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CAPITOLO 3

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 3

Modalità Fisioterapiche

La fisioterapia include varie metodiche, alcune manuali, altre strumentali. Per quanto riguarda le metodiche manuali si ha l’applicazione di caldo o freddo, il massaggio, l’idroterapia, gli esercizi passivi e quelli attivi. Invece per le tecniche strumentali ci si avvale di elettrostimolazione, ultrasuoni, laser terapia, magnetoterapia e onde d’urto. Ognuna di queste tecniche verrà analizzata di seguito, individuando gli effetti positivi e negativi di ognuna, e le modalità di applicazione.

3.1 Il massaggio

Il massaggio è una delle tecniche base della fisioterapia. Oltre ad essere una terapia vera e propria è molto utile al veterinario per instaurare un rapporto positivo con il paziente in quanto il massaggio ha un’azione rilassante e rassicurante sull’animale, che sarà più predisposto ad accettare le manipolazioni successive.

Il massaggio agisce con tre modalità differenti sull’oganismo: tramite un azione termica, un azione meccanica e tramite libarazione di endorfine.

L’attività termica porta a vasodilatazione locale; questo porta ad un maggior afflusso di sangue e quindi maggior apporto di ossigeno e nutrienti che favoriscono il metabolismo cellulare e quindi

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la guarigione più rapida dei tessuti e aiuta i muscoli a lavorare in modo più efficiente. L’aumento locale della temperatura porta anche ad un aumento dell’elasticità tissutale.

L’azione meccanica del massaggio porta a risolvere le aderenze tramite uno scollamento dei vari piani tissutali, risoluzione di ematomi, risoluzione di contratture e aumento del ritorno venoso con conseguente eliminazione dell’edema, dei metabolici tossici e dei fattori dell’infiammazione. Questa azione porta anche a riduzione del dolore in quanto i fattori dell’infiammazione sono anche i mediatori dello stimolo algico.

Infine, la liberazione di endorfine che il massaggio provoca, porta a riduzione del dolore e quindi a maggior mobilità dell’arto.

Il massaggio può essere utilizzato per trattare una grande varietà di affezioni muscolari. Viene utilizzato per risolvere la tensione muscolare che si crea secondariamente a patologie articolari e spinali. La postura scorretta, la presenza di spasticità e di zoppie, il dolore e lo sforzo fisico possono determinare contratture e tensioni muscolari notevoli e la contrazione dei muscoli può determinare riduzione del flusso ematico nella zona affetta. Questo comporta la riduzione dell’apporto di ossigeno ai muscoli coinvolti e riduce la rimozione dei metaboliti tossici prodotti dai muscoli come ad esempio l’acido lattico. La conseguenza è inevitabilmente un circolo vizioso dove il dolore provoca tensione muscolare e viceversa.

Il massaggio è una delle principali metodiche utilizzata per bloccare questo meccanismo.

Naturalmente questa tensione non colpisce solo i tessuti circostanti, ma anche il resto del corpo che è costretto ad assumere una postura innaturale. Il massaggio non è utile soltanto a livello muscolare, ma grazie alla maggiore temperatura che si crea, migliora l’elasticità di tendini e legamenti e migliora la funzionalità articolare (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis 2004).

Effettuato subito dopo il trauma o la chirurgia, il massaggio aiuta a prevenire la congestione e quindi l’edema e previene la formazione di aderenze.

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È molto utile anche nei pazienti neurologici con paresi e paralisi in quanto migliora il tono muscolare e la percezione sensoriale. Inoltre lo stimolo prodotto sui fusi neuromuscolari e sulle terminazioni sensitive determina l’aumento della capacità contrattile.

In ultima analisi il massaggio è utile sia nel riscaldamento prima dell’attività fisica che nel defaticamento dopo la terapia.

Questa metodica, tuttavia, non può essere applicata in zone dove si ha infezione, ad animali che hanno alterazione della coagulazione, scompenso cardiaco o che presentano un tumore a livello della zona da trattare (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis 2004).

Esistono varie tecniche di massaggio che possono essere personalizzate dal terapista e che possono variare a seconda del paziente che si deve trattare.

Le tecniche principali esistenti sono: lo sfioramento, la frizione, la compressione, l’impastamento e la percussione.

Lo sfioramento consiste nell’accarezzare l’animale per favorire la circolazione ematica e linfatica e stimolare le terminazioni nervose sensitive. Si procede sempre in senso centripeto in quanto si deve favorire il ritorno venoso verso il cuore. In questo modo entriamo in contatto con l’animale che lentamente si rilassa e prende fiducia nei nostri confronti. Accarezzare lentamente l’animale è molto utile anche per verificare il tono muscolare e individuare la presenza di edema, masse o differenze di temperatura tra le varie aree del corpo. Uno sfioramento più energico agisce più in profondità a livello del sottocute (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis 2004).

La frizione si attua applicando una pressione variabile sulla cute attraverso i polpastrelli delle dita. Può essere più o meno superficiale e si possono trattare aree più o meno ampie. Se l’area da trattare è ampia applicheremo la frizione facendo scorrere velocemente i polpastrelli di entrambe le mani lungo l’area da trattare in senso centripeto. Se l’area è ristretta effettueremo con le mani dei rapidi movimenti circolari. In entrambi i casi si ha l’aumento del flusso sanguigno e si

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favorisce l’eliminazione delle aderenze e il riassorbimento di ematomi (B.Bockstahler, D.Levine,

D.Millis 2004).

Con la compressione, esercitata con i polpastrelli o con le nocche delle mani, viene stimolata la circolazione, il riassorbimento degli edemi e la mobilità tissutale. Con questa tecnica si esercita una pressione più in profondità coinvolgendo anche il derma (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis

2004).

L’impastamento, a seconda di come viene effettuato, può portare a due risultati opposti: se effettuato superficialmente porta a riduzione del tono muscolare, se effettuato più in profondità porta all’aumento del tono muscolare.

L’impastamento superficiale consiste nel sollevare la cute e il sottocute a formare una plica cutanea, distanziandola dai tessuti sottostanti. Si procede poi sollevando il segmento successivo partendo dalla coda e arrivando alla testa lungo tutto il dorso e dalle estremità verso il corpo dell’animale.

L’impastamento profondo si utilizza per trattare direttamente i muscoli. Si afferra un gruppo muscolare con una o entrambe le mani posizionando il pollice da un lato del muscolo e il resto delle dita dall’altro lato, aprendo e chiudendo le mani impastando cosi i muscoli tra le dita. Questa tecnica non deve essere utilizzata a meno che il paziente non sia rilassato ed è necessario rendere precedentemente i tessuti più elastici tramite il frizionamento o lo sfioramento (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis 2004).

La percussione può essere effettuata con i polpastrelli, la mano a pugno o a fendente. Si utilizza per provocare un’ipertermia che favorisce il rilassamento di muscoli tendini e legamenti (B.Bockstahler, D.Levine, D.Millis 2004).

Il massaggio sarà efficiente solo se viene effettuato in un ambiente rilassante e tranquillo. Dovrà quindi essere un ambiente isolato in cui non si abbia la presenza di persone estranee o rumori che possano distrarre l’animale. La temperatura ambientale dovrebbe essere confortevole per evitare

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tremori da parte del paziente. Solitamente il massaggio viene effettuato con il soggetto a terra sdraiato su di un tappetino isolante per favorire il suo rilassamento (B.Bockstahler, D.Levine,

D.Millis 2004) )(D.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004) (B.Clark, R.M.McLaughlin 2001) .

3.2 Esercizi terapeutici

Gli esercizi terapeutici sono una delle tecniche riabilitative più utili e maggiormente utilizzate nella fisioterapia, sia nel postoperatorio sia per il trattamento di patologie croniche.

Il loro scopo è quello di migliorare ed accelerare il recupero funzionale della parte lesa. Uno tra gli obiettivi degli esercizi terapeutici è quello di prevenire o ridurre la rigidità articolare e migliorare il ROM (range of motion) articolare attivo. Altro obiettivo è quello di ridurre il dolore

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durante il movimento e l’eventuale zoppia stimolando così l’uso dell’arto/ degli arti da riabilitare. Ulteriore target è quello di migliorare il tono e la massa muscolare, prevenire o risolvere l’atrofia e le contratture muscolari, consentendo così il recupero precoce della normale attività fisica.

Infine migliorare la coordinazione dei movimenti e l’equilibrio migliorando la propriocezione.

Gli esercizi terapeutici sono indicati nel trattamento di pazienti neurologici e ortopedici in cui vi sia una riduzione di funzionalità.

Nei pazienti neurologici i movimenti attivi e passivi che vengono realizzati consentono di stimolare i riflessi spinali ed indurre la contrazione muscolare. Durante l’esercizio attivo o passivo le vie nervose vengono stimolate ripetutamente, questo provoca un graduale aumento della velocità di trasmissione degli impulsi nervosi, grazie ad una diminuzione della resistenza sinaptica. Di conseguenza gli esercizi attivi e passivi effettuati su arti paretici aumentano la conduzione degli impulsi nervosi e la forza muscolare (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero,

C.Venzi 2005).

Qualora non sia possibile far compiere al soggetto movimenti in maniera attiva, sarà il fisioterapista che eseguirà dei movimenti passivi, incoraggiando gradualmente un esercizio attivo, in cui i muscoli stessi sono direttamente responsabili dell’escursione dei segmenti ossei dell’articolazione. L’iter riabilitativo, la sua intensità e la sua durata sono correlati al tipo d’attività fisica richiesta all’animale una volta riacquistata la normale attività motoria, dall’impegno profuso dai proprietari dell’animale, dall’impegno che il paziente stesso mette nell’effettuare gli esercizi, dal carattere che ha e dalla gravità della patologia da trattare (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005).

La scelta degli esercizi da attuare varia a seconda dei miglioramenti raggiunti. Quando si ha un miglioramento clinico e la guarigione del tessuto avanza, il programma riabilitativo deve essere

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cambiato per andare di pari passo con i progressi dell’animale e impegnare nel giusto grado i tessuti coinvolti. L’intensità di un esercizio può essere aumentata o diminuita cambiando la durata dell’esercizio stesso, la frequenza con cui viene effettuato e la velocità con cui viene eseguito.

Esistono molti tipi diversi di esercizi sia attivi che passivi. L’abilità del terapista stà nell’individuare quelli che danno i risultati migliori sul singolo paziente. È molto importante variare spesso esercizi affinché il paziente non si annoi a causa della ripetitività. Spesso è necessario incoraggiare il paziente ad effettuare determinati esercizi redarguendolo con dei rinforzi positivi quali giocattoli o cibo.

Risulta utile insegnare ai proprietari gli esercizi più semplici di modo che il paziente possa esercitarsi anche a casa cosicché la terapia risulti costante e la guarigione più rapida.

Esistono tre diverse modalità di esercizi terapeutici che si dividono, a seconda del maggiore o minore coinvolgimento del paziente, in esercizi passivi, attivi assistiti e attivi.

3.2.1 Esercizi Passivi

Questo tipo di esercizi non prevede alcun movimento volontario da parte del paziente ed include esercizi PROM, lo stretching, lo stimolo del riflesso flessorio e il mantenimento della stazione

quadrupedale grazie ad un sostegno esterno.

PROM in inglese significa Passive Range Of Motion, vale a dire movimento passivo di un’articolazione sfruttandone la massima escursione.

L’intero movimento che un’articolazione può effettuare è chiamato ROM (range of motion). La struttura dell’articolazione e il volume, l’integrità e la flessibilità dei tessuti molli che scorrono sopra l’articolazione influenzano la mobilità dell’articolazione. Il ROM viene misurato su tutte le articolazioni tramite un goniometro, e ogni dato deve essere registrato e valutato comparandolo ai valori standard del ROM di ogni articolazione, in quanto tutte le articolazioni hanno un loro

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angolo di flessione/estensione caratteristico. Anche i muscoli hanno un ROM, che è definito come l’escursione funzionale del muscolo. Questa è data dall’accorciamento che riesce ad ottenere il muscolo partendo dal suo massimo allungamento (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor

2004).

I PROM vengono eseguiti mediante l’applicazione di forze esterne, senza che vi sia contrazione muscolare volontaria.

Gli obiettivi dei PROM sono: stimolare la circolazione ematica e linfatica, migliorare il range of

motion articolare e prevenire rigidità articolari, prevenire e contrastare contratture muscolari,

mantenere la mobilità tra i vari tessuti diminuendo la formazione di aderenze, contrastare l’atrofia muscolare da disuso e facilitare la ripresa funzionale di un arto, ridurre il dolore durante il movimento favorendo la produzione di endorfine, ridurre la zoppia e velocizzare il processo di guarigione.

Il PROM viene usato su pazienti che non sono in grado di muovere le articolazioni da soli, o in quei pazienti in cui il movimento attivo di un’articolazione può essere deleterio, come ad esempio nei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico per la risoluzione di una frattura articolare. L’utilizzo più comune del PROM si ha immediatamente dopo un intervento chirurgico per prevenire l’immobilità articolare che porta alla conseguente contrazione dei tessuti molli circostanti, mantenere la mobilità tra i vari strati tissutali, ridurre il dolore, favorire il flusso sanguigno e linfatico, e migliorare la produzione e la distribuzione di liquido sinoviale.

Tuttavia il ROM passivo non è sufficiente a prevenire l’atrofia muscolare ed è meno efficace del ROM attivo nel migliorare il flusso ematico e linfatico nell’articolazione.

Le manipolazioni prevedono movimenti passivi di flessione, estensione, abduzione e adduzione per tutta l’ampiezza dell’escursione articolare. Durante l’esecuzione di tali manipolazioni è

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importante evitare di raggiungere il limite minimo della soglia del dolore in quanto questo causerebbe reazioni di difesa e ostacolerebbe lo svolgimento degli esercizi. Le mobilizzazioni passive devono essere lente e delicate e devono rispettare la biomeccanica delle strutture teno-muscolari. Il paziente deve essere posizionato in maniera tale che sia comodo e rilassato. Gli esercizi di PROM vanno eseguiti prendendo l’estremità di un arto e facendogli compiere un movimento di pedalamento o muovendo individualmente ogni singola articolazione, partendo dall’estremità distale e proseguendo prossimamente. L’articolazione deve essere manipolata mantenendo fissa l’estremità prossimale e muovendo quella distale, fino al punto in cui si incontra resistenza, cioè quando si raggiungono il punto di massima estensione o massima flessione. Se posizioniamo le mani vicino all’articolazione la forza che applicheremo sarà minore mentre se le posizioniamo distalmente sarà maggiore. È consigliabile effettuare una ventina di ripetizioni per ciascuna articolazione tre quattro volte a giorno.

È opportuno iniziare il trattamento di PROM il giorno stesso dell’intervento ( seguito poi dall’applicazione di impacchi freddi per evitare l’eventuale infiammazione), o comunque il più precocemente possibile, in relazione al tipo di patologia in atto.

Quando siamo di fronte ad un paziente che non usa da tempo una delle zampe è consigliabile effettuare il PROM anche all’arto controlaterale in quanto avrà sopportato un peso maggiore e le articolazioni probabilmente ne avranno sofferto.

Questo tipo di esercizi può essere effettuato anche a casa dai proprietari, per rendere così il trattamento più efficace.

Nel momento in cui si applicano pressioni che vanno oltre il limite massimo del ROM si inizia a fare lo stretching. È possibile eseguire contemporaneamente lo stretching e il PROM, in maniera tale da mantenere e migliorare la flessibilità delle articolazioni e l’estensibilità dei tessuti periarticolari, dei muscoli e dei tendini (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005).

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Tutte le condizioni che portano ad un accorciamento adattativo dei tessuti, compresa l’immobilità o la ridotta mobilità, una patologia periarticolare, o problemi neurologici possono rispondere favorevolmente allo stretching. L’accorciamento adattativo dei tessuti può portare ad un indebolimento muscolare in quanto non si ha più la tensione muscolare. Infatti essendoci un accorciamento tissutale, difficilmente il muscolo verrà disteso oltre un certo limite, per cui non ci sarà stimolazione dei fusi neuromuscolari che servono a mantenere il tono muscolare.

La flessibilità è l’abilità dei tessuti, specialmente i muscoli, di rilassarsi e rispondere ad una forza distensiva. Lo stretching forzato porta all’allungamento dei tessuti al di là dei limiti naturali per poter rendere possibile l’aumento del ROM articolare. Lo stretching forzato può essere nocivo se non si ha un adeguato supporto dei tessuti molli che mantengono la stabilità articolare e prevengono una eventuale lesione.

La contrattura si ha quando un muscolo o altro tessuto molle che distende un’articolazione si accorcia e ne limita il ROM. Le contratture possono essere definite a seconda del tessuto coinvolto. Contratture miostatiche hanno una giunzione muscolotendinea che si è adattata ad una posizione accorciata. Non si ha una vera e propria patologia, ma l’articolazione ha una possibilità di escursione molto minore. Anche le adesioni cicatriziali che si possono creare tra due tessuti, come ad esempio tra muscolo e fascia, possono limitare il ROM. Questo si può evitare con lo stretching ed il massaggio applicati subito dopo la lesione, durante il periodo di guarigione. Se non si interviene tempestivamente l’adesione può trasformarsi in tessuto fibroso; si avrà così una drammatica riduzione del ROM articolare e sarà molto più difficile riportare l’articolazione alla sua fisiologica mobilità (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004).

Un danno a livello del sistema nervoso centrale, con segni da motoneurone superiore può portare ad un ipertono muscolare e ad una contrattuta pseudo miostatica. In questa situazione la muscolatura si trova in costante contrazione e questo porta ad una diminuzione di mobilità articolare. Un ROM ed uno stretching appropriati possono aiutare a migliorare questo tipo di

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contrattura. I vari tessuti coinvolti nelle contratture, che sono muscolo, legamenti, tendini capsula sinoviale e pelle, rispondono in maniera differente allo stretching. Per questo il terapista deve capire quali sono i tessuti maggiormente coinvolti nella ridotta mobilità articolare e scegliere la tecnica più appropriata per raggiungere l’obiettivo. Se il tessuto viene disteso oltre i suoi limiti, rimarrà una permanente deformazione del tessuto anche dopo il suo rilascio, provocando un aumento della lunghezza a riposo; questa viene definita deformazione plastica. L’effetto acuto dello stretching è l’allungamento immediato della componente elastica dell’unità muscolotendinea. Uno stretching cronico può essere applicato immobilizzando l’arto con il tessuto target in posizione di allungamento. Lo stretching cronico, applicato oltre un certo periodo di tempo, può provocare un aumento dei sarcomeri che porta ad un allungamento di tessuto muscolare. Questo tipo di stretching viene usato per allungare tessuti che si erano accorciati e per diminuirne la rigidità. L’immobilizzazione di un muscolo in una posizione contratta invece porta ad una riduzione nel numero di sarcomeri e all’aumento di tessuto connettivo (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004).

All’interno dei muscoli scheletrici si hanno due organi che servono a preservarne l’integrità: il fuso muscolare e l’organo tendineo di Golgi.

Il fuso muscolare è una formazione fusiforme capsulata costituita da fibre muscolari con al centro cellule con capacità sensoriale. Il fuso viene innervato da fibre afferenti che provengono dal midollo spinale. Il fuso è disposto all’interno del muscolo in parallelo alle fibre extrafusali, quindi ha la stessa differenza di potenziale ed avverte la stessa tensione del muscolo. Quando si ha stiramento del muscolo, e quindi anche del fuso, si ha l’invio da parte del fuso di un treno di potenziale che raggiunge il midollo spinale. Da qui tramite il moto neurone inferiore, che nasce dal corno ventrale, parte l’impulso nervoso e si avrà la contrazione muscolare che si oppone allo stiramento muscolare. Il fuso muscolare quindi monitorizza la velocità e il grado con cui il muscolo si distende. Bisogna quindi porre molta attenzione per evitare di stirare troppo

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rapidamente il muscolo altrimenti provocheremmo la stimolazione del fuso muscolare con la conseguente contrazione muscolare, mentre il nostro obiettivo è quello di avere la muscolatura rilassata per poterla distendere. L’organo tendineo di Golgi invece rileva la tensione muscolare durante la contrazione. È anche questo un recettore di tensione, costituito dalle arborizzazioni terminali di una fibra sensitiva che prende contatto con un fascetto di fibre tendinee. In questo caso però è disposto in serie rispetto alle fibre muscolari e viene attivato quando la tensione è particolarmente elevata, cioè quando si hanno contrazioni muscolari massimali. Serve quindi a salvaguardare l’integrità del muscolo.

Tessuti molli non contrattili come tendini e legamenti, sono composti principalmente di collagene. La distensione iniziale anche lieve applicata a questi tessuti risulta in uno stiramento delle fibre di collagene. Alla fine dello stretching però le fibre di collagene, che sono relativamente elastiche, ritornano alla loro posizione di riposo normale. Se lo stress sul tessuto continua, i legami tra le fibrille e le fibre di collagene si possono danneggiare, risultando in una deformazione plastica. Dobbiamo quindi prestare attenzione durante lo stretching per evitare danni tissutali. Forze di poca intensità applicate ai tessuti per un determinato periodo di tempo permettono alle fibre di collagene di riarrangiarsi, portando ad un allungamento più sicuro dei tessuti (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004).

Esistono varie tecniche di stretching: lo stretching statico, quello meccanico prolungato, quello balistico e lo stretching propriocettivo neuromuscolare semplificato.

Lo stretching statico si attua tenendo immobile l’articolazione per 15-20 secondi in una posizione tale che i muscoli ed il tessuto connettivo siano mantenuti alla loro massima distensione. Un vantaggio di questa tecnica sta nel fatto che si applica una forza debole e quindi si riducono le possibilità di provocare un danno iatrogeno. Si ha anche una minore stimolazione del fuso muscolare con conseguente tono muscolare minore. È molto importante far sì che lo stretching sia delicato, confortevole e ben tollerato dall’animale. Lo stretching va ripetuto fino a

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20 volte per trattamento, consentendo ogni volta al tessuto di ritornare alla sua posizione naturale.

Lo stretching meccanico prolungato è simile al precedente in quanto attuato con forze di bassa intensità, ma ne differisce in quanto viene applicato per lunghi periodi di tempo che vanno dai 20 minuti fino a più ore al giorno. Questo tipo di stretching può esser messo in atto con una steccatura o con altre tecniche che mantengano in tensione l’arto per un ampio lasso di tempo. Quando un muscolo viene mantenuto in una posizione allungata per diverse settimane, si ha l’aumento del numero di sarcomeri e quindi di lunghezza del muscolo. Questo allungamento però persiste solo se l’aumento di lunghezza viene utilizzato attivamente.

Lo stretching balistico è costituito da una serie di movimenti veloci che vengono utilizzati per stirare i muscoli ed il tessuto connettivo. Anche se si possono ottenere buono risultati dal punto di vista dell’allungamento tissutale è alto il rischio di provocare dei danni ai tessuti coinvolti. Lo stretching propriocettivo neuromuscolare semplificato è più complesso e sfrutta l’attivazione dello stiramento neuromuscolare. Gli allungamenti utilizzano una sequenza contrazione-rilassamento del muscolo antagonista. Sfortunatamente questo tipo di stiramento necessita della contrazione volontaria di un gruppo di muscoli da parte del paziente. Di conseguenza si può utilizzare l’elettrostimolazione per far contrarre determinati gruppi muscolari senza la collaborazione del paziente, ma sono state fatte poche esperienze cliniche con questa tecnica (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004).

Durante lo stretching dobbiamo fare attenzione a non forzare troppo l’articolazione oltre un ROM confortevole. Il paziente non deve provare dolore durante o dopo la sessione di stiramento. L’obiettivo dello stretching è quello di stendere e riallineare il tessuto connettivo, non quello di strappare il tessuto. Per evitare lesioni al tessuto è preferibile riscaldare la parte da trattare oppure applicare gli ultrasuoni affinché il tessuto sia più malleabile e quindi più allungabile (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004). Attenzione però a non scaldare troppo il tessuto

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altrimenti questo diverrà eccessivamente malleabile e si rischia di allungarlo troppo e quindi provocare un danno.

Riflesso flessorio

Il riflesso flessorio è un esercizio utilizzato prevalentemente su pazienti con deficit neurologici. Questo riflesso viene attivato stimolando la cute tra le dita del cane con conseguente retrazione dell’arto. Il terapista può trattenere l’arto per aumentare la forza contrattile del muscolo. Con questo esercizio riusciamo ad ottenere una contrazione attiva del muscolo anche se l’animale non è in grado di muovere l’arto volontariamente, riuscendo così a contrastare l’atrofia da disuso e migliorando il tono muscolare. Se è presente la sensibilità profonda è possibile attivare anche la componente volontaria della contrazione e conseguente retrazione dell’arto. Questo esercizio viene utilizzato anche per la valutazione neurologica del paziente e per monitorarne i miglioramenti (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor 2004).

Stazione quadrupedale

La stazione quadrupedale dell’animale si può ottenere utilizzando una physioball o physioroll su cui far appoggiare l’animale oppure sostenendone il peso con una imbracatura od un asciugamano arrotolato sotto l’addome.

Questo, infatti, porta a stimolare la funzionalità neuromuscolare, la resistenza muscolare e la propriocezione. Essendo poi l’animale in stazione quadrupedale , si favorirà la respirazione e la circolazione sanguigna, si ridurranno i rischi di formazione di ulcere e piaghe da decubito che sono molto frequenti negli animali che non riescono più ad alzarsi autonomamente (L.Dragone,

L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005). Mantenendo poi il soggetto in una postura fisiologica,

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dell’animale di mettersi in una posizione tale da potersi relazionare con l’ambiente che lo circonda.

In più il cambiamento di posizione può dare benefici anche a livello psicologico in quanto l’animale si sentirà più partecipe alle attività che si svolgono attorno a lui.

3.2.2 Esercizi Attivi Assistiti

Il ROM attivo assistito si pratica quando l’animale ha movimento volontario, ma non è in grado di sostenere il proprio peso. Sarà quindi necessario che il terapista aiuti l’animale nel compiere i vari esercizi o sostenendo il peso dell’animale o aiutandolo a compiere il movimento stesso. Nei casi più gravi, dove la forza muscolare dell’animale è molto limitata risulterà utile anche il posizionamento del soggetto in stazione quadrupedale come descritto in precedenza. Con il migliorare delle condizioni fisiche del paziente sarà possibile ridurre il sostegno dato stimolando la contrazione muscolare.

Se l’animale viene sorretto da una physioball possiamo muovere quest’ultima per stimolare la propricezione e l’equilibrio dell’animale.

I movimenti di ROM attivo assistito si possono eseguire mentre il cane cammina per terra, su un treadmill o su underwater treadmill oppure mentre nuota. Questi movimenti prevedono un aiuto da parte del fisioterapista nel far compiere il passo al cane che altrimenti non sarebbe in grado di effettuare correttamente. Possiamo sia far camminare il paziente sostenendo parzialmente il suo peso, sia aiutare ad effettuare il movimento stesso muovendo l’arto. Se si effettua l’esercizio a terra dobbiamo mantenere una velocità bassa e costante per favorire l’utilizzo della zampa. Un’andatura veloce favorisce il mantenimento dell’equilibrio e spesso l’animale tende a camminare solo con le zampe sane risparmiando quella affetta da patologia, mentre camminando lentamente l’animale è costretto ad utilizzare tutte le zampe. Utilizzando il treadmill il terapista è

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in grado di sostenere l’animale e contemporaneamente aiutarlo a compiere il movimento. In acqua, grazie al sostegno fornito dalla spinta idrostatica che questa apporta, possiamo assistere meglio il paziente aiutandolo a muovere l’arto lungo tutta l’ampiezza del movimento.

Essendo questi esercizi parzialmente attivi si avrà un certo grado di contrazione muscolare che favorisce un suo rafforzamento e rinforza anche l’osso nei siti di inserzione muscolare. In più grazie al movimento si ha una rieducazione neuromuscolare, si stimola la propriocezione, l’equilibrio e si stimola un’andatura corretta (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi

2005).

3.2.3 Esercizi Attivi

Comprendono gli esercizi ROM attivi e quelli di stimolazione propriocettiva.

Il ROM attivo è il movimento di un’articolazione mediante contrazione muscolare. Oltre ad avere la forza muscolare sufficiente a sostenere il proprio peso, l’animale deve riacquistare la coordinazione tra i vari muscoli necessari ad effettuare un movimento completo ed armonico dell’arto. Il movimento attivo infatti necessita del controllo volontario del movimento. Le contrazioni volontarie possono diminuire la resistenza sinaptica, migliorando la conduzione dell’impulso nervoso.

L’AROM (active range of motion) ha lo scopo di stimolare il metabolismo cartilagineo favorendo la diffusione dei metaboliti attraverso la cartilagine, migliorare il ROM articolare, recuperare il tono, la forza e la resistenza muscolare, ridurre il peso corporeo, aumentare la produzione di oppioidi endogeni, stimolare la propriocezione, favorire l’integrità della struttura ossea, il circolo ematico e linfatico (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005). Viene utilizzato anche per incoraggiare l’animale ad utilizzare l’arto lesionato; spesso infatti tendono a risparmiare l’arto dolente e a non utilizzarlo anche dopo la chirurgia. Ci sono casi in cui, a causa

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di una lesione ad un nervo, si ha perdita di sensibilità e l’animale quindi non utilizza l’arto perchè insicuro o perché incosciente della possibilità di poterlo utilizzare.

L’AROM può esser messo in atto semplicemente camminando oppure facendo appositi esercizi che aumentano l’ampiezza del movimento. Per questi ultimi è necessaria però una forza muscolare maggiore rispetto al semplice camminare o trottare.

Esistono vari esercizi che si possono metter in atto e varieranno a seconda delle indicazioni per ciascun paziente. Tra questi si ha: camminare al passo al trotto e correre sia in salita che in discesa, salire e scendere le scale, camminare su treadmill, movimenti a carriola, danzare, esercizio seduto-in piedi, superare ostacoli, slalom e nuoto. In tutti questi esercizi si ha un movimento più ampio dell’arto che risulta quindi in una maggior escursione articolare.

L’esercizio seduto-in piedi ad esempio determina la contrazione e l’allungamento attivo di tutta la muscolatura degli arti pelvici. Tali esercizi risultano particolarmente utili nei cani con displasia dell’anca, oppure nei soggetti sottoposti ad intervento per la rottura del crociato craniale, in quanto rinforzano i muscoli quadricipite, bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005). Questo esercizio risulta benefico per i cani con displasia dell’anca in quanto durante questo esercizio si rinforzano i muscoli degli arti pelvici senza tuttavia sforzare l’articolazione coxo-femorale che compie un movimento naturale.

La stazione quadrupedale stimola i fusi neuromuscolari, le vie nervose che da essi originano, e di conseguenza la contrazione muscolare. Durante questo esercizio l’animale può essere dondolato in varie direzioni per stimolare l’equilibrio, la contrazione muscolare e la propriocezione. Altrimenti possiamo eseguirlo su di una tavola propriocettiva che presenta una semisfera al disotto, di modo che la tavoletta abbia un equilibrio instabile e la possiamo inclinare in ogni direzione con una pendenza variabile. Questa è particolarmente adatta per i soggetti paretici e con deficit propriocettivi in quanto si stimolano maggiormente le vie propriocettive per una corretta postura. Il soggetto sentendo il proprio peso spostarsi attiva i meccanismi della

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propriocezione e acquisisce così consapevolezza della posizione del proprio corpo e delle proprie zampe rispetto al terreno (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero, C.Venzi 2005).

L’esercizio delle scale influisce maggiormente sugli arti anteriori o posteriori a seconda della direzione in cui vengono fatte. Infatti in salita si avrà un maggior sforzo muscolare nel treno posteriore ed in discesa sul treno anteriore. Prima di affrontare le scale è preferibile allenare l’animale su una salita per rinforzare l’apparato muscolo-scheletrico. Si passerà poi ad affrontare pochi scalini fino a percorrere più piani di scale. Nello slalom avremo una maggiore richiesta di equilibrio e di autocontrollo nel camminare in quanto a seconda della svolta il peso sarà maggiore su di un lato o su di un altro. Il percorso ad ostacoli risulta molto efficace sia per i pazienti ortopedici che per quelli neurologici che necessitano di affinare maggiormente il controllo motorio volontario. Posizionando infatti gli ostacoli a varie distanze ed altezze incoraggeremo un ROM attivo con una maggior flessione ed estensione delle articolazioni e lavoreremo sulla coordinazione, l’equilibrio e la propriocezione.

L’uso del treadmill è importante in quanto favorisce un’ andatura più regolare ed un’ ampiezza maggiore del movimento. La sensazione del tappeto che si muove, stimola l’animale a caricare il peso su tutti e quattro gli arti per avere maggior stabilità e quindi a camminare correttamente. Spesso pazienti che non utilizzano l’arto lesionato quando camminano all’aperto, tendono ad appoggiarlo sulla superficie scorrevole quando sono sul treadmill. In più per movimento passivo l’arto esegue un movimento più ampio del normale perché viene portato all’indietro dal tappeto diminuendo lo stress e la dolorabilità articolare. Se poi posizioniamo il treadmill in salita effettueremo un esercizio aerobico con maggiore sforzo sul treno posteriore.

Nell’attuare le varie sessioni di esercizi dobbiamo prestare attenzione alle condizioni del paziente per evitare di stressarlo eccessivamente, in quanto un esercizio eccessivo può essere deleterio sui tessuti. È importante distinguere il dolore di origine muscolare da quello articolare, confrontando le reazioni alla palpazione e al PROM (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavattiero,

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Gli esercizi di ROM attivo possono essere considerati anche degli esercizi per l’allenamento propriocettivo. Tutti i movimenti muscoloscheletrici volontari sono controllati dalla propriocezione, quindi tutte le attività motivate e gli esercizi terapeutici fatti dal paziente possono contribuire all’allenamento propriocettivo. Le attività che richiedono al paziente di fare movimenti volontari possono accelerare il ritorno di funzioni propriocettive danneggiate da patologie o danni neurologici. Questi esercizi includono lo spostamento del peso corporeo, in cui l’equilibrio del paziente viene messo alla prova da spinte laterali. Il mantenimento dell’equilibrio richiede il controllo delle contrazioni muscolari secondo l’imput propriocettivo. Tavole propriocettive, cuscini gonfiabili e trampolini possono essere utilizzati per sfidare l’abilità del paziente a rimanere in equilibrio mentre vengono applicati, al paziente o alla superficie su cui poggia l’animale, spostamenti che disturbano l’equilibrio. Anche gli ostacoli o lo slalom necessitano di propriocezione per poter calibrare il movimento e quindi muoversi senza cadere (M.R.Owen 2006).

Ci sono casi però in cui il ROM risulta controindicato. Si tratta di tutti quei pazienti in cui il movimento può provocare un maggior danno o instabilità. Tra questi troviamo le fratture instabili vicino alle articolazioni, danni ai tendini o legamenti instabili. Nella maggior parte dei casi il ROM passivo risulta essere benefico se il terapista limita il movimento articolare all’interno di un range che è adeguato per il paziente e per la condizione in cui si trova. In più la terapia andrebbe attuata ad una velocità ragionevole, che non provochi dolore al paziente.

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3.3 Termoterapia

La termoterapia consiste nell’utilizzo del freddo o del caldo come trattamento fisioterapico. L’utilizzo del freddo, detto anche crioterapia, consiste nell’applicare del freddo sulla parte da trattare. Questa terapia, molto semplice quanto efficace, è una delle forme più antiche di fisioterapia. La sua applicazione è molto facile e poco costosa; si possono utilizzare dei cubetti di ghiaccio da applicare sulla parte, un getto di acqua fredda, un asciugamano bagnato con acqua fredda oppure per immersione dell’animale in acqua fredda. In questo ultimo caso però si avrà un abbassamento della temperatura corporea totale e non locale quindi non può essere utilizzata nel post operatorio in quanto anche l’anestesia generale abbassa la temperatura corporea. Il raffreddamento dei tessuti che provochiamo, grazie all’attivazione di riflessi locali e alla modulazione effettuata dal sistema nervoso centrale, porta a

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vasocostrizione locale. La riduzione del flusso sanguigno che ne consegue può ridurre la formazione di edema, e diminuire l’entità di eventuali emorragie e la migrazione delle cellule infiammatorie. Durante la fase infiammatoria della guarigione di una ferita, si ha rilascio di istamina e bradichinina che porta ad un aumento della permeabilità capillare. In più questi mediatori chimici provocano vasodilatazione ed aumento dell’apporto di sangue nell’area. Questi eventi, insieme al cambiamento del metabolismo cellulare dato dall’ipossia, portano alla formazione di edema.

Il ruolo primario della crioterapia durante la fase infiammatoria è di ridurre il metabolismo cellulare del tessuto danneggiato con una conseguente diminuzione nella produzione di metaboliti tossici e di calore metabolico. In più la riduzione del metabolismo limita un ulteriore danneggiamento tissutale ed aiuta il tessuto a sopravvivere all’ipossia cellulare che si viene a creare (D.Millis, D.Levine, R.Taylor 2004).

Il freddo poi aumenta la permeabilità cellulare, inibisce il rilascio di istamina e dei mediatori dell’infiammazione con conseguente riduzione del danno tissutale.

Dati i suoi effetti anti edemigeni e antinfiammatori, l’uso della crioterapia è consigliata nelle prime 48/72 ore post traumatiche o post chirurgiche, durante le quali favorisce anche l’attenuazione del dolore. Questa analgesia viene spiegata, oltre che dalla diminuzione della velocità di conduzione dell’impulso nervoso, anche dalla così detta “teoria del cancello” secondo cui lo stimolo proveniente dai termocettori va a stimolare gli interneuroni inibitori nel corno dorsale del midollo spinale che a loro volta inattivano lo stimolo dolorifico proveniente dai nocicettori periferici (L.Dragone, L.De Risio, C.Venzi, S.Zavattiero 2006). La crioterapia favorisce anche il rilassamento dei muscoli scheletrici; questo è molto importante in quanto lo spasmo muscolare compromette il ritorno venoso e favorisce l’acidosi muscolare con conseguente accumulo di acido lattico (L.Dragone, L.De Risio, C.Venzi,

S.Zavattiero 2006). Il freddo grazie alla sua azione antidolorifica può diminuire lo spasmo

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muscolare e dall’organo tendineo di Golgi. Il freddo improvviso ha un effetto eccitatorio sul fuso muscolare che porta ad un aumento dell’attività del motoneurone alfa e alla diminuzione dello spasmo muscolare (D.Millis, D.Levine, R.Taylor 2004).

La diminuzione del dolore porta anche all’aumento del ROM articolare in casi in cui la diminuzione dell’escursione articolare è determinata dal dolore e non da rigidità articolare (J.E.Steiss, D.Levine 2005).

Il suo utilizzo non si limita soltanto alle lesioni acute, in quanto il freddo può essere utilizzato anche in patologie croniche soggette a riacutizzazioni periodiche come le osteoartrosi/artriti. In questi casi, oltre a ridurre l’edema e il dolore, si può inibire anche l’azione degli enzimi collagenolitici come la collagenasi, elastasi, ialuronidasi e proteasi, e contrastare così l’infiammazione sinoviale e il danneggiamento dell’articolazione. Specialmente dopo aver fatto fare del movimento al cane artrosico, risulta molto utile applicare del ghiaccio all’articolazione affetta per evitare l’infiammazione e l’edema che ne possono conseguire. Gli effetti terapeutici del freddo si esplicano a temperature tissutali comprese tra i 15°C e i 19°C. Non bisogna superare la soglia dei 10°C altrimenti si va in contro a lesioni tissutali. Ogni applicazione deve durare in media 15 minuti intervallati da 15 minuti senza ghiaccio. In ogni caso non superare un applicazione del freddo superiore ai 30 minuti in quanto provocheremmo vasodilatazione venosa e si favorirebbe la formazione di edema.

Il trattamento con il freddo è superficiale in quanto è efficace fino a 4 cm di profondità dalla superficie cutanea; questo dipende anche dallo strato adiposo che si interpone, dalla presenza o meno del pelo dell’animale e dalla circolazione locale. In più a livello articolare abbiamo due situazioni diverse in cui i tessuti superficiali come al cute e la capsula sinoviale subiscono un raffreddamento più rapido ed intenso mentre le ossa e i fluidi articolari subiscono un calo della temperatura più graduale e di minore entità.

È stato dimostrato che l’applicazione di impacchi ghiacciati sul ginocchio determina una diminuzione della temperatura articolare secondo una funzione lineare legata alla durata del

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trattamento e che dopo 30 minuti si raggiunge un plateau e non si ottiene un ulteriore raffreddamento dei tessuti. (C.Bocobo, A.Fast, W.Kingery, M.Kaplan 1991).

Si è visto poi che dopo un applicazione di ghiaccio di 20 minuti sul muscolo gastrocnemio, la temperatura interna del muscolo diminuisce più lentamente rispetto al sottocute. Quando il ghiaccio viene rimosso, la temperatura del sottocute aumenta rapidamente mentre la temperatura muscolare continua a diminuire per un certo lasso di tempo fino a quando i due tessuti non raggiungono una temperatura simile(D.Millis, D.Levine, R.Taylor 2004).

La termoterapia mediante il freddo non è indicata nei soggetti con deficit sensoriali o motori periferici, in quanto non saremmo in grado di capire se l’abbassamento di temperatura è eccessivo e provoca dolore. Nei distretti con un’alterata circolazione locale non può essere utilizzata in quanto andremmo a peggiorare una situazione di minor afflusso sanguigno. Infine non deve essere utilizzata in corrispondenza di ferite in quanto provocando vasocostrizione rallenteremmo la cicatrizzazione.

L’utilizzo del calore come forma fisioterapica viene detto termoterapia. L’applicazione del caldo si può effettuare tramite degli impacchi, dei bagni caldi, tramite una lampada ad infrarossi o tramite gli ultrasuoni di cui parleremo più avanti.

Il calore viene utilizzato per i suoi effetti emodinamici, neuromuscolari, metabolici e sul tessuto connettivo. La sua applicazione deve essere effettuata dopo la fase infiammatoria acuta del processo di guarigione di una ferita che dura all’incirca 72 ore. Un applicazione prematura può portare ad un aumento dell’edema tissutale, del dolore ed essere quindi controproducente. L’applicazione del calore ha il suo effetto maggiore a livello dei vasi cutanei, in quanto porta ad un aumento della temperatura fino alla profondità di un centimetro circa.

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L’aumento della temperatura dei tessuti superficiali porta al rilascio di mediatori chimici come l’istamina e le prostaglandine che portano a vasodilatazione. Il secondo meccanismio che porta a vasodilatazione si ha tramite la stimolazione di recettori termici che sinaptano con i vasi cutanei provocando il rilascio di bradichinina che porta a rilassamento della tonaca muscolare dei vasi. Un terzo meccanismo per la vasodilatazione coinvolge la riduzione dell’attivazione simpatica tramite il ganglio della radice spinale dorsale che porta al rilassamento della tonaca muscolare dei vasi provocando così vasodilatazione nel punto di applicazione del calore e indirettamente ai vasi cutanei delle estremità. Questi meccanismi vasodilatatori non influiscono in modo significativo sul flusso sanguigno ai muscoli scheletrici.

Gli effetti neuromuscolari del calore sono opposti a quelli dei freddo, e si ha aumento della conduzione nervosa e diminuzione del tempo di latenza sia nei nervi motori che sensitivi. La velocità di conduzione dei nervi aumenta di 2 m/s per ogni grado di temperatura in più. Si ha rilassamento muscolare grazie alla diminuzione dei potenziali d’azione che partono dalle fibre di tipo II del fuso neuromusclolare e dalle fibre gamma efferenti, e all’aumento dei potenziali d’azione delle fibre di tipo II dell’organo tendineo del Golgi. Questo contribuisce alla riduzione dei potenziali d’azione degli alfa motoneuroni alle fibre muscolari extrafusali, che portano a rilassamento muscolare.

La stimolazione dei recettori termici cutanei porta ad una riduzione del dolore grazie allo stesso meccanismo del freddo basato sulla teoria del cancelli.

Il calore è utile anche nel ridurre l’algia dovuta a lesioni muscoloscheletrice; infatti impacchi caldi possono essere usati nel trattamento di contusioni croniche o subacute e di stiramenti muscolari. Inoltre il calore può ridurre i sintomi associati ad artrite e nevralgia (L.Dragone,

L.De Risio, C.Venzi, S.Zavattiero 2006).

La vasodilatazione aumenta l’apporto di sangue ai tessuti riducendo l’ischemia dei tessuti danneggiati e determinando così una riduzione nell’attività dei recettori algici. Questo porta

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anche ad un ridotto spasmo muscolare, con conseguente riduzione della pressione che i muscoli esercitano sui vasi ematici riducendo l’ischemia e favorendo ulteriormente l’afflusso sanguigno.

Il calore poi accelera le reazioni biochimiche, sia enzimatiche che metaboliche con risultati positivi fino ad una temperatura di 45°C. Con l’aumento della temperatura locale di 10 gradi si ha un aumento delle reazioni metaboliche del doppio rispetto al metabolismo basale.

Anche se il calore aumenta l’apporto di ossigeno e accelera la guarigione tissutale, aumenta anche l’attività di enzimi distruttivi come la collagenasi, e incrementa il catabolismo.

Il calore infine aumenta l’estensibilità del tessuto connettivo se tendini, legamenti, cicatrici e capsule sinoviali sono superficiali. In casi in cui si vuole alterare la viscosità del tessuto connettivo, questo deve essere soggetto a calore associato allo stretching per periodo di tempo sufficientemente lungo da portate ad un allungamento permanente. Carichi bassi applicati per un lungo periodo di tempo mentre si riscalda un tessuto portano ad un minor trauma tissutale secondario.

L’associazione della terapia termica mediante calore e dell’esercizio passivo, è ottima nel trattamento dell’osteoartrite d’anca su base displasia, in quanto consente di migliorare la qualità della vita del paziente alleviando il dolore, provocando una sensazione di benessere generale, determinando un buon rilassamento muscolare e di conseguenza ottimizzando la funzionalità dell’apparato muscolo scheletrico (L.Dragone, L.De Risio, C.Venzi, S.Zavattiero

2006).

Il calore deve essere applicato per 15-20 minuti più volte al giorno a seconda della severità della lesione, il grado di cicatrizzazione tissutale e i risultati che si vogliono ottenere.

L’applicazione del calore è controindicata sui tessuti infiammati, in un area con emorragia o tromboflebite, o su di un tumore maligno. Bisogna porre attenzione ai pazienti con problemi di termoregolazione, edema, problemi circolatori e su ferite aperte. È necessario fare

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attenzione che l’animale non senta dolore ed evitare di provocare delle scottature controllando spesso la temperatura cutanea (D.Millis, D.Levine, R.Taylor 2004).

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3.4 Idroterapia

L’idroterapia è l’utilizzo dell’acqua come modalità terapeutica.

È la forma migliore di esercizio aerobico a basso impatto, in quanto consente una buona mobilizzazione articolare ed un notevole lavoro muscolare senza sottoporre a stress da carico le strutture articolari e teno-muscolari (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavottiero, C.Venzi 2006).

Prima di parlare del suo utilizzo come forma fisioterapica è necessario capire i principi e le proprietà che rendono l’acqua così adatta all’esercizio terapeutico. Tali proprietà sono: la densità relativa, la spinta idrostatica, la pressione idrostatica, la viscosità, la resistenza e la tensione superficiale.

Densità relativa: la densità relativa di un oggetto è il rapporto tra il peso dell’oggetto e il peso di

uno stesso volume di acqua e dipende dalla composizione dell’oggetto stesso. La densità delle varie sostanze è definita da un numero puro chiamato peso specifico. Il peso specifico dell’acqua è 1,0. Se un oggetto ha peso specifico minore dell’acqua (es. tessuto adiposo) tenderà a galleggiare mentre un oggetto con peso specifico maggiore tenderà ad affondare (es. tessuto osseo). Per questo motivo un soggetto obeso tenderà a galleggiare mentre un soggetto magro tenderà ad affondare.

Spinta idrostatica: viene definita come la spinta dell’acqua verso l’alto che agisce su un corpo

creando un apparente diminuzione del peso dell’oggetto quando è immerso. La spinta idrostatica deriva dal principio di Archimede secondo cui, quando un oggetto immobile è completamente o parzialmente immerso in un fluido, subisce una spinta verso l’alto pari al peso del fluido spostato. La quantità di acqua spostata dipende dalla densità dell’oggetto immerso, rispetto a quella dell’acqua. Se l’oggetto ha densità minore dell’acqua galleggerà in quanto il suo peso è minore rispetto a quello del volume di acqua spostato. La spinta idrostatica aiuta nella riabilitazione di

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soggetti deboli e con articolazioni doloranti in quanto diminuisce il peso che il soggetto deve sostenere.

Pressione idrostatica: la legge di Pascal afferma che la pressione di un fluido viene esercitata in

modo uniforme su tutte le superfici di un oggetto immerso e immobile ad una determinata profondità. La pressione del fluido è direttamente proporzionale alla profondità e alla densità del fluido stesso. Quindi più in profondità è immerso un oggetto maggiore sarà la pressione che subirà. Dato che la pressione idrostatica è uniforme, l’esercizio in acqua risulta molto utile per animali che presentano edema degli arti o delle articolazioni in quanto questa si oppone alla essudazione e quindi alla formazione di edema.

La pressione idrostatica può anche ridurre il dolore durante l’esercizio in quanto apporta uno stimolo fasico agli afferenti cutanei che causa una riduzione dell’ipersensibilità dei nocicettori. Questo porta ad una riduzione della sensazione di dolore e quindi aiuta il soggetto ad effettuare i vari movimenti. La pressione dell’acqua però si oppone all’espansione toracica. Dobbiamo quindi fare attenzione in quei pazienti che hanno problemi cardiaci o respiratori.

Viscosità e resistenza: la viscosità è una misura della resistenza all’attrito causata dalle forze

coesive o attrattive tra le molecole di un liquido. La viscosità, è molto maggiore nell’acqua che nell’aria quindi sarà necessario un maggiore sforzo per muoversi in acqua rispetto all’aria. Per questo motivo l’esercizio in acqua provoca un maggior sforzo muscolare un allenamento cardiovascolare più intenso. La viscosità è molto utile anche per migliorare la consapevolezza sensoriale e favorire l’equilibrio del paziente in quanto aumenta il tempo di reazione del paziente evitando così cadute accidentali. Questo può aiutare pazienti con problemi neurologici che hanno problemi di equilibrio e li aiuta a sentirsi più stabili e più sicuri nella stazione quadrupedale.

Qualunque oggetto che si muove in acqua deve superare l’opposizione della viscosità. La resistenza creata dalla viscosità è proporzionale alla velocità del movimento. I fluidi si muovono secondo un flusso lineare. L’attrito tra i vari strati lineari è quasi nullo. Il flusso turbolento è un movimento irregolare dei vari strati di fluido. Questo movimento irregolare causa un aumento dell’attrito tra le

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molecole del fluido e tra oggetti e fluido. I mulinelli sono una forma di movimento turbolento dove gli strati di fluido seguendo un oggetto in movimento si muovono con movimento circolare. I mulinelli si oppongono al movimento di oggetti in acqua tirando all’indietro l’oggetto. Quindi la resistenza negli esercizi in acqua può essere aumentata accelerando il movimento, aumentando la superficie dell’oggetto in movimento e creando dei flussi di corrente all’interno dell’acqua.

Tensione superficiale: è la forza di attrazione tra le molecole di superficie di un liquido. La

resistenza al movimento è leggermente maggiore sulla superficie dell’acqua in quanto si ha maggior coesione tra le molecole quindi sarà necessario un maggiore sforzo nell’effettuare l’esercizio (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor, 2004).

In acqua, anche soggetti incapaci di sorreggere il proprio peso possono eseguire attività fisica, aumentando il tono e il trofismo muscolare e prevenendo nel contempo l’atrofia, la rigidità e le contratture muscolari. L’idroterapia è indubbiamente il trattamento di scelta quando si vuole ottenere un più rapido recupero dell’attività motoria in quanto tutti i muscoli devono essere continuamente utilizzati per mantenere una corretta posizione del proprio corpo. L’attività in acqua è un’eccellente forma di esercizio poiché viene attivata in maniera dolce la maggior parte dei muscoli evitando però impatti violenti degli arti con il terreno come si verifica durante la corsa. (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavottiero, C.Venzi 2006).

Tra i molti effetti benefici troviamo un miglioramento nella forza, nella resistenza muscolare e cardiorespiratoria, un aumento del ROM e dell’agilità del paziente. Si ha anche un effetto psicologico positivo e una riduzione del dolore.

La forza di gravità terrestre è la forza principale che si oppone al movimento a terra mentre in acqua abbiamo viscosità attrito e turbolenza. Queste tre proprietà hanno effetto diretto sulla frequenza cardiaca e sulla richiesta di ossigeno. Infatti è stato documentato che la frequenza cardiaca e la richiesta di ossigeno sono maggiori quando gli esercizi vengono effettuati in acqua rispetto agli stessi esercizi effettuati a terra.

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Anche le richieste metaboliche sono maggiori per gli esercizi effettuati in acqua piuttosto che quelli effettuati a terra.

L’esercizio in acqua, dato il maggiore sforzo richiesto, viene utilizzato anche come allenamento per animali atleti e per favorire il dimagramento.

Se gli esercizi vengono effettuati in acqua riscaldata si avrà anche l’effetto positivo del calore, con aumento della circolazione sanguigna, aumento della flessibilità delle articolazioni e riduzione del dolore. La temperatura dell’acqua può avere però effetto anche a livello della risposta cardiocircolatoria all’esercizio. I soggetti in acqua fredda hanno una frequenza cardiaca minore rispetto a quelli che si esercitano a terra. Questo perchè in acqua fredda si ha vasocostrizione periferica, il ritorno venoso è favorito e il volume sistolico è aumentato, quindi per mantenere la stessa gittata cardiaca basta una minore frequenza cardiaca. Nell’acqua calda invece dobbiamo porre attenzione in quanto una temperatura maggiore di quella corporea provocherebbe una maggiore richiesta cardiovascolare per la vasodilatazione periferica e conseguente calo pressorio. Si raccomanda quindi una temperatura dell’acqua compresa tra 23 e 25 °C ma se l’animale non svolge attività fisica possiamo effettuare termoterapia innalzando la temperatura dell’acqua, senza però superare i 40°C (M.R.Owen 2006).

3.4.1 Il nuoto

Il nuoto è una delle attività che si possono svolgere in acqua.

Paragonato al camminare, il nuoto è un’attività caratterizzata da una grande escursione articolare. Negli animali sani il nuoto porta ad un aumento della flessione dell’articolazione coxo-femorale rispetto al camminare sul terreno e si ha un aumento della flessone del ginocchio e del garretto. Questo risulta molto utile specialmente in quegli animali che sono stati sottoposti a chirurgia per la stabilizzazione del ginocchio dopo rottura del crociato (M.R.Owen 2006).

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È stato dimostrato che cani sottoposti a nuoto dopo una operazione al ginocchio per rottura del crociato craniale hanno un recupero più rapido della normale deambulazione e dell’appoggio del peso sull’arto operato rispetto al gruppo di controllo (G.S.Marsolais, G.Dvorak, M.G.Conzemius, 2002).

L’immersione in acqua può inoltre fungere da stimolo per il movimento volontario degli arti in pazienti con problemi neurologici o neuromuscolari. Cani che hanno difficoltà ad effettuare un movimento volontario a terra possono esibire movimento volontario in acqua quando stimolati a nuotare. Questo può essere dato oltre che dallo stimolo dell’immersione anche da un diverso reclutamento delle fibre muscolari che si ha durante il nuoto rispetto al camminare e dal fatto che è necessaria minor forza muscolare per muovere l’arto in acqua piuttosto che a terra dove il soggetto deve sostenere il proprio peso. Così si può ottenere un aumento graduale della forza muscolare senza avere abrasioni agli arti e cadute accidentali (M.R.Owen 2006).

Nell’acqua poi si possono creare artificialmente delle turbolenze che sono molto utili in quanto creano un’ulteriore resistenza al movimento dell’animale e hanno il vantaggio di stimolare le terminazioni nervose della cute creando anche un massaggio che aiuta ad ottenere un rilassamento muscolare (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavottiero, C.Venzi 2006). Come già detto in precedenza vantaggio fondamentale del nuoto è l’assenza di peso che grava sulle articolazioni. Spesso poi l’animale percepisce il nuoto come un gioco e quindi si riesce a stimolare il movimento volontario anche in quei pazienti che a terra sono restii al movimento. La presenza dell’acqua induce istintivamente il movimento del nuoto nell’animale che spesso, quando viene sollevato da terra per l’ingresso in acqua, comincia a muovere le zampe ancor prima di toccare l’acqua.

3.4.2 UWTM: Under Water TreadMill

In acqua la natura del movimento articolare e dei segmenti articolari differisce da quello a terra. Questa differenza nel movimento dipende anche dal livello che l’acqua raggiunge rispetto al corpo dell’animale. Tipicamente, la flessione del carpo e del tarso aumenta all’aumentare del livello

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dell’acqua fino a queste articolazioni. Un aumento del livello dell’acqua fino al gomito/ginocchio porta ad un aumento della flessione di queste due articolazioni mentre sembra che il livello dell’acqua non influenzi la flessione di anca e spalla (M.R.Owen 2006). In più con l’esercizio su UWTM si ha anche un’estensione totale dell’articolazione, cosa che non avviene nel nuoto (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor, 2004).

Con il variare del livello dell’acqua si avrà anche un cambiamento per quanto riguarda il sostegno del peso. Con l’acqua a livello del garretto il peso percepito dall’animale sarà del 91%, alzando il livello fino al gomito il peso percepito sarà l’85% mentre arrivando a livello del grande trocantere del femore il peso percepito sarà del 38%. Quest’ultimo livello è quello ottimale per favorire la deambulazione ogni qual volta sia necessario ridurre lo stress sulle articolazioni (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavottiero, C.Venzi 2006).

Nei cani con problemi neurologici si è visto che l’appoggio del piede spesso avviene correttamente e non avviene sul dorso come accade a terra. Questo probabilmente è dato dalla resistenza dell’acqua al movimento che provoca una dilatazione delle dita che opponendosi al movimento risultano in una flessione delle dita e conseguente appoggio corretto della zampa. Il corretto appoggio della zampa può incentivare l’allenamento propriocettivo. Con l’aumentare del livello dell’acqua, si ha una maggiore stabilizzazione del paziente, con conseguente maggior assistenza locomotoria a pazienti con debolezza, disfunzioni neuromuscolari e zoppia. Con il miglioramento del paziente possiamo ridurre il livello dell’acqua riducendo così il supporto esterno al peso e al bilanciamento dell’animale (M.R.Owen 2006).

Sono molte le condizioni per cui la fisioterapia in acqua è consigliata tra cui il postoperatorio di fratture, stabilizzazioni di rotture del crociato, osteoartrite, condizioni neurologiche, tendiniti e altre condizioni per cui l’animale è restio ad utilizzare un arto o c’è una riduzione in forza muscolare, in mobilità articolare, in capacità propriocettive o di sostenere il proprio peso.

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Specialmente gli animali che, dopo una lesione evitano a terra di utilizzare un arto, in acqua durante il nuoto lo utilizzano molto di più rinforzando così la muscolatura che gli consente, una volta a terra di sentirsi più sicuri e stabili nella deambulazione.

Con un dispositivo galleggiate, come può essere il bracciolo di un bambino, applicato ad un arto si può alterare la cinematica del movimento. Ad esempio se si desidera aumentare la mobilità articolare di tutte le articolazioni di un arto il bracciolo può essere applicato distalmente all’arto. Se si desidera un aumento dell’estensione articolare ed un aumento del tempo di escursione dell’arto, il bracciolo deve essere applicato all’arto controlaterale. La sensazione alterata e la spinta idrostatica sbilanciata tra i due arti aiuta ad alterare la cinematica articolare e può essere utilizzata per raggiungere scopi fisioterapici (D.L.Millis, D.Levine, R.A.Taylor, 2004).

In uno studio effettuato su soggetti displasici di età inferiore ad un anno, si è visto che l’attività in acqua è l’esercizio fisico più idoneo in quanto consente un’attività motoria intensa senza sovraccaricare le articolazioni e viene quindi proposta come protocollo terapeutico per una terapia conservativa di questa patologia articolare (E.Ferro, E.Zucca 1997).

L’idroterapia è controindicata nel caso in cui la temperatura del paziente non sia fisiologica da almeno 72 ore, in soggetti con insufficienza cardiaca, ipo o ipertensione, infiammazione articolare acuta. Patologie respiratorie, patologie oculari, lesioni cutanee. Deve essere impiegata con cautela in presenza di patologie vascolari, periferiche, coagulopatie, traumi acuti e processi infiammatori. È opportuno evitare di immergere il paziente in acqua prima della rimozione delle suture cutanee, se non strettamente necessario. Anche se il nuoto è un ottimo esercizio fisico deve essere sempre associato ad esercizi che prevedono un impatto con il suolo in quanto evitando il carico sugli arti determina una stimolazione limitata a livello osseo che è molto importante per mantenere l’omeostasi tissutale (L.Dragone, L.De Risio, S.Zavottiero, C.Venzi 2006).

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3.5 Onde d’Urto

La terapia mediante onde d’urto è una terapia relativamente nuova in medicina veterinaria ed inizialmente era stata create per disintegrare i calcoli renali in urologia umana. Successivamente si è sviluppato il suo utilizzo in ortopedia grazie alla scoperta casuale dei benefici che ESWT provoca sui tessuti corporei.

Le onde d’urto sono delle onde meccaniche caratterizzate da un aumento elevato di pressione molto rapido seguito da un breve periodo di pressione negativa. L’intero ciclo dell’onda si svolge in circa 300 nanosecondi. Le onde d’urto sono rilasciate direttamente ai tessuti corporei tramite un mezzo conduttore come il gel per ultrasuoni.

L’onda d’urto non va confusa con l’onda ultrasonora che viene frequentemente utilizzata sia a scopo diagnostico (nell’ecografia), sia a scopo terapeutico (in terapia fisica negli ultrasuoni). A differenza dell’onda ultrasonora, che ha un andamento sinusoidale, l’onda d’urto, come detto, ha un andamento ad impulso e valori di pressione generati molto più elevati, mediamente 1000 volte superiori (circa 500 bar contro 0,5 bar).

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Esistono due tipi di onde d’urto e differiscono dalla modalità di generazione delle onde e dal modo in cui attraversano i tessuti.

Onde d’urto focalizzate possono essere prodotte in tre modi diversi, possono essere erogate in un

area limitata ad una particolare profondità dei tessuti.

Nel metodo elettroidraulico di produzione delle onde una scintilla liberata da un intervallo di scintille ad alto voltaggio provoca bolle di plasma nel fluido circostante, che porta a compressione del fluido e generazione di onde pressorie. Queste onde pressorie che si diffondono nello spazio, sono concentrare in uno specchio ellittico e sono focalizzate in un punto.

Nel metodo elettromagnetico una bobina piatta viene usata per produrre vortici di corrente in una sottile membrana di rame. Grazie agli effetti della legge di Lorenz sul flusso di corrente, la membrana e la colonna di acqua intorno vengono fortemente deviate in modo voltaggio dipendente. Gli impulsi pressori che ne derivano vengono trasferiti ad un medium adiacente e trasmessi sotto forma di onde d’urto. queste onde vengono focalizzate usando una lente acustica.

Nel metodo piezoelettrico, l’applicazione di una corrente pulsatile ad un contenitore sferico allineato con i cristalli piezoelettrici porta all’emissione di diversi piccolo impulsi pressori. La forma emisferica del contenitore fa si che le onde pressorie individuali si concentrino verso un punto focale.

Onde d’urto radiali vengono generate tramite un metodo pneumatico. In questo metodo, un

proiettile guidato da aria compressa viene rapidamente accelerato in un tubo di aria. Una volta che il proiettile colpisce ad alta velocità l’applicatore, un’onda d’urto viene generata e trasferita alla pelle del paziente ed ai tessuti sottostanti. Dalla punta dell’applicatore l’onda d’urto si diffonde in modo radiale nel tessuto. La densità dell’energia e la pressione dell’onda d’urto radiale diminuiscono con la penetrazione in profondità dell’onda.

La massima densità di energia nell’onda d’urto focalizzata si localizza nei tessuti più profondi fino ad una profondità di 11 cm che ci consente di trattare patologie osteoarticolari. Nell’onda d’urto

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