprendendo anche gli studi dell‟ONU1

possiamo affermare che una persona ogni 35 sarebbe un migrante. E‟ per questo che Castles e Miller (1993) parlano di “era delle migrazioni” (age of migration) per identificare la fine del secolo scorso: le conseguenze delle migrazioni si estendono ben al di là di coloro che ne sono i protagonisti, “sia nei paesi industrializzati sia in quelli meno sviluppati sono poche le persone che non hanno esperienza diretta delle migrazioni e dei loro effetti” (Castles e Miller, 1993:4).

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Fonte: UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), “World Economic and Social Survey: International Migration”, New York, 2004.

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Come afferma Koser (2009:16-17) “la maggior parte dei migranti vive oggi nei paesi industrializzati, la migrazione dal Sud al Nord del mondo è aumentata in modo più che proporzionale rispetto alle migrazioni globali, anche se rimangono rilevanti gli spostamenti a livello intraregionale che coinvolgono spesso rifugiati e richiedenti asilo”.

Rispetto alle migrazioni in età moderna e contemporanea, gli spostamenti nell‟odierna ”era delle migrazioni” sono segnati da alcune tendenze rilevanti che si possono dedurre dagli studi di Castles e Miller (1993), Ambrosini (2005:27-28) e Koser (2009:17-19):

1. La rapida crescita della percentuale delle donne sul totale dei migranti, arrivate al 50%, sempre secondo i documenti dei dipartimenti specifici dell‟ONU, nel 2004, e sempre più protagoniste di migrazioni indipendenti piuttosto che orientate al ricongiungimento con i mariti precedentemente emigrati: questo anche per la domanda selettiva di lavoro nei paesi più sviluppati (servizi e sanità su tutto).

2. La distinzione tra paesi di origine, di transito e di destinazione è sempre più sfumata: ogni paese in genere ricopre tutti e tre i ruoli e il bacino del Mediterraneo incarna al meglio questa affermazione. L‟Europa Meridionale si è trasformata, in 20 anni, da regione di emigrazione a regione di immigrazione, sempre meno europei si spostano verso l‟Europa del Nord e sempre più nordafricani giungono nei paesi del Sud Europa; il Nord Africa è sempre più regione di transito e destinazione piuttosto che di origine di migrazioni. “Si può parlare quindi di una “globalizzazione delle migrazioni” che accentua l‟eterogeneità linguistica, etnica, culturale e religiosa dei migranti con la quale si devono misurare le società che accolgono” (Ambrosini, 2005:27).

3. Le migrazioni temporanee hanno assunto un peso più rilevante rispetto alle migrazioni degli ultimi due secoli perché sono un fenomeno in crescita in tutte le principali zone di destinazione e nel quale sono mutati e

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differenziati i progetti migratori personali da permanenti a temporanei: “anche chi trascorre la maggior parte della propria esistenza all‟estero conserva il sogno di tornare al paese di origine, soggiornare all‟estero significa sempre di più circolare tra il paese di origine e quello di destinazione e ciò è incoraggiato dalle rivoluzioni dei trasporti e delle comunicazioni, chi si trasferisce per una motivazione precisa la può mutare in poco tempo spostandosi fra le “categorie” del lavoro, della famiglia, del rifugio politico, dello studio, ecc. Questa differenziazione complica la regolazione politica del fenomeno che tende invece ad intervenire su categorie definite” (Ambrosini, 2005:27). Su questa ultima sempre più diffusa tendenza della fluidità delle migrazioni si innestano gli studi transnazionali, nell‟ambito sociologico, degli spostamenti migratori internazionali.

1.3 Gli attori in gioco e le cause delle migrazioni

Per interpretare ed approfondire il fenomeno delle migrazioni è necessario considerarle come “costruzioni sociali complesse in cui agiscono tre principali attori:

1. Le società di origine, con le loro capacità di offrire benessere, libertà e diritti ai propri cittadini e con politiche più o meno favorevoli all‟espatrio per ragioni di lavoro di parte della popolazione;

2. I migranti attuali e potenziali, con le loro aspirazioni, progetti e legami sociali;

3. Le società riceventi, sotto il duplice profilo della domanda di lavoro di importazione e delle modalità di accoglienza, istituzionale e non, dei nuovi arrivati” (Ambrosini, 2005:18).

Sono attori che le varie spiegazioni sociologiche delle cause che generano le migrazioni rendono di volta in volta protagonisti.

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Le spiegazione macro-sociologiche “connettono i fenomeni migratori alle grandi cause strutturali operanti a livello mondiale ed in particolare ai paesi di provenienza (fame, povertà, mancanza di lavoro, guerre, carestie, ecc)” (Ambrosini, 2005:34-35).

 Negli studi demografici si parla così di fattori di spinta (push factors) e fattori di attrazione (pull factors) come cause delle migrazioni: oggi prevarrebbero i fattori di spinta operanti nei luoghi di origine che creano una “pressione migratoria” su molti individui costretti a trasferirsi.

 Nelle teorie neomarxiste della dipendenza (Amin) le migrazioni nascono dalle disuguaglianze geografiche nei processi di sviluppo accresciute da relazioni neocoloniali e rapporti di scambio ineguali, dei quali il brain drain (il drenaggio dei soggetti più istruiti e attivi da parte dei luoghi di destinazione) è un elemento che accresce il divario tra i paesi.

 Nella teoria del Sistema Mondo di Wallerstein, la globalizzazione delle comunicazioni e degli scambi ha incrementato i legami tra le diverse aree del pianeta distinte però in maniera sempre più evidente tra paesi del centro, della periferia e della semiperiferia (i paesi non sviluppati).

 Nella teoria sistemica delle migrazioni (Kritz, Lim e Zlotnik) si afferma che queste ultime sono soltanto una delle componenti dei sistemi di legami che pongono in relazione paesi diversi e andrebbero sempre analizzate nel contesto complessivo in cui sono collocate.

 Nella teoria della domanda invece alcuni studiosi (Piore; Harris; Sassen) pongono l‟attenzione sull‟attrazione, sui pull factors, che esercitano i sistemi socio economici e le economie urbane delle società riceventi sui lavoratori provenienti dai paesi poveri, in genere dediti ad attività faticose, umili e poco retribuite.

In generale le spiegazioni macro-sociologiche (o strutturaliste) considerano quindi le migrazioni come un processo strutturale, attivato da forze che soverchiano le scelte individuali: per questo motivo vengono criticate in quanto considerano i migranti come soggetti passivi e sottodimensionano la regolazione

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stringente degli ingressi legali e il ruolo delle politiche di ammissioni dei paesi di destinazione (Ambrosini, 2005:39).

Le spiegazione micro-sociologiche invece tendono a spiegare i fenomeni migratori a partire dal livello micro delle decisioni individuali: “il presupposto è quindi che l‟attore – migrante sia in grado di compiere scelte razionali sulla base di una gerarchia di preferenze” (Faist, 1997:189) che in genere misurano il confronto tra il guadagno che il proprio lavoro può offrire nel paese di origine e quello conseguibile trasferendosi in un altro paese. “Il fattore fondamentale diventa la valutazione di un aumento di redditività del capitale umano posseduto con il trasferimento all‟estero” (Ambrosini, 2005:40). Le critiche a queste spiegazioni mettono in luce che le teorie, derivanti dagli studi economici neoclassici, danno estremo risalto alla dimensione economica considerando i migranti quasi esclusivamente come lavoratori.

La Nuova Economia delle Migrazioni (New Economics of Migration) di Stark tenta di affrontare alcuni punti deboli delle spiegazioni microsociologiche tentando di ricostruire scenari più complessi considerando la scelta migratoria come una opzione familiare più che una scelta individuale. Inviare e sostenere un figlio o un fratello in un paese straniero significa investire in attesa di rimesse per avviare attività economiche in patria, acquistare proprietà, far proseguire gli studi ai più giovani.

Gli studi sociologici sulle migrazioni degli ultimi 20 anni hanno evidenziato l‟importanza di superare i limiti delle due tipologie di spiegazioni macro e micro del fenomeno tentando di fornire proposte che si collocano su un livello

intermedio ma fondamentale, il già accennato “crucial meso-level” di Faist

(1997).

Fra queste spiegazioni hanno assunto particolare risalto:

- La teoria dei Network, in cui le migrazioni sono viste come un effetto dell‟azione delle reti di relazioni interpersonali tra immigrati e potenziali

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migranti. Partendo da uno spunto del primo studioso del fenomeno migratorio (Ravenstein a fine ottocento) che parlava di “migrazioni a catena”, i teorici dei network hanno cominciato a considerare i vari aggregati sociali che scaturiscono dai “complessi legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso i vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine” (Massey, 1988:396). Il ruolo delle reti è stato ripreso sia dalle teorie macro che dalle teorie micro, le relazioni sociali scavalcano le distanze, “le migrazioni sono incorporate in legami sociali che attraversano lo spazio e il tempo, che sorgono, crescono e declinano: le relazioni sociali influenzano quindi le scelte “economiche” individuali ma anche i processi di inserimento nella società ospitante” (Ambrosini: 2005:43-44).

- L‟approccio Transnazionale, che tende a porre l‟accento sui processi mediante i quali gli immigrati costruiscono relazioni sociali composite che connettono le società di origine e quelle di insediamento. I migranti costruiscono “campi sociali” attraverso le frontiere nazionali (Basch e altri, 1994) e sono influenzati e stimolati in questo dalle attuali fluide condizioni del capitalismo globale: “il migrante diventa un protagonista ricco di iniziativa e può diventare promotore di mutamenti economici, culturali e sociali su entrambe le sponde del suo percorso migratorio” (Ambrosini, 2005:45). Sarà proprio questo approccio nelle sue diverse specificità ad essere approfondito nel prossimo capitolo, nel quale saranno evidenziate anche le critiche agli aspetti teorici e pratici del transnazionalismo.

Concludendo, sembra che ogni teoria fornita dagli studiosi delle migrazioni per spiegare le cause del fenomeno vada a toccare aspetti significativi e pregnanti del fenomeno stesso: per questo motivo oggi si afferma che per “spiegare

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adeguatamente le migrazioni, sia necessario adottare un approccio multicasuale” (Ambrosini, 2005:50).

Una spiegazione soddisfacente delle cause delle migrazioni deve infatti tenere conto di un intreccio di fattori che ogni teoria ha posto in qualche modo in luce: le condizioni generali economiche ed occupazionali, i legami (politici, economici, culturali) che connettono i diversi paesi, la domanda di lavoro flessibile e a basso costo nei luoghi di destinazione, le scelte individuali e familiari dei migranti, le relazioni di parentela e di mutuo aiuto che connettono luoghi di partenza e di destinazione, le istituzioni sociali che si interessano al fenomeno (sindacati, istituzioni ecclesiali, associazioni), la regolazione nazionale e internazionale dei flussi migratori che plasma differenti libertà di movimento per i diversi paesi coinvolti.

Lo stesso approccio transnazionale non diventa un paradigma alternativo ma “una chiave di lettura complementare ad altre, utile a mettere in risalto attributi e pratiche sociali presenti, sia pure in misura diversa, in gran parte dei flussi migratori internazionali” (Boccagni, 2007:125).

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Capitolo 2

L’APPROCCIO TRANSNAZIONALE

2.1 Che cosa è il transnazionalismo

Il concetto di transnazionalismo è stato formulato per la prima volta nei primi anni ‟90 in ambito antropologico come alternativa agli approcci che avevano dominato gli studi migratori negli anni ‟70 e ‟80 e che vedevano i migranti come migranti per lavoro e con un grado di integrazione stimato esclusivamente in relazione alla partecipazione nel mercato del lavoro (homo economicus), nei servizi sociali e nei servizi educativi. Con il transnazionalismo si afferma l‟idea di una migrazione con un flusso bi-direzionale e continuo “attraverso il quale i migranti costruiscono campi sociali che legano insieme il paese d‟origine con quello di insediamento” (Glick Schiller, Basch e Blanc-Szanton, 1992:1). La comunicazione su lunghe distanze è stata resa possibile con maggior frequenza, velocità e regolarità di quanto non lo fosse nel passato grazie alla diffusione di tecnologie satellitari, computer, collegamenti aerei a basso costo facilitando quindi nuove forme di mobilità umana (Vertovec, 2001).

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Il transnazionalismo pone così al centro i legami, gli spostamenti e le attività che connettono i migranti con i luoghi di origine e a volte anche con altri approdi dei movimenti di persone e famiglie: di conseguenza gli studi si spostano dalla partecipazione dei migranti alla società di accoglienza (misurazione del livello di integrazione) alle istituzioni, alle pratiche sociali, alle attività economiche e alle identità culturali che i migranti creano essendo contemporaneamente coinvolti in due o più paesi. Ed è proprio in questa ottica che è stata condotta l‟indagine sugli studenti stranieri iscritti ai corsi dell‟Università di Pisa.

Nelle varie definizioni del concetto di transnazionalismo gli studiosi tendono ad evidenziare alcuni aspetti rispetto ad altri a seconda del campo disciplinare di appartenenza.

Le antropologhe Basch, Glick Schiller e Blanc Szanton definiscono, nel loro studio del 1994, il transnazionalismo come “un insieme di processi nei quali gli immigrati forgiano e sostengono relazioni sociali stratificate che collegano le società di origine con quelle di insediamento”.

Il sociologo Vertovec sottolinea invece l‟importanza delle persone all‟interno delle reti e focalizza l‟attenzione su “i legami multipli e le interazioni che tengono legate le persone o le istituzioni attraverso i confini dello stato nazionale” (1999).

Secondo una prospettiva socio economica invece Portes, Guarnizo e Landolt, nello studio del 1999, delimitano il concetto di transnazionalismo alle occupazioni e alle attività che richiedono relazioni protratte nel tempo attraverso i confini nazionali.

2.2

Alcuni concetti chiave: network, capitale sociale, embeddedness

La prospettiva transnazionale come approccio di studio al fenomeno migratorio poggia le proprie basi sull‟importanza data alle reti di relazione nei trasferimenti individuali delle persone, alla teoria dei Network di cui abbiamo accennato prima (1.3).

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Oggi più che mai gli studi sulle migrazioni non possono prescindere dall‟analisi delle reti dei migranti: chi si sposta verso un nuovo paese arriva presso familiari o amici, che spesso gli hanno mandato il biglietto della nave o dell‟aereo o comunque hanno fornito preziose indicazioni sui mezzi più economici e che in genere lo ospitano finché non trova un lavoro o una nuova sistemazione. La rete costituisce un punto fermo nel progetto migratorio di ogni individuo: porre attenzione alle reti è una soluzione di analisi delle migrazioni intese come un processo sociale a lungo termine, dotato di proprie dinamiche intrinseche.

Nelle reti si inseriscono sia le decisioni individuali di emigrare e di trasferirsi, il self interest di ognuno, sia i fenomeni strutturali, propulsivi e attrattivi, che provocano gli spostamenti della popolazione (povertà, sovrappopolamento, domanda di manodopera) innestandosi nel livello mediano cruciale degli studi qasulle migrazioni e qualificando il fenomeno migratorio come un fenomeno sociale piuttosto che prettamente economico.

Come indicato da Ambrosini (2008:18), le reti di relazioni sociali danno vita anche ad effetti di retroazione delle migrazioni nel contesto di origine: dalle rimesse ai ritorni periodici, dalle migrazioni temporanee a processi di sviluppo locale e a mutamenti culturali nei non migranti. Il network quindi approfondisce la teoria della “catena migratoria” degli anni „60 (richiamo di nuovi soggetti verso le destinazioni da parte dei congiunti che diventavano teste di ponte) abbracciando un più ampio arco di fenomeni sociali e reinventando l‟identità etnica nelle società ospitanti con iniziativa autonoma e protagonismo dei migranti (agency).

Per un approfondimento sulla differenziazione delle reti migratorie e sull‟influenza su alcuni fenomeni caratteristici delle migrazioni – immigrazione irregolare, circuiti illegali, economie etniche, seconde generazioni – si veda Ambrosini, 2008, pp. 22-41.

L‟appartenere ad una rete migratoria incrementa il Capitale Sociale individuale, altro concetto chiave per gli studi transnazionali, e definito come “la capacità

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degli individui di beneficiare di risorse di vario genere in virtù della loro appartenenza a reti di rapporti interpersonali (per le migrazioni a base etnica) o strutture sociali più ampie” (Ambrosini, 2008:20). Le risorse che fluiscono dai network si rendono disponibili agli individui sotto forma di informazioni, accreditamento, legami fiduciari, protezione, risorse materiali di vario genere e il capitale sociale può così trasformarsi in capitale economico-finanziario (ad esempio prestiti e crediti) o umano (ad esempio ottenimento di un lavoro dipeso dalla rete di conoscenze). In queste accezioni il capitale sociale diventa “etnico”: “è utilizzabile e dipende dall‟esistenza di una comunità etnica insediata nella società ricevente o di un network transazionale” (Ambrosini, 2008:20).

Anche il concetto di embeddedness (incorporazione, incastonamento, radicamento) ideato da Polanyi è stato ripreso e approfondito nelle teorie delle reti migratorie per sostenere che “l‟azione degli individui è socialmente situata, non si riferisce ad attori atomizzati e non può essere spiegata interamente in base a motivazioni individuali: l‟embeddedness diventa lo spazio entro cui le azioni vengono assunte, delimitando le opzioni possibili e modellando le azioni stesse” (Ambrosini: 2008:20).

Con i concetti di network, capitale sociale ed embeddedness applicati ai migration studies, i migranti diventano attori sociali capaci di scelte e strategie influenzate però da reti, contesti sociali e spazi che ne strutturano la visione della realtà e delle opportunità che questa offre, guidando le successive azioni e decisioni.

Con la prospettiva transnazionale le reti diventano operative non solo all‟interno della società ricevente, ma tra le due sponde delle migrazioni con l‟avvento di una nuova figura sociale, il “transmigrante” (Glick Schiller, Basch e Szanton-Blanc, 1992), “caratterizzata dalla partecipazione simultanea ad entrambi i poli del movimento migratorio e dal frequente pendolarismo tra di essi” (Ambrosini, 2008:45).

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2.3 All’interno della prospettiva transnazionale

Studiosi come Vertovec (2004) e Kivisto (2001) hanno proposto delle mappe concettuali del transnazionalismo utili a identificare e descrivere il fenomeno: in generale si può riproporre, per analizzare la prospettiva transnazionale, una evoluzione del concetto che segue anche la cronologia degli studi realizzati.

Da essere un primo approccio analitico per la comprensione delle migrazioni contemporanee (con gli studi nei primi anni ‟90 delle antropologhe già citate Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc), il transnazionalismo è divenuto, con gli studi di Portes e dei suoi collaboratori (seconda metà degli anni ‟90), una teoria che distingue le attività transnazionali all‟interno del generale fenomeno migratorio per intensità e persistenza nel tempo delle relazioni sociali attraverso le frontiere, i cui attori sono gli individui e le reti sociali (piuttosto che comunità locali o governi dei paesi di provenienza). In questo caso si realizza un transazionalismo dal basso, una “globalizzazione dal basso”, come la chiama Portes, che si contrappone alla tendenza della “downward assimilation”, ossia l‟assimilazione verso il basso, che si concretizza spesso con le seconde generazioni di migranti che si “spostano o sono costretti a spostarsi” nei ghetti urbani, in ambienti sociali deprivati e caratterizzati da una cultura oppositiva verso le istituzioni e verso i modelli normativi della società ricevente (per “globalizzazione dal basso e downward assimilation”, Portes, 1998b).

Una ulteriore versione del concetto di transnazionalismo è quella proposta da Thomas Faist che parla, in uno studio del 2000 (Faist, 2000) di “spazi sociali

transnazionali”, che possono essere di 3 tipi: i gruppi di parentela, i circuiti

transnazionali e le comunità transnazionali. “I sistemi migratori quindi sono visti come processi che rompono i confini creando nuovi spazi sociali dove, oltre alle persone, circolano idee, simboli e culture” (Ambrosini, 2008:48).

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Le tre versioni appena accennate del concetto di transnazionalismo, pur nelle singole peculiarità, portano avanti delle novità rispetto agli studi precedenti sui fenomeni migratori, introducendo sia l‟attenzione alla bi-direzionalità degli scambi e dei flussi, alla “bifocalità delle pratiche della vita quotidiana” (Vertovec, 2004), al “qui e là” come aspetti complementari di un unico spazio di esperienza, sia inserendo i network nel complesso dei legami che mettono in contatto paesi diversi (Ambrosini, 2008:49).

Portes, Guarnizo e Landolt (1999) distinguono tre settori di attività transnazionali:

1. Il settore economico, rappresentato dalle iniziative di imprenditori transnazionali che mobilitano i loro contatti attraverso le frontiere alla ricerca di mercati, fornitori e capitali;

2. Il settore politico, in cui si situa l‟azione di attivisti di partito, funzionari governativi, leader comunitari, il cui principale obiettivo consiste nel conseguimento di potere politico e di influenza nel paese di origine o in quello ospitante;

3. Il settore socioculturale che rappresenta una categoria più diversificata, che spazia dal rafforzamento dell‟identità nazionale all‟estero fino alla produzione e/o fruizione di eventi e prodotti culturali che richiamano i luoghi di origine.

Ognuno dei settori è articolato poi in espressioni diverse, a seconda del grado di istituzionalizzazione, che qui di seguito riportiamo nella forma proposta dai tre studiosi:

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27 Fonte: Portes, Guarnizo e Landolt (1999)

Come affermato da Ambrosini (2008:51), questa esemplificazione così dettagliata rischia di tralasciare elementi e aspetti che da altri punti di vista risultano rilevanti come ad esempio le rimesse nel transnazionalismo economico, ma si tratta comunque di “uno sforzo di identificazione e classificazione dei vari tipi di attività transnazionali, inerenti in particolare il fenomeno migratorio negli Stati Uniti, utile a porre dei punti fermi dai quali far ripartire l‟analisi del transnazionalismo”.

2.4 Il transnazionalismo economico

In campo economico i fenomeni maggiormente studiati sono costituiti dalle rimesse e dalle attività economiche promosse dai migranti e basate sulle connessioni tra paesi di origine e di insediamento. Le rimesse sono state definite come “la più citata e tangibile evidenza, e il metro di misura dei legami che connettono i migranti con le loro società di provenienza” (Guarnizo, 2003:666).

Livelli di

istituzionaliz-zazione

Settori

Economico Politico SocioCulturale

Basso

Commercianti informali operanti attraverso le frontiere

Comitati civici hometown creati da immigrati

Incontri sportivi amatoriali

internazionali Piccole imprese create

da immigrati ritornati nei paesi di origine

Alleanze dei comitati degli immigrati con associazioni politiche del paese di provenienza

Gruppi musicali folk che si esibiscono nei centri

dell‟immigrazione Migrazioni per lavoro

circolari sulle lunghe distanze

Raccolte di fondi per i candidati alle elezioni nella madrepatria Religiosi della madrepatria che visitano e organizzano i fedeli all‟estero Alto Investimenti delle imprese multinazionali in paesi del Terzo Mondo

Ufficiali consolari e rappresentanze all‟estero dei partiti politici nazionali

Esposizioni

internazionali di arti nazionali

Sviluppo di destinazioni estere per il turismo internazionale

Doppia nazionalità offerta dai governi della madrepatria

Artisti illustri della madrepatria che si esibiscono all‟estero Agenzie di banche del

paese di origine nei centri

dell‟immigrazione

Immigrati eletti nei parlamenti della madrepatria

Eventi culturali regolari organizzati dalle ambasciate straniere

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Queste risorse sono diventate per i paesi in via di sviluppo, come indagato negli studi sui paesi del Centro America da Vertovec (2004), una fonte di reddito molto più importante della solidarietà internazionale ufficiale ed hanno in particolare due aspetti rilevanti: “sono impiegate per migliorare alimentazione, educazione, abitazione e cure mediche dei familiari nei luoghi di origine (a volte anche per investire) e consentono di mantenere vivi i rapporti tra chi è partito e chi resta, rendendo durevoli i legami tra le due sponde dell‟emigrazione (ritorni provvisori o definitivi, scambi di informazioni, influenze culturali)” (Ambrosini, 2008:52).

L‟approccio transnazionale tende però a concentrare l‟attenzione degli studi sulle attività imprenditoriali che scavalcano le frontiere, sulle attività economiche generate dalla domanda di servizi agli emigrati (agenzie di viaggi, internet point, imprese di trasporti), dal proliferare di negozi che vendono cibi etnici, giornali e libri, prodotto musicali dei paesi di origine. Portes, Haller e Guarnizo evidenziano, dai loro studi sugli immigrati latini negli Stati Uniti (2002), che l‟inserimento in reti sociali, locali ed extralocali, aumenta la partecipazione ad attività transnazionali: il Capitale Sociale individuale è quindi fondamentale, come pure l‟integrazione nella società ricevente, per stimolare imprese transfrontaliere. Guarnizo (2003:677) afferma che “l‟imprenditoria transnazionale non è un‟attività effimera intrapresa da migranti individuali isolati e inclini al rischio, ma piuttosto un tentativo durevole, incorporato in campi sociali di solidarietà, reciprocità e obbligazione che scavalcano i confini nazionali”

Il migrante appare sempre più come un attore dinamico e mobile, inserito in reti sociali in grado di sostenerne i percorsi, non rassegnato all‟esclusione o alla marginalità (alla downward assimilation) ma orientato all‟auto-impiego (Amborosini, 2008:55). L‟esempio dei migranti senegalesi aderenti alla confraternita muride è evidente nel nostro paese: i migranti muridi lasciano la

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famiglia nella madrepatria con cui intrattengono rapporti economici, sociali e religiosi, persistenti nel tempo e nonostante le distanze, grazie ad un peculiare intreccio di appartenenza religiosa, organizzazione comunitaria, solidarietà interna, strategie commerciali, canali di approvvigionamento della merce, pratiche di resistenza all‟esclusione sociale. Questo specifico argomento è stato affrontato, dal 1997 in maniera sempre più sistematica ed approfondita, dallo studioso Bruno Riccio (vedi riferimenti bibliografici).

Ambrosini (2008:57-60 e 2009a) propone un tentativo di individuazione delle tipologie delle pratiche commerciali transnazionali. Infatti parla di:

- Transnazionalismo circolatorio, nel caso in cui le attività comportano uno spostamento fisico frequente attraverso i confini, con viaggi ripetuti tra madrepatria e luoghi di insediamento (corrieri, ma anche migranti che viaggiano con intensa frequenza tra i due poli del movimento migratorio). - Transnazionalismo connettivo, nel quale non si spostano fisicamente gli

operatori ma viaggiano il denaro o messaggi comunicativi, che consentono di mantenere i legami e di dare un senso alla bi-focalità delle appartenenze. Vengono trasmesse anche ciò che Levitt (2001) definisce le “rimesse sociali”, ossia idee, pratiche sociali, riferimenti identitari, che contribuiscono a diffondere nuovi modelli e pratiche di consumo, influenzati dalle società riceventi.

- Transnazionalismo mercantile, che passa attraverso le merci comprate e vendute. Si tratta, nei paesi riceventi, di prodotti richiesti dagli immigrati per sentirsi meno lontani da casa ma anche dagli autoctoni incuriositi dall‟inusuale e desiderosi di suggestioni; mentre nei paesi di origine si torna a vendere cibi, liquori, attrezzature, in genere merci irreperibili o comunque costose.

- Transnazionalismo simbolico, che non importa merci, o comunque lo fa solo in modo accessorio, per ricostruire atmosfere, ambienti, significati come sale da tè, scuole di ballo, centro di meditazione, bagni turchi, ecc

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2.5 Il transnazionalismo politico

I settori del transnazionalismo sono comunque strettamente connessi nelle varie attività che li caratterizzano e che i migranti praticano quotidianamente: ad esempio la raccolta e la trasmissione di fondi per scopi sociali – aspetto economico – si sovrappone alla formazione di associazioni, al mantenere rapporti con le istituzioni locali e al tentativo di influenzare gli equilibri di potere – aspetti politici (Ambrosini, 2008:61).

Il settore politico è divenuto particolarmente interessante in quanto sta acquisendo spazi importanti anche in paesi di recente immigrazione come il nostro, dove comincia ad essere indagato nelle rappresentazioni che lo caratterizzano.

Tra gli aspetti più significativi vi è la costituzione di associazioni per il sostegno dello sviluppo delle comunità di provenienza, grazie alle quali i migranti continuano a svolgere un ruolo attivo nei luoghi di origine ed esercitano un‟influenza sui poteri locali. Il caso della crescita delle hometown associations negli Stati Uniti, studiato da Vertovec (2004), è significativo e dimostra chiaramente l‟istituzionalizzazione dei legami transnazionali: ad esempio nella città di Chicago i club messicani, che inviano denaro verso specifiche località del paese di origine, sono passati da 35 nel 1995 a 181 nel 2002.

In Italia la ricerca di COOPI-CeSPI del 2006 sul “Rafforzamento del capitale sociale nell‟ambito del fenomeno migratorio senegalese”, analizzando i casi di città come Torino (Castagnone, 2006), Milano (Mezzetti, 2006), Brescia (Ceschi, 2006b) e Bergamo (Riccio, 2006), va ad individuare la presenza di associazioni di migranti senegalesi e la promozione di attività sociali rivolte ai connazionali in Italia e al paese di origine. Nelle conclusioni finali dell‟indagine (Stocchiero, 2006) viene evidenziata l‟importanza del Capitale Sociale che è alla base delle

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iniziative spontanee di sviluppo comunitario sostenute dai migranti senegalesi in termini di associazionismo, con presenza di molte realtà associative catalogabili per appartenenza geografica (comune provenienza e/o comune destinazione), appartenenza etnica (ad esempio per la componente fulbè), appartenenza religiosa (una su tutte la confraternite muride). Come afferma Stocchiero (2006: 21-24), “il forte capitale sociale individuale e comunitario stimola una significativa capacità di relazionarsi con il contesto di approdo come con quello di origine, facilitando il percorso di integrazione […]: un livello di integrazione più dignitosa consente poi di dedicare maggiori capacità e risorse allo sviluppo delle comunità di origine”.

Dalla diffusione delle associazioni di immigrati (a fianco dell‟entità delle rimesse verso la madrepatria) è scaturita la visione secondo la quale “l‟attività di aggregazioni con finalità civiche, filantropiche, culturali e politiche può influire sulle prospettive di sviluppo delle località e regioni di provenienza attraendo l‟attenzione dei paesi di origine e di destinazione” (Portes, Escobar, Radford, 2007:276). La prospettiva del co-sviluppo è divenuta così oggetto di studio e di specifiche attività di promozione da parte dei governi nazionali, delle istituzioni comunitarie (UE), delle ONG, delle associazioni di migranti con la consapevolezza della relazione stretta tra mobilità delle persone e sviluppo socio-economico e della necessità di “valorizzare il ruolo dei migranti stessi, come agenti primari, essenziali e privilegiati” (Pastore, 2006:3).

Come ben evidenziato da Stocchiero in un recente Working Paper del CeSPI dal titolo “Sei personaggi in cerca d‟autore. Il Co-sviluppo in Italia: pratiche senza politica” (Stocchiero, 2009), in Italia in realtà non esiste una politica specifica per il co-sviluppo. L‟autore afferma che questa pratica viene evocata solo in relazione agli interessi nazionali per la gestione di flussi di migranti per il mercato del lavoro e l‟internazionalizzazione dell‟economia, per l‟utilizzo di misure di sostegno al rimpatrio volontario e forzato, per la condivisione dei costi

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del controllo dei flussi alle frontiere piuttosto che per l‟attivazione di coerenti politiche di cooperazione, imprenditoria, welfare.

Dagli studi pratici come l‟approfondita ricerca del CeSPI appena sopra citata, emerge che le iniziative di aggregazione con finalità civiche e sociali a carattere transnazionale assumono un rilievo significativo soltanto dopo che i primi stadi del processo di inserimento nella società ospitante sono stati superati con successo, mentre i nuovi arrivati sono concentrati soprattutto nello sforzo di trovare una propria collocazione nel nuovo paese.

Inoltre la connotazione specifica dell‟attivismo transnazionale è data anche dalla nazionalità dei migranti: ad esempio i sudamericani manifestano un forte senso civico di appartenenza alla madrepatria (Boccagni, 2008), i messicani tendono a stringere legami con i villaggi di provenienza creando vere e proprie comunità transnazionali (Vertovec, 2004), i senegalesi tendono invece all‟appartenenza religiosa della propria confraternita e quindi sostengono economicamente e praticamente la comunità dei confratelli (Riccio, 2007).

I governi dei paesi di origine, “al fine di continuare a beneficiare di rimesse di investimenti economici da parte dei migranti, ma anche per captarne il consenso elettorale, hanno iniziato a promuovere attivamente il mantenimento dei legami con la madrepatria e la promozione di cittadinanze duplici” (Ambrosini, 2008:63).

In questo senso il transnazionalismo politico non riguarda solo il ristretto insieme di attività nelle quali i migranti sono coinvolti nelle politiche nazionali della terra d‟origine, ma riguarda anche le identità collettive e i cambiamenti nelle concezioni di cittadinanza diffuse tra le popolazioni native sia nel paese di partenza che in quello di arrivo. Il superamento della cittadinanza “nazionale” in direzione di “forme di cittadinanza doppie, multiple o sovranazionali” (Ambrosini, 2008:63) e l‟adozione della pratica del voto all‟estero divengono modalità di coinvolgimento nuove nell‟epoca in cui viene messo in crisi il

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concetto di stato-nazione come binomio, anche se il riferimento spaziale rimane sempre lo stato nazionale. “Il binomio stato-nazione è minacciato, nell‟epoca della modernità, dalla deterritorializzazione dello spazio della nazione da una parte e della denazionalizzazione dello stato territoriale dall‟altra: ne sono dimostrazione le sempre maggiori rivendicazioni nazionalistiche e la nascita di nuovi stati” (Cingolani, 2005:206).

Nel concetto di cittadinanza si osserva il superamento delle regole che ne regolavano l‟acquisizione o la concessione, infatti l‟acquisto di una nuova cittadinanza significava la perdita della precedente e se non si poteva evitare la doppia cittadinanza, molti stati chiedevano una scelta in un senso o nell‟altro una volta raggiunta la maggiore età. Oggi il riconoscimento della nazionalità come un diritto umano individuale “conduce all‟apertura verso la doppia cittadinanza, che diventa un ponte tra la cittadinanza nazionale ed una cittadinanza “sovra-nazionale” al di là dei confini statuali” (Ambrosini, 2008:64).

I migranti quindi sono sempre più coinvolti in vario modo in attività che attraversano le frontiere nazionali e stanno gradualmente acquisendo una facoltà formalmente riconosciuta di esercitare diritti di cittadinanza in più di uno stato sovrano: il mondo rimane organizzato in stati-nazionali ma viene “istituzionalizzato l‟attraversamento di confini e la sovrapposizione di legami sociali e simbolici tra i cittadini, e tra i cittadini e gli Stati” (Ambrosini, 2008:65). La doppia cittadinanza diventa, come afferma Bloemraad (2004) “sia causa che effetto del transnazionalismo: può facilitare gli spostamenti transnazionali ed anche realizzare identità duali, designando un attaccamento sia al paese di origine che a quello di insediamento”.

Purtroppo rispetto al nostro paese si può affermare che la legislazione in materia di immigrazione rende oggi la mobilità difficile e spinge gli immigrati verso un insediamento stabile anziché verso il pendolarismo, disincentivando le pratiche transnazionali considerate più come minaccia che come risorsa economica e sociale da valorizzare. Dalla legge Bossi-Fini del 2002 (decreto 189) al

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“pacchetto sicurezza” della scorsa estate e fino al prossimo paventato permesso di soggiorno “a punti” le politiche italiane si muovono in direzione contraria all‟idea di appartenenze multiple reclamando al contrario una lealtà univoca verso il paese ricevente.

Alle attività del transnazionalismo politico possono essere poi ricondotte le attività politiche promosse da esuli, rifugiati o semplici immigrati all‟estero. Per queste attività sono necessari contatti regolari attraverso le frontiere, ma non gli spostamenti fisici rappresentati dai viaggi fondamentali per le attività economiche. Molteplici possono essere le attività: “dalle proteste contro le ingiustizie commesse dal governo della madrepatria alle dimostrazioni per difenderlo, dalla partecipazione alle campagne elettorali e al voto all‟estero al sostegno ai progetti delle associazioni operanti nei luoghi di origine” (Ambrosini, 2008:67). Per l‟Europa queste pratiche transnazionali sono state analizzate in maniera approfondita da Ostergaard-Nielsen (2003).

L‟impegno civile e sociale nelle società ospitanti da parte dei migranti (associazioni di semplici immigrati, associazioni miste, gruppi di esuli o rifugiati) “deve necessariamente entrare in contatto ed interagire con le istituzioni locali, nazionali ed internazionali adattandosi a norme di democrazia e di tutela dei diritti umani a valenza globale” (dagli statuti delle associazioni ai protocolli di intesa con gli enti pubblici) (Ambrosini, 2008:67). L‟impegno nella vita politica e sociale dei migranti verso la madrepatria non è necessariamente incompatibile con l‟integrazione nella società ospitante, anzi può essere un bilanciamento, come afferma Portes (1999), al fenomeno dell‟assimilazione verso il basso a cui tendono i migranti, anche se è realistico che “un forte impegno politico verso il paese di origine sia profuso grazie all‟obiettivo del ritorno in madrepatria e possa, in alcuni casi, far diminuire le energie poste nel miglioramento delle condizioni di vita nei contesti ospitanti” (Ambrosini, 2008. 68).

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2.6 Il transnazionalismo socio-culturale

Sebbene più difficili da classificare e circoscrivere, le implicazioni culturali dei legami transnazionali sono di notevole interesse.

Secondo Appadurai (1996) le migrazioni di oggi sono differenti da quelle del passato anche perché immagini, testi, modelli e narrative passano attraverso la massmediatizzazione: “le scelte sono profondamente influenzate da un immaginario massmediatico che di frequente trascende lo spazio nazionale” (1996:6). La scelta di migrare viene maturata utilizzando anche la sfera della comunicazione radiotelevisiva, lo scambio di informazioni dirette, la lettura dei giornali; inoltre i mass media possono contribuire a plasmare “patrie inventate” (Appadurai, 1996:54) con nuovi mercati per la produzione mediatica, artistica e culturale aperti a quegli individui espatriati che vogliono mantenere legami forti con la madrepatria.

Faist invece parla di “comunità senza prossimità” (2000:197): negli spazi transnazionali si creano processi di adattamento caratterizzati da fluidità e sincretismo. Gli immigrati non sono sradicati (assimilazionismo) o trapiantati (multiculturalismo) ma “traslati”, impegnandosi quotidianamente a tradurre linguaggi, culture, norme, legami sociali e simbolici per forgiare il proprio senso di identità e la propria appartenenza comunitaria. “Ne risultano così identità culturali multi stratificate, basate sull‟appropriazione selettiva” (Ambrosini, 2008:70).

Diventano transnazionali anche le istituzioni religiose che collegano membri dispersi nel mondo con fondazione di centri religiosi, movimenti transnazionali, visite di leader spirituali, organizzazione di collette e invii di aiuti verso le proprie comunità religiose in madrepatria, pellegrinaggi (Ambrosini, 2008:71).

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Gli effetti della globalizzazione hanno così prodotto legami socio-culturali, con la nascita ad esempio di comunità transnazionali e di nuovi rapporti sociali, ma hanno dato vita anche ad una frammentazione nel medesimo ambito, con la disgregazione “non solo della sovranità degli Stati o dei sistemi di informazione, ma anche delle comunità locali” (Beck, 1999:70). “Se la globalizzazione sembra estendere una cultura globale (“mcdonaldizzazione del mondo”) e quindi anche una ricchezza globalizzata, in realtà a livello locale si amplificano le povertà: ciò che per alcuni è una libera scelta (imprendere, investire, arricchirsi), per altri è un destino spietato” (Beck, 1999:75-76).

2.7 Transnazionalismo e diaspora

Gli studi delle migrazioni come fenomeni di diaspora e delle correlate identità diasporiche che “connettono comunità multiple di una popolazione dispersa” (Clifford, 1999:302), sono una variante della prospettiva transnazionale con intrecci, assonanze e differenze con essa.

Robin Cohen con la sua introduzione alle diaspore globali (1997) ha contribuito ad identificare il concetto di Diaspora partendo dal classico caso ebraico e distinguendone vari tipi, sia storiche che contemporanee, e caratteristiche peculiari quali l‟insediamento relativamente stabile in diversi paesi stranieri, il legame durevole con una madrepatria reale o immaginaria, la solidarietà di gruppo, la relazione difficile con la società ospitante.

Esempi di diaspore sono per Cohen le diaspore delle vittime (africani e armeni), le diaspore imperiali (nel caso britannico), le diaspore di lavoro (il caso dei lavoratori indiani a contratto nelle piantagioni, ma anche gli Italiani in America), le diaspore commerciali (cinesi e libanesi), le diaspore culturali (le migrazioni caraibiche). Il concetto di fondo è che rimane “un legame affettivo tra la diaspora dispersa all‟estero e una terra natale che continua ad esercitare un richiamo sul processo di identificazione degli emigrati, sulla loro lealtà e sulle loro emozioni.

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Grazie alle caratteristiche suddette le diaspore rispondono con forza agli elementi di anonimato (deterritorializzazione delle identità sociali) e dispersione (economie flessibili e ristrutturazioni) associati alla globalizzazione riuscendo spesso a funzionare come barriera di protezione e paracadute per i propri membri” (Ambrosini, 2008:76-77).

Le diaspore si possono quindi definire come reti transnazionali fortemente coese ed al tempo stesso in grado di catalizzare ed orientare a vantaggio del paese di origine i progetti futuri dei propri membri, quale che sia il paese dove risiedano.

Il concetto di Diaspora è stato poi allargato ad altre esperienze migratorie da alcuni studiosi sociali come Vertovec, Cesari, Brah, con il rischio però di identificare come identità diasporica “ogni corrente migratoria dotata di un minimo di autocoscienza delle comuni origini e di qualche forma di autorganizzazione collettiva” (Ambrosini, 2008:79): in questo caso il termine stesso di Diaspora perde il suo potere discriminatorio e diventa inutile come afferma nelle sue critiche Brubaker (2005).

Quello che ci interessa evidenziare del concetto di diaspora sono le differenze con l‟approccio transnazionale alle migrazioni. Riprendendo le indicazioni di Ambrosini (2009b:23), si tratta in particolare di:

1. Se gli studi transnazionali hanno avuto come elemento significativo di approccio alle migrazioni il mettere in risalto la discontinuità con il passato dei nuovi fenomeni migratori contemporanei (nuove forme di spostamento ricorrenti e circolari), gli studi sulle diaspore partono invece dalle esperienze passate cercando di adattarne le caratteristiche individuate ai fenomeni migratori odierni. Per le diaspore si parte quindi dal passato per ricostruire i tratti distintivi dell‟identità comunitaria diasporica da ricercare poi nell‟esperienza odierna di gruppi di migranti.

2. Inoltre gli studi sul transnazionalismo hanno cercato, con il tempo, di individuare specifiche attività non occasionali (economiche, politiche,

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culturali) che oltrepassano i confini nazionali e connettono i migranti con i luoghi di provenienza: senza la partecipazione a queste concrete attività è difficile parlare di transnazionalismo. Il concetto di diaspora invece tende ad esprimere una atteggiamento, la formazione di una coscienza, collocandosi in primo luogo quindi sul piano culturale, quasi emotivo, senza necessità di continui spostamenti oltre i confini. Un atteggiamento che con il tempo può diventare un‟identità diasporica collettiva, in genere minoritaria, vera e propria.

“Le diaspore dunque non sono un dato, quanto piuttosto una costruzione sociale, in cui svolgono un ruolo importante le narrative e le interazioni, si istituiscono legami comunitari “immaginati”, ma anche forme di dominio e subordinazione, si vivono tensioni interne ed esterne, nonché modalità diverse di identificazione e di appartenenza” (Ambrosini, 2008:78).

Cruciale per la diaspora è la tenuta nel tempo e quindi la continuità generazionale dell‟identità diasporica: “solo nella lunga durata si può riconoscere se una collettività di migranti ha mantenuto un senso di appartenenza ad una patria lontana, una solidarietà interna effettiva, un legame con altri gruppi coetnici sparsi nel mondo fatto di codici culturali distintivi tali da marcare dei confini rispetto alla popolazione maggioritaria” (Ambrosini: 2008:80-81).

2.8

Forme di transnazionalismo e processi di identificazione

Come già accennato l‟intensità delle attività e l‟ampiezza delle relazioni transnazionali tendono a plasmare l‟identità del migrante transnazionale.

Il seguente schema proposto da Ambrosini (2009b) sulle forme di transnazionalismo “incrocia la componente attitudinale, e specificatamente i processi di identificazione dei migranti, distinti in locali (ossia riferiti alla società ricevente) e transnazionali, con la componente comportamentale delle attività e relazioni sociali, a loro volta distinte in locali e transnazionali”.

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Attività e Relazioni

Processi di identificazione

Locali Transnazionali

Locali A. Assimilazione B. Transnazionalismo

identitario Transnazionali C. Transnazionalismo operativo D. Transnazionalismo integrato fonte: Ambrosini, 2009b: 27

Dallo schema risultano quattro possibilità:

A. L‟Assimilazione, con lo sviluppo di pratiche sociali pienamente inserite nella società ricevente e l‟allontanamento da forme di identificazione minoritarie e dalla partecipazione a circuiti connotati etnicamente;

B. Il Transnazionalismo Identitario, in cui i soggetti enfatizzano l‟appartenenza ad un particolare gruppo etnico, emotivamente collegato ad una patria ancestrale, pur non coltivando di fatto pratiche sociali intense e continuative di carattere transnazionale.

C. Il Transnazionalismo Operativo, dove pratiche effettive connettono i migranti con i luoghi di provenienza, senza però dar luogo a processi di identificazione corrispondenti.

D. Il Transnazionalismo Integrato, in cui processi di identificazione e pratiche sociali tendono a convergere verso assetti transfrontalieri: il senso di appartenenza ai luoghi di origine è alimentato da pratiche effettive che consentono di mantenere relazioni continuative tra le due sponde.

E‟ questo lo schema teorico delle forme di transnazionalismo di cui, utilizzando i risultati emersi dall‟analisi empirica sugli studenti stranieri dell‟Università di Pisa, vogliamo verificare l‟effettiva ricaduta pratica.

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2.9

C

ritiche e novità del transnazionalismo

Il transnazionalismo è stato sottoposto a molte critiche sia come fenomeno che come concetto.

Da un punto di vista storico-temporale alcuni studiosi (fra cui Smith R.C., Waldinger, Brubaker) affermano che il fenomeno era apparso già prima della rivoluzione dei sistemi di informazione e trasporto e quindi potrebbe essere pre-datato: ne sono un esempio i mercanti olandesi, genovesi, veneziani nel medioevo e nel rinascimento oppure gli artisti, gli scienziati e gli aristocratici europei che viaggiavano costantemente attraverso l‟Europa tra il XVII e il XVIII secolo. In particolare dall‟epoca delle grandi migrazioni (fine ottocento - inizio novecento) i migranti hanno sempre cercato di sforzarsi per mantenere legami di vario genere con i luoghi di origine: legami economici, culturali, religiosi, politici, affettivi. La questione diventa quindi quella di capire come il transnazionalismo moderno si differenzi da fenomeni analoghi del passato.

Da un punto di vista teorico-concettuale una prima obiezione critica riguarda l‟ambiguità del termine e del concetto che non ha una collocazione specifica rispetto a concetti quali multiculturalismo, globalizzazione, assimilazione. Ne parlano in particolare Kivisto (2001) e Boccagni (2007). Anzi il transnazionalismo appare quasi come una variante dell‟assimilazione: i migranti sono impegnati a mantenere i legami con i luoghi di origine ma non possono prescindere dall‟essere attivi “nei processi di acculturazione nella società ospitante concentrando molte energie nei luoghi dove vivono” (Kivisto, 2001:571).

Da un punto di vista di studio una forte critica riguarda la reale estensione dei fenomeni migratori transnazionali. Infatti intendendo come migrante transnazionale solo colui che realizza pratiche regolari di partecipazione a due

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diversi ambienti sociali separati da un confine, il numero di chi potrebbe esserlo si restringe: nel caso americano, dove il fenomeno appare più diffuso, anche per le connessioni strette con l‟America Latina, non si arriva a considerare, come afferma Portes nel suo studio del 2003, più del 25/30% dei migranti. Waldinger e Fitzgerald (2004) scendono nell‟analisi concreta del fenomeno negando la libertà di decisione autonoma dei migranti rispetto alla loro appartenenza alle due sponde della migrazione in quanto il controllo dei movimenti della popolazione da parte degli Stati è sempre molto forte e attivo e sollecitando maggiore attenzione verso quei processi politici, sociali e culturali che si oppongono alla crescita dei legami transnazionali dei migranti. Affermano inoltre che i rapporti transnazionali possono essere veicolo di disseminazione di conflitti politici e nazionalismi etnici dal paese di origine a quello di destinazione.

Se la prospettiva storica relativizza la novità del fenomeno transnazionale, alcuni elementi sono però oggettivamente inediti rispetto al passato: la quantità, il tipo e la simultaneità dei flussi di persone, beni, capitali e idee attraverso i confini nazionali sono enormemente più evidenti per ampiezza, intensità e velocità rispetto ai precedenti. Le attività transnazionali possono così essere viste come la contropartita migratoria di altri fenomeni transnazionali che stanno caratterizzando l‟epoca contemporanea come la globalizzazione del capitalismo o lo sviluppo di istituzioni politiche sovranazionali.

Gli studi relativi alle attività transnazionali aprono così una nuova prospettiva opposta al paradigma assimilazionista che concepiva un processo lineare di progressivo adattamento e incorporazione dei migranti nella società di destinazione, ben esplicitata da Levitt e Glick-Schiller (2004) e ripresa da Ambrosini (2008:88-89). Le studiose differenziano nella loro analisi i gradi individuali di partecipazione a pratiche transnazionali individuando un modo di essere transnazionale (il migrante è impegnato in pratiche e relazioni sociali che travalicano i confini ma non lo riconoscono) ed un modo di appartenere

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transnazionale (i migranti riconoscono e mettono in evidenza gli elementi transnazionali della loro identità), estendendo quindi il campo d‟indagine degli studi transnazionali. Affermano inoltre come tratto caratteristico di questo concetto l‟idea di simultaneità: vi sarebbe infatti un numero sempre crescente di individui, di famiglie, di comunità che si trovano ad avere interessi in mondi interconnessi, anche se spazialmente lontani e separati, che tentano di mantenere simultaneamente, con forme di collegamento differenti a seconda delle posizioni sociali e delle risorse utilizzate. Per questo motivo non vi sarebbe opposizione tra l‟integrazione nella società ricevente e il mantenimento dei legami transnazionali: piuttosto identità e pratiche sociali transnazionali osteggiano l‟approccio normativo e ideologico assimilazionista secondo il quale i migranti dovrebbero conformarsi ad una cultura del paese che li ha accolti recidendo i legami con il paese di provenienza.

Con il transnazionalismo si adotta così una nuova “lente” per osservare ed analizzare i fenomeni migratori, superando il nazionalismo metodologico (“che pensa e studia la dimensione sociale, culturale, e politica mediante categorie tipo o…o” Beck, 2003:136), ma considerando comunque con attenzione la continuità del ruolo degli Stati nei processi transnazionali, soprattutto con gli studi più recenti inerenti anche il co-sviluppo. Questo perché il transnazionalismo dei migranti ha delle conseguenze macrosociali: l‟aggregato di azioni ed attività individuali e familiari può arrivare a modificare le sorti delle città e delle nazioni a cui si riferiscono, evidenziando le reti ed il capitale sociale dei migranti.

Senza dubbio l‟estensione e le forme delle attività transnazionali variano a seconda dei contesti di provenienza e di inserimento: dove le comunità sono molto concentrate si creano maggiori opportunità per imprese transnazionali, dove c‟è anche una ricezione ostile da parte delle autorità e delle popolazioni autoctone si intensifica la solidarietà interna e dei contatti con il luogo di origine (Ambrosini, 2005:47-51).

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Assumere il transnazionalismo come approccio “stimola dunque a guardare con più attenzione al “lato nascosto” di quella che definiamo come “immigrazione” da altri paesi: l‟immigrazione non è un viaggio di sola andata, ma genera una rete di relazioni, di scambi, di influssi che attraversano le frontiere, retroagiscono sui luoghi di provenienza, contribuiscono a definire l‟identità, i progetti e le prospettive dei migranti, dei loro congiunti, e in qualche misura degli ambienti sociali più ampi a cui essi fanno riferimento” (Ambrosini, 2008:95).

Rispetto al nostro paese gli studi specifici confermano che esistono stili di vita che incorporano elementi di appartenenza transnazionali, seppur deboli rispetto ad una versione concettuale forte di transnazionalismo che invece scompagina addirittura le categorie di “emigrato” ed “immigrato” (Ambrosini, 2008:45).

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