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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

1.1 Tissue Engineering

Il termine “Tissue Engineering” è stato introdotto nel 1988 dai membri del National Science Foundation (NSF) per definire un campo multidisciplinare che si avvale dei principi della scienza della vita e dell’ingegneria per realizzare sostituti biologici contenenti cellule viventi e funzionali per la rigenerazione, il mantenimento o il miglioramento delle prestazioni dei tessuti [1]. L’ingegneria tissutale mira quindi alla creazione di tessuti o organi tridimensionali utilizzando combinazioni di cellule, biomateriali e infine molecole biologicamente attive.

Le strutture realizzate per l’ingegneria tissutale sono costituite da due elementi fondamentali: una componente cellulare necessaria per la generazione della matrice extracellulare e per il mantenimento a lungo termine della stessa ed una componente artificiale costituita dal supporto polimerico (scaffold) per la componente cellulare. Lo scaffold favorisce l’organizzazione tridimensionale delle cellule fino alla completa formazione del tessuto; parametro caratteristico di questa componente è la velocità di degradazione che deve essere paragonabile alla velocità di sintesi cellulare. Il processo di assemblaggio di una struttura, costituita dalle due componenti suddette, comincia con l’identificazione del tipo di cellule più adatto per l’ottenimento del tessuto voluto e con l’isolamento di queste cellule da un tessuto nativo. Il secondo step consiste nella crescita cellulare, la quale è fortemente influenzata dalla tipologia delle cellule; queste vengono quindi seminate sul supporto polimerico, la cui struttura influenza in maniera determinante la formazione del tessuto prodotto dalle cellule impiantate.

1.2 Ruolo dei biomateriali nell’ingegneria tissutale

Lo studio dei materiali utilizzati nell’ingegneria tissutale rappresenta un importante settore di ricerca che interessa molte discipline, tra cui l’ingegneria dei materiali, la

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bioingegneria, le biotecnologie, la biologia molecolare e la medicina rigenerativa. L’ingegneria tissutale ha mosso i suoi primi passi considerando gli studi effettuati dalla scienza dei materiali e cercando di individuare nei biomateriali scelti un’appropriata combinazione di proprietà funzionali, tali da imitare quelle del tessuto da sostituire, senza provocare una risposta dannosa da parte dell’ospite.

I primi biomateriali sono stati definiti BIOINERTI in quanto stabili dal punto di vista chimico-fisico, ma con capacità di interazione minima con i tessuti circostanti dell’organismo. Appartengono a questa classe gli ossidi di titanio, alluminio e zirconio, il polietilene ad altissimo peso molecolare (UHMWPE) e infine il carbonio pirolitico. L’allumina, o ossido di alluminio, presenta la massima inerzia chimica ed è considerato il materiale ceramico bioinerte per eccellenza; inoltre, grazie alle sue proprietà meccaniche di rigidità e durezza, è utilizzato nella sostituzione di tessuti duri per applicazioni in ortopedia e odontoiatria. Il carbonio pirolitico, originariamente sviluppato negli anni ’60 come materiale per la copertura di particelle di combustibile nucleare e attualmente largamente utilizzato nelle protesi valvolari cardiache, costituisce uno dei primi biomateriali la cui formulazione è stata studiata, modificata e controllata sulla base di principi ingegneristici e biologici per le applicazioni biomediche.

Successivamente è stata introdotta una nuova classe di biomateriali, definiti BIOATTIVI, ossia in grado di favorire le interazioni dirette di tipo biochimico con il tessuto biologico, che può crescere sulla superficie del materiale stesso. Tipici esempi di materiali bioattivi sono alcuni materiali ceramici, come l’idrossiapatite ed i biovetri. L’impiego di alcuni materiali bioattivi è previsto in applicazioni cliniche relative alla chirurgia ortopedica e dentale.

La seconda generazione di biomateriali ha incluso anche lo sviluppo di biomateriali degradabili con una velocità di degradazione adattabile alle richieste della specifica applicazione. In tal modo risulta eliminata l’interfaccia a lungo termine tra l’impianto ed il tessuto ospite, poiché il materiale estraneo viene degradato dall’ospite e sostituito dal tessuto. Il filo da sutura in acido polilattico (PLA) e acido poliglicolico (PGA) è entrato nell’uso clinico sin dagli anni ’70. Molti gruppi di ricerca continuano a cercare polimeri biodegradabili con una combinazione di proprietà quali resistenza, flessibilità, composizione chimica, idonee allo sviluppo di tessuti.

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Infine negli ultimi anni la ricerca nel campo dei biomateriali si è rivolta ad un settore innovativo che comprende l’ingegneria dei tessuti biologici. Si tratta di una disciplina che ha come obiettivo quello di ricostruire i tessuti biologici coltivando le cellule del paziente su supporti artificiali, gli SCAFFOLDS.

1.3 Scaffolds

Per scaffold si intende un supporto poroso tridimensionale realizzato in un materiale biocompatibile e bioerodibile sul quale far avvenire l’adesione iniziale delle cellule e la successiva ricrescita fino a formazione del tessuto e in maniera tale che esso si biodegradi a velocità simile a quella di ricrescita.

Nel corso di vari studi sono stati individuati numerosi materiali che hanno permesso di definire le principali caratteristiche dei suddetti supporti: una porosità elevata e tridimensionale con la presenza di una rete di interconnessione dei pori in modo da consentire la crescita cellulare, il trasporto delle sostanze nutrienti e l’eliminazione delle sostanze di scarto; un’elevata biocompatibilità, in modo da non generare alcuna forma di rigetto da parte delle cellule ospiti; una biodegradabilità ed una bioriassorbibilità controllate, in modo che il supporto bioartificiale si degradi e venga allontanato dall’organismo man mano che il nuovo tessuto inizia a formarsi; una superficie chimicamente adatta all’adesione, alla proliferazione e alla differenziazione delle cellule; proprietà meccaniche simili a quelle dei tessuti che devono essere riprodotti sullo scaffold. Da questo punto di vista, quindi, il materiale non può essere considerato come un sostituto duraturo di un tessuto ma come una struttura temporanea che ne promuove la rigenerazione. La componente cellulare gioca un ruolo importantissimo perché è responsabile della generazione e del mantenimento nel tempo della matrice extracellulare. Possono essere utilizzate sia cellule staminali, ossia indifferenziate, sia cellule differenziate a seconda della specifica applicazione; in generale bisogna valutare la reazione del gruppo cellulare in risposta agli stimoli dell’ambiente biologico circostante, affinché vengano rigenerate completamente le funzionalità del tessuto danneggiato. L’approccio tradizionale dell’ingegneria tissutale consiste nella semina delle cellule sulla

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superficie dello scaffold, composto da polimeri sintetici o naturali. Il tessuto viene fatto maturare in vitro e il costrutto viene successivamente impiantato nell’appropriata posizione anatomica come una protesi [2]. Un’alternativa possibile a questo approccio tradizionale è data dall’ingegnerizzazione di tessuti in vivo. In questa procedura si utilizzano scaffolds non seminati o biomateriali iniettabili, che vengono impiantati sul vaso danneggiato e che creano un ambiente favorevole per l’adesione e la proliferazione delle cellule, siano esse iniettate insieme al materiale o reclutate all’interno dell’organismo.

1.3.1 Scaffolds biologici

Gli scaffolds biologici sono costituiti da uno o più componenti della matrice extracellulare come collagene, elastina, glicosaminoglicani (GAG) e fibrina.

Il loro utilizzo prevede la necessità di effettuare un pretrattamento con lo scopo di: • Preservare il tessuto da qualsiasi forma di degradazione enzimatica e/o

chimica;

• Ridurre l’immunogenicità del materiale; • Sterilizzare il tessuto;

Varie tecniche di reticolazione sono state messe a punto per cercare di trovare la procedura ideale e per stabilizzare la struttura affinché mantenga integre le proprietà meccaniche e la sua naturale compliance; il più comune agente reticolante usato è la glutaraldeide (GTA), che reagendo con la lisina presente nel collagene forma legami chimici stabili che rendono insolubile il materiale ottenuto.

L’uso della GTA come agente reticolante potrebbe provocare l’insorgenza di effetti indesiderati, come la citotossicità, l’alterazione delle proprietà meccaniche del tessuto e un’eccessiva calcificazione del tessuto stesso; al momento sono in corso delle ricerche per minimizzare questo inconveniente nell’utilizzo della GTA. Nonostante queste problematiche la GTA rimane comunque l’agente reticolante più usato.

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1.3.2 Scaffolds sintetici

I materiali con cui vengono costituiti gli scaffolds sintetici consentono un preciso controllo su determinate proprietà quali il peso molecolare, la porosità, la microstruttura, il tempo di degradazione e le proprietà meccaniche [3]. Tra questi l’acido poliglicolico (PGA), l’acido polilattico (PLA), il loro copolimero (PLGA), PGA con polidrossiottanato (PHO) e poli-4-idrossibutirrato (P4HB) sono tra i più utilizzati nella costruzione dei tessuti vascolare e valvolare ingegnerizzati.

1.3.3 Scaffolds bioartificiali

I materiali bioartificiali sono stati progettati come una miscela di polimeri sintetici e polimeri naturali. L’unione delle due classi di polimeri deve essere studiata in modo tale da unire le buone proprietà meccaniche e termiche, la facilità di lavorazione, i bassi costi di produzione e di trasformazione dei sintetici con la compatibilità verso cellule e specifici tessuti dei naturali. Pertanto è nata l’idea di attenuare le interazioni tra sistemi sintetici e sistemi biologici attraverso l’utilizzo di un materiale in cui i cambiamenti a livello molecolare dovuti alle interazioni tra un polimero sintetico ed uno biologico sono già avvenuti prima che si verifichi il contatto con i tessuti viventi. L’obiettivo è quindi ottenere materiali con proprietà superiori rispetto a quelle delle singole componenti [4].

Realizzando quindi una miscela o un reticolo macromolecolare di un polimero biologico e di uno artificiale, si ottiene un polimero bioartificiale che possiede buone proprietà meccaniche, una buona biocompatibilità ed un basso costo di produzione. Questi tipi di materiali, in cui sono già realizzate interazioni a livello molecolare, si dovrebbero comportare meglio a livello macroscopico dei materiali puramente sintetici per quanto riguarda la risposta biologica dell’ospite [5]. Lo studio delle interazioni a livello molecolare è molto importante, sia perché consente di individuare i polimeri sintetici potenzialmente utilizzabili per la produzione di materiali bioartificiali, sia per valutare le caratteristiche di biocompatibilità dei polimeri biologici. Lo sviluppo di materiali bioartificiali ha inoltre permesso di controllare la velocità di degradazione del sistema, in quanto si è dimostrato che la

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cinetica di degradazione è direttamente correlata alla percentuale di polimero naturale. Questo ha consentito di poter equivalere la velocità di degradazione dei sistemi biologici viventi, variando opportunamente la percentuale di composizione bioartificiale [6].

In campo biomedico, i materiali bioartificiali hanno una vasta gamma di applicazioni. Nel settore cardiovascolare, come protesi di piccolo diametro o come rivestimenti di stent coronarici, sono stati studiati polimeri ottenuti miscelando poliuretani sintetici con fibrinogeno e successiva reticolazione del fibrinogeno in fibrina mediante trattamento enzimatico con trombina e ioni calcio. Bioartificiali a base di collagene, acido poliacrilico e polivinilsulfonico sono stati sviluppati per modificare la superficie di lenti intraoculari artificiali per sostituire il cristallino ed impedire eventuale opacizzazione secondaria. Altre applicazioni dei bioartificiali comprendono: membrane per dialisi ed emofiltrazione, materiali per il rilascio di farmaci, membrane per l’implantologia dentale, scaffolds per l’ingegneria tissutale [7].

1.4 Stato dell’arte di PCL-POE-PCL

PCL-POE-PCL è un copolimero a tre blocchi di tipo poli(estere-etere-estere) biodegradabile particolarmente idoneo alla realizzazione di dispositivi per l’ingegneria tissutale ed il rilascio controllato di farmaci. Infatti, da un lato i blocchi laterali di PCL conferiscono una elevata mobilità e flessibilità al copolimero, che quindi presenta proprietà meccaniche compatibili con quelle dei tessuti viventi; dall’altro il blocco centrale di PEG, grazie alla sua idrofilicità, “maschera” i gruppi idrofobici del PCL impedendo l’attacco del polimero da parte del sistema reticolo endoteliale.

Micro e nanoparticelle a base del copolimero sono state preparate con metodi diversi (estrazione del solvente da emulsione e multi emulsione, diffusione del solvente, nano precipitazione, dialisi, spray-drying) per ottenere formulazioni acquose iniettabili per farmaci idrofobici; infatti i copolimeri amfifili costituiti da segmenti idrofili e lipofili possono formare, in particolari solventi, strutture micellari

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caratterizzate da un cuore idrofobo e da un guscio esterno idrofilo. Nelle micelle polimeriche a base di PCL-PEG il cuore idrofobo formato dal PCL è circondato dai gruppi polari idrosolubili del PEG, che si estendono nel mezzo acquoso; quindi i farmaci lipofili possono essere facilmente incapsulati nel cuore delle nanoparticelle con legami covalenti o non covalenti. Le particelle hanno dunque lo scopo di migliorare la solubilità dei farmaci idrofobi; inoltre prolungano l’effetto terapeutico, controllano la velocità di rilascio e diminuiscono la frequenza di somministrazione del farmaco. A questo proposito sono state studiate per ridurre la tossicità e aumentare il tempo di circolazione degli agenti anticancro, quali il (II)(cisplatino). Inoltre le proteine possono essere caricate sulla superficie delle nano particelle polimeriche grazie ad interazioni elettrostatiche e possono essere realizzati idrogeli come sistemi di distribuzione impiantati per lungo tempo nell’organismo per rilasciare piccole molecole idrofile, proteine, acidi nucleici che si degradano rapidamente in presenza di enzimi [8].

Le nanoparticelle sono state anche preparate e studiate per distribuire un noto agente antitumorale contro il cancro delle ovaie: si tratta del costituente dell’erba medicinale Magnolia officinalis grandiflora, Honokiol, che presenta un’ampia gamma di effetti farmacologici: antinfiammatorio, antiaritmico, antiossidante, muscolo rilassante, ansiolitico. Nonostante la sua grande attività antitumorale, la sua applicazione è limitata dalla sua scarsa solubilità in acqua; è stato possibile risolvere questo problema intrappolando il farmaco idrofobico in particelle polimeriche amfifiliche che possono essere disperse in acqua per effettuare un’iniezione endovenosa. A causa della sua biodegradabilità, buona biocompatibilità, bassa tossicità e facilità di produzione, il copolimero PCL-POE-PCL è risultato essere un ottimo materiale per la realizzazione di questo tipo di sistemi iniettabili [9].

Kang e Beers hanno analizzato il trasporto di macromolecole attraverso l’idrogel poroso sintetizzato utilizzando il copolimero PCL-POE-PCL. Una volta sintetizzato, il copolimero è stato reticolato utilizzando un fascio di elettroni, quindi i domini di PCl sono stati rimossi per idrolisi dall’idrogel, introducendo così dei canali per il trasporto macromolecolare. A causa di questa porosità addizionale, oltre a quella data dalle maglie del gel, l’idrogel si è rigonfiato di più in seguito all’aggiunta di acqua, rispetto al gel di controllo a base di PEO ed è stato dimostrato che il gel nanoporoso consente una diffusione più rapida delle macromolecole rispetto al PEO [10].

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La rottura idrolitica è responsabile della degradazione dei blocchi laterali dei copolimeri di tipo poli (estere-etere-estere) in molecole metabolizzabili. Prove di citotossicità e citocompatibilità hanno mostrato che il copolimero PCL-POE-PCL è altamente biocompatibile e che la sua presenza non altera il metabolismo cellulare. La velocità di degradazione del copolimero è strettamente dipendente dal grado di idrofilia, il quale a sua volta dipende dalla lunghezza media dei blocchi laterali e dal rapporto percentuale fra il blocco centrale poliossietilenico e i blocchi laterali di ε-caprolattone [11].

1.4.1

Metodologie utilizzate per la sintesi di PCL-POE-PCL

Il copolimero PCL-POE-PCL è stato sintetizzato da tutti i gruppi di ricerca che ne hanno fatto oggetto dei loro studi per ROP di monomeri di ε-caprolattone utilizzando il diidrossi PEG e l’ottanoato stannoso come iniziatore.

Inizialmente il PEG viene distillato con toluene anidro per rimuovere i residui di acqua. Quantità predefinite di ε-CL e ottanoato stannoso vengono aggiunte al PEG e la miscela viene mantenuta in reflusso per diverse ore ad una appropriata temperatura con agitatore meccanico; durante la polimerizzazione il vapore umido presente nel solvente e la concentrazione di catalizzatore sono importanti per determinare la resa ed il PM dei copolimeri. Quindi i monomeri di ε-CL e PEG devono essere essiccati ad un peso costante prima dell’utilizzo e la polimerizzazione deve essere portata avanti in atmosfera di azoto o sottovuoto [8].

Questa metodologia di sintesi risulta essere efficace ma presenta un importante limite: l’utilizzo dei catalizzatori, i quali non possono essere rimossi completamente

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dal prodotto finale e quindi dall’organismo con cui vengono a contatto, a causa della tendenza dei metalli in essi contenuti a coordinarsi con le molecole organiche. Il copolimero è stato anche sintetizzato presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Pisa introducendo con una siringa di precisione, in atmosfera di azoto, un volume prederminato di ε-CL monomero in una fiala di vetro Pyrex contenente una quantità prepesata di PEG degasato. La fiala è stata collegata ad una linea di vuoto e, dopo averla raffreddata a temperatura di azoto liquido, è stata tagliata mediante fiamma ossiacetilenica e posta in un termostato a 185°C. Il raggiungimento della conversione quantitativa è stato determinato mediante utilizzo di cromatografia a permeazione su gel (GPC). I prodotti di polimerizzazione esaminati mediante GPC risultavano in tutti i casi liberi da omopolimero di ε-CL e di PEG che non avevano reagito. E’stato osservato un incremento progressivo della viscosità della miscela omogenea durante la polimerizzazione e la conversione quantitativa della miscela iniziale CL-PEG a copolimero è stata raggiunta dopo un periodo di 60 ore. Dopo raffreddamento a temperatura ambiente, la fiala è stata ben chiusa ed il prodotto di copolimerizzazione è stato raccolto nella forma di un solido cristallino più o meno friabile.

1.5 Scopo della tesi

L’ingegneria tissutale rappresenta un settore di primaria importanza nel campo biomedico in quanto fonte inesauribile di scoperte riguardanti la progettazione e la realizzazione di organi e tessuti artificiali.

Una delle più importanti innovazioni degli ultimi anni è rappresentata dalla realizzazione di strutture tridimensionali porose biocompatibili e biodegradabili sulle quali è possibile “seminare” le cellule appartenenti ad un tessuto danneggiato per favorirne la rigenerazione (scaffolds). Questi materiali, che agiscono da supporto durante la rigenerazione tissutale e che man mano che essa procede si degradano e allontanano dall’organismo, possono essere, come abbiamo visto, di origine naturale, sintetica o bioartificiale. Le prime due tipologie di materiali presentano alcune

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problematiche: i materiali completamente naturali vanno incontro ad una rapida degradazione chimica ed enzimatica quando vengono a contatto con i fluidi fisiologici, necessitano di importanti processi di sterilizzazione e possono dare problemi di immunogenicità. D’altra parte i materiali di totale sintesi risultano scarsamente biocompatibili e possono dare problemi di tossicità in quanto possono rilasciare sostanze dannose nel corso della loro degradazione. Dunque la soluzione migliore a queste problematiche è rappresentata dalla realizzazione di strutture bioartificiali nelle quali vengano coniugati i benefici dell’una e dell’altra tipologia di materiali.

Il presente lavoro di tesi ha come obbiettivo la realizzazione di nuovi materiali polimerici bioartificiali nella forma di membrane porose biodegradabili che possano trovare applicazione nel settore cardiovascolare dell’ingegneria tissutale.

Il materiale sintetico di partenza è il copolimero PCL-POE-PCL, già ampiamente studiato nel settore per la sua biocompatibilità e biodegradabilità e per la sua idoneità alla realizzazione di dispositivi per l’ingegnerizzazione dei tessuti. Il componente naturale basilare per la realizzazione del materiale bioartificiale è la gelatina, in quanto derivante dal collagene, che costituisce circa il 40% del tessuto connettivo umano.

Lo scopo di questo lavoro è dunque quello di miscelare in modo opportuno i due componenti al fine di realizzare manufatti altamente biocompatibili che abbiano proprietà meccaniche, termiche e morfologiche adatte a favorire la loro applicazione nel settore cardiovascolare.

Inoltre sarà testato un particolare procedimento sintetico per l’ottenimento del polimero di partenza PCL-POE-PCL, il cui aspetto qualificante è legato all’assenza di catalizzatori potenzialmente nocivi grazie alla creazione ed al mantenimento di un vuoto spinto durante tutta la polimerizzazione: questo sarà reso possibile dall’utilizzo di un particolare sistema in vetro per alto vuoto, progettato e realizzato proprio per questo scopo.

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