• Non ci sono risultati.

In quella sede si trattava di passare al setaccio i giornali spagnoli del 1943 per rintracciare le ripercussioni che la caduta di Mussolini provocò sul regime iberico.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "In quella sede si trattava di passare al setaccio i giornali spagnoli del 1943 per rintracciare le ripercussioni che la caduta di Mussolini provocò sul regime iberico."

Copied!
172
0
0

Testo completo

(1)

Introduzione

Il progetto di ricerca dal quale è scaturito questo lavoro si innesta sulla traccia precedentemente seguita durante la redazione della tesi di laurea, discussa nel 2002, dal titolo “La stampa del regime franchista ed i quarantacinque giorni”.

In quella sede si trattava di passare al setaccio i giornali spagnoli del 1943 per rintracciare le ripercussioni che la caduta di Mussolini provocò sul regime iberico.

1

L’originario proposito della presenta ricerca era di ampliare il quadro di riferimento cronologico alla durata del secondo conflitto mondiale per analizzare, attraverso le pagine dei quotidiani principali, l’orientamento in politica estera e gli equilibri interni fra le familias che sostennero Franco nell’edificazione della dittatura di cui fu leader per trentasei lunghissimi anni.

2

L’arco di tempo che va dalla primavera del 1939 a quella del 1945 costituì, infatti, il contesto nel quale il regime franchista mosse i primi passi cercando nelle esperienze italiana e tedesca dei punti di riferimento ideologici ed istituzionali. L’andamento sempre più incerto delle operazioni belliche fino al totale capovolgimento delle sorti del conflitto a favore degli alleati impose però al Caudillo una rimodulazione, a volte confusa e contradditoria, della propria strategia. L’operazione di lifting politico ideologico, di per sé poco credibile, che venne messa in piedi a partire dal 1942-43, fu legittimata

1

Vd. Gabriele De Giorgi, La stampa del regime franchista ed i “quarantacinque giorni”, in Spagna Contemporanea, n.24, 2003, pp. 25-43.

2

Chiesa cattolica, Esercito e Falange (Falange Española Tadicionalista y de las Juntas de

Ofensiva Nacional Sindicalista, a partire dall’aprile del 1937) furono le istituzioni che

misero a disposizione del gruppo di militari insorti nel luglio del 1936, tra i quali in breve

tempo acquisì una posizione preminente il generale Francisco Franco Bahamonde (1892-

1975), la loro organizzazione ed il loro prestigio. Dietro di esse un coacervo di forze che

andava dai monarchici carlisti ai gruppi fascisti spagnoli di ispirazione sociale ed

antiborghese passando per il padronato industriale ed agrario e la piccola borghesia

intimorita dalla minaccia comunista.

(2)

successivamente del realismo politico degli angloamericani che preferirono, in funzione antisovietica, accettare una penisola iberica sotto la morsa della dittatura condonando ai dirigenti di Madrid un passato imbarazzante di pericolosa prossimità al nazifascismo.

Sul versante interno, la resistenza inglese prima e quella sovietica poi, l’intervento degli Stati Uniti e la caduta di Mussolini e del fascismo, determinarono un isolamento progressivo di quella componente che avrebbe desiderato una falangizzazione del paese secondo il modello totalitario. È vero che lo stesso Franco, a guerra civile ancora in corso, aveva già avviato una decisa opera di devitalizzazione della Falange tagliando le teste pensanti e sterilizzando l’attività delle frange più inquiete, ma sembra altrettanto certo che il Generalissimo non avesse nessuna preclusione nei confronti di un progetto chiaramente totalitario da importare in Spagna; anche con una Falange addomesticata ciò sarebbe avvenuto se le condizioni internazionali lo avessero consentito; il problema di Franco era, infatti, liberarsi non di una prospettiva politica ma di potenziali contendenti della sua posizione di dominus. Dopo il 1943 a questa componente, che controllava un gran numero di giornali in tutto il paese e deteneva il quasi monopolio della censura attraverso una burocrazia pervasiva, rimase la consolazione della retorica fino alla definitiva resa dei tedeschi mentre i giornali di orientamento cattolico e conservatore, supportati dalla virata diplomatica del regime, riemergevano dall’appiattimento sulla frequenza d’onda falangista che aveva menato le danze fino a quel momento.

La ricerca, col passare del tempo, si è rivelata in prima istanza uno studio

delle posizioni falangiste all’interno del mondo della carta stampata, vuoi per

una certa vivacità intellettuale che le contraddistinse, vuoi per l’indiscutibile

funzione di portavoce ufficioso del regime e di organo di propaganda

(3)

ideologica che venne loro affidato fino a quando le autorità lo ritennero politicamente opportuno. Ecco perché, al lettore, risulterà privilegiato il punto di vista di Arriba, organo ufficiale de la F.E.T. y de las J.O.N.S. e perché il termine cronologico di chiusura è stato stabilito nell’estate del 1943, allorquando l’implosione del 25 luglio dimostrò che il progetto di una Spagna totalitaria, già compromesso sul piano diplomatico dalle continue incomprensioni con la Germania di Hitler e dalle convincenti pressioni angloamericane, divenne anche in via teorica definitivamente da archiviare.

Sullo sfondo rimangono gli altri quotidiani presi in esame, ABC, Ya e La

Vanguardia Española; anche per queste testate è stata effettuata una

ricognizione pressochè completa per quanto concerne l’arco cronologico della

ricerca, sebbene le citazioni siano più episodiche; senza dubbio, il rigore della

censura e lo slancio ideologico dei vincitori all’indomani della guerra civile

non ha lasciato, soprattutto nella prima metà del conflitto mondiale, spazio a

tentativi di diversificazione dei contenuti o di smarcamento dalle direttive

centrali; qualche elemento di discontinuità si sarebbe registrato solo dal crollo

del fascismo in poi, allorquando l’ago della bilancia fra i belligeranti volse

inesorabilmente dalla parte degli alleati. Ciò però non significa che la stampa

adottò una posizione di effettiva neutralità, tutt’altro: l’atteggiamento fu

sempre generalmente partigiano o comunque ampiamente comprensivo verso

la causa nazista, fino all’ultimo. Tanto più nelle confuse fasi dell’estate del

1943. Quello che si può notare è una sfumatura dei toni entusiastici dei primi

anni, delle corrispondenze propagandistiche dall’estero, dei titoli trionfalistici

ma non certo un riposizionamento effettivo fra i contendenti. Il caso di

Augusto Assia, coraggioso corrispondente da Londra per La Vanguardia e

per Ya in aperta lotta con la censura, soprattutto dopo la caduta di Mussolini,

rimase una goccia in un mare di grigio conformismo.

(4)

Capitolo Primo

Alcune questioni storiografiche

1.1 Il franchismo: alla ricerca di una definizione

“Gli studi sulla Spagna di Franco non sono molti, in Italia come altrove, e quei pochi solo di rado sono sufficientemente informati e basati su di un’effettiva conoscenza dell’ambiente e delle premesse storiche del regime che un tempo si soleva chiamare falangista, ma che oggi va più appropriatamente definito militar-clericale.”

Così Alberto Aquarone nel 1958 apriva la recensione ad un libro di un giornalista francese, Jean Marie Creac’h, entusiasta simpatizzante del Caudillo.

3

Con le dovute precauzioni bisogna dire che l’affermazione dello storico triestino rimane, a distanza di mezzo secolo, sostanzialmente valida.

Furono del resto studiosi non italiani i primi a misurarsi con la storia della guerra civile e della dittatura;

4

le loro ricerche si diffusero rapidamente in maniera clandestina soprattutto nelle università dove si stava formando la prima generazione di storici spagnoli che, alla morte di Franco, presero ad indagare in maniera sistematica i quaranta anni di dittatura producendo una letteratura storiografica considerevole;

5

per quanto concerne l’attenzione

3

Alberto Aquarone, Cronache franchiste, in “Il Mondo”, anno X (1958), n.31, p.8. Il libro recensito è Chroniques espagnoles, le coeur et l’épèe, Libraire Plon, Paris, 1958.

4

Di seguito si segnalano i volumi editi dalla casa editrice ispanofona di Parigi, Ruedo Ibérico, la prima a pubblicare in spagnolo i saggi sulla guerra civile ed il franchismo. Per es. Hugh Thomas, La guerra civil española, 1961 [ed.orig. The Spanish civil war, Eyre and Spottiswoode, Londra, 1961]; Gabriel Jackson, España 1931-1939:la República y la Guerra Civil, 1974; S.G. Payne, La Falange: historia del fascismo español, 1965 [ed.orig.

Falange: an history of Spanish Fascism, Stanford University Press, 1961]. Sul versante francese vd. M.Gallo, Historia de la España franquista, 1971 [ed.orig. Histoire de l’Espagne franquiste, Gerard & C., Verviers, 1969] e J. Georgel, El Franquismo: historia y balance, 1972 [ed.orig. Le franquisme: histoire et bilan (1939 – 1969), Eit du Seuil, Paris, 1970]

5

Decine di monografie ed una mole imprecisata di articoli rendono od opere collettanee

(5)

riservata nel nostro paese al caso spagnolo non si può negare lo scarso spazio che la storiografia nostrana ha riservato ad un fenomeno che avrebbe meritato ben altra attenzione. Più precisamente non sono mancati studi a partire dai primi anni novanta, per merito di autori riconducibili più o meno direttamente alla rivista Spagna Contemporanea, ma si è trattato più che altro di approcci settoriali e specialistici, peraltro di gran pregio.

6

Tornando alla citazione di Aquarone, in essa è presente anche un aspetto non secondario che rivela il fascino ed allo stesso tempo la complessità del mestiere dello storico e cioè la perfettibilità della definizione storica nel corso del tempo: mettendo in rilievo il passaggio da ‘falangista’ a ‘militar-clericale’, lo storico triestino testimoniava della problematicità di una questione allora all’ordine del giorno tanto nelle storia quanto nella scienza politica: il tipo di relazione esistente fra i regimi totalitari compiuti, nazismo e stalinismo, e quelle esperienze, concluse o in atto, che con quelli sembravano intimamente legate (dal fascismo italiano alle democrazie popolari dell’Est). Il confronto dello storico con il franchismo presenta, quindi, già in sede di classificazione teorica alcune difficoltà oggettive riconducibili sostanzialmente a due fattori:

in primo luogo quella sorta di paternità plurale del regime che impedisce una chiara filiazione ideologica con le coeve esperienze in Europa; in secondo

rendono impossibile, in questa sede, una indicazione esaustiva della letteratura spagnola sul franchismo. Si rimanda alla bibliografia per una indicazione orientativa.

6

“Spagna Contemporanea” è la rivista degli ispanisti italiani, giunta al sedicesimo anno di vita. Per quanto concerne la presenza fascista nella guerra civile, vd. il classico di J.F.

Coverdale, Italian Intervention in the spanish civil war, Princeton University Press, 1975;

sugli intrecci politico diplomatici fra la Spagna e l’Italia durante la II guerra mondiale, vd.

R.De Felice, Mussolini, l’alleato, Torino, Einaudi, 1995 e M.Guderzo, Madrid e l’arte della diplomazia, Firenze, Manent, 1995. Per quanto riguarda la matrice ideologica del franchismo imprescindibile è lo studio di A.Botti, Nazionalcattolicesimo e Spagna Nuova (1881-1975), Milano, Franco Angeli, 1992. Un approccio più generale al franchismo è in L. Casali (a cura di), Per una definizione della dittatura franchista, Milano, Franco Angeli, 1990 e nel più recente, ma di carattere divulgativo, volume di G. Di Febo e S.

Juliá, Il franchismo, Roma, Carocci, 2003.

(6)

luogo la modulazione in varie fasi, con accentuazione di questo e quell’aspetto a seconda della congiuntura internazionale, che il franchismo ha conosciuto durante le quattro decadi di vita. L’esigenza di un inquadramento teorico, quindi, non risponde solo alla necessità pratica dello studioso di orientarsi anche comparativamente con l’oggetto della propria indagine, ma rappresenta anche il nodo storiografico che sta sullo sfondo di questa ricerca.

1.2 Le prime interpretazioni ed i loro limiti

L’approccio interpretativo che ebbe maggior successo nel dopoguerra fu quello che associava al regime di Franco una essenzialità totalitaria. Questo serviva anche a legittimare teoricamente le decisione delle Nazioni Unite di escludere la Spagna dalla comunità internazionale ed è indubbio che il termine assunse ben presto un significato talmente generico da essere quasi inservibile a livello scientifico; la minaccia incombente della Guerra Fredda conferì infatti a questa definizione le funzioni di uno strumento polemico verso l’Unione Sovietica ed i regimi fantoccio dell’Est ad essa associati, ampliando ancora di più l’uso del termine.

7

Nel 1956, con Totalitarian Dictatorship and Autocracy, Carl J. Friedrich e Zbigniew Brezinski provarono a ricostruire un modello che permettesse l’individuazione, mediante riscontro empirico di alcuni tratti ricorrenti, delle esperienze compiutamente totalitarie. Al di là di un uso troppo generalistico del termine, diffuso tanto nelle accademie quanto nella pubblicistica di ogni genere, bisogna riconoscere che il franchismo offriva ai suoi esegeti alcuni fattori, genetici, ideologici ed estetici che determinavano la legittimità di una aggettivazione così forte. Senza dubbio l’elemento che più contribuì a questa caratterizzazione del franchismo fu l’intervento determinante delle potenze

7

Per una recente sintesi sul percorso teorico e critico del termine totalitarismo, vd. S.Forti,

Il totalitarismo, Laterza, Bari-Roma, 1999.

(7)

fasciste per la vittoria dei militari ribelli ed il fatto che questo debito fu in parte saldato dall’adozione della liturgia fascista, soprattutto nella prima metà del secondo conflitto mondiale; in secondo luogo non fu dimenticata la grande libertà di azione che fu concessa in territorio spagnolo agli agenti delle potenze dell’Asse, nazisti in primis, nonché le numerose facilitazioni dal punto di vista logistico offerte alla marina tedesca ed italiana;

8

venne poi considerata l’impostazione filofascista del discorso pubblico per quasi tutto il conflitto mondiale. Questa parvenza filofascista è stata in seguito giustificata dagli apologeti come una necessità scenografica dovuta al sentimento di gratitudine verso Hitler e Mussolini, ma è indubbio che anche una certa storiografia critica ha recepito il concetto di fondo di questa strategia difensiva: che il regime di propriamente fascista non avesse nulla al di fuori della retorica. Di questo fatto si convinsero da subito anche molti tra i fascisti italiani. Già nel settembre del 1936, ad esempio, Civiltà Fascista pubblicava un interessante articolo in cui, con lo pseudonimo di Hispánicus, l’autore si lamentava delle conseguenze negative delle interferenze dei militari nella vita politica e denunciava la “necessità inderogabile” della riforma agraria. A distanza di un mese Sergio Panunzio sulle pagine di Critica Fascista, nell’intento di separare le sorti del fascismo da quelle del conservatorismo si affrettava a scrivere:

“[…]se a sinistra stanno i comunisti, a sinistra stanno anche i fascisti. Il punto è se i primi o i secondi hanno saputo e sanno realizzare nella storia, nella morale e nel diritto le aspirazioni del lavoro unito alla Nazione ed allo Stato. La conservazione e la reazione bianca trovansi

8

L’ambasciata tedesca a Madrid, durante la II guerra mondiale, era quella con il maggior

numero di personale e sul libro paga del responsabile per la stampa, Hans Lazar, arrivarono

ad esservi più di quattrocento nominativi. Solo nella primavera del ’44 gli Alleati riuscirono

ad imporre un drastico ridimensionamento delle attività di spionaggio degli agenti tedeschi

su suolo spagnolo, fino ad allora per lo più coperti se non coadiuvati dalla complicità delle

autorità franchiste.

(8)

dall’altra parte.”

9

A questa critica da sinistra si associava, in un certo senso, anche José Antonio Primo de Rivera, uno dei principali teorici del fascismo spagnolo nonché fondatore della Falange,

10

poco prima di essere convertito in martire durante una esecuzione in massa di prigionieri franchisti:

“Che succede se vincono i ribelli? Un gruppo di generali di buone intenzioni ma di desolante mediocrità politica. Semplici luoghi comuni elementari (ordine, pacificazione degli animi) e dietro: 1) il vecchio carlismo intransigente, chiuso, antipatico; 2) le classi conservatrici interessate, con la vista corta, pigra; 3) il capitalismo agrario e finanziario, cioè: l’impossibilità per molti anni di una edificazione della Spagna moderna. L’assenza di qualsiasi prospettiva nazionale di lungo raggio.”

11

Il timore qui paventato di una deriva reazionaria della sollevazione militare, alla quale i fascisti spagnoli avevano affidato le speranze di una palingenesi nazionale, è stato nei fatti confermato dal processo di devitalizzazione ed istituzionalizzazione cui fu sottoposta la Falange a partire dal Decreto di Unificazione dell’aprile del 1937; con questo provvedimento il Generalissimo smorzava le confuse inquietudini rivoluzionarie di molti falangisti, irreggimentando la loro capacità di mobilitazione in un inquadramento militare diretto da ufficiali dell’Esercito e diluendo il loro specifico peso

9

Cit. in A. Aquarone, La guerra civile spagnola e l’opinione pubblica italiana, in “Il Cannocchiale”, n.s., 1966, 4-6, p.3-36.

10

Figlio del generale Miguel Primo de Rivera, capo del governo dal 1923 al 1930 con poteri dittatoriali, Josè Antonio aveva fondato la Falange Española nell’ottobre del 1933.

Questa formazione ebbe rapporti problematici con gli altri gruppi filofascisti spagnoli, fra cui spiccano le Juntas de Ofensiva nacional-sindicalista (JONS) di Ramiro Ledesma Ramos, con cui si fuse una prima volta già nel febbraio del 1934; il Movimento creato con il decreto del 1937 raccolse inoltre anche gli agguerriti attivisti di Comunión Tradicionalista, sostenitori del ramo asburgico della monarchia.

11

In S.G. Payne, A history of Spanish Fascism, op.cit.,pp.133-134.

(9)

politico in un mare magnum di confusa determinazione. Del resto, per avere la meglio sul governo repubblicano era necessario uno sforzo disciplinato dal comando unico. A mio parere, il depotenziamento della carica eversiva presente in alcuni gruppi del fronte antirepubblicano, sensibili ad una competizione da sinistra con il comunismo su di un terreno propriamente rivoluzionario, non deve essere troppo sbrigativamente liquidato ai fini dell’analisi degli equilibri politici nel primo franchismo. Il rischio è, per così dire, di strabismo: appiattire il giudizio sulla natura del regime privilegiando quello che si vede più vicino, la fase aperturista e tecnocratica avviata dalla seconda metà degli anni cinquanta. È convinzione di chi scrive che, seppur addomesticata e privata in maniera scientifica degli uomini più carismatici, la Falange disponesse, negli anni di cui ci occupiamo in questo studio, di un patrimonio dottrinale e di suggestioni ideologiche propriamente fasciste che condizionarono o meglio, provarono a condizionare, la costituzione del regime in apparato statale da una prospettiva altra rispetto a quella tipica della reazione conservatrice. Questa componente fascista, inoltre, ebbe un ruolo fondamentale per quanto riguarda la costruzione dell’immagine internazionale ed il controllo dell’opinione pubblica; ed è questo aspetto l’oggetto specifico della ricerca.

Negli anni sessanta è Juan Linz a sostenere, in una serie di articoli, la teoria del regime autoritario o dittatura personale non totalitaria.

12

Lo sforzo del poliedrico scienziato sociale nasceva dall’ esigenza, già di Friedrich e Brzezinsky, di superare la troppo generalista dicotomia fra regimi totalitari e democrazie in voga nel dopoguerra. Linz introduceva più precisamente nel dibattito intellettuale le caratteristiche proprie di un regime autoritario:

12

Vd. J.J. Linz, La quiebra de las democracias, Alianza, Madrid, 1987. Lo stesso Linz però

conviene sulla natura sostanzialmente totalitaria del primo franchismo.

(10)

- un pluralismo politico limitato, non istituzionalizzato ma di fatto;

- l’assenza di una ideologia elaborata;

- l’assenza di una mobilitazione delle masse intensa e/o estesa nel tempo;

- la presenza di un leader che esercita il potere entro limiti definiti in modo incerto ma in realtà assai prevedibili.

Questa teoria ha mantenuto la propria autorevolezza nel corso dei decenni trascorsi dalla sua formulazione tanto da essere adottata anche in tempi recenti da alcuni fra i migliori studiosi dell’epoca franchista. L’elemento innovativo del contributo di Linz era senza dubbio l’approccio multidisciplinare con cui l’autore tentava di conciliare la sensibilità dello storico con l’impostazione analitica propria del politologo, merito che Aquarone gli riconobbe in una recensione del 1970.

13

Empiricamente la compresenza conclamata di tre familias con interessi spesso divergenti (Chiesa, Esercito e Falange) ha giocato a favore di questa interpretazione per cui il franchismo, più che su di una ideologia, si sarebbe fondato su di una mentalità di stampo reazionario, confessionale ed antiliberale;

14

In generale l’interpretazione derivata dagli studi di Linz non convince per l’eccessivo formalismo per cui sarebbe il compimento integro e simultaneo di alcuni requisiti a determinare la legittimità di una filiazione teorica; come

13

Vd Alberto Aquarone, La semiopposizione nei regimi autoritari, in La Voce Repubblicana, 24/25 agosto 1970.

14

Di quel coacervo di forze eterogenee che sostennero la dittatura, la Falange indubbiamente costituiva l’elemento di novità dal punto di vista dei contenuti ideologici.

Antiborghese, nazionalista e tiepidamente cattolica, non negava l’esistenza di una

condizione di profonda arretratezza sociale e di grave disagio economico, soprattutto nelle

campagne. L’eliminazione dei suoi uomini più carismatici ed il coinvolgimento in

responsabilità di governo di quelli più docili e fedeli a Franco disinnescarono da subito il

potenziale “rivoluzionario” di una formazione che, se riuscì ad occupare stabilmente una

quota considerevole di posti nel governo e nell’amministrazione, non riuscì ad tradurre

permanentemente sul piano sociale la propria specificità idelogica.

(11)

sostiene Simona Forti, “[..]per quanto ingiusta sia la critica che interpreta il concetto di totalitarismo come strumento ideologico della guerra fredda, essa aiuta però a porre in luce i limiti di quelle tipologie politologiche, messe a punto tra gli anni cinquanta e sessanta, che portano sì alla piena affermazione del concetto, ma spesso ne fissano il contenuto in una rigida e schematica enumerazione di caratteri[..]”.

15

Rigidità della tassonomia che significa conseguente esclusione di alcuni fattori che, invece, potrebbero essere presi in considerazione per meglio definire la congruità di una definizione: mi riferisco, per esempio, alla durata ed all’intensità della violenza e della repressione politica e al grado di controllo e manipolazione dell’opinione pubblica. Gli stessi elementi che sono invece inseriti da Friedrich e Brzezinsky tra i criteri utili per definire un regime come totalitario (insieme ad una direzione centralizzata dell’economia). Tutti o quasi i punti elencati da Linz hanno subito, in ragione dell’evoluzione degli studi, un processo di erosione che ne ha svelato i punti deboli. Per quanto riguarda la presunta scarsa consistenza ideologica, ad esempio, pare poco considerata l’influenza che ebbe il nazionalcattolicesimo, come declinazione spagnola del nazionalismo tipico dell’Europa degli anni XX, sull’elaborazione teorica del costituendo regime. Su questo aspetto ha molto insistito Botti che, superando la contrapposizione manichea viziata dal pregiudizio ideologico, positivo nel caso degli apologeti o giustificazionsiti, negativo nel caso dei sostenitori della matrice fascista e per ciò stesso reazionaria del franchismo, ha ripercorso le vicende di questa peculiare “ideologia” rivelandone una notevole adattabilità alla matrice pluralistica del regime ed una sua funzionalità rispetto ai processi di modernizzazione.

16

15

S. Forti, Il totalitarismo, op.cit.

16

Il nazionalcattolicesimo, per grandi linee, viene definito da due componenti

fondamentali: da una parte la consustanzialità tra elemento nazionale ed elemento

(12)

Per quanto mi riguarda, rispetto all’ipotesi di Linz, mi permetto di discutere la

“prevedibilità” dei limiti che avrebbero condizionato la gestione del potere. È noto che Franco ne accentuò o sfumò alcuni aspetti a seconda delle necessità che gli venivano imposte dalla contingenza internazionale e questo gli fu possibile vuoi per il prestigio personale di cui godeva vuoi per l’intrinseca debolezza di qualsiasi ipotesi alternativa alla sua persona. Nemmeno i monarchici, che erano diffusi anche fra gli alti gradi dell’Esercito, riuscirono mai a trovare la determinazione e la coesione per indebolire la gestione monocratica del Caudillo il quale, muovendo questa o quella pedina nello scacchiere delle responsabilità riuscì sempre a stroncare sul nascere qualsivoglia tentativo di opposizione. Anche quando la situazione internazionale successiva al conflitto mondiale avrebbe potuto offrire maggiori garanzie di fattibilità. In una prospettiva comparatistica con il fascismo italiano bisogna poi considerare alcune sostanziali differenze:

Franco non ebbe mai nessuna figura che fungesse da contrappeso come, seppur simbolicamente, potè essere Vittorio Emanuele III (ma questo ruolo marginale divenne improvvisamente sostanziale nel luglio del 1943); inoltre, il quadro normativo del regime spagnolo fu creato ex-novo a sua immagine e somiglianza, conferendo una pressoché totale autonomia decisionale al Caudillo ed un ruolo praticamente consultivo ad istituzioni ed organi di governo che lo affiancavano. Nel caso italiano invece le forzature che il fascismo fece al dettato costituzionale e che si convertirono in vere e proprie violenze con le leggi fascistissime del 1925-1926 non pregiudicarono la sopravvivenza di nuclei tendenzialmente autonomi come la magistratura e alcuni settori di vertice della pubblica amministrazione; su questo aspetto non mi sembra secondario citare Javier Tusell che pure di Linz ha condiviso

religioso, dall’altra la compatibilità fra capitalismo economico e regimi politici autoritari o

comunque di carattere antidemocratico ed antiliberale. Vd. A. Botti,

Nazionalcattolicesimo e Spagna Nuova (1881-1975), op. cit.

(13)

l’impostazione generale:

“Si produsse non un sistema totalitario, bensì una dittatura di totale concentrazione del potere nella quale le istituzioni consultive, come il Consiglio Nazionale, sparivano se osavano svolgere le proprie funzioni e dove le persone che volevano svolgere un ruolo particolarmente importante potevano essere sostituite (Serrano Súñer), se questo poteva oscurare il potere di Franco o si convertirono di fatto in semplici mandatari fedeli di chi deteneva nelle sue mani le redini del potere (Carrero Blanco). Mussolini fu limitato dall’ideologia del fascismo e dalle sue istituzioni; Franco, che non si trovava nella stessa situazione, aveva, in verità un potere maggiore.”.

17

1.3 Gli orientamenti più recenti della storiografia

L’interpretazione di Linz, che ebbe una vasta risonanza, provocò anche un ampio dibattito e non tardò ad arrivare la reazione degli studiosi di matrice neomarxista, propensi a considerare prioritari gli aspetti sostanziali del regime. Gino Germani, ad esempio, sosteneva che “ tanto gli obiettivi quanto il significato storico del franchismo fossero tipicamente fascisti. Il fatto che la sua articolazione politica possa essere definita come autoritaria è sicuramente importante però non meno della sua sostanza fascista”. Concordano con il sociologo italiano P. Preston, uno dei decani dell’ispanismo internazionale, e J. Casanova.

18

È chiaro che, come spesso accade, la preferenza accordata a questo o a quel criterio metodologico sussuma già una certa predisposizione ideologica verso l’oggetto dell’indagine così da orientare, inevitabilmente, lo

17

Vd. J. Tusell, La España de Franco, Historia 16 , Madrid, 1989, p.30.

18

Di Preston è particolarmente nota e tradotta anche in Italia la biografia Franco, Caudillo

de España, Grijalbo, Barcelona, 1994. Di J. Casanova, vd. La iglesia de Franco, Temas de

hoy, Madrid, 2001 e Morir, matar, Sobrevivir: la violencia en la dictadura de Franco,

Crítica, Barcelona, 2002.

(14)

svolgimento della ricerca.

19

Negli anni novanta, invece, l’interpetazione del franchismo come regime autoritario ha tratto nuova linfa dagli studi di S.

Juliá, M. Pérez Ledesma e A. Elorza che hanno sfumato il fattore fascista senza però riparare nel formalismo astratto di Linz; nuova autorevolezza quindi ha trovato la categoria del caudillismo come variante specifica del bonapartismo. Più di recente E. Moradiellos, dopo aver precisato che

“la extraordinaria duración temporal del sistema de poder político- institucional definido bajo la rubrica de franquismo, régimen franquista o dictadura franquista plantea varias dificultades para su conceptualización rigurosa y para su comparación con otros modelos políticos más o menos similares y coetáneos registrados en el siglo XX en la historia europea y universal”

cerca di trarre alcune conclusioni affermando che

“precisamente esa evolución dilatada, con sus correlativos cambios de grado y intensidad en algunas de esas facetas y aspectos, constituyen quizá la razón esencial de las distintas interpretaciones sobre la naturaleza y carácter del régimen del general Franco. Por eso mismo, cabría reiterar qua quizá la única constante definitoria y configurativa del franquismo fue la presencia del general Franco como omnímodo dictador militar bonapartista de juício inapelable y magistratura vitalicia.”20

Attualmente pare incontrare il favore della gran parte degli studiosi l’interpretazione di I. Saz Campos per cui il franchismo sarebbe stato un

19

Questa considerazione non pare superflua soprattutto davanti alla pretesa di una asetticità dello storico che, al pari di ogni altro individuo, risente del contesto e dell’epoca in cui vive nonché delle proprie convinzioni. L’onestà intellettuale e la scientificità della ricerca non sono mai pregiudicate da questi fattori, almeno fino a quando non determinano volontarie omissioni che alterino dolosamente l’esito dell’indagine storica.

20

In E. Moradiellos, La España de Franco, Política y Sociedad, Síntesis, Madrid, 2000,

pp.12-13.

(15)

regime fascistizzato, potenzialmente equidistante dal modello totalitario fascista e la mera dittatura autoritaria e capace di evolvere verso l’uno o l’altro secondo un criterio di reversibilità sconosciuto ad altre esperienze coeve. La ragione di questa peculiarità spagnola starebbe in una molteplicità di fattori fra cui l’approssimazione ideologica, incardinata su alcuni concetti chiave semplici e generici;

21

la pluralità di interessi e di ceti che sostennero il regime, che non permise una definitiva egemonia di questa o quell’istanza ideologica; un atteggiamento violento e repressivo nei confronti dell’opposizione operaia e democratica non accompagnato però da un deciso sforzo per la creazione di un consenso attivo; una declinazione particolare delle teorie autarchiche in moda da risultare funzionali, più che antitetiche, agli interessi di un capitalismo arroccato su posizioni difensive.

22

1.4 L’uso pubblico delle memoria: dalla Transición ad oggi

C’è poi anche un elemento psicologico che bisogna considerare nel caso specifico: le implicazioni, individuali e collettive, di un passato ancora recente. Le prime due generazioni di studiosi spagnoli hanno vissuto durante il franchismo: ad alcuni è toccato di vivere tutta la parabola del regime, ad altri, più fortunati, solo gli ultimi due decenni, quelli della progressiva apertura sociale e culturale. Altri ancora hanno trascorso la maggior parte della loro vita in esilio e la loro traiettoria intellettuale è stata inevitabilmente segnata da questa triste circostanza. Per tutti, evidentemente, è valso il condizionamento derivato dall’intrecciarsi della propria vicenda biografica

21

Queste idee base sarebbero cinque: 1) il nazionalismo spagnolo ferocemente centralista;

2) una fobia antiliberale ed antidemocratica profondamente radicata; 3) l’ostilità aperta e belligerante contro il comunismo; 4) la professione di fede cattolica di tipo ortodosso, integralista e tridentino; 5) un rigido conservatorismo sociale tradizionalista e reazionario.

22

I. Saz Campos, El franquismo: régimen autoritario o dictadura fascista? In J. Tusell e

altri, El régimen de Franco, UNED, Madrid, 1993, vol.I, pp.189-201. Più recentemente

Fascismo y franquismo, Universitat de Valencia, 2001.

(16)

con la vicenda storica più generale.

Non è un caso che, a detta di molti, si stia verificando ciò che gli storici sanno per esperienza e cioè che è sempre la terza generazione (quella dei nipoti, quella che non ha esperienza diretta degli avvenimenti di cui si discute) a porre interrogativi scomodi ed esigere risposte esaustive. Nel 2000 è nata la Asociación para la recuperación de la memoria histórica con l’intento esplicito di imporre all’agenda politica ed alla attenzione dell’opinione pubblica la riabilitazione pubblica della memoria dei vinti. Queste istanze, fondate più su di una spinta generazionale che su di una rivendicazione meramente politica, hanno generato una vigorosa risposta da parte della pubblicistica favorevole od indulgente verso il franchismo. Credo anche io però che la rinnovata vivacità del dibattito e la netta contrapposizione nell’analisi del passato e nell’uso della memoria derivi in buona parte dalle modalità in un certo senso artificiose con cui è stato gestito il passaggio di consegne dalla dittatura alla democrazia.

23

L’operazione sostanzialmente verticistica della Transición attuata alla morte del dittatore ha imposto, in nome di una presunta riconciliazione nazionale, un approccio in un certo senso soft alla storia recente; non che si limitasse la ricerca, ci mancherebbe!

Rivelatrici, però, della temperie culturale di quel periodo mi sembrano le parole che Vázquez Montalbán usa in un passaggio della sua romanzesca

‘autobiografia’ di Franco:

“E poi Julio emerse per quello che era, un antifranchista segreto, che aveva agito come un esiliato interno per tutta la vita, ma fornendo

23

I protagonisti principali di questa delicata fase furono il re Juan Carlos di Borbone, in

beneficio del quale il padre Don Juan, nel 1957, aveva rinunziato al diritto al trono, e

Adolfo Suárez, Segretario Generale del Movimento nel primo governo della monarchia e

Presidente del secondo; il 4 agosto del 1976, Suárez pubblica il decreto di amnistia e nel

1977 vince le prime elezioni generali democratiche alla guida della Unión de Centro

Democrático, formazione da lui stesso creata.

(17)

sufficienti chiavi affinché la società civile antifranchista lo ritenesse uno dei suoi. Era questo l’atteggiamento che più serviva alla transizione democratica. Non richiedeva eroismi eccessivi, testimonianze troppo dure della crudeltà franchista. Chi era interessato a contrastare la sua stessa astensione? Julio Amescua era un eroe leggero, light, come richiedevano i tempi e figurò in tutte le liste ministeriali, fossero della UCD o del PSOE.”

24

Di fatto la sostanziale continuità amministrativa dello Stato, una epurazione assai limitata dei vertici militari, oltre all’accantonamento aprioristico di qualsiasi ipotesi di accertamento delle responsabilità personali mediante la Ley de Amnistía (agosto 1977) che molti hanno definito ‘ley de amnesia’, hanno mantenuto nella configurazione sociale e politica del paese una influente zona grigia che ha sempre vissuto con imbarazzo un pieno recupero della memoria storica dei vinti paventando l’implicito rischio di una destabilizzazione sociale. Del resto già nei due decenni precedenti la morte del dittatore era venuto lentamente maturando un consenso bipartisan sulla necessità di lasciarsi alle spalle l’eredità di un evento tanto traumatico come la guerra civile: sia i figli dei vincitori che i discendenti dei vinti decisero di guardare avanti, di seminare nelle università, nei sindacati e nella società civile più in generale i germogli della pacifica transizione alla democrazia, generando quella che Juliá ha chiamato ‘cultura de la Transición’.

25

La diretta conseguenza sul piano storiografico è stata quella di relegare per lungo tempo

24

In M.Vázquez Montalbán, Io, Franco, Sperling e Kupfer Editori, Milano 2004, p.8, [ed.

orig. Autobiografía del General Franco, Editorial Planeta, Barcelona, 1992].

25

Vd Santos Juliá, Echar al olvido. Memoria y amnistía en la transición, in “Claves de

razón práctica”, n.129, 2003, pp.14-24. Sulla Transición spagnola come paradigma di una

possibile riconciliazione nazionale cfr. l’introduzione di Michele Salvati a V. Pérez-Diaz,

La lezione spagnola, Il Mulino, Bologna, 2003. Di diverso parere, Gabriele Ranzato, Il

passato di bronzo: l’eredità della guerra civile nella Spagna democratica, Laterza, Bari,

2003. Sul ‘mito’ della riconciliazione nazionale e sulla sua utilità storica mi sembrano

assai pertinenti le considerazioni di Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Einaudi,

Torino, 2004.

(18)

la storia dei vinti ad iniziative editoriali minori ed a ricerche di ambito localistico. Per quanto riguarda la politica della memoria invece, secondo l’applicazione del principio causa-effetto, l’effetto è stato quello di tenere nel dimenticatoio, insieme al triennio della guerra civile anche il periodo della II Repubblica, evitando quindi che ci fossero espliciti riferimenti costituzionali e ideali all’ultimo legittimo governo eletto democraticamente nella storia della Spagna. Questo meccanismo ha avallato tra l’altro, non so fino a che punto in maniera consapevole, la sedimentazione nell’immaginario collettivo di un topico della propaganda ufficiale franchista, quello cioè secondo il quale la Cruzada fu la dolorosa ma necessaria conseguenza dell’ anarchia repubblicana.

Tra le forze sociali che ancora non accettano una riabilitazione completa della memoria dei vinti vi è la Chiesa Cattolica; così recita l’ultima Istrucción Pastoral della Conferenza dei vescovi spagnoli:

“A quanto pare, restano sfiducia e rivendicazioni pendenti. Pero tutti dobbiamo fare in modo che non si deteriorino o si perdano le condizioni raggiunte. Una società che sembrava aver incontrato il sentiero della riconciliazione e della distensione torna a trovarsi divisa e contrapposta.

Un uso della ‘memoria storica’ fatto con un atteggiamento fazioso apre nuovamente vecchie ferite della guerra civile e alimenta sentimenti opposti che sembravano superati. Questi mezzi non possono essere considerati un vero progresso sociale, bensì un regresso storico e civico, con un rischio evidente di tensioni, discriminazioni ed alterazioni di una tranquilla convivenza.”

26

L’atteggiamento ‘fazioso’ nell’uso della memoria storica , non è difficile

26

Orientaciones morales ante la situación actual de España, Istruzione Pastorale del 23

novembre 2006 de la LXXXVIII Assemblea Plenaria de la Conferenza Episcopale

spagnola, Capitolo I, punto A, paragrafo settimo. Il testo integrale del documento si può

trovare sul sito www.conferenciaepiscopal.es.

(19)

capirlo, sarebbe quello del governo attuale che dall’inizio del proprio mandato ha avviato una rimozione, nel senso fisico del termine, di quelle sopravvissute testimonianze monumentali di epoca franchista, presenti in ogni angolo del paese, forse come preludio di una politica della memoria diversa da quella praticata dai governi precedenti.

27

Javier Rodrigo parla, con imbarazzo, di questa situazione:

“Per quanto la cancellazione dei simboli ereditati dalle dittature costituisca un passo fondamentale per qualunque regime liberale, ciò risulta ancora difficile nella democrazia spagnola, la cui costituzione compirà trent’anni solo nel 2008. Se è impensabile che possano rimanere statue di Hitler in Germania o di Mussolini in Italia, ciò è meno scontato per quanto riguarda i simboli della dittatura franchista [...]. Nomi di vie, statue e monumenti che rimandano all’immaginario dei vincitori della Guerra Civile del 1936-1939 fanno bella mostra di sé in moltissime località della geografia spagnola, e in diverse città importanti, come a Santander, occupano piazze pubbliche.”

28

Resta il fatto che questo decisionismo governativo, insieme ad una pressante azione dell’associazionismo legato alle vittime del franchismo, viene interpretato come una volontà di forzare quel ‘patto di convivenza’ che è alla base della Spagna contemporanea. La Chiesa, che di quel patto non è stata semplice testimone, ha sempre rivendicato il proprio ruolo attivo nel processo di transizione alla democrazia e nella formazione di quel ceto dirigente che dalla fine degli anni cinquanta in poi avrebbe guidato l’apertura del paese al cambiamento sociale ed economico. In ambito culturale poi l’egemonia della pedagogia cattolica è stata addirittura incontrastata durante la dittatura e

27

La rimozione più spettacolare fino ad ora è stata quella di una statua equestre di Franco realizzata nottetempo il 17 marzo 2005 nella Plaza San Juan de la Cruz di Madrid.

28

In J.Rodrigo Sánchez, Vencidos. Violenza e repressione politica nella Spagna di

Franco (1936-1948), ediz. Ombre corte, Verona, 2006, p.17.

(20)

questo ha avuto evidenti implicazioni nel processo di elaborazione di quella memoria storica ufficiale che ora sarebbe in pericolo.

Santos Juliá, uno dei maggiori studiosi della Spagna del Novecento, ha recentemente rivendicato il diritto/dovere della ricerca storica di seguire il proprio libero cammino, respingendo sia l’intangibilità dei presunti dogmi per quanto utili a fini istituzionali, che la strumentalizzazione per fini politici immediati. Un auspicio che è anche una lezione di metodo, tante volte ripetuta quanto dimenticata.

29

1.5 Nuovi filoni di ricerca: gli studi sulla violenza e la repressione politica

È mia convinzione che un rinnovato sforzo interpretativo del franchismo come fenomeno storico autonomo e complesso emerga anche dalla recenti acquisizioni realizzate da una generazione di storici meno vincolati dal peso della memoria personale e dalle necessità ecumeniche della Transición. Un esempio mi sembra il lavoro di Javier Rodrigo che da diversi anni indaga la violenza politica della Guerra Civile e la qualità e la diffusione della repressione da parte dei vincitori nel dopoguerra.

30

Non è casuale che le

29

Nel corso del Congresso internazionale sulla Guerra Civile, tenutosi a Madrid dal 27 al 29 novembre u.s. per celebrare il settantesimo anniversario dall’inizio di quel tragico evento, il noto docente de la UNED ha ripercorso in maniera sintetica ma suggestiva la relazione fra indagine storica e dibattito politico negli ultimi trenta anni. Come cause della contrapposizione antitetica per quanto riguarda l’uso pubblico della storia ha citato tre fattori: una pubblicistica apologetica o comunque giustificazionista che ebbe vasta diffusione negli anni’90; la reazione sdegnata delle associazioni dei parenti delle vittime con la conseguente virulenza del dibattito culturale e politico ed infine le reticenze della Chiesa ad accettare la messa in discussione della versione ufficiale, di cui è stata principale interprete. Nella stessa istruzione pastorale cui si è fatto accenno, fa notare Juliá, la dittatura franchista è stata definita asetticamente ‘il precedente regime’.

30

di Javier Rodrigo vd. Los campos de concentración franquistas. Entre la historia y la

memoria, Siete Mares, Madrid., 2003; Cautivos. Campos de concentración en la España

franquista, 1936-1947, Crítica, Barcelona, 2005; Vencidos. Violenza e repressione

(21)

monografie sul tema abbiano tutte una datazione molto recente: non che prima fosse sconosciuta agli studiosi la diffusione della violenza durante e dopo la guerra, data l’ampia memorialistica già edita e diverse indagini di ambito localistico, ma probabilmente sfuggiva la portata generale del fenomeno soprattutto nel suo aspetto qualitativo.

31

Attraverso una dettagliata indagine archivistica condotta prevalentemente presso l’Archivio Generale Militare di Avila (fondo Quartier Generale del Generalissimo), Rodrigo ha ricostruito le varie fasi e le modalità con cui si dispiegò la violenza degli insorti, i fondamenti ideologici che non solo la giustificarono ma che la esigerono, le finalità di esclusione, eliminazione e ‘redenzione’ che pretese di raggiungere.

In tema di violenza, la linea difensiva degli apologeti e dei nostalgici del regime è sempre stata quella di giustificarla come una reazione inderogabile agli omicidi di ecclesiastici e di cittadini comuni ed alle profanazioni e distruzioni dei luoghi sacri commessi dai repubblicani nella primissima fase della guerra civile.

32

Rodrigo, che pure non dimostra nessuna indulgenza nei confronti degli eccessi della violenza repubblicana, ha però messo in evidenza come l’idea di fondo della sollevazione militare, non solo durante il fallito colpo di stato ma anche negli anni della guerra civile, fosse l’annientamento fisico dell’avversario e lo spargimento di terrore nella popolazione che

politica nella Spagna di Franco (1936-1948), op.cit.

31

Vd. Julián Casanova, Morir, matar, sobrevivir. La violencia en la dictadura de Franco, Crítica, Barcelona, 2002; Santos Juliá, Víctimas de la guerra civil, Ediciones Temas de Hoy, Madri, 1999; IDEM, Violencia política en la España del siglo XX, Taurus, Madrid, 2000, Paul Preston, La política de la venganza. El fascismo y el militarismo en la España del siglo XX, Península, Barcelona, 1997;Carme Molinero, Margarida Sala, Jaume Sobrequés (a cura di), Una inmensa prisión. Los campos de concentración y las prisiones durante la guerra civil y el franquismo, Crítica, Barcelona, 2003.

32

Al termine della guerra civile furono circa settemila gli uomini di Chiesa passati per le

armi e diverse migliaia le Chiese od altri edifici sacri distrutti o saccheggiati.

(22)

sosteneva il governo repubblicano. Un esempio clamoroso è il bombardamento di Guernica, immortalato dall’omonima tela di Picasso; di nessuna rilevanza militare, l’operazione condotta dall’aviazione nazifascista in un giorno di mercato (26 aprile del 1937), rovesciò sulla cittadina una quantità spropositata di bombe provocando la morte di centinaia di persone e la distruzione pressochè totale dell’abitato.

33

Franco, che sin dalla presa di Toledo era divenuto il leader incontrastato dei ribelli, volle in questo modo umiliare la culla del nazionalismo cattolico basco ed allo stesso tempo dare una dimostrazione di ciò che era pronto a fare per imporre la sua visione unitaria e tradizionale dello stato spagnolo.

Nella prima fase, quella dell’estate del 1936, l’esercizio della violenza nelle retrovie fu parossistico; nelle zone dove l’insurrezione ebbe rapidamente la meglio venne attuato un vero e proprio programma di eliminazione dei nemici: dirigenti sindacali, amministratori locali, maestri ed insegnanti, semplici cittadini ritenuti, magari per delazione, simpatizzanti della Repubblica vennero giustiziati a sangue freddo; diversi gli eccidi, come quello di Badajoz (14 agosto del 1936), talmente cruento ed indiscriminato da sconvolgere un giornalista portoghese che pur simpatizzava per la causa nazionalista, Mario Neves, inviato del Diario de Lisboa.

34

Un minimo sospetto di legame con la parte repubblicana era più che sufficiente per realizzare quella opera sistematica di pulizia politica che doveva presiedere alla costruzione della nuova Spagna; e perché a nessuno venisse voglia di

33

La capitale Madrid invece fu sistematicamente bombardata a partire dalla fine del 1936.

i raid aerei, rapidi ed intensi, gettavano nel panico più totale la popolazione che alla fine pagò un tributo di oltre mille vittime.

34

Nella Plaza de Toros di Badajoz furono concentrate oltre mille persone, molte delle

quali giustiziate. Nella città, prima dell’insurrezione, era stata molto sostenuta la causa

della riforma agraria. La corrispondenza di Neves, pubblicata sull’importante giornale

portoghese, fu probabilmente la prima occasione per l’opinione pubblica internazionale

per comprendere quello che stava realmente accadendo in Spagna.

(23)

tentare una qualche opposizione al nuovo potere, dopo il passaggio delle truppe dirette verso la successiva conquista, veniva lasciata mano libera ai falangisti ed ai notabili locali affinché potessero vendicarsi delle ‘umiliazioni’

subite nei mesi precedenti con l’occupazione delle terre e rivendicazioni di aumenti salariali. Nel passare al setaccio la storia dei cittadini, in cerca di una prova vera o presunta di filiazione marxista, un ruolo fondamentale lo ebbero i sacerdoti.

35

Sul versante della retroguardia repubblicana fu molto difficile controllare la violenza che spontaneamente si rivolse contro persone o cose relazionate con gli insorti, almeno fino alla fine del 1936. In questa fase si registrarono le stragi di Paracuellos del Jarama e di Torrejón de Ardoz, dove vennero fucilati centinaia di prigionieri, o le esecuzioni mirate nel carcere ‘Modelo’ di Madrid dove, fra gli altri, fu giustiziato José Antonio Primo de Rivera dopo un frettoloso processo (20 novembre 1936). In questa prima fase la violenza è accomunata da una matrice classista ma risponde ad intenzioni diverse:

pianificata strategicamente quella nazionalista, spontanea e disordinata quella praticata dai repubblicani nelle loro retrovie. Altrettanto cruenta, ovviamente, ma riconducibile alla evidente frammentazione del potere in atto nel composito schieramento repubblicano.

36

È certo a tal proposito che la stragrande maggioranza delle morti violente, dal luglio al dicembre del 1936, avvenne nelle retrovie.

37

Quando fu chiaro il fallimento del golpe e la guerra

35

Già il 24 luglio del 1939 il generale Queipo de Llano, comandante degli insorti a Siviglia, decretò la pena di morte per i marxisti.

36

Questa mancanza di disciplina e di unità di comando, oltre a rivelarsi esiziale per la causa repubblicana, portò nella sanguinosa primavera del 1937 ad una guerra fratricida all’interno di una guerra civile: i comunisti ortodossi fecero arrestare numerosi dirigenti trozkisti ed anarchici. Il 17 maggio Largo Caballero, primo ministro socialista e già leader sindacale della UGT, si era dimesso; al suo posto Juan Negrín, socialista moderato ma determinato nella prosecuzione della resistenza fino alla vittoria.

37

Rodrigo, nella già citata conferenza di Madrid, ha parlato di circa 65000 morti per mano

(24)

civile assunse modalità più proprie di un conflitto di tipo tradizionale, cambiò anche la declinazione della violenza:

“Dal novembre del 1936, in seguito all’offensiva franchista su Madrid, il corso della violenza subì un mutamento. Se nei primi mesi essa era stata il mezzo con il quale imporre il colpo di stato, il mancato conseguimento di quest’ultimo e le necessità imposte da una guerra che si prospettava lunga e di logoramento, rese inevitabile la ricerca di nuove soluzioni [...]. Se la propaganda degli insorti aveva da sempre considerato legittima la loro azione di forza, ora si poneva la questione di rendere “legale” la violenza insita nel processo insurrezionale.

Lasciata alle spalle l’estate ‘calda’ del 1936, si dava così inizio ad un nuovo corso , in cui le sacas dalle carceri, i paseos, le fucilazioni indiscriminate, le punizioni collettive, le vendette, pur senza cessare del tutto, avrebbero lasciato spazio a forme più controllate di violenza, subordinate alla giustizia militare e, dunque, a procedure affidate ad un’autorità che si voleva legittima.”

38

Le uccisioni extragiudiziali, individuali e di gruppo, furono comunque praticate senza scrupoli ogni qualvolta se ne avvertisse la necessità, soprattutto quando si trattava di punire una zona particolarmente tenace nella resistenza armata oppure umiliare una popolazione ritenuta irrimediabilmente

‘rossa’. Fatto sta che sin dal dicembre del primo anno di guerra civile era stato emanato l’ordine di sottoporre i prigionieri a degli appositi consigli di guerra;

non che ciò giovasse agli imputati, perché il loro destino era già segnato dal momento in cui cadevano prigionieri ma una parvenza di legalità serviva alla

dei ribelli e 38000 per mano repubblicana fino alla fine del 1936. Aggiunge, in risposta ad una frettolosa vulgata delle morti equivalenti, che le violenze non furono né uguali né proporzionali poiché gli insorti uccisero un numero maggiore di persone in uno spazio demografico minore.

38

In J.Rodrigo, Vencidos, op.cit., p.59. Per sacas si intendono i prelievi forzati di

prigionieri dalle carceri; con paseos si fa riferimento invece alle ‘passeggiate’ cui

venivano invitati cittadini in regime di libertà; ad entrambe queste pratiche seguiva la

fucilazione, spesso contro il muro del locale cimitero.

(25)

pretesa di legittimare una nuova autorità statuale. Inoltre il prolungarsi della guerra per il periodo che gli insorti ritenevano necessario per portare a termine l’annichilimento del nemico, invece di convergere rapidamente su Madrid, impose l’esigenza di recuperare risorse umane da riciclare nelle proprie fila, eventualmente dopo un’adeguata rigenerazione morale. Fu così che i primi improvvisati campi costruiti nell’estate del 1936 a fini essenzialmente di epurazione e reclusione, furono gradualmente assorbiti da una vera e propria “rete concentrazionaria”, senza paragoni nell’Europa degli anni trenta e quaranta.

39

In ogni zona di battaglia furono creati veri e propri campi di internamento ed ogni mutamento significativo della linea del fronte ne venivano costruiti di nuovi: alla fine della guerra se ne contarono in tutto il territorio spagnolo circa 100 in pianta stabile, nei quali transitarono circa mezzo milione di prigionieri. Il processo di selezione cui venivano sottoposti per distinguere gli afectos (simpatizzanti) al Movimento dai no afectos, e da quelli di incerta definizione (i dudosos), era stato affidato alle Commissioni per la classificazione che dipendevano dai tribunali militari. Questi organi incontrarono numerose difficoltà, dovute al continuo aumento di prigionieri che rendeva impossibile una selezione efficiente, e procedettero in maniera decisamente sommaria.

40

Se da una parte coloro che venivano ritenuti affini alla causa nazionalista venivano subito intruppati e spediti al fronte mentre coloro che venivano giudicati irrecuperabili erano rinviati al tribunale militare, per gli incerti, dall’altra, si poneva una questione non di poco conto:

39

Uno degli aspetti meno noti, anche agli ispanisti, è la sperimentazione condotta in alcuni di questi campi per rilevare le caratteristiche psichiche dei marxisti. Responsabile di queste ricerche ed autore di varie pubblicazioni su riviste specializzate fu il dott.

Antonio Vallejo Nágera. La premessa teorica lombrosiana era che il ‘rosso’ avesse dei tratti psichici tali da farne un malato, un fanatico. Sul punto vd. J. Rodrigo, Vencidos, op.

cit., pp 96-101.

40

Le informazioni sul passato dei prigionieri venivano passate a dette commissioni dalla

locale sezione falangista, dalla Guardia Civil e dai sacerdoti della zona.

(26)

poiché tutti erano necessari per la vittoria, come ripeteva la propaganda militare, non ci si poteva permettere il lusso di lasciare in condizione di inservibilità una percentuale così cospicua di prigionieri; vennero dunque istituiti i Batallones de Trabajadores, destinati al ripristino de luoghi danneggiati, alla costruzione di strade ed opere irrigue, alla fortificazione dei siti militari, coordinati dall’ Inspección de campos de concentración para prisioneros de guerra (I.C.C.P.). Il numero di formazioni di detenuti/lavoratori arrivò quasi a 180 ed il loro impiego comportò un risparmio notevole nella realizzazione, fra l’altro, di importanti opere pubbliche.

41

Caratteristiche comuni di quasi tutti i campi erano il sovraffollamento, le precarie condizioni igienico-sanitarie, le pratiche vessatorie ai danni dei prigionieri.

Queste condizioni disumane perdurarono anche oltre la fine della guerra civile. Accadde infatti che in seguito all’emanazione della Ley de Responsabilidades Políticas (febbraio 1939) che prevedeva la passibilità di imputazione per tutti coloro che si fossero resi colpevoli di reati politici dall’ottobre del 1934, data della rivoluzione delle Asturie e della proclamazione della Repubblica di Catalogna, aumentò rapidamente il numero dei reclusi. Fra l’altro, la riapertura delle liste di leva al termine della guerra civile fece sì che chi avesse servito in armi la Repubblica potesse essere richiamato a servire la Spagna del Caudillo;

42

nacquero così i Batallones Disciplinarios de Soldados Trabajadores formati da individui che, per un periodo che andava dai sei ai diciotto mesi a seconda della loro

41

Nel “Boletín Oficial del Estado”, n. 224 del 28 maggio 1937 venne pubblicato il Decreto del Nuevo Estado concediendo el derecho al trabajo con cui si dava la giustificazione legale per l’utilizzo dei prigionieri ai quali veniva concesso anche un minimo compenso economico, che veniva per tre quarti trattenuto alla fonte per le spese di ‘mantenimento’.

42

Furono richiamati gli appartenenti alle classi dal 1936 al 1941.

(27)

presunta affinità al regime, furono di fatto ridotti in condizioni di schiavitù.

L’irrompere del secondo conflitto mondiale e la tentazione spagnola di parteciparvi indussero le autorità di Madrid a disporre opere di fortificazione soprattutto sulla catena pirenaica ed intorno a Cadice, nei pressi cioè di Gibilterra. La soppressione dei Batallones nel novembre del 1942 significò un ulteriore intasamento della strutture carcerarie tradizionali ma non la fine del lavoro forzato che venne invece convogliato nelle Colonias penitenciarias, nei Destacamentos Penales e nei Talleres Penitenciarios (officine penitenziarie) dove decine di migliaia di condannati scontavano la loro pena.

Il ricorso costante al lavoro forzato rispondeva quindi ad una duplice finalità:

contribuiva ad alleggerire la densità demografica del sistema carcerario e costituiva lo strumento di redenzione dei vinti. Il simbolo che meglio rappresenta questa strategia punitiva ed umiliante e che al tempo stesso costituisce l’oggetto privilegiato della disputa fra opposte memorie, è il Valle de los Caídos, monumentale mausoleo fatto erigere de Franco e completato solo nel 1959: per la sua costruzione furono impiegati, a seconda delle stime, dai cinque ai ventimila prigionieri politici.

43

Nonostante la chiusura definitiva nel 1947 dei campi ancora in funzione ed il provvedimento di indulto del 1945 andassero incontro a quelle esigenze di sfoltimento della popolazione carceraria manifestate più volte da alcune autorità militari, consapevoli della incapacità pratica di giudicare celermente una massa di individui in attesa di giudizio, il sistema carcerario continuò a rappresentare la condanna all’esclusione di una parte della popolazione ritenuta responsabile di tutti i mali della Spagna. Dalla primavera del 1940

43

In questo complesso dedicato al ricordo dei caduti per il franchismo, sono sepolti circa trentatremila cadaveri. Le uniche lapidi sono quelle del Generalissimo e di J.A. Primo de Rivera, il martire del Movimento. Solo poco prima dell’apertura al ‘pellegrinaggio’

vennero inumati alcuni cadaveri di militanti repubblicani per giustificare la finalità di

riconciliazione nazionale che si voleva attribuire al mausoleo.

(28)

infatti era stata promossa la cosiddetta Causa General, un’indagine conoscitiva sui crimini commessi in territorio repubblicano (ma in realtà si centrò prevalentemente sulla capitale) che, complementare alla Ley de Responsabilidades Políticas del 1939 sul versante normativo, costituiva la giustificazione storica della repressione politica e della persecuzione giudiziaria nel dopoguerra, quando la provvisorietà della giustizia militare mal si conciliava con la ritrovata ‘pace’ e con le esigenze di normalizzazione del regime che istituì i Tribunales de responsabilidades políticas e i Tribunales para la represión de la Masoneria y del Comunismo per continuare il proprio regolamento dei conti contro i nemici, veri o presunti che fossero.

44

Per quanto le cifre di per sé non implichino automaticamente un giudizio storico, resta con tutta la sua drammaticità il bilancio, non ancora definitivo, delle violenza franchista: trentamila desaparecidos, centocinquantamila fucilati per motivi politici, mezzo milione di internati ed un altro mezzo milione di esiliati, prevalentemente nell’ultima fase della guerra civile. Senza quantificare il carico di odio, sospetto e terrore nel quale dovettero sopravvivere milioni di spagnoli relegati, in condizioni di marginalità sociale, alla condizione di vinti della pace, così come i loro caduti lo erano stati della guerra.

44

La relativa legge risale al marzo del 1940. La c.d. Causa General determinò

l’imputazione e la condanna (pena detentiva o capitale) per circa cinquantamila spagnoli.

(29)

Capitolo Secondo

Il giornalismo spagnolo dopo la guerra civile

2.1 Guerra, informazione e opinione pubblica

Se l’uso prolungato della violenza e della repressione politica può essere considerato, anche in termini comparativi, come l’aspetto più brutale della dittatura, il controllo ossessivo dell’informazione e la manipolazione del consenso fu il fattore indispensabile per la tenuta del regime nel corso dei decenni. Sono queste due, a mio avviso, le caratteristiche qualificanti intorno alle quali si struttura un potere ostinatamente autoreferenziale. Per mantenere il consenso ‘passivo’ delle masse, le autorità franchiste misero in piedi un apparato di controllo efficiente e pervasivo. Nonostante le aperture accuratamente guidate dai tecnocrati dell’Opus Dei tra gli anni cinquanta e sessanta, il mondo dell’informazione visse sotto una cappa asfissiante di burocratico dirigismo almeno fino al 1966, quando la nuova Ley de Prensa (che riformava quella del 1938) allentò le maglie della censura. Questa gestione centralizzata e monolitica, inscalfibile per circa due decenni, dimostrava secondo J. Terrón Montero,

“l’inesistenza di una egemonia ideologica nell’ambito della società civile con la forza sufficiente per imporsi all’insieme della popolazione senza il ricorso all’apparato repressivo dello stato.”

45

Allo scoppio della sollevazione militare i protagonisti del tentato golpe del 1936 erano ben consapevoli della necessità di sintonizzare l’informazione sulle onde della propaganda nazionalista nei territori che venivano gradualmente conquistati; già nell’agosto del ’36 gli insorti avevano creato un

45

J.Terrón Montero, La prensa en España durante el régimen de Franco: un intento de

análisis político, Centro de Investigación Sociológica, Madrid, 1989, p.59.

(30)

apposito Ufficio Stampa presso la Giunta Tecnica di Burgos, prima sede del governo ribelle. In parte questa urgenza derivava dall’esperienza dell’annosa questione marocchina, sulla quale l’opinione pubblica spagnola si era fortemente divisa; i generali africanisti, fra cui lo stesso Franco, avevano maturato un certo disprezzo per quel tipo di informazione di guerra che dalle pagine dei giornali diffondeva tesi antimilitariste.

La guerra civile che scaturì dal fallimento dell’insurrezione nelle principali città, divenne il fulcro del dibattito politico in tutto il mondo occidentale almeno fino a quando Hitler non annesse prima l’Austria e poi la Cecoslovacchia (1938), da allora l’espansionismo tedesco divenne l’oggetto privilegiato di attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale. Che non si trattasse di un mero scontro interno fra fazioni armate fu chiaro quasi da subito e ben presto la drammatica lotta fratricida assunse la dimensione di guerra ideologica, di classe, di religione, travalicando i confini nazionali. I giornalisti presenti, con il loro lavoro, contribuirono non solo ad una puntuale narrazione degli eventi, ma con le loro testimonianze diedero un apporto fondamentale per la ricostruzione storica di diversi tragici episodi che la propaganda ufficiale, dell’una e dell’altra parte, cercò di nascondere o di negare. Nel lungo elenco dei testimoni di quegli anni troviamo intellettuali già noti, giornalisti in cerca di affermazione, semplici volontari e spie, che, con la copertura dei loro governi, vennero infiltrati per osservare il nemico da vicino. Tra gli intellettuali già noti al grande pubblico citiamo E.Hemingway, inviato a peso d’oro da un consorzio di sessanta giornali statunitensi;

A.Malraux, organizzatore di una squadriglia di aerei al servizio del governo

repubblicano e G.Orwell che aderì al Partito marxista operaio unificato,

combattendo in prima linea ma nello stesso tempo denunciando il terrore

(31)

comunista della primavera del 1937.

46

Particolarmente rocambolesche e quasi leggendarie le vicende di due agenti al servizio di Mosca, Harold Philby e Arthur Koestler; il primo, inglese, fu inviato in Spagna dal prestigioso The Times di Londra. Sopravvissuto al cannoneggiamento fortuito da parte di un carro armato sovietico che fece strage dei suoi accompagnatori, Philby fu insignito di una importante onorificenza dallo stesso Franco a Burgos;

ritenuto informatore dei servizi britannici, si scoprì che era in realtà una spia di Stalin. Il secondo invece, comunista ungherese ma di cittadinanza britannica, fu inviato a Siviglia dal British News Chronicles ma fu immediatamente accusato di essere un agente sovietico; scampato ad un’esecuzione sommaria che pur gli era stata promessa da Luís Bolín, Responsabile per la Stampa dei militari ribelli, dal quale aveva ottenuto le necessarie facilitazioni per un’intervista al generale Queipo de Llano, fu processato e condannato a morte; la fece nuovamente franca grazie ad uno scambio di prigionieri realizzato per le pressioni del Foreign Office.

47

Più defilate, ma politicamente molto importanti, le presenze di Ilya Ehrenburg per il quotidiano Izvestia e di Mijail Koltsov per la Pravda; entrambi parteciparono attivamente al II Congresso degli scrittori che si svolse a Valencia nel 1937 sotto gli auspici della Alleanza Internazionale degli intellettuali antifascisti e furono tra i principali agitatori della propaganda comunista.

48

Ma Koltsov fu molto di più, tanto da essere additato come

46

In generale, sul ruolo degli intellettuali vd. Aldo Garosci, Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Einaudi, Torino, 1959. Mallroux ha dato un ampio resoconto della sua esperienza in Espoire (1937), mentre Orwell, appena rientrato in patria, scrisse l’indimenticabile Homenaje a Cataluña (1938); da For whom the bell tolls (1940) venne tratto un famoso film con Gary Cooper e Ingrid Bergman (1943).

47

In Spanish Testament (1937) Koestler ha lasciato una fondametale testimonianza per la ricostruzione delle convulse vicende cui assistette in prima persona. Luís Bolín era stato in precedenza corrispondente da Londra per ABC.

48

Ehrenburg pubblicò No pasarán (1936) e Guadalajara: una derrota del fascismo

(1937).

Riferimenti

Documenti correlati

407 sostituire didascalia della foto in alto con questa su due righe “Ballerini di tango”p.

Re- soconti di polizia, corrispondenze intercettate dalla censura, diari, memorie e documenti editi e inediti consentono di ricostruire la storia dei fascisti di Salò: i volontari,

Ma Mussolini voleva esserci a tutti i costi, e fece costituire il Corpo di spedizione italiano in Russia (Csir), che a metà luglio partì per il fron- te orientale4. Un anno dopo,

As the director of Memorial Hospital, Ewing had great influence, and his strong support for the use of radiation therapy, rather than operations, for the control of cancer affected

Constantine Lambrinudi enjoyed a unique posi- tion in British surgery because he, more than any of his contemporaries, advanced the mechanistic concept of orthopedic surgery.. He was

Se prima della guerra Mussolini e il suo governo erano giudicati positivamente o per lo meno accettati passivamente, nella fase più acuta del conflitto, durante la quale

Pa~. - Regioni ter- Tltoriali, Regioni agrarie, Italia... Aumenti della superfÌcie boscata secon- do l'appartenenza e la qualità di coltura di provenienza - Regioni agrarie,

Sempre più consumatori prediligono il gelato artigianale italiano, soprattutto per due ragioni: l’attenzione verso la naturalezza del prodotto, alla ricerca di alimenti sempre più