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CAPITOLO PRIMO
L’alienazione della partecipazione totalitaria o di
“controllo” tra vendita del patrimonio e vendita delle
sole quote. Tutela dell’acquirente in assenza di
specifiche garanzie contrattuali
Sommario
: 1. Il contratto di acquisizione della partecipazione totalitaria o di controllo tra significato economico dell'operazione e configurazione giuridica. – 1.1 Tentativi di ricollegare in capo all'acquirente una tutela diretta in merito a una determinata consistenza e composizione del patrimonio. – 1.1.1 Teoria delle azioni come beni di "secondo grado". – 1.1.2 Tesi del negozio indiretto: critica. – 1.1.3. Tesi fondata sulla distinzione tra oggetto mediato e immediato del contratto: critica. – 1.1.4. Tesi del superamento della personalità giuridica: critica. – 1.1.5. Conclusioni. – 1.2. La tutela dell'acquirente in assenza di specifiche clausole di garanzia. Le lacune del sistema di garanzie predisposto dal codice civile. – 1.2.1. Garanzia per evizione, artt. 1483 e 1484 c.c. – 1.2.2. Garanzie per vizi e per mancanza di qualità, artt. 1490 e ss. c.c. – 1.2.3. La tutela offerta dalla disciplina dei vizi del consenso: l'errore artt. 1427 e ss. c.c. – 1.2.4. Segue: il dolo artt. 1439, 1440 c.c. – 1.2.5. L'aliud pro alio. – 1.2.6. La presupposizione. – 1.2.7. La rescissione per lesione. - 1.3. L’inadeguatezza della tutela legale e la necessità e diffusione delle diverse garanzie contrattuali.1. Il contratto di acquisizione della partecipazione
totalitaria o di controllo tra significato economico
dell’operazione e configurazione giuridica
La vendita della partecipazione totalitaria o di controllo1 porta con sé una cospicua serie di problemi di diversa natura: da quelli che
1Di fondamentale importanza è la nozione di controllo che ci viene fornita
dall’art. 2359 c.c. Distinguiamo due tipologie di controllo: il controllo interno e il controllo esterno. Il controllo interno si fonda sulla partecipazione
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coinvolgono il diritto delle obbligazioni e dei contratti a quelli che coinvolgono il diritto del lavoro e la disciplina societaria2.
Proprio a fronte di tale estrema varietà la dottrina, già da tempo, ha prospettato una distinzione tra questioni interne e questioni esterne al trasferimento.
Ebbene, quelle esterne attengono alla trasparenza e all'andamento del mercato azionario, alla tutela dei soci di minoranza, ai possibili profili di rilevanza dell'operazione per la normativa antitrust; viceversa le questioni interne hanno ad oggetto il rapporto che si instaura tra colui che trasferisce e colui che acquista la partecipazione sociale totalitaria o di controllo.
Alla luce di tale distinzione possiamo inquadrare la problematica che andremo ad affrontare tra quelle inerenti le questioni interne, cioè quelle che si instaurano tra colui che aliena e colui che acquista il controllo.
Con riferimento alle questioni interne il problema principale è sempre stato quello di individuare idonei strumenti di tutela in merito a un determinato assetto patrimoniale e reddituale della società.
e sul diritto di voto ad essa connesso; il controllo esterno, invece, si fonda su particolari vincoli contrattuali. Nell’ambito della prima tipologia di controllo si distingue ulteriormente il controllo di diritto dal controllo di fatto. Si ha controllo di diritto quando una società “dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria” (1° comma, n. 1). Si ha controllo di fatto quando una società “dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria” (1° comma, n.2). Specificando ora i casi in cui si fa riferimento al controllo esterno, si può dire che normalmente sono quelli in cui il “vincolo contrattuale” è tale che il suo venir meno metterebbe a rischio le sorti dell’impresa sociale. Un esempio è quello del contratto di somministrazione, allorquando somministrante sia l’unico fornitore di una data materia prima. In casi come questo l’influenza dominante emerge dal potere di indirizzare stabilmente le strategie della società [F. BONETTI, Commento all’art. 2359 c.c., in Commentario romano
al nuovo diritto delle società, Commento agli artt. 2325- 2379 ter c.c., diretto
da F. D’Alessandro, vol. 2, PICCIN, Padova, 2010, pag.375 ss.]
2M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie
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La ricerca di tali strumenti di tutela ha sempre tenuto conto della non coincidenza tra il significato economico dell'operazione e la configurazione giuridica del contratto di vendita della partecipazione. Dal punto di vista economico il vero interesse che le parti perseguono con l’operazione di acquisto della partecipazione totalitaria o di controllo è l’acquisto dell'azienda o di un determinato bene di cui è titolare la società3. Invece da un punto di vista giuridico il contratto in esame ha l'effetto di trasferire esclusivamente la partecipazione sociale (intesa come un diritto o un complesso di diritti).
Pertanto la vendita della partecipazione attribuisce solo in via mediata la disponibilità del patrimonio; anche perché la quota -sia essa totalitaria o di controllo- non attribuisce il diritto di disporre direttamente del patrimonio sociale4.
Dunque, in ragione del significato economico dell'operazione, ci si è chiesti se il compratore possa utilizzare i rimedi concessi dalle disposizioni generali sui contratti - o di parte speciale - anche con riferimento al patrimonio della società e non solo alle caratteristiche della partecipazione in sé.
3A. LUMINOSO, La compravendita, Giappichelli editore, settima edizione,
Torino, 2011, pag.17; l’autore infatti precisa che nella pratica degli affari è ormai frequente l’uso della vendita di quote sociali come mezzo per alienare, a costi ridotti e con minori spese fiscali, l’azienda stessa o i beni a questa appartenenti.
4 Ciò non lo si desume dell’art. 2256 c.c. (predisposto per la società
semplice), il quale non si applica alla società di capitali. Importante nella società di capitali è uno dei suoi profili strutturali che la caratterizzano, cioè l’organizzazione corporativa. Di fronte alla responsabilità limitata di cui godono i soci di S.p.A. il “contrappeso” è rappresentato da un’organizzazione di tipo corporativo, ovverosia basata sulla necessaria presenza di distinti organi sociali (assemblea, organo di gestione e organo di controllo). Il singolo socio non ha alcun potere di amministrazione e controllo, infatti la gestione dell’impresa sociale è rimessa in mano agli amministratori, che in tale veste assolvono ad obblighi di cura di un interesse precostituito: quello dei soci. I soci in quanto tali hanno il diritto di concorrere con il loro voto alle decisioni assembleari, tuttavia questo non provoca alcun effetto direttamente sul patrimonio, il quale non può essere sottratto al vincolo di destinazione sociale dagli organi sociali (in particolar modo dai soci) [G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, II, ottava edizione, UTET, Torino, 2015, pag. 141].
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La risposta della prevalente dottrina e della giurisprudenza è negativa. Il trasferimento del patrimonio sociale costituirebbe una conseguenza puramente economica del negozio che determina il trasferimento della titolarità del pacchetto azionario.
Inoltre nell'ordinamento non si riscontra alcun indice d’equiparazione -in termini strettamente normativi- tra la partecipazione totalitaria o di controllo e il patrimonio sociale.
Pertanto, seguendo tale tesi, si giunge a concludere che gli strumenti legali di tutela dell'acquirente -tra i quali in primo luogo la garanzia della vendita- hanno ad oggetto solo la partecipazione sociale e la posizione contrattuale che essa rappresenta, la quale dovrà risultare libera da vizi e oneri; non, invece, il patrimonio della società le cui partecipazioni vengono alienate.
1.1. Tentativi di ricollegare in capo all'acquirente una
tutela diretta in merito a una determinata
consistenza e composizione del patrimonio
Nonostante la tesi formalistica sia stata accolta dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, non sono mancate varie interpretazioni volte a considerare direttamente oggetto del contratto di vendita il patrimonio sociale, e volte ad attribuire per tale via una tutela diretta al compratore in merito a una determinata consistenza e composizione del patrimonio5. Generalmente, infatti, nella compravendita la tutela del compratore trova applicazione con riferimento all'oggetto del contratto6.
5M.SPERANZIN, op. cit., pag. 15 ss.
6Essendo oggetto della compravendita la partecipazione sociale in sé, C.
D’ALESSANDRO, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela
dell’acquirente, Giuffrè Editore, Milano, 2003, pag. 14 ss., sostiene che non
vi possa essere alcun tipo di equiparazione tra la partecipazione totalitaria o di controllo e il patrimonio sociale.
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Vediamo, dunque, alcune delle interpretazioni prospettate e il perché non abbiano trovato accoglimento7.
1.1.1 Teoria delle azioni come beni di "secondo grado"
La qualificazione delle azioni come "beni di secondo grado" è stata coniata da T. Ascarelli8, secondo il quale: " le azioni sono alla fine
rappresentative di diritti relativi a beni che pur sempre economicamente appartengono, attraverso la collettività di cui è parte, al titolare delle azioni stesse"9 .
Eppure altrove l’autore precisa che i beni sociali sono di proprietà dei soci anche dal punto di vista giuridico e non solo dal punto di vista economico. In questo senso i beni appartengono ai soci non solo in senso economico bensì anche in senso giuridico.
Ora la rilevanza giuridica è di per sé sufficiente a spiegare tutti e due gli aspetti della questione. Ma si deve precisare che se si ammettesse che proprietari dei beni sociali sono i titolari delle azioni, queste non potrebbero più essere qualificate come "beni di secondo grado"10. Anzi, se si prescinde dallo "schermo" della personalità giuridica, i soci sono semplicemente contitolari del patrimonio sociale, e non v'è luogo alla formazione di un'altra classe di beni. Se invece si prende sul serio lo "schermo" della personalità giuridica, allora del patrimonio sociale è titolare il soggetto-società e non il socio o i soci. La partecipazione
7 C. D’ALESSANDRO, op. cit., pag. 19 ss., prima di passare ad una
sommaria analisi delle diverse tesi prospettate, tiene a precisare che i seguaci dei vari orientamenti sono per lo più spinti dall’esigenza di tutelare il compratore, sovente individuato come il contraente debole. Si ha, dunque, la sensazione che il disaccordo con i sostenitori della tesi maggioritaria non cada tanto su concezioni dogmatiche, quanto su esigenze di equità, evidentemente più sentite.
8M. SPERANZIN, op. cit., nota n. 15 pag. 11
9Nei suoi due saggi di diritto commerciale: Considerazioni in tema di società
e personalità giuridica - Riflessioni in tema di titoli azionari, personalità giuridica e società tra società.
10Critica mossa alla teoria c.d. ascarelliana da C. D’ALESSANDRO, op.
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sociale è un bene nuovo, ma solo dal punto di vista economico e non duplica quelli costituenti il patrimonio sociale.
Ciò che dunque non convince della teoria di Ascarelli è la commistione continua tra il punto di vista economico-sostanziale e quello giuridico-formale.11
1.1.2 Tesi del negozio indiretto: critica
Secondo i sostenitori di tale tesi la volontà delle parti avrebbe prevalenza sul tenore letterale dell'accordo12.
Quindi laddove la reale volontà delle parti contraenti non sia quella di trasferire il pacchetto azionario, bensì il patrimonio sociale -dunque un oggetto diverso- tale volontà dovrebbe essere considerata prevalente. Sta di fatto che il richiamo alla figura del contratto indiretto è stato ritenuto inopportuno, in quanto per avere tale figura occorre che venga effettuata la stipulazione di un contratto, ma con l’intento di realizzare la causa di una diversa tipologia contrattuale; invece, nell’ipotesi da noi presa in considerazione (la compravendita di partecipazioni societarie), la causa del contratto risulta sempre essere quella del contratto di compravendita13.
La Corte di Cassazione ha infatti avuto modo di precisare che il trasferimento del patrimonio sociale, che si realizza contestualmente all'alienazione delle quote di partecipazione ad una società di capitali, non costituisce l'effetto della stipulazione di un negozio indiretto, ma è una conseguenza dell'autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali14.
11C. D’ALESSANDRO, op. cit., nota 27, pag. 28 ss. 12M. SPERANZIN, op. cit., pag. 15
13R. ROLLI, Cessioni di partecipazioni societarie e tutela del compratore:
aliud pro alio datum?, in Contratto e impresa, fascicolo 1°, n. 1, 1994, pag.
183/238
14Corte di Cassazione, 21 luglio 1979, n. 4382: «nell’ipotesi di alienazione
delle quote di partecipazione ad una società, in cui si verifica anche il contestuale trasferimento della corrispondente porzione di patrimonio sociale, comprensiva di debiti e crediti e degli immobili che eventualmente
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Si pongono poi sullo stesso piano le osservazioni di chi sostiene che dal punto di vista giuridico il trasferimento dei beni sociali non può -essendo il patrimonio della società e non del socio- neppure indirettamente essere realizzato con la vendita delle azioni. In questo caso si sfocerebbe nel campo delle intenzioni delle parti e delle loro motivazioni e valutazioni psicologiche, campo normalmente irrilevante per il diritto contrattuale15.
1.1.3 Tesi fondata sulla distinzione tra oggetto mediato
e immediato del contratto: critica
Secondo i sostenitori di tale tesi nell'alienazione di partecipazioni, il patrimonio della società costituisce oggetto mediato del contratto e il venditore sarebbe obbligato a garantire anche la consistenza di quest’ultimo.
Quindi acquistando la proprietà delle azioni, il compratore otterrebbe anche la disponibilità dei beni sociali; troverebbero in tal modo diretta ed automatica applicazione le garanzie legali previste per il contratto di compravendita anche nel caso in cui gli eventuali vizi andassero ad intaccare i beni sociali.
Sta di fatto che tali conclusioni sono rimaste minoritarie, in quanto dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno ribadito che le azioni o quote sociali, sul piano giuridico-formale, non rappresentano i beni sociali che costituiscono il patrimonio della società, strumentale per l'esercizio dell'attività economica oggetto del contratto di società (art 2247 cc), ma solo i diritti e gli obblighi facenti capo a ciascun socio. Le azioni o le quote non incorporano un diritto di proprietà sul patrimonio della società; ne discende che l'acquirente con il
lo compongono, tale trasferimento non costituisce l’effetto della stipulazione di un negozio indiretto, ma è la conseguenza dell’autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali».
15A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Giuffrè
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trasferimento delle partecipazioni sociali acquista solo quell'insieme di posizioni giuridiche attive e passive che costituisce il c.d. status socii16. Quest'ultimo rappresenta l'unico oggetto possibile sul piano giuridico-formale del contratto di compravendita; nel senso che i beni sociali non possono essere considerati oggetto della cessione di partecipazioni e che, pertanto, i titoli azionari non contengono altro che la certificazione della posizione di socio.
1.1.4 Tesi del superamento della personalità giuridica:
critica
Non risulta altrettanto convincente la tesi che riscontra nel superamento della personalità giuridica della società la via per ricondurre direttamente ai soci la titolarità dei beni sociali.
Secondo i sostenitori di tale tesi si realizzerebbe tra i soci una sorta di comproprietà, con la conseguente possibilità di rinvenire nella circolazione dei titoli azionari il trasferimento del patrimonio della società.
Anche ammettendo che i beni sociali appartengano a tutti i soci, si deve comunque riconoscere l'impossibilità di quest'ultimi di disporne liberamente; è infatti la stessa disciplina delineata dal codice civile ad escludere tale soluzione.
Posta in questi termini la questione della personalità giuridica della società assume, in realtà, un rilievo marginale. Il legislatore ha infatti delineato una disciplina per il patrimonio sociale che esclude il suo controllo diretto da parte dei soci, considerandolo, invece, come di esclusiva appartenenza della società17. Anche ammettendosi una
16A. TINA, op. cit., pag. 172 ss.
17Tant’è vero che -come abbiamo già avuto modo di sottolineare- la gestione
della società è di pertinenza degli amministratori e non dei soci. Questi ultimi con il loro voto in assemblea provvedono ad eleggere i componenti dell’organo amministrativo ma non gli è data la possibilità di gestire e amministrare direttamente la società. In primo luogo per creare una sorta di “contrappeso” alla loro responsabilità limitata, in secondo luogo per evitare
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comproprietà sui beni sociali, il singolo socio non può, in quanto tale, disporne liberamente e autonomamente18.
1.1.5 Conclusioni
Possiamo concludere che -stante l'impostazione nettamente dominante- queste tesi sono da respingere, dovendo dare netta rilevanza al profilo giuridico del contratto di compravendita in esame. Dunque per dare rilevanza all’oggetto mediato sarà necessario l’inserimento nel contratto delle c.d. clausole di garanzia; ossia delle clausole relative al patrimonio della società che sono volte ad attribuire una tutela appropriata a fronte di un acquisto -ma anche di una vendita- non corrispondente alle aspettative.
Come avremo modo di sottolineare nel proseguo del lavoro, non solo le garanzie legali non risultano applicabili al vero oggetto di interesse del compratore - il patrimonio sociale19- ma avremo anche modo di
che l’eventuale disinteresse dei soci alla gestione sociale paralizzi l’intera attività sociale. P. SPADA, La tipicità delle società, Cedam, Padova, 1974, dedica un’intera monografia allo studio dei caratteri tipici delle società. La sua ricerca parte dal disposto dell’art. 2249 c.c., il quale prevede: “Le società che hanno ad oggetto l’esercizio di un’attività commerciale devono costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi 3° e seguenti di questo titolo”. Con questo articolo verrebbe ad essere sancito il principio di tipicità dei modelli societari, pertanto -appurata l’inderogabilità delle norme identificatrici dei tipi di società- l’opera dell’autore è volta alla ricerca (per l’appunto) dei criteri normativi di identificazione dei tipi societari. Per ciò che a noi in questo ambito interessa, l’autore giunge ad affermare che “alla società per azioni è coessenziale una clausola di limitazione integrale del rischio d’attività, come un disegno organizzativo basato sulla predisposizione di partecipazioni-tipo e concertantesi in una distribuzione corporativa delle competenze gestorie”. Dunque l’impossibilità per i soci di disporre direttamente del patrimonio societario deriva da uno schema di c.d. “appartenenza funzionale” del tipo societario.
18 È chiara questa impostazione delineata dal legislatore nel titolo 7 del libro
3 del codice civile, art. 1100 ss.
19Come chiarisce M. SPERANZIN, op.cit., pag. 19, si parla qui, in modo
sintetico, del patrimonio sociale, anche se le caratteristiche della società che interessano all’acquirente sono spesso altre e ulteriori, ad es.: le capacità reddituali dell’impresa che possono anche non dipendere dal patrimonio della società strettamente inteso.
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constatare che cercare di ricondurre le garanzie convenzionali alla disciplina legale comporta solo svantaggi a carico dell'acquirente. Occorre dunque tenere quale punto fermo l'orientamento della giurisprudenza per cui la vendita delle partecipazioni non attribuisce alcun diritto all'acquirente sul patrimonio sociale, a meno che una determinata consistenza di quest'ultimo non sia stata garantita dal venditore con apposite pattuizioni.
La tutela dai rischi di un acquisto (ma anche di una vendita) non soddisfacente può dunque essere ottenuta solo attraverso la predisposizione nel contratto di apposite clausole20.
1.2. La tutela dell'acquirente in assenza di specifiche
clausole di garanzia. Le lacune del sistema di
garanzie predisposto dal codice civile
Affrontando il problema delle garanzie disponibili nell'ambito dell'acquisto di partecipazioni societarie, è interessante fare una breve premessa sulle tutele azionabili in assenza di clausole contrattuali di garanzia.
Questa indagine potrebbe apparire superflua, considerata la ormai diffusa tendenza di inserire nei contratti articolate clausole di garanzia. In realtà presenta l'indiscutibile vantaggio di permettere una completa
20Così ad esempio la sentenza della Corte di Cassazione del 21 giugno 1996,
n. 5773, nella quale leggiamo «La compravendita di azioni o quote di società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione medesima rappresenta. Conseguentemente, il difetto di qualità previsto dall’art. 1427 c.c. come causa di annullamento del contratto e dall’art. 1497 c.c. come causa di risoluzione del contratto può attenere unicamente alla qualità dei diritti e obblighi che ineriscono la partecipazione sociale; non può riguardare invece il suo valore economico, a meno che non siano state previste esplicite garanzie contrattuali circa la consistenza patrimoniale della società, ovvero si verta in materia di dolo che rende annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante il consenso» [in Le Società, n.1, 1996].
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e chiara comprensione delle esigenze che hanno determinato l'adozione delle clausole di garanzia nella prassi contrattuale.
Altro vantaggio di tale indagine preliminare, è quello di comprendere di quali strumenti legali può beneficiare il compratore nelle circostanze in cui determinate situazioni non vengano prese in considerazione dalle clausole inserite nel contratto21. È vero infatti che vi è sempre qualcosa che sfugge alla regolamentazione convenzionale ed è quindi possibile che le parti non abbiano preso in considerazione tutte le eventuali problematiche che possono presentarsi dopo la stesura del contratto di acquisizione della partecipazione totalitaria o di controllo. Inoltre non sempre le parti si affidano, a causa degli ingenti costi, a dei professionisti per la redazione dei contratti22.
1.2.1. Garanzia per evizione, artt. 1483 e 1484 c.c.
In relazione a quanto finora riscontrato, risulta evidente che la garanzia per evizione può trovare applicazione solo nel caso in cui sorgano questioni in merito alla titolarità del titolo, nell'ipotesi cioè in cui sia messa in discussione la proprietà delle azioni (o quote) acquistate. Al contrario non trova alcuna tutela l'interesse dell'acquirente laddove nel caso concreto, dopo la vendita della partecipazione totalitaria o di controllo, rimangano evitti determinati beni sociali. La garanzia, infatti, opera con riferimento al bene oggetto della compravendita, nel caso di specie, dunque, la partecipazione compravenduta.
21Questa indagine preliminare è compiuta da A. TINA, op. cit., pag. 209 ss. 22Ciò avviene soprattutto in società di piccole dimensioni, come nota M.
SPERANZIN, op. cit., pag. 21 e G. IORIO, Struttura e funzioni delle
clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Giuffrè Editore,
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1.2.2. Garanzie per vizi e per mancanza di qualità, artt.
1490 e ss. c.c.
Analogamente le garanzie per vizi e per mancanza di qualità, teoricamente, potrebbero essere messe in discussione solo nel caso in cui riguardino direttamente le azioni (o quote) trasferite, non invece per ciò che attiene alla sfera del patrimonio sociale.
Ma di questa tipologia di garanzie, e della loro inadeguatezza ad essere applicate nell’ipotesi di vendita della partecipazione totalitaria o di controllo, parleremo più approfonditamente nel prossimo capitolo, dove andremo a svolgere un'analisi dettagliata circa la natura delle legal warranties. Queste ultime, infatti, sono le garanzie che riguardano proprio la partecipazione societaria (oggetto della compravendita), che dovrebbe essere già oggetto di tutela legale; in realtà, come avremo modo di spiegare, la disciplina legale della garanzia per vizi e per mancanza di qualità si rivela inadatta a tutelare nel migliore dei modi l’acquirente.
Oggetto di indagine sarà, in particolare, l’inadeguatezza della qualificazione di tali garanzie come clausole riproduttive della tutela legale prevista dagli artt. 1490 e ss. c.c. 23
1.2.3. La tutela offerta dalla disciplina dei vizi del
consenso: l'errore artt. 1427 e ss. c.c.
Discussa è la possibilità di tutelare l'acquirente sotto il profilo dei vizi del consenso.
La circostanza che il patrimonio sociale abbia un valore minore rispetto a quello considerato dalle parti, potrebbe essere valutata come vizio del consenso sorto nel momento della stipulazione del contratto di vendita e non come una violazione di obblighi o garanzie da parte del venditore. Accertiamo, dunque, se sussiste la possibilità di
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applicare la disciplina dell'annullamento del contratto per errore (art. 1428 ss. c.c.) o per dolo (art 1439 ss. c.c.).
Iniziamo dall'errore24: l'art. 1428 c.c. stabilisce che il contratto può essere impugnato per errore quando questo è essenziale e riconoscibile; ai sensi dell'art. 1429, n. 2 del codice civile, l'errore, per essere essenziale, deve ricadere «sull'identità dell'oggetto della prestazione, ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso».
Alla luce di quando finora detto, solo quando l'errore concerne qualità intrinseche o la stessa identità delle azioni o delle quote (oggetto della prestazione), potrà essere considerato essenziale e causa di annullamento del contratto. Pertanto, le circostanze che attengono al patrimonio o all'organizzazione sociale in generale, pur avendo influito in maniera determinante sul valore di vendita della partecipazione, non possono considerarsi qualità della stessa, né possono incidere sulla sua individuazione25.
Secondo l'opinione prevalente, quindi, l'errore sul patrimonio, che può estrinsecarsi in un errore sul valore, non è considerato essenziale ai sensi dell'art. 1429, n. 2 c.c. Di conseguenza non è possibile riconoscere l'annullamento del contratto per errore, perché l'errore, se c'è stato, non ha interessato la natura o l'oggetto del contratto26.
24 G. CAPILLI, Cessione di quote sociali e tutela dell’acquirente, in
Contratti, n. 12, 2002, pag.1137 ss.
25A. TINA, op. cit., pag. 223 ss.
26D. GALLETTI, Brevi note in tema di vendita di quota sociale ed errore
sui motivi, in Banca borsa e titoli di credito, fascicolo 2°, 1997, pag. 25-37;
l’autore precisa che il patrimonio sociale non costituisce una delle qualità essenziali sulle quali deve ricadere l’errore per poter essere considerato rilevante ai sensi dell’art. 1429. La qualità dell’oggetto della prestazione a cui si riferisce il n. 2 del suddetto articolo è qualcosa di obiettivamente riferibile ad una res; mentre una vicenda riguardante il patrimonio incide solo sull’attuazione dei diritti che la partecipazione attribuisce all’acquirente, non incide certamente sul modo di essere della partecipazione stessa.
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In sintesi, l'esigenza di tutela dell'acquirente non può trovare rimedio nell'annullamento del contratto per errore, in quanto l'errore di cui all'art. 1429 c.c. deve incidere su un elemento essenziale del contratto e così non è se l'errore cade sul patrimonio sociale.
1.2.4. Segue: il dolo artt. 1439, 1440 c.c.
Passando ora al dolo, possiamo ipotizzare che l'errore dell'acquirente o la falsa rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della società sia da ricondurre al comportamento doloso della controparte durante le trattative e la conclusione del contratto. La legge ammette l'annullabilità del contratto in caso di dolo determinante ed il risarcimento dei danni in caso di dolo incidente; la dottrina e la giurisprudenza confermano l’esperibilità di tali rimedi laddove il venditore abbia dolosamente tratto in inganno il compratore circa la consistenza o le caratteristiche dei beni sociali27.
27La distinzione tra le due categorie di dolo -dolo determinante ex art. 1439
cit., e dolo incidente ex art. 1440 cit.- non attiene alla descrizione del comportamento del soggetto che vi ha dato luogo, ma unicamente agli effetti che ne sono derivati: nel dolo determinante, la conclusione di un contratto che, senza l'inganno, non sarebbe stato concluso; nel dolo incidente, la stipula del contratto a condizioni diverse da quelle che altrimenti vi sarebbero state. Sono altrettanto diverse le sanzioni previste per le due fattispecie: per il dolo determinante l'annullamento ed (eventualmente) il risarcimento dei danni; solo il risarcimento dei danni, per il dolo incidente. Se i raggiri, gli artifici, le menzogne hanno indotto in errore l'altro contraente, essi saranno causa di annullamento del negozio giuridico. Qui, il dolo è stato un fattore decisivo, e il conseguente vizio di volontà che ha provocato diviene causa di annullamento del contratto, infatti questo non sarebbe stato concluso senza l'uso di mezzi illeciti. Invece, quando nonostante la presenza del dolo, questo non abbia inciso sull'esistenza del negozio stesso, validamente concluso, ma ha solo influenzato il contenuto del negozio: in tale ipotesi, costituendo un illecito, esso è causa di risarcimento del danno. L'accertamento del dolo richiede comunque una duplice indagine: di carattere oggettivo, quindi, sulla natura della condotta del soggetto agente (deceptor); e di carattere soggettivo, quindi, sulla percezione di tale condotta da parte del soggetto che l'abbia subita (deceptus). È opportuno precisare che il dolo può consistere tanto nell'ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte interessata (dolo commissivo); quanto nel nascondere alla conoscenza altrui, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive (dolo omissivo). In entrambi i casi, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono
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Nelle ipotesi da noi prese in considerazione, l'errore in cui incorre l'acquirente è rilevante ai sensi degli artt. 1439 - 1440 c.c. per il fatto stesso di averlo indotto a stipulare -o a stipulare a determinate condizioni- il contratto. Non è, infatti, richiesto che l'errore cada su uno degli elementi indicati dall'art. 1429 (dunque non è richiesto che l’errore sia essenziale).
L'acquirente, però, per ottenere l'annullamento e/o il risarcimento del danno deve provare che, nel condurre le trattative, il venditore ha intenzionalmente rappresentato una situazione patrimoniale della società alterefatta28; dunque, sul deceptus grava un pesante onere probatorio, soprattutto quando il venditore si sia limitato a tacere la reale situazione e condizione della società. Parte della giurisprudenza ritiene che il dolo come causa di annullamento del contratto può consistere tanto nell'ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte interessata (dolo commissivo), quanto nel nascondere alla conoscenza altrui fatti o circostanze decisivi (dolo omissivo). Occorre comunque che alla menzogna o al mendacio si accompagni tutta una condotta adeguatamente preordinata, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito29. La Corte di Cassazione ha infatti espresso il principio, riferito in particolare al dolo omissivo, per cui: «il dolo omissivo, pur potendo viziare la volontà, è causa di annullamento, ai sensi dell'art. 1439 c.c., solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito, determinando l'errore del deceptus. Pertanto, il semplice silenzio,
essere valutati alla luce della duplice indagine di carattere oggettivo e soggettivo, per stabilire se siano stati idonei a generare la “caduta” in errore della controparte. “Giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza” [sul punto: E. E. BONAVENTURA,
Compravendita di azioni e dolo incidente, in Società, n. 1, 2016, pag. 52]
28G. IORIO, op. cit., pag. 84 ss.
29E. PAOLINI, Garanzie per vizi nella compravendita di partecipazioni
sociali, in Le Società, n. 1, 1997, pag. 33-36; viene dunque richiesta la
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anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono di per sé causa invalidante del contratto»30. È necessaria una condotta precisa e specifica del venditore perché possa essere configurata un'ipotesi di dolo.
Dunque la possibilità per l'acquirente di ottenere l'annullamento del contratto per dolo determinante - o il risarcimento del danno in caso di dolo incidente - incontra il maggiore ostacolo nella difficoltà di provare l'intenzione del venditore di trarre in inganno l'acquirente (c.d. animus decipiendi31)32.
La soluzione offerta dall'annullamento del contratto per la condotta dolosa del venditore non fornisce, in realtà, le garanzie e i margini di sicurezza richiesti dall'acquirente e non è in grado di tutelare in maniera adeguata i suoi interessi33. Rimane perciò dominante in dottrina la sfiducia verso tale strumento, a maggior ragione perché la
30In questo senso, Corte di Cassazione 20 aprile 2006, n. 9253, in Contratti,
2007, 19.
31È cioè necessaria, oltre ad una condotta materialmente volta ad effettuare
il raggiro, anche l’intenzione di estorcere il consenso dell’acquirente attraverso le false rappresentazioni prospettategli [M. LOBUONO, Il dolo, in Commentario del codice civile, Dei contratti in generale, artt. 1425-1469
bis, diretto da E. Gabrielli, UTET, Torino, 2011, pag.172 ss.]
32Possiamo far cenno a un caso concreto. Dalla Corte di Cassazione è stata
ravvisata come mendacio, di per sé idoneo ad integrare un raggiro che, in quanto tale, può essere determinante del consenso, la condotta del soggetto «il quale non si è limitato a tacere la reale situazione patrimoniale e finanziaria della società, ovvero a omettere di rendere le informazioni che l'acquirente si attenderebbe di ricevere da un contraente in buona fede in un'analoga situazione negoziale, ma era consapevole che il prezzo delle partecipazioni cedute ... non corrispondeva a quello reale, poiché rispecchiava i valori alterati risultanti dai documenti contabili" [da lui stesso] "redatti ... o di cui egli era a conoscenza, in quanto socio e amministratore unico della società» [in questi termini, Corte di Cassazione 11 luglio 2014, n. 16004]
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giurisprudenza solo in rare ipotesi34 -pur non negando l'applicabilità del rimedio alla vendita della partecipazione totalitaria o di controllo- è giunta a riconoscere l'annullamento del contratto e il risarcimento dei danni (ex artt. 1439 e 1440 c.c.)35.
1.2.5. L'aliud pro alio
Continuando l'analisi delle possibili soluzioni alternative alla predisposizione di espresse clausole di garanzia, è utile esaminare il ricorso alla figura dell'aliud pro alio36.
Questa figura viene in considerazione quando il bene consegnato -nel caso di specie le azioni o quote- è completamente diverso da quello pattuito. Individuare in modo sicuro e preciso tale fattispecie non è, però, agevole, sovrapponendosi spesso con altre figure affini. Anzitutto l'affinità si presenta con l'azione di annullamento del contratto per vizi del consenso; sul piano concettuale è, tuttavia, possibile rintracciare una linea di demarcazione tra errore e dolo da un lato, e inesattezza della prestazione traslativa dall'altro. Infatti, l'errore e il dolo, quali vizi del consenso, possono riscontrarsi quando il compratore reputa falsamente di aver diritto ad un bene non corrispondente a quello che il venditore si è impegnato ad attribuirgli; viceversa, l'aliud pro alio presuppone che l'alienante non abbia esattamente eseguito il contratto, e non che il compratore sia stato
34 G. CAPILLI, Cessione di quote sociali e tutela dell’acquirente, in
Contratti, n.12, 2002, pag.1137 ss.
35A. M. PETRUCCI, Cessione di pacchetti azionari e dolo del venditore, in
Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni,
fascicolo 9/10, parte seconda, 1994, pag. 384-430; Secondo la quale ciò avviene: per un verso, a causa del non indifferente onere probatorio a cui soggiace l’azione di annullamento; per altro verso, a causa delle difficoltà che si riscontrano in concreto nel provare la condotta dolosamente preordinata di una parte volta a trarre in inganno la controparte.
36La figura dell’aliud pro alio (letteralmente: qualcosa per qualcos’altro) è
una figura nata nella prassi per far fronte alle “strettoie” della tutela offerta all’acquirente dalle disposizioni concernenti la presenza di vizi e la mancanza di qualità del bene oggetto di trasferimento.
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ingannato sul bene che gli dovrebbe spettare. Una seconda figura, con cui quella dell'aliud pro alio può risultare affine, è quella delle inesattezze della prestazione traslativa connesse ai vizi e alla mancanza di qualità della cosa37. In questo caso vi sono maggiori difficoltà nell'individuazione di un preciso criterio di distinzione38. Infatti, non è possibile contrapporre semplicemente i concetti di garanzia e di inadempimento, poiché sia la prestazione di cose viziate - o prive di qualità essenziali - sia la prestazione di cose radicalmente diverse possono essere considerate e valutate come una inesatta esecuzione del contratto. Anche in giurisprudenza, spesso, non vengono fornite indicazioni precise e coerenti39.
37A. LUMINOSO, op. cit., pag.279 ss.
38La distinzione tra queste tipologie di figure è già abbastanza incerta e
dibattuta nell’ambito di un “ordinaria” vendita, a maggior ragione le cose si complicano nella contrattazione avente ad oggetto le azioni o le quote. In linea generale la dottrina e la giurisprudenza riconducono la disciplina dei vizi a quelle ipotesi in cui il bene consegnato pur essendo quello pattuito con tutti i rispettivi requisiti, tuttavia abbia delle imperfezioni che derivano ad esempio dal processo di produzione. Mentre, riconducono la disciplina della mancanza di qualità alle ipotesi in cui il bene consegnato, pur appartenendo al genere pattuito, presenti dei difetti che influiscono sulla classificazione del bene in una determinata specie nell’ambito del genere contrattato. Infine, vengono ricondotte alla fattispecie dell’aliud pro alio quelle ipotesi in cui il bene consegnato appartiene a un genere completamente diverso da quello pattuito o si presenti completamente inidoneo a svolgere la funzione economico-sociale che tipicamente gli appartiene [R. ROLLI, riv. giur. cit., pag.204 ss.].
39 In una sentenza della Corte di Cassazione del 1971, n. 1521 viene
specificato che: «Si ha vizio redibitorio, oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata al compratore qualora questa presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione o di fabbricazione che rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero qualora essa appartenga, per caratteristiche strutturali, ad un tipo diverso o ad una specie diversa da quella pattuita. Si ha, invece, consegna di aliud pro alio che dà luogo all’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di inadempimento ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione cui sono soggette le azioni ex artt. 1490 e 1497 c.c., qualora la res tradita, sia completamente diversa da quella pattuita, in quanto, appartenendo a un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidonea ad assolvere alla destinazione economico sociale della res vendita e, quindi, a soddisfare in concreto i bisogni che determinarono l’acquirente ad effettuare l’acquisto, così degradando in un oggetto diverso da quello pattuito». Questa sentenza è riportata da E.
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Comunque, con riferimento alla vendita di partecipazioni sociali, l'aliud pro alio è stato in particolare invocato nelle ipotesi di:
o vendita di azioni o quote di categoria diversa o società fallita
o società di tipo diverso
o società in stato di liquidazione
o società esercente un'attività sociale differente da quella prevista nell'atto costitutivo
o vendita di un pacchetto azionario rappresentante una frazione di capitale sociale inferiore a quella pattuita
In queste ipotesi si realizza l'attribuzione al compratore di un diritto diverso da quello contrattato40.
Ciò premesso, occorre precisare che la figura dell'aliud pro alio non consente di attribuire rilievo giuridico ad eventuali insussistenze attive o sopravvenienze nel passivo. Oggetto del contratto sono, infatti, le partecipazioni sociali e le situazioni giuridiche soggettive in esse incorporate. I vizi o le mancanze di qualità dei beni che costituiscono il patrimonio sociale per essere rilevanti, anche sul piano giuridico, dovranno essere tali da incidere, non solo sulla funzionalità del complesso di diritti e obblighi connessi alle azioni, ma anche da alterare completamente la natura e l'identità delle stesse azioni o quote
GABRIELLI, La consegna di cosa diversa, Jovene editore, Napoli, 1987, il quale ritiene che nonostante l’orientamento accolto in tale sentenza sia stato seguito per molti anni, esso lascia aperti diversi interrogativi, non solo teorici ma anche pratici circa l’applicabilità in concreto del criterio distintivo ivi elaborato. Sta di fatto che una distinzione -tra vizi e mancanza di qualità, da un lato, e aliud pro alio, dall’altro- è sempre stata ritenuta necessaria a fronte della differente disciplina applicabile alle due fattispecie. Proprio in virtù di tale differente disciplina è stata ravvisata la tendenza a garantire la tutela dell’acquirente attraverso l’ampliamento delle ipotesi rientranti in una vendita di aliud pro alio piuttosto che in una vendita di cosa viziata o carente di qualità.
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cedute; quando cioè lo status soci risulti completamente difforme da quello tipico previsto dalla legge e considerato dai contraenti41. Ebbene le ipotesi che abbiamo citato (diversità dell'oggetto sociale, stato di liquidazione o di fallimento) costituiscono, più che delle qualità proprie delle partecipazioni, delle caratteristiche che incidono direttamente sulla natura e sulla loro individuazione. Nei casi citati il titolo non è né materialmente, né giuridicamente difettoso, ma la realtà giuridica ed economica cui esso si riferisce è così diversa da incidere sull'individuazione del titolo stesso.
Ad esempio l'oggetto sociale, in quanto elemento essenziale della società, si traduce in motivo di individuazione dei titoli stessi.
Oppure, la cessione di partecipazioni che non attribuiscono il controllo della società, che era stato invece promesso, realizza un’inattuazione totale del senso dell’affare, in quanto il bene alienato risulta radicalmente diverso da quello pattuito e atteso dal compratore. Infatti il titolare della partecipazione di controllo, in teoria, può esercitare una serie di poteri e situazioni giuridiche attive, ma nella pratica non poter esercitare tali poteri “rende la quota un oggetto dalla destinazione economica radicalmente diversa da quella pattuita”42.
Dubbi potrebbero sorgere per il caso di vendita della partecipazione di una società che versa in uno stato di liquidazione, eppure la conclusione per cui si tratti di un’ipotesi di aliud pro alio sembra essere la più opportuna. Infatti, non può ritenersi inalterato lo scopo-fine della società sul presupposto che l'attività di liquidazione sarebbe ugualmente rivolta alla produzione di utili; tale attività non è
41Infatti l’interprete deve compiere un’indagine sul piano funzionale per
comprendere se effettivamente vi sia stata la consegna di aliud pro alio. Quest’ultima si avrà allorquando: inquadrata la funzione che l’oggetto della prestazione avrebbe dovuto soddisfare in teoria, viene riscontrata in concreto la prestazione di un oggetto inidoneo alla funzione per cui il contratto era stato concluso [E. GABRIELLI, op. cit., pag. 142 ss.].
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certamente di produzione, ma semplicemente distributiva con conseguente mutamento funzionale dell'organizzazione societaria43. Possiamo concludere che il richiamo alla figura dell'aliud pro alio pur presentando dei vantaggi - quali: la possibilità di esercitare l'azione di esatto adempimento a prescindere da una previsione esplicita, la possibilità di agire sempre contro il venditore anche se al momento della conclusione del contratto il compratore conosceva il difetto44 e inoltre l'applicazione degli ordinari termini di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.- non sembra realmente idoneo a garantire all'acquirente di partecipazioni sociali una tutela adeguata in ogni situazione.
Tale rimedio, pur garantendo oltre che la risoluzione del contratto anche il risarcimento dei danni ex art. 1453 c.c., opera, come visto, solo in situazioni estreme in cui gli equilibri contrattuali risultano profondamente alterati. Non è invece in grado di operare in quelle ipotesi in cui i vizi o la mancanza di qualità dei beni costituenti il patrimonio sociale non sono tali da modificare la stessa natura e l'identità delle azioni trasferite. In questa ultima ipotesi il compratore dovrà, dunque, attivarsi in sede di stipulazione del contratto, per non rimanere privo di ogni efficace garanzia45.
43A. TINA, op. cit., pag. 252 ss.
44Nei casi di aliud pro alio non si applicano, infatti, gli art. 1489 e 1491 c.c.,
ossia, le norme che escludono il rimedio se il compratore conosceva i difetti o se questi risultavano apparenti o facilmente riconoscibili.
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1.2.6. La presupposizione
Continuando ad analizzare i possibili rimedi a tutela dell’acquirente, “sprovveduto” o “ingenuo”46, occorre esaminare il possibile ricorso
alla presupposizione47.
La Corte di Cassazione ha applicato tale soluzione in una fattispecie di alienazione del pacchetto azionario totalitario di una società il cui patrimonio era rappresentato da un unico bene48. La Corte ha ritenuto che «l’istituto della presupposizione ricorre quando una determinata situazione di fatto o di diritto, passata, presente o futura, di carattere
46 M. SPERANZIN definisce tale un compratore che non ha preteso
l’inserimento nel contratto di un articolato sistema di clausole di garanzia per regolamentare le conseguenze di un eventuale difformità di ciò che è stato consegnato rispetto a quanto atteso; op.cit., nota 23, pag. 17.
47Con il termine presupposizione viene indicato un istituto che non trova
specifica regolamentazione nel nostro codice civile. In particolare un problema di presupposizione sussiste allorquando le parti omettono di richiamare espressamente nel contratto -quindi non attribuiscono incidenza sull’efficacia del contratto a- circostanze dalle quali, interpretando il contratto secondo buona fede, dipende il senso pratico dell’affare, e poi in concreto tali circostanze si rivelano essere state inesistenti fin dall’origine o sono venute a mancare in un momento successivo. Questo istituto è stato predisposto nella prassi per far fronte alle sopravvenienze, ma anche alle inesistenze ab origine, di circostanze che essendo state presupposte dalle parti (quindi non testualmente prese in considerazione nel contratto) possono in concreto provocare uno squilibrio delle corrispettive prestazioni contrattuali [AA. VV., Diritto privato, Ⅰ, seconda edizione, UTET, Torino, 2011, pag.329 ss.].
48Il caso concreto aveva riguardo ad una cessione di tutte le azioni di una
società panamense, intestataria di un panfilo, effettuata solo al fine di trasferire al compratore la proprietà del bene, costituente l’unico cespite patrimoniale della compagine sociale. Dopo il trasferimento della partecipazione sociale totalitaria l’imbarcazione vanne sequestrata su istanza di un terzo, che affermava di aver stipulato un precedente contratto di compravendita con il venditore. Il compratore aveva, dunque, agito in via giudiziale per la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni, essendo venuta meno l’unica ragione per cui aveva acquistato le azioni. Il giudice d’appello aveva respinto le domande avanzate dall’attore, muovendo dall’impostazione tradizionale, per la quale oggetto della compravendita erano le azioni della società e non il bene appartenente al suo patrimonio. Tuttavia la Corte di Cassazione annullò tale decisione, osservando che la proprietà e la piena disponibilità del panfilo al patrimonio della società costituiva oggetto di presupposizione, ossia di una condizione non espressa ma comune alle parti e rilevante per l’efficacia del contratto. [G. IORIO, op.
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obiettivo –il cui venir meno o il cui verificarsi sia, cioè, del tutto indipendente dall’attività e dalla volontà dei contraenti e non costituisca l’oggetto di una loro specifica obbligazione– possa, in mancanza di un espresso riferimento di essa nelle clausole contrattuali, ritenersi tenuta presente dai contraenti medesimi nella formazione del loro consenso come presupposto comune avente valore determinante ai fini del permanere del vincolo contrattuale»49.50
Una ricostruzione più risalente, per un lungo periodo, ha escluso che la presupposizione potesse avere una rilevanza giuridica. In sintesi si sosteneva che nell’ambito di un’operazione di trasferimento di partecipazioni totalitarie o di controllo le valutazioni e le considerazioni dell’acquirente sulla situazione complessiva della società (finanziaria, patrimoniale e reddituale), pur rappresentando generalmente il reale fondamento dell’operazione, dovevano essere considerate come semplici motivi51 e quindi irrilevanti sul piano
49Cassazione, 3 dicembre 1991, n. 12921, in La nuova giurisprudenza civile
commentata, fascicolo 1°, 1992, pag.784.
50A. BELFIORE, La presupposizione, G. Giappichelli editore, Torino, 1998,
pag.72 ss.; l’autore pone in risalto alcune precisazioni circa la definizione di presupposizione offerta dalla Corte di Cassazione. Anzitutto il carattere “obiettivo” delle circostanze o situazioni che erano state ritenute presupposte: queste devono essere svincolate dalla volontà dei contraenti, cioè non devono formare oggetto di una loro specifica obbligazione. In secondo luogo il riferimento al “presupposto comune” riguarda non solo le ipotesi in cui ci sia la volontà di entrambi i contraenti circa la presenza della circostanza presupposta, ma anche le ipotesi in cui vi sia “il riconoscimento di una parte della importanza determinante, ai fini dell’esistenza del vincolo contrattuale, attribuita dall’altra parte alla circostanza-presupposto”. Dello stesso avviso C.M. BIANCA, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2000, pag. 463 ss., secondo il quale: “la semplice conoscenza dell’importanza che una circostanza ha per l’altra parte non vale a subordinare a tale circostanza la sorte del contratto” e ancora: “se una parte annette importanza ad una data circostanza non può infatti presumere di riversarne il rischio sull’altra per il solo fatto che questa ne abbia avuto conoscenza”. Dunque perché una circostanza assuma rilevanza in termini di presupposizione è necessario: o che sia stata valutata da entrambi le parti come determinante ai fini dell’operazione che si vuole porre in essere con la stipulazione del contratto; o che una delle due abbia riconosciuto l’importanza che la stessa circostanza ha per l’altra.
51Attualmente, invece, nella dottrina prevalente la presupposizione viene
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giuridico52. Pertanto la giurisprudenza aveva obiettivizzato la nozione di motivo (come circostanza esterna al negozio) e ne aveva fatto discendere l’irrilevanza della presupposizione, sulla base del rilievo che i motivi del contratto sono irrilevanti per il diritto; per acquisire rilevanza devono essere stati inseriti nella convenzione contrattuale, in quanto solo in tal modo essi possono entrare a far parte della struttura del negozio53.
Ad oggi la giustificazione teorica della rilevanza della presupposizione viene fondata, sempre di più, sull’applicazione della clausola generale della buona fede che sovrintende l’interpretazione e l’esecuzione del contratto (art. 1366 c.c.).
Più precisamente ricorre un caso di presupposizione allorquando da un’interpretazione secondo buona fede della volontà negoziale risulta che le parti, pur non facendone espressa menzione nel contratto, hanno considerato pacifica e come determinante per la conclusione dell’affare una data situazione attuale o futura.
La presupposizione viene, quindi, inquadrata come un utile strumento per riallineare gli equilibri contrattuali. Se il contratto di compravendita viene concluso sulla base di un determinato presupposto oggettivo54, il venir meno di questo fa venir meno conseguentemente il vincolo contrattuale; la persistenza di quest’ultimo era oggettivamente subordinata al permanere della situazione assunta come presupposto oggettivo del contratto. L’applicazione della presupposizione si risolve così, sul piano pratico,
differenza dei secondi, appunto irrilevanti giuridicamente) che discende dall’oggettiva influenza che questa esercita sull’affare, anche se non è stata espressamente presa in considerazione ma deriva da un’interpretazione secondo buona fede del disposto contrattuale.
52G. IORIO, op. cit., pag. 50 ss.
53P. DE MARCHIS, La cessione di pacchetti azionari e la teoria della
presupposizione, in La nuova giurisprudenza civile commentata, fascicolo
1°, 1992, pag. 789/794.
54Il quale può essere una determinata consistenza patrimoniale della società
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in un esame del singolo caso concreto. Deve di fatto essere dimostrato che un certo bene, una certa consistenza patrimoniale o finanziaria sono stati considerati da entrambe le parti come presupposto imprescindibile dell’accordo.
È evidente che la principale difficoltà per l’acquirente è proprio quella di fornire la prova delle circostanze che, in quanto presupposte, sono state determinanti per la conclusione del contratto (e lo sono state per entrambi i contraenti). L’esito positivo di tale onere probatorio renderà possibile procedere alla risoluzione del contratto, tutelando, così, l’interesse primario dell’acquirente a non entrare in possesso di una società differente da quella che si era raffigurata, o ormai non più integra55.
Nonostante sia pienamente possibile che nel caso concreto trovi spazio l’applicazione di tale strumento di tutela, questo tuttavia non si dimostra in grado di soddisfare tutte le esigenze delle parti coinvolte (in particolare dell’acquirente). Infatti, la presupposizione risolve solo
55Noi facciamo riferimento in modo generico alla risoluzione del contratto,
ma in dottrina e in giurisprudenza è ancora vivo il dibattito circa il rimedio da applicare alla presupposizione. Infatti secondo un orientamento sarebbe opportuno distinguere il difetto originario dal difetto sopravvenuto della circostanza presupposta. Questo orientamento parte dall’assunto per cui nel nostro ordinamento è usuale distinguere tra i vizi originari e quelli sopravvenuti collegando rimedi differenti nell’uno e nell’altro caso. Quindi, seguendo questo orientamento, il contratto verrebbe ad essere nullo se la circostanza presupposta era inesistente ab origine; invece, se la circostanza presupposta viene meno in un momento successivo, il rimedio applicabile sarà quello della risoluzione del contratto. Il quadro non migliora se si prendono in considerazione i casi concretamente risolti dalla giurisprudenza; infatti A. BELFIORE, op. cit., pag. 80 ss., prendendo in considerazione la casistica evidenzia la presenza di risposte discordanti. Ad esempio la mancanza originaria della circostanza presupposta in alcune ipotesi ha dato luogo alla dichiarazione di invalidità del contratto, in altre ipotesi ha dato luogo alla dichiarazione di inefficacia di quest’ultimo. Allo stesso modo soluzioni discordanti sono state date nell’ipotesi di mancanza sopravvenuta della circostanza presupposta. Comunque sia noi abbiamo preferito dare rilevanza all’orientamento opposto, per cui il rimedio della nullità non soddisfa pienamente i caratteri della presupposizione e risulterebbe preferibile dare risposta a tutte le ipotesi di presupposizione attraverso il rimedio della risoluzione (previsto in generale per le ipotesi di inefficacia del contratto) [AA. VV., op. cit., pag. 331 ss.].
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situazioni limite in cui vengono meno i presupposti determinanti del consenso prestato dalle parti; invece, non si rileva adatta a rimediare, in modo opportuno, alle fattispecie patologiche che con maggiore frequenza possono verificarsi in seguito alla vendita della partecipazione totalitaria o di controllo56. A ciò si deve aggiungere che il ricorso alla presupposizione –con conseguente risoluzione del contratto- potrebbe rilevarsi uno strumento eccessivo rispetto alle reali esigenze dell’acquirente. Quest’ultimo, infatti, se decidesse di mantenere fermo il contratto si troverebbe privo di scelta, in quanto non potrà chiedere alcun tipo di ristoro per gli eventuali danni subiti57.
1.2.7. La rescissione per lesione
Il rimedio della rescissione per lesione ex art. 1448 c.c., pur in astratto esperibile (in quanto rappresenta l’unico strumento predisposto dal legislatore per far valere difformità nel contenuto economico del negozio traslativo), finisce per riscontrare in questa materia rilevanti difficoltà applicative; ciò in quanto difficilmente potranno riscontrarsi, in una cessione di partecipazioni totalitarie o di controllo, i requisiti legali richiesti dalla normativa codicistica.
L’art. 1448 c.c. al 1° comma richiede lo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra deve aver approfittato58; e al 2° comma ammette l’esperibilità dell’azione di rescissione solo se la lesione eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto59. Dunque la rescissione
56Ipotesi in cui, solitamente, il disequilibrio che si crea tra le parti, non è tale
da dover portare all’eliminazione dell’intero contratto.
57A. TINA, op. cit., pag. 262 ss.
58 Una cosa, infatti, è la situazione di generico approfittamento, altro è
l’approfittamento strettamente collegato a uno stato di bisogno altrui.
59 A. CALABRESE, Rescissione per lesione e alienazione di pacchetto
azionario strategico, in Contratto e impresa, fascicolo 1°, n. 2, 2002,
pag.510/546. Il secondo requisito legale -tradizionalmente riassunto con la locuzione “lesione ultra dimidium” - è particolarmente difficile da provare; ciò a maggior ragione nella tipologia di compravendita in esame in cui è poco
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rappresenta un caso limite60, considerata la difficoltà che si realizzino in concreto i requisiti di cui all’art 1448 c.c.
Possiamo portare come esempio concreto dell’applicazione di tale istituto una sentenza della Corte di Cassazione (14 febbraio 1963, n. 325). Nel caso di specie la Corte aveva ritenuto provato l’approfittamento, da parte dell’acquirente, dello stato di bisogno in cui si trovava l’alienante, in virtù di una legge che vietava agli ebrei di essere proprietari, di dirigere e amministrare imprese industriali che avessero più di cento dipendenti61. La Corte ha rinviato la causa alla Corte d’Appello perché accertasse se vi fosse stata o meno una sproporzione nel prezzo. Al di fuori di questo caso segnalato, la domanda giudiziale di rescissione è stata costantemente respinta dalla giurisprudenza.
1.3. L’inadeguatezza della tutela legale e la necessità e
diffusione delle diverse garanzie contrattuali
A fronte di tutto ciò che finora abbiamo detto, possiamo concludere che in assenza di specifiche clausole di garanzia previste nel contratto di compravendita, gli strumenti a disposizione delle parti non sono sufficienti o pienamente idonei a predisporre un adeguato sistema di tutela degli interessi coinvolti (in particolare di quelli dell’acquirente). Anche quando sia possibile fare ricorso a strumenti di tutela legali, questi, abbiamo riscontrato, hanno un ristretto ambito di operatività. Infatti, il ricorso a tali soluzioni si adatta solo a quelle situazioni estreme in cui l’acquirente non ha più alcun interesse a mantenere in vita gli effetti del contratto.
agevole dimostrare una simile sproporzione. Infatti il valore delle prestazioni è difficile da stimare: sia a causa dell’utilizzo di criteri soggettivi nella determinazione del corrispettivo di vendita, sia a causa di un mercato che ha ormai raggiunto un elevato grado di complessità strutturale.
60A. TINA, op. cit., pag.272 ss. 61G. IORIO, op. cit., pag. 81
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Possiamo concludere che la predisposizione di specifiche clausole contrattuali di garanzia è necessaria non solo per assicurare una completa e ampia rilevanza del patrimonio sociale nel trasferimento di partecipazioni, ma anche per tutelare l’acquirente da alcune circostanze non direttamente riconducibili alla situazione patrimoniale e finanziaria della società.
Dobbiamo premettere, comunque, che la predisposizione di specifiche garanzie non preclude necessariamente il ricorso alla tutela offerta dal comune regime legale (tutela che rimane quindi alternativa o, a seconda delle circostanze, concorrente a quella pattizia)62.
Nelle decisioni della giurisprudenza è ormai diffusa l’affermazione che la vendita delle partecipazioni non attribuisce alcun diritto sul patrimonio sociale all’acquirente63, salvo che una determinata consistenza di quest’ultimo sia stata garantita dal venditore con apposite pattuizioni. Da qui la diffusione nei contratti di determinate clausole, denominate representations and warranties, volte a tenere indenni le parti da un acquisto – ma anche da una vendita – non soddisfacente64. Tali pattuizioni sono state mutuate, nella prassi negoziale italiana, dalla prassi contrattualistica diffusa nei paesi di common law ove le parti sono solite predisporre un programma negoziale volto a disciplinare minuziosamente ogni aspetto dell’operazione. Tratteremo approfonditamente di tali garanzie convenzionali nel prossimo capitolo.
62A. TINA, op. cit., pag. 275 ss.
63Sostenendo la netta alterità tra titolarità delle azioni e proprietà dei beni
sociali. S. AMBROSINI, Trasferimento di partecipazioni azionarie,
clausole di indemnity e contratto per persona da nominare, in Contratto e impresa, 1996, pag.898 ss.
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CAPITOLO SECONDO
Le clausole di garanzia convenzionali
Sommario
: 2. Le clausole di garanzia: significato e funzione. – 2.1 Classificazione delle clausole di garanzia convenzionali. – 2.1.1 La distinzione tra le clausole di representations e warranties: caratteri generali. – 2.1.2 La distinzione tra legal warranties e business warranties: caratteri generali. – 2.2 La disciplina applicabile alle clausole di garanzia. – 2.3 La rilevanza degli eventi straordinari che alterano il valore della prestazione. – 2.3.1 (Segue) Gli eventi sopravvenuti dopo la conclusione del contratto definitivo. – 2.4 Le clausole di garanzia incomplete: integrazione della disciplina. – 2.5 Le representations: la loro natura e gli effetti della loro violazione. – 2.6 Le legal warranties: la loro funzione complementare e integrativa rispetto alla disciplina di diritto comune. – 2.6.1 (Segue) Alcune tipologie di legal warranties. – 2.6.2 (Segue) La necessità di distinguere i difetti del diritto trasferito e i vizi della cosa. – 2.7 La natura delle clausole più discusse: le business warranties. – 2.7.1 (Segue) Ulteriori teorie sulla natura delle business warranties. – 2.8 Prescrizione e decadenza. Analisi di recenti pronunce giurisprudenziali e di una proposta di legge. – 2.9 Alcune tra le varie tipologie di business warranties più diffuse. – 2.10 Considerazioni conclusive.2. Le clausole di garanzia: significato e funzione
Prendiamo in considerazione dettagliatamente le clausole di garanzia. La loro importanza pratica si spiega proprio in considerazione della adesione prevalente in giurisprudenza e dottrina alla tesi giuridico-formale, per cui oggetto della compravendita sarebbero esclusivamente le quote o le azioni e non il patrimonio sociale sotteso. In quest’ottica si spiega l’esigenza per l’acquirente di dotarsi di appositi strumenti di tutela, dei quali altrimenti risulterebbe privo
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secondo il modello legale. Come abbiamo infatti avuto modo di constatare nel precedente capitolo, gli strumenti di tutela legali, laddove applicabili, non forniscono la tutela attesa, oltre a trovare applicazione, spesso, nei soli casi limite.
Anche nell'ambito delle decisioni giurisprudenziali è ormai diffusa l'affermazione per cui la vendita della partecipazione, anche totalitaria o di controllo, non attribuisce alcun diritto sul patrimonio sociale, a meno che una determinata consistenza di quest'ultimo sia stata appositamente garantita. 65
È interessante passare sommariamente in rassegna l'evoluzione che in questo settore hanno avuto le pronunce giurisprudenziali. Al riguardo un utile periodizzazione è quella prospettata da Bonelli 66.
Un primo periodo compreso tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 del secolo scorso, vede la redazione di contratti semplici, ossia privi di clausole di garanzia. Cui si accompagnava la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui la vendita della partecipazione sociale non equivale alla vendita dei beni o del patrimonio sociale (e pertanto solo in presenza di espresse clausole l'oggetto di reale interesse del compratore è meritevole di specifica tutela)67.
Un secondo periodo, tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ’80, vede la giurisprudenza incline a riconoscere maggiore tutela all'affidamento che il compratore ha posto su una determinata consistenza patrimoniale della società. A tal fine, appare decisiva l'interpretazione del contratto secondo buona fede e correttezza, che consente di
65M. SPERANZIN, op.cit., pag. 8 ss.
66 F. BONELLI, Acquisizione di società e di pacchetti azionari di
riferimento: le garanzie del venditore, in Diritto del commercio internazionale, fascicolo 2°, 2007, pag. 293-324.
67 Esempi di questo orientamento giurisprudenziale li abbiamo: nella
sentenza Cass., 10 maggio 1946, n. 559: “L’alienazione dell’intero pacchetto azionario non equivale alla vendita dell’azienda gestita dalla società e, perciò, il compratore non ha diritto al riscontro delle attività sociali”; nella sentenza Cass., 22 settembre 1959, n.2598: “Il trasferimento del pacchetto azionario di una società determina il trasferimento dei diritti inerenti alla qualità di socio, ma non ha alcun riflesso sul patrimonio della società”.