• Non ci sono risultati.

Capitolo IV Un allievo italiano di Humboldt: Filippo Parlatore

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo IV Un allievo italiano di Humboldt: Filippo Parlatore"

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo IV

Un allievo italiano di Humboldt: Filippo Parlatore

§ 1

Breve nota sui lettori italiani di Humboldt: Stoppani e Parlatore

Quando Humboldt raggiunse l’apice della propria fama in ambito scientifico, il re di Prussia in persona, Federico Guglielmo III, decise nel 1827 di nominarlo Ciambellano di Corte e responsabile culturale del regno, affidandogli il difficile compito della direzione suprema dell’istruzione di Prussia, la cui organizzazione era già stata precedentemente riposta nelle mani del fratello di Alexander, l’ambasciatore Wilhelm.1 Dopo aver esposto le famose “lezioni kosmos” sulla geografia fisica del globo nell’inverno 1827-1828, fondato la Società geografica di Berlino (nell’aprile del 1828) e organizzato il primo consesso degli scienziati tedeschi (settembre 1828), Humboldt era partito per il viaggio in Siberia e in Russia, accompagnato dal mineralogista Gustav Rose e dal botanico-zoologo Christian Gottfried Ehrenberg.2 Nel frattempo la sua opera, anche per l’alone quasi leggendario dei viaggi di esplorazione,3 era letta pressoché in tutta Europa e nelle Americhe, e le sue lezioni magistrali sul cosmo, tenute prima alla Scuola Politecnica di Parigi e poi a Berlino, avevano registrato un grandissimo successo di pubblico. A titolo d’esempio si può anche menzionare l’attenzione che allo scienziato tedesco veniva riservata in Italia, su riviste e giornali civili. Del ritorno dell’esploratore dal viaggio nella Russia siberiana e caucasica venne data notizia dalla «Biblioteca Italiana», tomo LXV, e, nel numero successivo, ampio spazio venne assegnato alla

1

Su questo aspetto si vedano in particolare: Malandrino C., Alexander von Humboldt e la politica, in

Politica, scienze e cosmopolitismo: Alexander e Wilhelm von Humboldt, a cura di C. Malandrino, pp.

135-151 e Carrano A., Wilhelm von Humboldt: la «morale suprema», in idem, pp. 278-294.

2

La relazione del viaggio, a cura di Rose ed Ehrenberg uscì nel 1831 con il titolo Fragmens de géologie

et de climatologie asiatiques.

3 Ulteriore notorietà era infatti derivata da questo secondo difficile viaggio scientifico nei monti Urali e

negli Altai, fino allo Dzungarei cinese e al mar Caspio. Il viaggio venne condotto principalmente per realizzare rilevamenti geomagnetici e astronomici. Humboldt si occupò personalmente di tracciare le descrizioni fisico geografiche dei luoghi visitati, lasciando ai compagni di viaggio i rilievi sul territorio. L’esplorazione ebbe luogo durante tutto l’anno 1829, per nove mesi, coprendo la distanza di ben 4204 chilometri. Il viaggio agli Urali, oltre ad essere ricordato per il grosso seguito di pubblico – una vera e propria carovana – e la scorta personale dello zar che seguiva passo passo l’itinerario, è da menzionare per le motivazioni scientifiche. Humboldt pubblicò diversi anni dopo la relazione del viaggio con il titolo

Asie Centrale. Recherches sur les chaines de montagnes et la climatologie comparée, par A. de Humboldt Paris, Gide (Impr. De la Forest), 1843, 3 voll.

(2)

descrizione dell’intero itinerario e ai risultati delle osservazioni compiute.4 Anche per il viaggio sud americano alcune riviste italiane si erano mostrate attente, recensendo l’uscita dei vari numeri dell’edizione monumentale del Voyage a Parigi sin dal 1808.5 Ad ulteriore dimostrazione della notevole considerazione che la sua personalità riscontrava, basterebbe poi analizzare la mole degli scambi epistolari che Humboldt intrattenne con gli uomini più importanti del suo tempo: dalle lettere a Jefferson, presidente degli Stati Uniti d’America, a quelle dirette a François Aragò, dalle missive ad Alessandro Manzoni per convincerlo a ricevere onorificenze dal governo prussiano6, a quelle inviate al connazionale Gauss, dalla Russia, per confrontarsi sui dati relativi al magnetismo. In molte parti d’Europa la lezione scientifica humboldtiana iniziava ad avere un certo seguito, e diversi uomini di cultura, anche in Italia, si confrontavano con il pensiero di questo grande “patrono della scienza”7, soprattutto per ciò che riguardava la sua particolare lettura del mondo in base all’intrecciarsi di fattori che diremmo oggi “ecologici” e per la teoria geobotanica. Bisogna però fare una distinzione – approfondendo il caso italiano – tra coloro che si occuparono di Humboldt per recensirne e analizzarne parti del suo lavoro o dare notizia dei viaggi, e coloro i quali, direttamente o indirettamente, applicarono gli insegnamenti dello scienziato berlinese all’attività scientifica o filosofica in genere. Se, come abbiamo rilevato rapidamente, le imprese geografiche e le pubblicazioni di Humboldt avevano trovato spazio sulle riviste di quel tempo, non possiamo esimerci dal ricordare un ispirato lavoro di lettura critica sul primo libro del Kosmos ad opera di Carlo Cattaneo apparso sulla rivista «il Politecnico»8, nel quale veniva per la prima volta tracciato un esaustivo profilo

4

Cfr. «Biblioteca Italiana o sia giornale di letteratura, scienze ed arti compilato da varj lettarati», tomo LXV, febbr.-marzo1832, p. 124-125; eadem, tomo LXVI, aprile 1832, pp. 340-354

5 Cfr. «Giornale Biblioteca di Milano», gennaio 1808; «Biblioteca Italiana o sia giornale di letteratura,

scienze ed arti compilato da varj lettarati», tomo III, a. I, luglio-agosto-settembre 1816; «Antologia», anno 1824, tomo XIII, fasc. A, p. 157. Del viaggio sud americano non abbiamo su riviste italiane recensioni e notizie coeve alla spedizione tra gli anni 1799 e 1804. Le recensioni iniziano tutte con la pubblicazione dei vari tomi dell’edizione monumentale a Parigi.

6

Si confronti a riguardo dell’interessante vicenda Michieli, A., Un irremovibile proposito di Alessandro

Manzoni (estratto dall’“Annuario 1928-1929” dell’Istituto Tecnico ‘J. Riccati’ di Treviso), Arti Grafiche

Longo e Zoppelli, Treviso 1929, e in particolare le lettere riportate, datate 3 giugno 1844 e 12 novembre 1844.

7 Mi permetto di rifarmi alla dizione contenuta nel titolo di una piccola operetta sulla vita e l’opera di

Humboldt di E. R. Brann dal titolo: Alexander von Humboldt, Patron of Science, Littel Print. Co., Madison 1954.

8 Sulla data della recensione di Cattaneo al primo volume del Kosmos di Humboldt preferiamo solo

segnalare che negli Scritti filosofici pubblicati nel 1960 a cura di N. Bobbio dalla casa editrice Le Monnier, Firenze, è riportato in nota (p. 171) che la recensione uscì nel 1844, cosa cronologicamente impossibile visto che il primo volume di Kosmos venne pubblicato nel 1845 presso l’editore Cotta di Tübingen, e, nel 1846 in Italia presso l’editore Gattei di Venezia, in traduzione. O la recensione è posteriore al 1845, ma la rivista uscì con data 1844, o l’autore ha fatto riferimento alle lezioni sul Kosmos

(3)

“epistemologico” del lavoro di Humboldt, con riferimento alle molte pubblicazioni scientifiche edite dall’autore tedesco sin dal rientro in Europa, sino appunto al primo volume di Kosmos. Possiamo anche evidenziare che alcune biblioteche annesse a prestigiose sedi universitarie dell’Italia preunitaria avevano predisposto l’acquisizione delle opere dello scienziato tedesco in maniera consistente, già negli anni 1846-1847,9 dimostrando un’attenzione particolare per gli scritti di questo autore. È proprio a ridosso dell’edizione parigina di Kosmos del 1846 e della riedizione delle Ansichten der Natur in lingua francese, nella versione ampliata del 1850-1851, che anche in Italia viene data una lettura più attenta e approfondita dell’opera di Humboldt, soprattutto in riferimento alla geobotanica e al metodo di descrizione della natura. I naturalisti Antonio Stoppani e Filippo Parlatore furono infatti i due soli studiosi italiani ad applicare con lungimiranza e consapevolezza alle proprie opere i presupposti scientifici e filosofici dell’autore tedesco. Per ciò che concerne l’opera dell’abate lecchese Antonio Stoppani,10 ci soffermeremo brevemente nell’analisi di alcuni suoi scritti in cui i riferimenti ad Humboldt sono espliciti; mentre un approfondimento particolare merita l’opera del naturalista Filippo Parlatore. Il sacerdote rosminiano, insegnante straordinario di geologia all’Università di Pavia nel 1861, e poi del neo fondato Politecnico di Milano nel 1867, si era occupato – a partire dalla metà dell’Ottocento – di paleontologia dei territori lombardi. Fu il primo vero divulgatore della geologia in Italia e, oltre all’attività didattica, divenne famoso per alcune opere letterarie e di divulgazione scientifica di notevole successo dopo l’unificazione della penisola. Due di queste opere dimostrano con chiarezza l’eredità humboldtiana nell’artificio narrativo e nel metodo di descrizione

tenute da Humboldt a Parigi e poi a Berlino e di cui già si prevedeva un’imminente pubblicazione: cosa però poco probabile per la situazione socio politica dell’Italia non ancora unita e per il ruolo di Cattaneo nei moti rivoluzionari milanesi di quegli anni.

9

Cfr. Presentazione, in: Immagini di scienza, arte e viaggi a 150 anni dalla morte del naturalista

Alexander von Humboldt – Pavia, Salone Teresiano della Biblioteca nazionale universitaria, 21-26

settembre 2009, Guida alla mostra bibliografica a cura di A. Di Bartolo e A. Visconti, Ibis, Pavia 2009, pp.5-6. Viene qui evidenziato il fatto che la Biblioteca Universitaria di Pavia, grazie soprattutto al direttore, Giovanni Maria Bussedi, e ai nomi di scienziati prestigiosi che vi insegnarono nel tempo (Brugnatelli, Scarpa, Volta, Strobel, Piccaroli), era molto attenta ad incrementare i nuclei scientifici, naturalistici e medici delle raccolte. Delle opere di Humboldt conservate il nucleo più consistente fu acquistato nel 1846.

10

Antonio Stoppani (1824-1891), consacrato nel 1848 sacerdote rosminiano, partecipò attivamente alla rivolta antiaustriaca nelle Cinque Giornate di Milano. L’abate si occupò principalmente di geologia, prima all’Università di Pavia e poi al Politecnico di Milano. Fu anche uno dei fondatori del Museo Civico di Scienze e filosofia naturali di Milano, ove coprì la carica di direttore dal 1882 alla sua morte. Divenne anche primo presidente della sezione milanese del Club alpino italiano. Le origini lecchesi e il fascino esercitato in lui dalle montagne che sovrastano il lago di Como e la Brianza lo portarono anche ad interessarsi di letteratura, in particolar modo manzoniana. Nel 1874 compì anche un viaggio a Damasco e scrisse dei versi poetici sul ricordo di questa esperienza in Oriente.

(4)

della realtà naturale, ma anche nell’interpretazione della filosofia di fondo del naturalista. Nel breve scritto Il sentimento della natura e la Divina Commedia, del 1865, Stoppani mostra – non solo attraverso le svariate citazioni tratte dall’opera di Humboldt11 – di saper individuare alcuni aspetti più propriamente filosofici dell’intero pensiero dell’autore tedesco, rivisitandoli con spirito critico. Il tema in questione è quello del “sentimento della natura”, che già era stato al centro della disamina humboldtiana nelle pagine del II libro di Kosmos e che Stoppani approfondisce in una duplice direzione. Se da una parte Stoppani estende la “storia dell’estetica” tracciata da Humboldt, concentrandosi soprattutto sul momento inaugurale della maniera “moderna” di concepire il rapporto tra l’uomo e la natura nell’opera poetica di Dante, dall’altro si pone in maniera fortemente critica nei confronti della definizione stessa di “sentimento della natura”, così come delineata da Humboldt. Secondo Stoppani infatti non è sufficiente aver definito il sentimento della natura come quella capacità umana «che si arresta ai limiti ove comincia la sfera dell’intelligenza, ovo lo sguardo si sprofonda in un mondo diverso»12, in quanto egli ritiene che «la natura e l’intelligenza non si scompagnano»13. Il sentimento della natura viene visto dall’abate lecchese come una delle doti naturali dell’uomo, che rivelerebbe – e qui emerge con chiarezza l’aspetto teologico assente in Humboldt – “uno spirito superiore”, una sorte di destinazione superiore che ci condurrebbe “al divino”, ponendo l’umanità intera al di sopra di ogni altro essere senziente. Questo spirito universale sarebbe, secondo Stoppani, così potente che

lo spirito umano trovasi ad un tempo e stretto alla sensibile natura con nodi indissolubili, ed isolato da esso nel modo più inconfondibile, come l’occhio dell’artista appassionato che non può staccarsi da una tela dipinta da mano maestra, ma non puoi mai colla tela stessa confondersi.14

Il sentimento della natura porterebbe alla contemplazione del mondo fisico nel tentativo di comprenderne le metamorfosi e scorgerne le diverse “gradazioni” di bellezza, quindi esso è prima di tutto «un complesso di passioni e di stimoli di ordine morale; suscitato

11 Stoppani, A., Il sentimento della natura e la Divina Commedia, G. Bernardoni, Milano 1865 (si farà

riferimento, per tutte le citazioni, alla ristampa Bertolazzi, Lecco 1975); i riferimenti a Humboldt sono alle pagine 19, 41, 43 e 62.

12 Cfr. Humboldt, A. v., Cosmos, tr. it. cit., vol. I.

13 Stoppani, A., Il sentimento della natura e la Divina Commedia, cit., p. 19. 14

(5)

dalla qpercezione sensitiva e intellettiva, poi dalla riflessione e dallo studio degli oggetti esterni, inclinando la volontà all’amore»15

. In Humboldt invece erano proprio gli “oggetti esterni” a fornire il primo impulso vivificatore, attraverso la meraviglia suscitata dalla bellezza: impulso vivificatore che non possedeva stimoli di ordine morale, quanto di tipo intellettivo, perché spingevano poi l’uomo all’approfondimento scientifico della realtà. Per questo differente assunto Stoppani è convinto che tale “spirito profondo” sia evidente nella Divina Commedia e che Dante sia innanzitutto “poeta della natura”. Il sentimento della natura come tale è quindi uno di quei tratti costitutivi del genere umano, quasi un tratto istintivo, che sarebbe emerso sin delle prime manifestazioni “intellettuali” dell’umanità, riscontrabili per esempio nelle pitture parietali rinvenute in caverne e antichi siti abitativi. Così la natura, «che spinse di colori sì brillanti i quadri d Humboldt, avrebbe, non dirò accresciuti, ma moltiplicati gli effetti sulle scene della Divina Commedia»16

, soprattutto grazie al sostrato ideale e religioso che pervade l’opera di Dante e che manca invece nell’opera di Humboldt. Il sentimento della natura è infine per Stoppani indice dell’armonia tra il creato e l’uomo, tra il soggetto e l’oggetto dell’osservazione. In questa visione unitaria della realtà, all’interno della quale l’uomo si trova in una sorta di mutua dipendenza cosmica con il mondo che lo circonda, è lo spirito d’osservazione dell’uomo che può incrementare l’abilità nel cogliere la magnifica concordanza tra uomo e natura, che poi la scienza, con la ragione, può confermare. Proprio sulla scia di Humboldt, anche per Stoppani, ad una mente che riflette sulle leggi di natura, apparirà chiaro l’ordine dell’universo, anche se – bisogna ricordalo – ad Humboldt sarebbe mancata quell’intuizione per cui il “germe di una filosofia della natura”, nei popoli primitivi, è segno in realtà di una teologia della natura.17 Humboldt era stato per Stoppani anche il modello di uno stile di scrittura particolarmente adatto alla divulgazione. Infatti nel 1876 Stoppani pubblica l’opera dal titolo Il bel paese. Conversazioni sulle bellezze naturali. La geologia e la geografia

fisica d’Italia18, ove con l’artificio di trentadue conversazioni didattico/scientifiche attorno ad un caminetto, vengono narrati con termini accessibili al lettore medio del tempo nozioni riguardanti la geologia e scienze naturali, con un occhio particolare alle bellezze naturalistiche delle diverse regioni italiane. Indirizzato principalmente agli

15 Ivi, p. 18. 16

Ivi, p. 33.

17 Cfr. ivi, pp. 41-43.

18 A. Stoppani, Il bel paese. Conversazioni sulle bellezze naturali. La geologia e la geografia fisica

(6)

uomini alfabeti dell’Italia da poco unificata, con l’intento specifico – Stoppani la definisce “missione” – di diffondere l’interesse per le scienze naturali e la geografia – il cosiddetto “mondo fisico” sempre messo in secondo piano rispetto a quello “morale e politico” – il testo nasce dalla convinzione di poter prendere a modello i Quadri di Humboldt e applicarli così alla realtà ambientale italiana. Emergono nell’opera di Stoppani anche delle contraddizioni. Da un lato l’intento è quello di applicare il modello stilistico di Humboldt alla realtà naturale italiana per cercare di incrementare l’interesse per le scienze e, al contempo, si sostiene che

tutti gli incanti della natura non valgono un affetto: tutta la scienza non vale un atto generoso. Una Lucia inginocchiata ai piedi dell’Innominato; una madre che accomodo colle stesse sue mani sul carro degli appestati il corpo della figlioletta, faranno sempre maggior impressione di tutte le più belle descrizioni dell’universo; il quadro del Lazzaretto colpirà sempre più che tutti insieme i quadri dell’Humboldt.19

I “quadri” del naturalista berlinese sono, in quest’ottica intrisa di sentimentalismo quasi pietistico, solo il modello per taluni spunti narrativi: si veda per esempio la sezione riguardante la “fosforescenza del mare” che, come l’episodio della pesca dei gimnoti in Humboldt, serve a Stoppani per sottolineare l’interesse scientifico nei confronti di eventi pittoreschi causati dall’intrecciarsi di fenomeni marini con il colore dei pesci.20

Resta la comunanza di fondo tra il progetto culturale dell’abate italiano e lo scienziato tedesco, un intento socio-politico “alto” di educare alle bellezze della natura, incrementare lo studio della scienza. Humboldt mirava a smuovere le coscienze del ceto colto della Prussia, mentre Stoppani tenta di rinnovare e aprire la “letteratura popolare” al genere scientifico, grazie a quell’ut pictura prosa che già aveva riscontrato un enorme successo in Germania proprio con le descrizioni del naturalista viaggiatore. Il caso dell’abate Stoppani, pur evidenziando il fatto che in Italia i testi di Humboldt sono letti e approfonditi, anche con spirito critico, non permette però di cogliere la vera grande novità scientifica dell’opera del tedesco, cioè la sua lettura del mondo fisico con gli strumenti della geografia botanica. L’unico scienziato italiano a dimostrare attenzione particolare alla nuova disciplina che si andava sviluppando in tutta Europa era stato il palermitano Filippo Parlatore.

19 Cfr. ivi, p. 9.

20 Cfr. ivi, pp. 203-223. In Humboldt invece la pesca dei gimnoti era stato l’espediente per parlare dei

(7)

§ 2

Parlatore – Humboldt: storia di una amicizia

Filippo Parlatore,21 studente di medicina prima, assistente e poi professore di anatomia alla Regia Università di Palermo dal 1837, era conosciuto negli ambienti scientifici siciliani di quel tempo anche come botanico, sopratutto per la raccolta e la catalogazione delle piante che egli aveva realizzato durante diverse escursioni nel contado palermitano.22 Parlatore aveva lasciato la Sicilia borbonica per recarsi prima a Ginevra – dove avrebbe perfezionato le proprie conoscenze sulla classificazione erbaria – e poi, nella tarda primavera del 1841, a Parigi23 – sede dei più avanzati studi in campo naturalistico grazie alla Scuola Politecnica e all’affermata Accademia delle Scienze –.

21 Per tutti gli aspetti prettamente biografici a riguardo del naturalista siciliano il testo più approfondito è

l’introduzione di Agnese Visconti a Parlatore, F., Mie memorie, a cura di A. Visconti, Sellerio, Palermo 1992, pp. 15-30. Molto interessante anche il saggio dello stesso autore: Visconti, A., Per la storia della

botanica in Italia: le Memorie inedite di Filippo Parlatore, in I Naturalisti e la Cultura Scientifica Siciliana, Atti del Congresso, Palermo 5-7 dicembre 1984, Stampatori Tipolitografi Associati, Palermo

1987, pp.197-206. In questo lavoro l’autrice delinea nelle pagine introduttive una breve storia dei testi biografici prodotti su Parlatore dal 1877 sino al XX secolo, marcando il taglio dato agli studi biografici sino a quel momento.

22 Cfr. Parlatore, F., Nova Lathury species …, in «Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia», fasc.

184, 185, maggio 1838, pp. 3 e ss.; eadem, Rariorum plantarum et haud cognita rum in Sicilia sponte

provenientum, fasciculus Ius, Diarii Literarii, Panormi 1838; eadem, Flora panormitana sive plantarum prope Panormum sponte nascentium enumeratio, Petri Pensante, Panormi 1839.

23 Di questa prima esperienza all’estero di Parlatore abbiamo delle notizie dettagliate scritte dallo stesso

scienziato siciliano. Parlatore pubblica infatti nelle pagine del «Giornale Botanico Italiano», a. I, t. I, un testo dal titolo Monografia delle Fumariee presentata alla sezione botanica del quarto congresso degli

scienziati italiani in Padova nel 1842. Qui, introducendo l’oggetto della propria relazione, Parlatore si

sofferma su alcuni aspetti biografici di grande importanza proprio perché evidenziano alcuni elementi della sua formazione giovanile: l’intento primario di specializzarsi in botanica, abbandonando quindi gli studi medici, e il già vivo interesse per l’individuazione di aspetti geobotanici rispetto ai territori esplorati. «Sin dalla primavera del 1840, quand’io me ne stava in Palermo, fattomi a studiar le Fumarie, conobbi essere oscurissime ed intrigate nelle diverse opere botaniche (…). Profittai quindi del mio viaggio intrapreso sin dall’ottobre dello stesso anno, e così misi ogni mio studio per togliere, se lo avessi potuto, la confusione in cui queste piante si trovavano. Passato dall’Italia continentale ed estesa l’idea di studiare tutte le fumarie, osservai gli erbari dei botanici italiani e da molti di essi ottenni esemplari (…). Recatomi in seguito in Svizzera ebbi agio in Ginevra della gentilezza di A. P. De Candolle di visitare la sua ricchissima collezione, ed in Ginevra stessa studiai anche le fumarie negli erbari di Moricand, di Boissier, di Duby e di Heldreich». Il lungo passo prosegue con il racconto sommario del viaggio a Parigi e a Londra, fatto sempre per recuperare le fumarie descritte in altri celebri erbari e poter studiare quindi accuratamente su tali materiali. Ciò che pare degno di menzione è il fatto che già in questo scritto, dopo un capitolo sulla “Storia delle fumarie” e alcuni capitoli (dal II al VI) nei quali si sofferma sulla varie classi, famiglie, gli organi, il frutto, le caratteristiche dei fiori e la loro importanza – temi di “botanica pura” potremmo dire – l’autore dedica un ampio capitolo, l’ottavo, alla “Stazione delle fumarie e loro distribuzione geografica”. Qui l’intento di Parlatore appare con chiarezza. Egli intende analizzare le varie regioni del globo nelle quali sono state raccolte specie di fumarie, il rapporto quantitativo e numerico tra le specie presenti nell’emisfero boreale in confronto a quello australe, le condizioni altimetriche nelle quali le fumarie sono state descritte, delineare poi le ragioni storiche delle “migrazioni” di una specie da un emisfero all’altro, ipotizzare una distinzione tra quelle endemiche e quelle non endemiche. Il carattere della piccola opera è quindi di stampo prettamente “humboldtiano” e va oltre il semplice apporto alla botanica sistematica.

(8)

Come per ogni studioso italiano e cultore di botanica di quel tempo, l’attività di Parlatore era stata sino a quel momento relegata allo studio di specie vegetali in giardini e orti botanici, alle erborizzazioni nei territori natii (quelli della Sicilia orientale) e allo studio su erbari e raccolte di altri botanici. Il suo primo periodo di ricerca all’estero, iniziato come si è detto nel 1841, oltre ad aprire le prospettive di carriera, aveva indotto il giovane Parlatore a riflettere sullo stato della ricerca accademica e delle istituzioni scientifiche dell’Italia di quel tempo, ancorché frammentata. L’esito più importante del primo viaggio d’istruzione oltralpe era stato però il contatto diretto con il mondo scientifico internazionale e, soprattutto, con i più aggiornati studi di botanica nella figura di Augustin de Candolle, l’allievo ginevrino di Humboldt.24 L’utilità e lo stimolo di quell’ambiente vengono ricordati dallo stesso Parlatore nelle sue memorie biografiche:

In Ginevra io passai due settimane per la conoscenza di de Candolle, per conoscere il quale io mi era colà diretto prima di andare a Parigi. (…) Ed invero io ricevetti da lui, oltre che un’accoglienza cordialissima e alla licenza di studiare, come feci, a mio talento nel suo grande erbario e nella sua ricca biblioteca, infinite prove della sua benevolenza.25

Il soggiorno oltralpe del 1841 rappresenta quindi il primo elemento di collegamento tra Parlatore e il pensiero fitogeografico che si era sviluppato in Europa sulla scia delle ricerche innovative di Alexander von Humboldt.26 Della tappa ginevrina lo stesso Parlatore ricorda poi la conoscenza e lo scambio di opinioni con altri botanici - Alphonse de Candolle, figlio di Augustin, Boissier, Duby, Chiosy ed Heldreich - con alcuni dei quali successivamente continuò a mantenere rapporti di stima e di confronto scientifico. Ma è soprattutto il tirocinio scientifico svolto a Parigi nella primavera del

24

de Candolle, capostipite di una generazione di naturalisti svizzeri, al momento della sosta a Ginevra di Parlatore era malato e non certo nelle migliori condizioni fisiche per poter collaborare proficuamente con lo scienziato italiano per la realizzazione dei propri progetti. Parlatore era rimasto comunque soddisfatto dell’incontro, anche perché in quell’occasione il naturalista ginevrino lo avevo spinto nella direzione di abbracciare definitivamente gli studi botanici. Ricordiamo infine che de Candolle era stato non soltanto grande amico di Humboldt, con il quale collaborava all’interno della rinomata Société d’Arcueil, ma era stato residente a Parigi mentre Humboldt curava la sua edizione del Voyage restando indubbiamente influenzato dalle ricerche dello scienziato tedesco.

25 Parlatore, F., Mie memorie, cit., p. 84. 26

Ricordiamo solo che Augustin de Candolle aveva scritto un apprezzato saggio dal titolo Essai

élémentare de géographie botanique, s.e., Paris e Strasburg 1820, pubblicato anche all’interno del famoso Dictionnaire des Sciences Naturelles alla voce “Géographie botanique”, F.C. Levrault, Paris 1820, vol.

(9)

1841 ad assumere una valenza particolare per l’intera vita di ricerca di Parlatore. A Parigi infatti lo studioso siciliano conosce per la prima volta Alexander von Humboldt, in quell’anno in missione diplomatica nella capitale francese per conto del re di Prussia in persona. Parlatore, affascinato dai racconti delle osservazioni e dei viaggi compiuti dal naturalista tedesco in sud America, decide così di ampliare la sfera dei propri interessi botanici – che sino a quel momento erano rivolti alla botanica sistematica, all’organografia e alla morfologia vegetale in genere – interessandosi alla geografia botanica. L’immediata curiosità per questa nuova disciplina, portata all’attenzione dell’élite culturali e scientifiche dei primi anni dell’Ottocento proprio grazie a Humboldt, lo inducono anche a riflettere sulla necessità di realizzare viaggi scientifici che possano andare oltre le semplici erborizzazioni, ma anche a ripensare il ruolo accademico, e pratico, della botanica nelle diverse realtà italiane. Un secondo elemento biografico di quegli anni, da tenere in considerazione per comprendere la parabola scientifica dello studioso palermitano, è infatti la sempre più pressante convinzione, maturata attraverso il soggiorno e lo studio in importanti centri di ricerca botanica europei, di dover dotare anche l’Italia di un erbario “unificato” all’interno del quale poter raccogliere e inventariare le flore provenienti da diverse regioni della penisola e del mondo. Secondo il Parlatore, attraverso questo erbario centrale, sarebbe stato possibile approfondire anche in loco i reperti vegetali di svariate zone geografiche e incrementare così l’integrarsi di conoscenze e la ricerca più in generale.27 Tale progetto Parlatore decise di comunicarlo ufficialmente, in forma di appello rivolto agli scienziati riuniti a Firenze - su sollecitazione proprio degli amici botanici che frequentava a Parigi - ma il destinatario del documento era in primo luogo Leopoldo II: «il granduca, il quale protegge le scienze nel modo che tutti sanno, e raduna gli scienziati in Pisa e in Firenze, colmandoli di tanti favori, e innalza statue a Galileo»28. La memoria, letta nella sessione

27 Il tema della necessità di dotare anche l’Italia, non ancora unita, di un erbario centrale divenne

l’argomento principe dell’“appello” che Parlatore inviò da Parigi agli studiosi riuniti a Firenze per il terzo Congresso degli Scienziati. La memoria, da leggersi nella sezione “botanica e fisiologia vegetale” del congresso, suscitò grande interesse nel mondo accademico di quel tempo ma anche nel mondo politico, in quanto veniva individuata Firenze come “capitale” della botanica e luogo più adatto a fondare un tale centro di ricerca. Cfr. Parlatore, F., Sulla botanica in Italia e sulla necessità di fondare un erbario

generale in Firenze, Parigi 1841. Come ben argomenta A. Visconti nella “Introduzione” a F. Parlatore, Mie memorie, cit., p. 17: «l’esigenza scientifica che induce il Parlatore ad attribuire un’importanza così

grande alla disponibilità di un erbario, è dunque duplice, legata cioè per un lato alla sistematica, e per l’altro alla geografia botanica, discipline che egli intende sviluppare in modo armonico per proseguire nella direzione indicatagli da Humboldt verso una visione organica dei fenomeni naturali e una sintesi unitaria degli ambienti terrestri».

28 F. Parlatore, Sulla botanica in Italia e sulla necessità di fondare un erbario generale in Firenze, cit., p.

(10)

botanica del Congresso degli scienziati italiani di Firenze, aveva sortito un effetto di gran lunga superiore a quello che forse lo stesso autore poteva immaginare al momento dell’invio dalla Francia, se consideriamo che poco dopo, il 23 aprile del 1842, il Granduca in persona nomina il giovane siciliano direttore della nuova istituzione scientifica che il mittente dell’“appello” aveva auspicato di poter fondare. A Parlatore viene anche assegnato il ruolo di professore presso il Museo di Fisica e Storia Naturale. La stima per il botanico siciliano da parte di Humboldt si annoda infatti proprio su questa vicenda, e si rivela pienamente a Parlatore dopo che questi scoprirà l’esistenza di una missiva che il barone tedesco aveva inviato al Granduca di Toscana - la seconda ad un governante della penisola29 - per “favorire” chiaramente la sua nomina nel posto vacante a Firenze. Iniziato così l’incarico nella capitale del Granducato, città che non lascerà fino alla morte, Parlatore lavora, oltre che sull’arricchimento delle collezioni dell’Erbario, anche sull’enciclopedica Flora italiana,30 ove alla classificazione delle specie secondo il principio della simmetria, «vengono affiancati, nel corso della trattazione, altri strumenti di analisi, quali le vedute geografiche e le annotazioni ecologiche dei tipi e delle famiglie»31, in piena sintonia con il metodo geognostico a là

Humboldt applicato per la vegetazione delle regioni equinoziali del centro e sud

America. Nell’anno 1844 Parlatore si era nel frattempo recato in Germania per un viaggio d’istruzione, dopo il fallimento di alcuni progetti d’esplorazione extracontinentale.32 Significativamente, di tutta la permanenza all’estero, Parlatore ricorda la tappa di Berlino, «sede dei sommi uomini della Germania»33, ove egli vuole trattenersi più tempo possibile proprio per uno scambio di opinioni con l’esploratore tedesco. «Colà arrivato, mio primo pensiero fu di vedere Humboldt, astro maggiore di quella pleiade luminosa, a cui, oltre al rispetto e alla stima dovuta a tanto uomo, io professava immensa gratitudine per avere egli più d’ogni altro concorso al mio

29 Sappiamo infatti dalle pagine autobiografiche di Parlatore che Humboldt aveva indirizzato poco tempo

prima (nell’inverno del 1841) una lettera al re delle Due Sicilie Ferdinando II, per pregarlo di favorire gli studi di Parlatore in quel regno. La lettera, recapitata per mano del professore Michele Tenore, che da Parigi rientrava a Napoli per poi dirigersi al congresso degli scienziati in Firenze, aveva suscitato la proposta di assegnazione della cattedra di zoologia e anatomia appena fondata nell’Università di Palermo. Cfr. F. Parlatore, Mie memorie, cit., 103. Purtroppo della lettera in questione il sottoscritto non ha trovato traccia, né tra le carte del Fondo Parlatore della Biblioteca Comunale di Palermo, né tra i carteggi della serie “Commissione di Pubblica Istruzione e Educazione per la Sicilia” conservati presso l’Archivio di Stato di Palermo.

30 Parlatore, F., Flora italiana, ossia descrizione delle piante che crescono spontanee, o vegetano come

tali in Italia e nelle isole ad essa aggiacenti, Le Monnier, Firenze 1818-1869.

31 Visconti, A., “Introduzione”, in Parlatore, F., Mie memorie, cit., pp. 18-19. 32 Cfr. Parlatore, F., Mie memorie, cit., pp. 117-122 (infra).

33

(11)

collocamento al Museo di Storia Naturale di Firenze»34. Questo riconoscimento per aver favorito la sua carriera accademica lo ritroviamo menzionato più volte in Parlatore, in particolare nell’Elogio scritto dopo la morte di Humboldt. Qui Parlatore dichiarerà:

Io ebbi la somma fortuna di conoscere l’Humboldt in Parigi durante il soggiorno fatto in quella città l’anno 1842 e di avvicinarlo più volte colà e in Berlino negli anni 1844 e 1851. Per gratitudine dirò ch’egli fu con me molto benevolo, concorrendo a farmi nominare Professore di Botanica in questo Museo, e proteggendo e facendo proteggere (…) i miei viaggi (…) e i miei studi di geografia botanica.35

Non era la prima volta che il barone von Humboldt caldeggiava in Italia la nomina di uno studioso in una cattedra vacante, e non sarà l’ultima.36 Nel 1841 per esempio, Humboldt aveva appoggiato Carlo Matteucci per la cattedra di fisica dell’Università di Pisa e il Granduca aveva dato il proprio exequatur proprio in seguito al consiglio arrivato dall’estero. Il contatto e la conoscenza di Humboldt - «amabile nelle maniere, facile ed animato nella parola, svariatissimo ed amenissimo nel conservare»37 - indussero Parlatore a dare una precisa svolta alle proprie ricerche, nell’ottica dello sviluppo della geobotanica anche in Italia. Sull’esempio di Humboldt, e degli altri grandi naturalisti che Parlatore aveva conosciuto all’estero – basti pensare all’amico Webb descrittore e narratore della flora delle isole Canarie – lo scienziato siciliano decide di iniziare una serie di viaggi di esplorazione col preciso scopo di comprendere e studiare la distribuzione delle specie vegetali in base a fattori climatici e corografici. In tal senso deve essere letto per esempio il primo viaggio che Parlatore realizza nel 1849 sulle Alpi occidentali, un secondo viaggio in Scozia e negli Highlands l’anno successivo, e il viaggio del 1851 nella penisola Scandinava – proprio su sollecitazione di Humboldt –. Il viaggio alla catena del monte Bianco e del Gran San Bernardo è

34 Ibidem.

35 Parlatore F., Elogio di Alessandro Humboldt, Le Monnier, Firenze 1860, p. 5. 36

Sino alla vecchiaia Humboldt favorì alcuni scolari per l’inserimento nei contesti accademici e nei centri di ricerca europei preoccupandosi del destino di coloro che riteneva più meritevoli. In una lettera di Humboldt al chimico Bunsen, scritta nel 18 giugno 1855 da Postdam, in risposta ad alcune osservazioni di quest’ultimo in merito ad alcune parti di Kosmos, l’ottantaseienne tedesco parla del significato di queste “raccomandazioni”. «Quando uno si è logorato e nulla più produce deve almeno adoperarsi per coloro che si trovano in condizioni di fare». Cit. da Taddia, M., Chimica, vulcanologia e … una

raccomandazione, in «La chimica e l’industria», maggio 2005, pp. 56-60.

37

(12)

infatti il primo esempio concreto di “esercizio geobotanico” applicato ad una precisa zona geografica d’Europa. Lo stesso Parlatore precisa infatti nella Prefazione che

Nell’intraprendere questo viaggio alla catena del Monte Bianco io mi proposi di studiare la vegetazione di quel colosso della Alpi sotto il punto di vista della geografia botanica, per conoscere così il variar di fisionomia e precisare il limite della piante nelle diverse altezze di quelle montagne.38

È chiaro sin dall’inizio che l’intento è proprio quello di produrre una ricerca scientifica in grado di affrontare i problemi che Humboldt aveva posto nelle proprie opere e seguirne in qualche modo le linee tracciate. Significative sono in proposito le parole usate: “il variar di fisionomia” è ciò che l’autore tedesco aveva tentato di presentare, con successo, per i paesaggi dell’America tropicale; mentre misurare con precisione il “limite delle piante”, salendo in altitudine, era stato l’impegno di gran lunga più faticoso per Humboldt nelle molteplici scalate andine. Parlatore è ben consapevole che il valore altitudinale non è sufficiente a dare spiegazione della presenza di una determinata specie in un ambiente preciso, in quanto «la natura del suolo, o l’esposizione di esso, là l’isolamento o la continuità di una montagna con altre ecc. segnano diversi limiti ad una specie medesima»39. Anche in questo caso l’insegnamento di Humboldt si rivela pienamente. Il Monte Bianco, per la vastità della catena montuosa in cui si trova, è il luogo ideale per poter affrontare una ricerca su larga scala che tenga conto di molteplici fattori, tutti tra loro in connessione e dipendenza, come le montagne andine erano già state per Humboldt. Il viaggio del 1849 ha quindi un intento ben preciso: «confermare o accrescere quei fatti, già altrove raccolti dall’Humboldt (…) e da altri botanici benemeriti della geografia delle piante, per contribuire con essi alla conoscenza di questa importante branca della storia naturale».40 Possiamo affermare che Parlatore considerasse ormai nel biennio 1849/1850 la propria attività prevalentemente finalizzata all’incremento di una scienza che in Italia non aveva ancora avuto dei precisi cultori.41

38 Parlatore F., Viaggio alla catena del Monte Bianco e al Gran San Bernardo eseguito nell’agosto del

1849 da Filippo Parlatore, Le Monnier, Firenze 1850, p. V (prefazione).

39 Ibidem. 40 Ivi, p. VII.

41 In Italia erano state pubblicate prevalentemente delle ricognizioni floristiche locali. In particolare

bisogna ricordare: Tenore M., Cenno sulla geografia fisica e botanica del Regno di Napoli, Napoli 1827 e Cesati V., Saggio su la geografia botanica e su la flora della Lombardia, Milano 1844. Era poi uscito un significativo articolo propriamente di geografia botanica d’Italia negli «Annali civili del Regno delle Due Sicilie», luglio/agosto 1834, fasc. 10, pp. 71-83. Il testo, scritto da Michele Tenore, allora prefetto

(13)

In sintesi infatti il viaggio nei ghiacci tra Aosta e Courmayeur, sino a Chamonix, può essere letto come il segno dell’evidente interesse dello scienziato verso la comprensione della distribuzione floristica delle regioni glaciali e periglaciali al fine di determinare con certezza il limite superiore,42 interesse che lo porterà – non casualmente – a compiere un viaggio similare negli Highlands scozzesi nel 1850 e a desiderare sempre più di «spinger[si] verso il Polo e di vedere con i [suoi] occhi la flora della zona ghiacciata e di segnare i confini delle diverse specie nelle diverse latitudini della stessa»43.

§ 3

Il viaggio geobotanico di Parlatore nell’Europa scandinava

L’occasione per poter attuare il proprio disegno scientifico e verificare così in loco la vegetazione della regione alpina dell’estremo lembo settentrionale d’Europa si verifica nel 1851. A metà del XIX secolo Parlatore godeva infatti di una certa stima negli ambienti scientifici internazionali, soprattutto tra i botanici, certamente grazie alle numerose attività congressuali che egli andava facendo al di fuori della penisola in occasione delle sedute di accademie e società scientifiche cui prendeva parte come socio ordinario estero o corrispondente. Nell’Italia non ancora unita egli era considerato certamente il riferimento per gli studi geobotanici, grazie anche alla conduzione impeccabile dell’Erbario e alla pubblicazione del Giornale Botanico. La sua fama non era però conseguente a un’esperienza di viaggio esplorativo di respiro “internazionale”, come già era successo ad Humboldt dopo il viaggio in sud America, o ad altri botanici.44 La decisione di partire proprio per l’estremo continente europeo si collega quindi a tutti gli ultimi tre anni di attività scientifica, di erborizzazioni, di rapporti

dell’Orto Botanico partenopeo si intitola: Ricerche sulla geografia botanica ed agraria dell’Italia, e si configura come un primo vero tentativo di abbozzare una geografia botanica d’Italia individuando delle regioni geografiche precise e associando a tali zone della penisola l’elenco delle specie rinvenute. Si tratta in ogni caso di un abbozzo, visto che mancano indicazioni di tipo numerico circa le condizioni climatiche e la stazione precisa delle varie specie. Da notare il fatto che Tenore giustifichi l’interesse per la geografia botanica in connessione con gli studi agrari e le possibilità di incrementare certe coltivazioni in Italia sulla base proprio delle conoscenze che la fitogeografia può dare.

42

Da quanto possiamo apprendere dalla lettura dei rapporti di incremento delle collezioni dell’Erbario Centrale italiano, pubblicate sul «Giornale Botanico Italiano» sin dal primo numero del 1844, Parlatore aveva depositato al rientro del viaggio 632 specie in data 4 ottobre del 1849.

43 Parlatore, F., Mie memorie, cit., p. 187. 44

Tra i molti naturalisti viaggiatori della prima metà dell’Ottocento si possono citare alcuni nomi di botanici che proprio a seguito dell’esperienza di viaggio accrebbero la propria fama guadagnandosi la stima degli ambienti internazionali. P. P. Webb, per esempio, pubblicherà Voyage a l’Isle Canarie; A. H. R. Grisebach pubblicherà invece Flora of the British West Indian Islands.

(14)

epistolari e di scambio di materiali con altri studiosi, ed è chiaramente motivata dal desiderio di approfondire la conoscenza delle piante «delle parti ghiacciate di Europa»45. A tale motivazione Parlatore aggiunge la convinzione dell’opportunità di far precedere un viaggio faticoso e disagevole - quello nell'Europa settentrionale, appunto - ad un’eventuale futura spedizione nella zona torrida, «più facile o almeno meno incomoda»46. La scelta di percorrere i territori scandinavi costituisce dunque per il botanico siciliano il tassello intermedio di un progetto molto più ampio e ambizioso, cioè quello «di studiare le forme e la natura delle piante nelle diverse zone della terra per gli studi importantissimi della geografia botanica»47. Il viaggio nella penisola scandinava non può certamente essere accostato agli altri viaggi che già Parlatore aveva compiuto in alcune regioni d’Europa o alle erborizzazioni lungo la penisola italiana. La complessità dell’itinerario e la particolarità dei luoghi – nel settentrione d’Europa il periodo utile alla raccolta di esemplari è limitatissimo a causa della brevità della stagione propizia – richiedevano una differente programmazione del viaggio, non solo dal punto di vista scientifico ma anche organizzativo e finanziario.48 A dispetto di quanto era accaduto sino a quel momento si era presentata infatti una novità. Fino a quel momento Parlatore aveva erborizzato in zone facilmente raggiungibili e a proprie spese,49 sfruttando i periodi di sosta estivi dalle lezioni all’Istituto fiorentino e, ancor prima, delle pause accademiche in quel di Palermo. In questa occasione, come egli stesso racconta nelle Memorie, si decide a richiedere un parere sul progetto al cavalier Vincenzo Antinori, direttore del Museo di Fisica e di Storia Naturale, e al marchese Bartolomeo Bartolini Baldelli – ai quali dedicherà la narrazione del viaggio – che approvarono «il [mio] pensiero e riconoscendo utile quel viaggio al nostro Museo, non vollero che [io] andassi, come avevo fatto per gli altri viaggi, a mie spese e mi invitarono a fare una proposizione sull’assunto»50. La proposta di Parlatore fu accettata dal Granduca, che accordò una sovvenzione di lire toscane cinquemila, “equivalenti

45

Parlatore F., Viaggio per le parti settentrionali d’Europa fatto nell’anno 1851, Le Monnier, Firenze 1854, volume I, p. VI.

46 Ivi, p. 117. Abbiamo già accennato alle possibilità, andate sempre deluse, di recarsi in zone calde del

mondo, che si erano profilate nel biennio 1843/1844.

47 Ivi, p. 188. 48

Cfr. in proposito Visconti, A., Il viaggio in Scandinavia compiuto nel 1851 dal botanico siciliano

Filippo Parlatore (coautore A. Di Bartolo), in «Settentrione. Rivista di studi italo-finlandesi», n. 22,

2010, pp. 12-20.

49 Agnese Visconti ha messo in luce, nello scritto Viaggiatori-naturalisti italiani nella prima metà

dell'ottocento: problemi e situazioni, in «Il Risorgimento», a. LIII, n. 3, 2001, pp. 91-105, il fatto che in

altre realtà europee – in particolare francesi e inglesi – lo stato, anche attraverso le istituzioni scientifiche, promuoveva costantemente e con grosse quantità di denari i viaggi dei naturalisti.

50

(15)

all’intera spesa prevista per il viaggio”.51 Per la prima volta era stato quindi concesso dall’Istituto fiorentino un periodo di assenza prolungato per un dipendente allo scopo preciso di compiere un viaggio scientifico. Ci pare degno di nota ricordare che in un epoca in cui accademie, società scientifiche e geografiche, promuovevano spedizioni ed esplorazioni in varie parti del mondo, il caso del viaggio di Filippo Parlatore è una sorta di unicum nel contesto degli stati preunitari italiani. Se infatti era stato impossibile per gli stati che frantumavano l’Italia sostenere delle politiche di scienza consistenti dal punto di vista dell’ampliamento delle conoscenze relative a vari aspetti della cultura naturalistica – elemento che prevedeva necessariamente gite e viaggi esplorativi in luoghi spesso lontani – al fine di superare il semplice allestimento di musei naturalistici o gabinetti scientifici di impronta “locale”, la Toscana si era distinta per il tentativo di arginare questo divario con le grandi potenze europee cercando di favorire quanto più l’inserimento di scienziati in spedizioni commerciali e diplomatiche. Prima dell’intervento diretto del Granduca con una sovvenzione statale nel caso di Filippo Parlatore, un altro precedente illustre si era verificato nella storia del Granducato lorenese: precedente che non sminuisce l’impresa scientifica del Parlatore, anzi assegna ad essa un significato ancora più forte, seppur con i limiti che sono stati già richiamati. Nel 1817-1818 il Granduca Ferdinando III (1769-1824), aveva infatti concesso al professor Giuseppe Raddi, addetto alle collezioni del Regio Museo, di aggregarsi alla flotta che scortava la principessa Leopoldina d’Austria in Brasile, che stava per convolare a nozze con Don Pedro di Braganza, Principe ereditario del Brasile e del Portogallo. Era la prima volta che un dipendente del Museo si accingeva a compiere un viaggio naturalistico fuori dai confini europei e degli stati preunitari italiani con il precipuo incarico di raccogliere materiale per arricchire le regie collezioni. Ma il viaggio in Brasile non era stato ideato per Raddi, anche se esso fu l’occasione perché un naturalista prendesse parte ad una spedizione con compiti non diplomatici. Fu quindi, nel caso di Parlatore, l’accoglimento di una singola richiesta da parte del Granduca, che vedeva in questo modo la possibilità di figurare come “principe illuminato” nel contesto degli stati italiani: cosa che si era per altro evidenziata concedendo a Raddi di scegliere una persona di sua fiducia per la custodia delle collezioni del Regio stabilimento del museo in sua assenza, lo storno del proprio assegno alla famiglia per tutto il periodo di

51 Cfr. Archivio Regio Museo di Fisica e Storia Naturale (ora Museo Galileo già Istituto e Museo di Storia

della Scienza di Firenze che abbrevieremo con IMSS - ARMU), Filza Carteggio della direzione, genn.-dic., 1851, affari n. 9.

(16)

mancanza da Firenze e un finanziamento di 300 sterline per la spedizione.52 Il viaggio di Parlatore ha inizio ai primi di maggio del 1851, senza alcun compagno, e con tutti i visti necessari. Dopo aver lasciato Firenze ed attraversato le montagne svizzere dall’Alpe di San Gottardo, egli raggiunge dopo pochi giorni dopo la città di Berlino. Qui si verifica un secondo episodio che dimostra la sincera stima di Humboldt per Parlatore. Il 22 maggio del 1851 Humboldt scrive al re di Svezia e di Norvegia Oscar I per annunciare l’imminente arrivo di un professore fiorentino, siciliano di nascita, «un de mes savants amis, le Professeur de botanique de Florence Mr. Parlatore (…) placée au rang des plus distingue Botanistes de notre siècle»53. Humboldt stava comunicando al re, con il velato intento di richiedere il massimo di libertà di movimento per Parlatore, che lo studioso toscano ha in progetto di vedere con i propri occhi la vegetazione europea nei diversi climi e terminare così una grande “geografia delle piante”, le cui fondamenta erano state gettate da Wahlenberg,54 e dallo stesso Humboldt. È interessante notare che Humboldt parli di un grandioso progetto di geobotanica a cui Parlatore sta rivolgendo la propria attenzione e che certamente avrebbe dovuto contenere una parte sulla geografia botanica della zona glaciale e periglaciale d’Europa -oltre che sull’Italia- che Humboldt avrebbe desiderato al più presto inserire in anteprima nella pagine dell’ultimo volume di

Kosmos.55 L’incontro di Berlino del maggio 1851 era stato però finalizzato a redigere una sorta di programma di viaggio sulla base delle indicazioni date al naturalista tedesco dall’amico Leopold von Buch, che già aveva attraversato la Scandinavia.56 L’itinerario mira infatti a raggiungere l’Isola delle Balene, con partenza da Stoccolma e ritorno a Oslo. La partenza da Berlino segna quindi il vero inizio del viaggio scientifico di

52

Cfr. IMSS - ARMU, Filza Negozi 1817, affari n. 67.

53 Biblioteca Comunale di Palermo (d’ora in poi abbreviato BCP): Fondo Parlatore, filza 529, Q q D – 16

n. 22/III. La lettera è stata pubblicata da Rodolico F., Per la storia della fitogeografia: lettere di

Alessandro von Humboldt a Filippo Parlatore, in «Physis», anno X, fasc. 2, pp. 113-118.

54

George Wahlenberg (1780-1851), botanico svedese che viaggiò per l’Europa raccogliendo numerosi esemplari vegetali conservati a Uppsala.

55 Se incrociamo infatti ciò che scrive Parlatore nel suo Elogio di Humboldt, cit., p. 36 e la lettera

conservata in BCP: Fondo Parlatore, filza 529, D – 16 n. 22/I: «Je vous demanderais en grâce de me donner pour le Cosmos quelques lignes avant le mois de Septembre sur des problèmes analogues», possiamo leggere quasi una supplica di Humboldt, reiterata per altro nella lettera del novembre 1851, affinché Parlatore invii dei materiali di geografia botanica per il quinto volume dell’ultima grandiosa opera del vegliardo tedesco che – ricordiamo- all’epoca del viaggio di Parlatore aveva già ottantuno anni.

56

Leopold von Buch aveva infatti pubblicato il Reise durch Norwegen und Lappland, Nauck, Berlin 1810. L’incontro a tre Humboldt, Buch, Parlatore, non era in realtà andato così bene. Buch aveva dato tutti i suggerimenti necessari facendo tesoro certamente della propria esperienza sconsigliando a Parlatore di compiere gran parte del viaggio via terra, tra i deserti di ghiaccio della Lapponia. Parlatore, con il sostegno di Humboldt, è invece convinto della necessità di esplorare l’interno per raccogliere tutte le necessarie informazioni di natura geobotanica. Questi elementi, sin’ora inediti, sono emersi dalla lettura del carteggio di Parlatore conservato a Palermo. Cfr. BCP, Fondo Parlatore, 5 Qq D 1, I-XI, n. V. Le lettere di Parlatore ad Antinori saranno presto pubblicate integralmente.

(17)

Parlatore che si era comunque occupato sin da Firenze di annotare peculiarità floristiche e caratteri paesaggistici lungo il tragitto.57 Dal punto di vista naturalistico le prime osservazioni contenute nella relazione di viaggio compaiono solo dopo aver attraversato Amburgo, avvicinandosi alla regione boreale.

Principiai a vedere il paese e la sua flora prendere veramente un aspetto settentrionale. Per quelle estese pianure erano estesi scopeti di scopamanne, Calluna vulgaris Salisb., e grandi ammassi di torba interrotti qua e là da piccoli laghi o da piccoli rialti del terreno dove si vedevano soltanto verdi prati e freschissimi boschi di querci e di faggi. Di tanto in tanto si incontrava una casa, con i tetti grandemente in pendio e tanto alti, che superavano l'altezza delle pareti di essa che erano di legno: su quei tetti era uno strato di paglia o di torba, coperta di borraccina, la quale per la quantità proporzionatamente maggiore, secondo l'antichità delle case poteva dirsi un vero cronometro di queste. Verdeggiavano alcuni di quei tetti per le erbe cresciutevi come in un prato, la qual cosa, perché da me veduta per la prima volta, mi fece allora molta meraviglia, mentre poi notai essere comunissima in tutta la penisola scandinava.58

Dobbiamo subito dire che le annotazioni di geografia botanica all’interno della relazione di viaggio di Parlatore sono in realtà limitatissime, per varie ragioni che esporremo. Parlatore descrive, come nel caso che riportiamo, un quadro sommario dell’ambiente facendo riferimento all’interazione tra vegetazione ed elementi antropici.

Non trascurai in tutto il viaggio di far molta attenzione alle piante dei tetti, e mi confido che non saranno prive di utilità le note che ne darò nella parte botanica di questo lavoro. Dirò solo qui che le erbe nascono facilmente e vegetano bene sui tetti della case delle parti settentrionali di Europa, perché qui i tetti sono coperti di molta paglia e più spesso di molta torba; l’acqua e la neve, strutta di primavera, formano con la torba un terriccio buono al germogliamento dei semi ed al nutrimento delle piante: ognun comprende che i demi sono portati sui tetti o con la torba, o dai venti, o dagli uccelli, o dall’uomo.59

57 Cfr. Parlatore, F., Viaggio per le parti settentrionali d’Europa fatto nell’anno 1851, cit., capp. 1-2. 58 Parlatore, F., Mie memorie, cit., p. 191.

59

(18)

Questo genere di prosa scientifica certo poteva piacere a Humboldt ma, a differenza di Parlatore, l’autore tedesco era riuscito ad unire alle piacevoli descrizioni dell’ambiente anche precise indicazioni sulla flora di quei luoghi in rapporto a fattori climatici, elementi necessari per poter operare delle comparazioni. La narrazione del viaggio prosegue poi da Copenaghen a Stoccolma, e qui Parlatore si sofferma sui monumenti, i musei artistici e scientifici, gli incontri con i botanici di quella capitale, secondo una metodologia di narrazione che ritornerà per le altre città scandinave visitate: Göteborg, Gefle e Trondheim. Ancora nelle pagine su Stoccolma possiamo trovare una delle rare riflessioni sul paesaggio nella quale Parlatore tenta di indicare una fisionomia dei luoghi che sta attraversando applicando ciò che Humboldt sostiene a proposito del sentimento della natura e della lettura del paesaggio in base a fattori “interiori”.

Bellissimo n’è in vero il panorama perché 1'occhio scopre in un punto le acque limpidissime del golfo, le barche e le navi che vi si riflettono, le orride rupi, i verdi boschi, i campi, le case, le ville, le torri, le guglie ed i palazzi. Se la natura negò alle parti settentrionali lo splendore del nostro sole, l’azzurro vivissimo del nostro cielo e il fecondo soffio di tiepidi venti, non tolse loro la bellezza propria del terreno, la quale a me pare che stia nel vago alternarsi delle valli e dei monti e nel vario ornamento delle piante. Lo squallido aspetto delle parti della terra più vicine ai poli dipende per mio avviso dalla mancanza degli alberi e degli arboscelli, la quale opinione mi pare convalidata dalla tristezza che c’infondono le pianure sterili e deserte dell'Affrica e dell'Asia, come le alte cime dei monti nella regione delle nevi eterne, dove solo le borraccine e i licheni cuoprono le orride rupi sporgenti in mezzo alla neve.60

Sempre nello stesso capitolo troviamo dei raffronti biogeografici in riferimento alla presenza delle querce, confrontando la latitudine di Stoccolma con quella di Uppsala e Jevle e le relative condizioni climatiche.61 Si tratta di un caso sporadico proprio perché l’intento del volume primo era quello di narrare semplicemente l’esperienza odeporica senza soffermarsi eccessivamente sui dati di natura scientifica. Dalle pagine che seguono possiamo comprendere che l’esperienza esplorativa diviene sempre più scomoda e faticosa, in particolare quando Parlatore raggiunge la campagna di Uppsala e

60 Ivi, p. 111.

61

(19)

«cominciano a scemare i comodi del vivere e si accrescono le difficoltà del viaggio»62. Pur nelle difficoltà il botanico italiano continua ad annotare e raccogliere campioni di piante, come nel caso della quercia, al fine di «avere un ricordo del termine settentrionale di quell’albero»63. Se le osservazioni sulle specie vegetali incontrate si mescolano al racconto delle peripezie sempre più frequenti che la spedizione deve affrontare, dobbiamo notare che non mancano indicazioni di natura antropologica o zoologica: dall’utilizzo di piante a scopo alimentare o per medicamento, all’annotazione di animali incontrati nelle diverse condizioni climatiche. È oltremodo interessante evidenziare come le notizie sulla strumentazione di viaggio siano davvero esigue. Il primo riferimento diretto compare infatti dopo più di metà narrazione ed è occasionato da un intoppo nel viaggio: un incidente che ha causato la rottura dei due barometri portati da Firenze, senza i quali non sarà più possibile fare precisi rilievi climatici.64 Un secondo riferimento, più avanti, riporta soltanto un generico “strumenti fisici” e “vascoli di latta pieni di piante” – grandi scatole a forma cilindrica all’interno delle quali i botanici sono soliti conservare le piante raccolte prima di metterle nelle carte suganti per seccarle –. Nei capitoli seguenti del racconto, riferiti alla parte più estesa del tragitto, quando oramai la spedizione ha oltrepassato il Circolo Polare Artico, Parlatore esplora gran parte delle distese ghiacciate della Lapponia interna visitando ciò che i geografi indicavano con il nome di sistema scandinavo o Alpi scandinave. Si tratta di una catena di monti

estesa dal 58° al 71°grado di latitudine settentrionale, (…). Essa è la più lunga di tutte le catene dei monti di Europa, è meno alta delle Alpi e di alcuni dei nostri Appennini, ma n'è più larga ed ha una forma totalmente diversa. Ed in vero ognun sa che gli Appennini di natura calcarea presentano le cime loro a guisa di linee sinuose ed uniformi, e che le Alpi composte di granito innalzano le loro vette in forma di guglie o di piramidi. Le Alpi scandinave che gli Svedesi chiamano Fjellen e i Norvegesi Fjaelds, sono di gnesio o di micaschisto, e le loro cime si presentano a guisa di grandi coni o di cupole rotonde, le quali discendono dolcemente da ogni parte verso alcuni piani formati dalla unione delle valli ed estesi per lunghissimi tratti sul dorso delle Alpi medesime. (…) Non è possibile infatti di passare quei monti in un giorno solo come noi passiamo l'Alpe del

62 Ivi, p. 146.

63 Ivi, p. 156. 64

(20)

Cenisio o quella del San Gottardo: imperocchè colà bisogna andare sui monti medesimi molte miglia per vani e per pianure prima di scendere nella parte opposta.65

La notazione geografica di Parlatore non è di poco rilievo. Il botanico italiano sta tentando di evidenziare - attraverso un comparativismo geografico con le alture che caratterizzano l’Italia - la natura del terreno e la conformazione generica dei monti, come l’impostazione geognostica di Humboldt richiedeva, al fine di comprendere tutti quei caratteri del territorio che uniti al clima e in interazione con esso forniscono indizi sulla crescita e lo sviluppo di una certa vegetazione. La fisionomia dei luoghi cambia quindi perché gli elementi più evidenti, quelli floristici, tendono a diradarsi:

Il piano in pendio che forma la Lapponia è coperto nella parte più bassa da boschi di abeti, di pini e di betule, che il viaggiatore vede a poco a poco mancare andando dalle parti più vicine al Mare Botnico verso le Alpi. Gli alberi sono nella maggior parte piccoli e stenti, e divengono assai rari prima di mancare; la betula rimane l'ultima, ma essa diviene nei monti tanto piccola che si alza appena un braccio o un mezzo braccio sulla terra: spesso anzi vi si sdraja, forse a cagione delle nevi e dei forti venti che soffiano in quelle altezza.66

Sempre meno frequenti sono le specie che Parlatore incontra durante il tragitto: borraccine, il lampone artico, il camemoro, la calta palustre, la trientale, il corniolo di Svezia, carici ed altre piante, delle quali si propone di «favellare estesamente nella parte botanica di questo lavoro».67 Oltrepassata la città di Màuno Parlatore registra invece «il termine del pino, già divenuto più piccolo e raro». Siamo intorno ai 68° e mezzo di latitudine settentrionale. Giunto invece nell’Isola delle balene la raccolta di esemplari diviene l’occasione per riflettere sulla “migrazione delle specie”.

Ebbi la fortuna di trovare un seme di Entada Gigolobium Dee. (Mimosa scandens

Swartz), sbalzato dai flutti del Mare Ghiacciato. L'Entada Gigolobium è un albero

della famiglia delle leguminose, il quale nasce salvatico nelle Antille in America e porta grandi baccelli, lunghi quasi tre braccia, ciascuno dei quali contiene molti semi, più grossi di una castagna, della quale hanno il colore, ma sono di forma

65 Ivi, pp. 229-230 (infra).

66 Ivi, p. 234. 67

(21)

diversa essendo quasi tondi e piani in alto ed in basso. Questi semi dal Golfo Messico sono portati per la gran corrente dell'Oceano Atlantico, la quale si chiama comunemente Gulf-Stream, verso settentrione e ponente, e dipoi sbalzati qua e là dalle acque sulle spiagge del Labradore, dell'Islanda, della Finmarchia e raramente anche della Scozia.68

Il tema del ritrovamento di specie vegetali in un determinato luogo geografico era stato al centro della trattazione di Humboldt in alcune pagine del Voyage e in realtà si può parlare di esso come di un tema canonico in fitogeografia. Parlatore ne è pienamente consapevole, citando infatti una delle possibili cause della migrazione di piante da un continente all’altro grazie a fattori di natura climatica – in questo caso la corrente del golfo.69 Anche i luoghi nei quali Parlatore parla dell’interazione tra clima, morfologia dei territori e vegetazione, sono casi eccezionali in questo volume.70 A differenza della Relazione storica del viaggio di Humboldt - semmai le due possano essere confrontate - Parlatore non si sofferma sulla “filosofia della natura” che sta alla base dell’esperienza di viaggio. Nell’estrema rigidità del clima, tra alture e pianure della Lapponia, le ultime fasi della narrazione lasciano trapelare soltanto l’impellenza materiale del viaggio: salvare le collezioni e far rientro in una città portuale, così da ripartire quanto prima per la Germania e incamminarsi sulla strada di ritorno per Firenze. Le fatiche del viaggio e la rigidità della temperatura avevano infatti messo a repentaglio la vita dell’esploratore debilitandolo tra l’altro per lungo tempo anche dopo il rientro. Soltanto nell’Ottobre del 1851, accompagnato dall’allora amico e discepolo Teodoro Caruel, appositamente inviato dalla Granduchessa Maria Antonietta a seguito delle missive di Parlatore al marchese Bartolini e al cavalier Antinori nelle quali si chiedeva un aiuto concreto per il rientro, Parlatore riesce a rimettere piede in Toscana.71 Parlatore riprenderà dopo pochi

68

Ivi, p. 304.

69 J. Browne nel suo The secular ark. Studies in the History of biogeography, cit., ne parla chiaramente

nei capitoli 1, 3 e 4. Possiamo dire che l’intero libro sia diretto, attraverso una lettura di tipo storico, ad evidenziare la forza speculativa del problema della distribuzione delle specie vegetali e animali sul globo. Tema che secondo la Browne ha origini lontane e che i naturalisti del Seicento e Settecento hanno dovuto affrontare per interpretare il problema teologico dell’origine della terra e della distribuzione degli animali dopo il Diluvio Universale.

70 Cfr. Parlatore, F., Viaggio per le parti settentrionali d’Europa, cit., pp. 326-327.

71 Cfr. BCP, Fondo Parlatore, 5 Qq D 1, I-XI. Tra le lettere di Parlatore ad Antinori, si trova anche un

biglietto segnato 5 Qq D 1, I-bis di dimensioni 6 cm x 13 cm all’interno del quale è annotato. «Il Signor Caruel è partito alla ricerca del Prof. Parlatore di commissione di S.A. la GDuchessa, il dì 30 Settembre 1851 ed ha avuto pel suo viaggio £ mille in contanti, ed una credenziale sopra Ambrugo di Lire quattromila».

Riferimenti

Documenti correlati

Se trouve dans le midi de l’Europe en France, en Italie, en Sicile et les iles adjacentes, en Dalmatie, en Grèce, en Macedonie, en Bythinie,en Afrique en Algérie, dans les iles

Given the continuing need to maintain a level economic playing field, Member States considering implementation o f environmental levies (such as taxes, charges

Such rates of mangrove loss refl ect a broader global environmental crisis, with intergovernmental groups such as the International Science- Policy Platform on Biodiversity and

(2014), graphene oxide (GO) enhances the resistance of cement, since the sheets can bridge microcracks within the matrix and increase strength and toughness, with some reshape of

Humboldt si sforzò di calcolare la sotto-enumerazione del censimento del 1793, ed estrapolò la popolazione a date successive utilizzando le registrazioni delle nascite e delle

Recentemente sono stati proposti due in- siemi di raccomandazioni per l’identificazione dei pazienti affetti da spondilite anchilosante da trattare con i famaci anti-TNF α :

Se agli occhi di una parte della storiografia moderna e contemporanea la figura e l’opera di Humboldt sono apparsi come l’ultimo, glorioso, lampo di una

Il Centro promuove, costruisce e partecipa alla realizzazione di progetti di salvaguardia della biodiversità sul territorio, fornendo materiale vegetale da usare