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La parola italiana vetro deriva dal latino “vitrum”, da cui traggono origine anche il termine francese “vitre” utilizzato per indicare la lastra di vetro e “verre”

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1.1 Breve storia del vetro

La parola italiana vetro deriva dal latino “vitrum”, da cui traggono origine anche il termine francese “vitre” utilizzato per indicare la lastra di vetro e “verre”

per indicare più genericamente il vetro o il bicchiere, stessa origine hanno anche il termine spagnolo “vidrio” ed il termine portoghese “vidro”.

Ad oggi non è ancora chiaro quando abbia avuto inizio precisamente la produzione del vetro in quanto in origine si trattava di una pasta vitrea grezza utilizzata per il rivestimento del vasellame.

Al 3500 – 3000 a.C. risalgono alcune piccole sfere di vetro rinvenute in molti sepolcri egizi e da questo momento in poi si inizia a produrre un numero crescente di oggetti di diversa tipologia, al II secolo a.C. risalgono infatti i primi anelli, vasi e piccoli bicchieri in vetro.

La più antica ricetta per la produzione del vetro è conservata a Ninive nella biblioteca di tavole di terracotta del re assiro Assurbanipal (668-626 a.C.), sulle quali si legge: “il vetro si ottiene con 60 parti di sabbia, 180 parti di cenere di

piante marine e 5 parti di creta”; in linea di principio questa composizione è

rimasta invariata fino ad oggi.

In architettura il vetro viene impiegato per la prima volta dai romani nelle terme e nelle ville di Pompei e di Ercolano, dove delle lastre aventi dimensioni di circa 30x50cm e spessore di 3-6cm erano posate in opera senza intelaiatura o su telai di bronzo o legno. Questo vetro non era particolarmente trasparente e presentava un colore verde azzurrino; la produzione avveniva con la tecnica della colatura e stiratura nonostante fosse noto il procedimento mediante soffiaggio di cilindri.

Nel Medioevo la produzione del vetro si legò sempre più con l’attività di costruzione di chiese e monasteri. Le grandi vetrerie erano situate per lo più nelle regioni boschive in prossimità dei corsi d’acqua a causa della grande quantità di legna necessaria per produrre energia e di acqua necessaria per il raffreddamento ed il trasporto della sabbia.

Solo a partire dal XVII secolo con la sostituzione del carbone al posto del

legno le vetrerie furono spostate lontano dai boschi.

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Figura 1.1 Forno per la fusione del vetro, incisione da Georgius Agricola (1494-1555), De re metallica libri XII, Basilea, 1557.

La produzione del vetro fino al XIX secolo e parte del XX secolo veniva

effettuata mediante il soffiaggio di cilindri e mediante il soffiaggio di sfera,

entrambe le tecniche furono sviluppate dagli artigiani siriani rispettivamente nel I

secolo d.C. e nel IV secolo d.C.

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creando un’apertura nella sfera.

L’apertura veniva ingrandita realizzando un calice in seguito nuovamente riscaldato in forno e spianato per formare un disco piatto grazie all’accelerazione centrifuga della rotazione. Il vetro così ottenuto veniva tagliato in lastre più piccole di forma rettangolare, romboidale ed esagonale. La parte centrale del disco, dove si innestava l’asta metallica era più spessa del vetro presente nelle zone periferiche e veniva chiamata “occhio di bue.”

Tra il XV ed il XVII secolo, si affermò il vetro veneziano per le sue caratteristiche di purezza e trasparenza dovute all’aggiunta delle ceneri di una pianta del litorale e di arsenico e manganese come decoloranti.

Nel 1687 il francese Bernard Perrot sviluppò la tecnica del vetro colato: il contenuto della vasca di fusione veniva versato su una piastra di rame levigata e preriscaldata e steso con un rullo di metallo a formare una lastra. La lastra, molto più piana rispetto a quella ottenuta con i procedimenti prece decentemente adottati, veniva infine lavorata con sabbia e acqua (abrasione) e lucidata con pasta di ossido di ferro.

Nel XIX si ebbe un progressivo passaggio verso l’industrializzazione della produzione del vetro, nel 1856 Friederich Siemens brevettò un forno di fusione che razionalizzava il ciclo di lavoro e dimezzava la quantità di combustibile necessario.

Nel 1900 in America John N. Lubbers inventò un processo meccanico che univa la soffiatura alla rullatura, mediante il quale si potevano ottenere dei cilindri di lunghezza di 12m e diametro fino a 80cm.

Una data importante nella produzione industriale di lastre di vetro è il 1913, anno in cui il belga Émile Fourcault riuscì produrre le prime lastre di vetro lucide tirandole direttamente dalla massa fusa. Un blocco di materiale refrattario dotato di una fessura veniva immerso nel vetro fuso, che spinto verso l’alto attraverso la fessura veniva afferrato e tirato verso l’alto da una pinza di ferro e raffreddato.

Nel 1905 l’americano Irving Colburn brevettò un metodo di tiratura analogo, il

metodo Libbey-Owens. Il vetro non veniva più tirato verticalmente verso l’alto, ma

grazie all’impiego di cilindri serra-bordo veniva condotto sopra un rullo piegatore

che lo piegava in orizzontale. Il vetro veniva poi raffreddato in un forno di ricottura

lungo 60m ed infine tagliato. La larghezza del nastro di vetro era di 2.5m mentre

lo spessore era variabile tra 0.6 e 20mm, quest’ultimo era legato alla velocità di

tiratura, con maggiori velocità si ottenevano lastre più sottili e viceversa.

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Nel 1928 la Pittsburgh Plate Glass Company combinò i vantaggi di entrambi i processi precedenti introducendo un procedimento che permise di aumentare la velocità di produzione.

Nel 1959 Alastair Pilkington inventò il processo di produzione “float” o “a

galleggiamento” con il quale viene prodotto oggi il 90% del vetro piano mondiale.

1.2 Il vetro nell’architettura del XVIII e del XIX secolo

Alla fine del XVIII secolo cominciò ad affermarsi il ferro come materiale per usi strutturali grazie all’impiego del carbone coke che permise da quel momento in poi di produrre ferro di maggiori qualità ed in maggiore quantità rispetto al passato.

Con la ghisa prima e soprattutto con il ferro battuto successivamente si aprirono nel settore dell’ingegneria strutturale e dell’architettura nuovi orizzonti. Il ferro, che rispetto ai tradizionali materiali impiegati fino a quel momento, presenta maggiore resistenza meccanica ed elevata resistenza a trazione, permise di realizzare delle opere rivoluzionarie per i tempi.

Si passò infatti dalle costruzioni pesanti e massicce in pietra e mattoni alle prime strutture snelle, alte e leggere in cui il muro perse la propria funzione portante e cominciò ad essere sostituito da un manto di vetro trasparente in cui la copertura vetrata consentiva di creare grandi e luminosi spazi interni.

Da questo momento in poi il ferro ed il vetro divennero i principali materiali nella realizzazione in Europa di nuove grandi costruzioni come i mercati coperti, i grandi magazzini, le gallerie, le stazioni e le serre.

Importanti costruzioni di questo tipo furono realizzate in molte città europee, se ne riportano di seguito le più significative.

1.2.1 Cupole

Una delle prime cupole in vetro fu realizzata sopra la Halle au Blé di Parigi.

Nel 1769 venne costruito un salone per la farina ed i cereali che nel 1783 fu

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Figura 1.3 Halle au Blé, 1762; semielevazione e semisezione del corpo anulare, con la cupola di F.-J. Bélanger del 1809 (da J.-M. Pérouse de

Montclos, Histoire de l'architecture française. De la Renaissance à la Révolution. Paris, 1989).

Figura 1.4 Cupola della Borsa de Commerce, Henri Blondel, 1888-1889.

1.2.2 Grandi magazzini

I grandi magazzini del XIX secolo sono le prime costruzioni a scheletro formate da strutture di ferro e tamponamenti di vetro.

Il primo grande magazzino avente uno scheletro in ferro, nascosto però dalle pietre è il “Magasin Bon Marchè” eretto a Parigi nel 1876 da Louis-Auguste Boileau e Gustave Eiffel.

Il primo grande magazzino in cui per la prima volta la struttura metallica è

stata lasciata in vista è “La Samaritaine” realizzato nel 1905 da Frantz Jourdain.

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Figura 1.5 Grande magazzino “La Samaritaine”, Parigi, Frantz Jourdain, 1905-1097.

1.2.3 Gallerie

Le gallerie costituiscono le prime coperture di grandi spazi aperti nate dopo la rivoluzione industriale e rappresentano uno dei tipi edilizi caratteristici del XIX secolo.

La galleria è uno spazio pubblico (via o piazza) su cui si affacciano negozi, officine, ristoranti e bar, chiuso superiormente da una copertura in vetro.

La più importante galleria interamente coperta da una struttura in ferro e vetro

e rimasta per molto tempo un modello è stata la Galerie d’Orléans di Parigi

(1828-1830, abbattuta nel 1935), realizzata da Pierre-François Fontaine.

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Figura 1. 6 Galerie d’Orléans, Parigi, Pierre-François Fontaine, 1828- 1830.

1.2.4 Stazioni

Quasi parallelamente alle gallerie nascono le prime grandi coperture vetrate delle stazioni ferroviarie.

Mentre in Inghilterra si affermavano e diffondevano le strutture ad arco, in Francia dominava la travatura reticolare secondo il sistema Wiegmann- Polonceau.

Un esempio è la Gare d’Austerlitz (1843-47) di Parigi, dove la grande

superficie di 51x280m fu coperta con grandi travi di tipo Polonceau.

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Figura 1.7 Foto d’epoca dell’interno della Gare d’Austerlitz, Parigi, 1843-1847.

Figura 1. 8 Facciata della Gare d’Austerlitz, Parigi, 1843-1847.

In Inghilterra invece un significativo esempio è costituito dalla stazione di

Paddington di Londra, realizzata nel 1854 da Isamabard Kingdom Brunel e

Matthew Digby Wyatt, in cui vengono impiegate per la prima volta delle strutture

in ferro battuto con nervature curve.

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Figura 1. 9 Immagine d’epoca. Stazione di Paddington, Londra, Isamabard Kingdom Brunel e Matthew Digby Wyatt, 1854.

Figura 1. 10 Stazione di Paddington, Londra, Isamabard Kingdom Brunel e Matthew Digby Wyatt, 1854.

1.2.5 Serre

La serra è un involucro che racchiude uno spazio avente un clima autonomo, indipendente dalla stagione e dall’ambiente esterno.

Per massimizzare l’apporto di calore e luce dall’esterno si deve aumentare il più possibile la superficie trasparente e ridurre la parte piena ed opaca, tali requisiti vengono ampiamente soddisfatti dalle strutture di ferro sottili e dal vetro, che rendono la serra la tipologia edilizia più innovativa del XIX secolo.

I pionieri del settore furono gli inglesi John Claudius Loudon e Sir Joseph Paxton.

La serra di Loudon è caratterizzata da uno studio approfondito dell’involucro

esterno che tiene conto del percorso fatto dai raggi solari e della posizione del

sole (copertura “ridge and furrow”).

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Figura 1.11 Palm House dei Bicton Gardens, Devon, presumibilmente di John Claudius Loudon, 1818-1838.

Sir Joseph Paxton, oltre all’aspetto prettamente strutturale affrontò il problema del riscaldamento e della ventilazione degli edifici caratterizzati dalla presenza di grandi superfici in vetro, il risultato dei suoi studi trovò applicazione in particolare nel Palazzo di Cristallo, realizzato a Londra nel 1851 e distrutto da un incendio nel 1936.

Figura 1.12 Palazzo di Cristallo, Londra, Sir Joseph Paxton, 1851.

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Figura 1.13 Prospetto del Palazzo di Cristallo, Londra, Sir Joseph Paxton, 1851.

Un’ulteriore evoluzione nella geometria delle serra si ebbe con la realizzazione nella zona sud-occidentale di Londra delle casa delle palme del giardino botanico reale di Kew (1844-1848), dove Richard Turner e Decimus Burton affiancano al progetto di involucro curvo-lineare la tipologia strutturale a guscio.

Figura 1.14 Palm House nei giardini botanici di Kew, Londra, Richard Turner e Decimus Burton, 1844-1848.

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1.3 Il vetro nell’architettura del XX e del XXI secolo

All’inizio del XX secolo l’impiego del vetro nella realizzazione di coperture e facciate si afferma sempre più tra gli architetti e gli ingegneri che spesso delineano grandiose visioni di cristalli di vetro trasparenti, molte delle quali così avveniristiche da poter essere tecnicamente realizzabili solo molti anni dopo la loro concezione.

Nonostante i primi esempi di abitazioni con grandi superfici vetrate risalgano agli anni venti e trenta l’architettura del vetro si afferma solo dopo la seconda guerra mondiale.

Negli anni della ripresa economica un insieme di fattori, quali il boom edilizio, l’introduzione del procedimento float nella produzione del vetro e le nuove tipologie di collegamenti aprono la strada alla costruzione di grandi torri e facciate di vetro che diventano uno status symbol di molte aziende multinazionali.

Negli ultimi decenni il perfetto accoppiamento meccanico vetro-acciaio si è evoluto con la realizzazione anche di importanti elementi strutturali come travi e pilastri a sostegno di coperture, passerelle e scale.

Di seguito si illustrano alcune delle opere più significative in vetro strutturale che sono state realizzate negli ultimi 30 anni.

1.3.1 Facciate continue

Uno dei primi elementi architettonici in cui il vetro strutturale trova estesa applicazione si osserva nella realizzazione delle facciate appese.

A due progetti di grattacieli di Mies van der Rohe del 1919 e del 1921 si deve

la concezione architettonica della facciata continua perimetrale che avvolge

l’intero edificio.

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Figura 1.15Progetto di un grattacielo sulla Friedrichstrasse a Berlino, Mies van der

Rohe,1919.

Figura 1.16Progetto di un grattacielo di vetro per Berlino, Mies van der Rohe,

1922.

Tali progetti per l’epoca rivoluzionari e non tecnicamente fattibili furono fonte di ispiazione per l’architetto Norman Foster per la progettazione dell’edificio Willis Faber & Dumas ad Ipswich in Inghilterra, primo esempio di facciata continua appesa con fissaggio per punti.

La facciata continua, interamente appesa in sommità, é costituita da sei file di

lastre di vetro temperato dello spessore di 12mm. La trasmissione dei carichi da

una lastra all’altra é affidata ad un sistema bullonato di piastra e contro-piastra

disposto nei vertici mentre l’impermeabilizzazione é garantita da cordoni di

silicone. Il tutto è stabilizzato rispetto ai movimenti orizzontali da mensole verticali

di vetro a mezz’altezza poste all’interno dell’edificio ed incastrate ai solai,

sollecitate principalmente a flessione.

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Figura 1.17 Edificio amministrativo Willis Faber & Dumas, Iswich, Norman Foster, 1971-1975.

Un’evoluzione nel processo di smaterializzazione delle facciate si ha con la realizzazione delle Serres Bioclimatiques de la Vilette a Parigi, dove viene realizzata la prima facciata di vetro appesa e posteriormente irrigidita da fermavetro per punti sullo stesso livello.

La richiesta di massima trasparenza possibile, fatta dall’architetto Adrien Fainsilber fu soddisfatta da Peter Rice, Martin Francis e Ian Ritchie (RFR) che introdussero delle importanti novità dal punto di vista progettuale e costruttivo.

La facciata è costituita da lastre di vetro temperato dello spessore di 12mm e di dimensioni 2x2m, sedici lastre formano un pannello, sedici pannelli formano l’intera facciata quadrata di lato 32m.

Le spinte orizzontali, che nella facciata realizzata da Norman Foster a Ipswich venivano assorbite dalle solette marcapiano, qui vengono trasferite dalla facciata ai fermavetro puntuali e da quest’ultimi al sistema posteriore di cavi e puntoni che le riportano ai montanti in acciaio.

Un’altra novità riguarda il sistema di collegamento delle lastre alla struttura

tubolare che è stato perfezionato con l’inserimento di molle che svolgono

l’importante funzione di shock absorbers nel caso in cui si abbia la rottura di una

lastra di vetro.

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Figura 1.18 Serres Bioclimatique, quartiere de La Vilette, Parigi, Arch.

Adrien Fainsilber, RFR Ingénieurs, 1982-1986.

Figura 1.19 Serres Bioclimatique, quartiere de La Vilette, Parigi, Arch.

Adrien Fainsilber, RFR Ingénieurs, 1982-1986.

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Figura 1.20 Serres Bioclimatique, quartiere de La Vilette, Particoalre interno.

Infine, l’innovazione più importante consiste nell’introduzione di un raffinato sistema di fissaggio, la rotule, costituito da articolazioni sferiche poste in corrispondenza del piano baricentrico della lastra che impediscono l’insorgere nelle lastre di momenti flettenti parassiti.

Figura 1.21 Rotule, impiegata per la prima volta nelle Serres Bioclimatique da RFR Ingénieurs.

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La funzione dei cavi verticali è quella di sostenere il peso delle lastre, i cavi sono solo debolmente presollecitati per evitare di caricare eccessivamente la struttura del tetto a cui sono collegati superiormente.

I cavi orizzontali invece, connessi alle due ali dell’edificio, sono fortemente pretesi (85kN) in modo da assolvere al compito di limitare a valori accettabili le elevate deformazioni dovute all’azione del vento.

Figura 1.22 Kempinski Hotel, Aeroporto di Monaco di Baviera, Ing.

Schlaich Bergermann & Partners, 1993.

Questo sistema strutturale ha visto nel tempo molte applicazioni, come la

facciata del Kimmel Center di Filadelfia progettata dallo studio Dewhurst-

Macfarlane nel 2001.

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Figura 1.23 Kimmel Center for Performing Arts, Filadelfia, USA, Ing.

Dewhurst Macfarlane & Partners, Arch. Rafael Viñoly, 2001.

Una interessante evoluzione di questo sistema strutturale caratterizzata

dall’introduzione di puntoni di vetro per stabilizzare la facciata è stata adottata

dall’Arup façade engineering team per il progetto di un atrio di collegamento

coperto tra due edifici a Londra e da Jörg Schlaich nella facciata sud della

stazione centrale di Berlino.

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Figura 1.25 Tower Place, Londra. Particolare della facciata.

Figura 1.26 Stazione centrale, Berlino, Ing. Schlaich Bergermann &

Partners, Arch. von Gerkan Marg und Partner, 2006.

1.3.2 Coperture

Si riporta nel seguito una sintetica rassegna di alcune recenti realizzazioni nel campo delle coperture vetrate di cui si illustrano le innovazioni che ciascuna di esse presenta.

Le volte sottili in vetro ed acciaio costituiscono una tipologia molto diffusa nella realizzazione di coperture di ampi spazi situati principalmente in ambienti cittadini di rilevanza storica.

Rientra in questa tipologia la copertura della Corte del Museum für Hamburgische Geschichte, realizzata ad Amburgo nel 1989, in cui la volta sottile a maglie quadrangolari è irrigidita da un sistema di funi su cui poggiano direttamente i vetri.

L’edificio risale ai primi del ‘900 ed ha al suo interno una corte dalla forma ad

L, che priva di copertura, nonostante fosse stata prevista nel progetto originale, si

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decise di realizzare in occasione dell’ottocentesimo anniversario del porto di Amburgo.

Il sistema é costituito da due volte a botte e da una superficie di transizione tra le due. La geometria a botte é ottimale per la modularità delle lastre e delle barre piene in acciaio (60x40mm). La geometria di transizione comporta geometrie per le lastre per lo più variabili tra il rettangolo ed il rombo, mentre i profili in acciaio mantengono lunghezza e sezione invariate, con chiari vantaggi economici. Il tutto é irrigidito attraverso due sistemi di cavi: il primo é costituito da raggiere verticali poste alle estremità delle volte a botte come irrigidimento delle volte stesse, mentre il secondo é costituito da cavi da 6mm che attraversano i moduli in vetro lungo la diagonale. Il vetro è posato su appoggi di neoprene e le giunzioni tra le lastre sono chiuse con silicone. La struttura è vincolata lungo il suo intero perimetro su un profilo HEB 160 poco discosto dal tetto esistente, sorretto puntualmente da profili tubolari che riportano le sollecitazioni ad un’altra trave disposta nel sottotetto.

Figura 1.27 Copertura della corte interna del Museum für Hamburgische Geschichte, Amburgo, Ing. Schlaich Bergermann & Partners, Arch. von

Gerkan Marg und Partner, 1989.

Un’opera molto complessa in cui si hanno cambi di curvatura notevoli è

rappresentata dalla copertura ideata dagli architetti Franck Gehry e Jörg Schlaich

per il cortile interno della DG Bank a Berlino dove l’impossibilità di utilizzare

maglie rettangolari ha portato alla triangolarizzazione della superficie.

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Figura 1.28 Copertura della DG Bank, Berlino, Ing. Schlaich Bergermann & Partners, Arch. Frank O. Gehry & Associates, 1998.

Figura 1.29 Copertura della DG Bank, Berlino. Sezione longitudinale e sezione trasversale.

Un’innovativa soluzione architettonico - strutturale è costituita dalla copertura della corte principale dell’Abbazia di Neumunster in Lussemburgo progettata da RFR Ingénieurs Paris.

Al fine di limitare il più possibile la consistenza e l’impatto visivo della copertura nell’edificio storico, è stata fatto ricorso ad un innovativo schema strutturale che combina archi e cavi formanti un guscio a graticcio ibrido (hybrid

grid shell).

Gli archi, a sezione circolare piena con diametro di 80mm, sovrastano

trasversalmente la corte, inclinati di 30° rispetto al lato corto della stessa, con

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in acciaio inossidabile di diametro 16mm, sono disposti longitudinalmente e trasversalmente, i cavi orditi trasversalmente, sono inclinati di 60° rispetto alla direzione degli archi, così da creare una maglia triangolare equilatera.

I cavi sono presollecitati in modo da indurre uno stato di pretensione nei cavi e di precompressione negli archi. Gli archi sono gli elementi strutturali principali mentre i cavi trasferiscono gli sforzi di membrana tra archi adiacenti, assicurando la continuità della struttura che permette un contemporaneo comportamento ad archi portanti ed a guscio a graticcio.

L’anisotropia della struttura ha consentito il raggiungimento di un effetto di smaterializzazione senza precedenti.

Figura 1.30 Copertura del chiostro dell’Abbazia di Neumünster, Lussemburgo, Ing./Arch. RFR, 1999-2003.

In assoluto la più ardita copertura in vetro tra quelle realizzate fino ad oggi è quella del Maximilian Museum di Augsburg, opera dello studio di ingegneria Ludwig & Weiler.

Si tratta di una volta a botte con luce di 14 metri e lunghezza di 37 metri, in cui

gli sforzi di compressione sono interamente assorbiti dal vetro riducendo la

struttura di acciaio a due sistemi di cavi pretesi di irrigidimento e ad un insieme di

nodi che trasferiscono gli sforzi di compressione tra una lastra e l’altra. Le lastre

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Figura 1.31 Maximilian Museum, Augsburg, Germania ,Ing. Ludwig &

Weiler, Arch. Hochbauamt, 1999.

1.3.3 Pareti, pilastri e travi

La costante tendenza verso la completa smaterializzazione delle facciate e delle coperture porta al tentativo di realizzare edifici in vetro riducendo al minimo gli elementi metallici portanti.

L’enorme progresso della tecnologia del vetro insieme alle crescenti conoscenze sulle sue possibilità di sollecitazione hanno spinto negli ultimi anni molti architetti ed ingegneri a cimentarsi nella realizzazione di piccole strutture introducendo pareti, colonne e travi in vetro.

1.3.3.1 Pareti e pilastri

L’elevata resistenza a compressione fa del vetro un ottimo materiale da impiegare nella realizzazione di elementi compressi quali pilastri e pareti, tuttavia il comportamento fragile a rottura ne ha rallentato per molti anni l’impiego e lo sviluppo.

Il problema della rottura fragile richiede uno sforzo progettuale ulteriore rispetto all’usuale progettazione con altri materiali.

Un requisito importate da rispettare in fase di progettazione è la ridondanza, grazie alla quale la crisi di un elemento strutturale non determina la crisi progressiva degli altri elementi. Per garantire questo comportamento il progettista deve considerare tutti i possibili scenari di rottura e progettare gli elementi in modo che in caso di crisi di uno di essi i carichi si ridistribuiscano in modo sicuro agli altri elementi strutturali.

Il comportamento fragile impone anche una particolare cura nella

progettazione dei collegamenti onde evitare pericolose concentrazioni di tensioni,

e la predisposizione di una efficace protezione dagli urti e dai danneggiamenti

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I ridotti spessori degli elementi in vetro insieme all’elevata resistenza a compressione rendono le verifiche di stabilità delle colonne e delle pareti l’aspetto progettuale più rilevante e delicato, da affrontare con attenzione adottando dettagliati modelli di calcolo. Il rischio di instabilità comporta anche una particolare cura in fase di montaggio essendo richieste tolleranze costruttive decisamente più restrittive di quelle consentite nelle costruzioni in acciaio, legno e calcestruzzo.

Il padiglione delle sculture di Sonsbeek ad Arnhem nei Paesi Bassi, realizzato nel 1986 da Jan Benthem e Mels Crouwel è caratterizzato da una pianta rettangolare in cui per la prima volta i pilastri vengono sostituiti da pareti portanti in vetro che sorreggono travi in acciaio su cui poggia una copertura piana di vetro, il tutto irrigidito da controventi sempre in vetro.

Figura 1.32 Padiglione per sculture di Sonsbeek, Arnhem, Paesi Bassi, Arch. Benthem & Crouwel, 1985-1986.

Una delle prime costruzioni in cui sono stati impiegati dei pilastri in vetro é il Municipio di St. Germain-en-Laye realizzato nel 1995 dove dodici pilastrini di vetro sostengono un tetto di 500m² con un modulo di 5.4x5.4m.

I piastrini alti 3.20m hanno sezione cruciforme e sono progettati in modo che,

nel caso si verifichi la rottura di una lastra, le altre lastre del pilastrino siano in

grado di sopportare i carichi. Ciascun elemento è costituito da vetro stratificato

formato da tre lastre, in modo che quella esterna, disposta fuori calcolo (vetro

temperato di spessore 10mm), protegga l’interna (vetro temperato di spessore

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Figura 1.33 Municipio di Saint-Germain-en-Laye, Ing. OTH/Alto, Arch.Brunet et Saunier, 1995.

Una costruzione originale e degna di nota è il padiglione vetrato di Rheinbach, progettato dagli architetti Jörg Hieber e Jürgen Marquardt in collaborazione con il prof. Stefan Behling.

L’edificio è stato pensato per essere adibito sia come spazio espositivo che come spazio in cui tenere seminari e congressi.

L’originalità del progetto è rappresentata dalla copertura quadrata di 500m² di 28 tonnellate di peso, poggiante sulle nicchie espositive trasparenti delle dimensioni di 1.25x3.66m e dello spessore complessivo di 42mm che trasferiscono alla fondazione sia le azioni verticale che orizzontali.

Figura 1.34 Glaspavillon Sommerakademie, Rheinbach, Ing. Ludwig

& Weiler, Arch. Hieber & Marquardt, 1999.

1.3.3.2 Travi

Le travi sono elementi in vetro soggetti a flessione nel proprio piano. Sono

presenti in molte facciate di edifici, si osservano infatti ad esempio nell’edificio

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in cui vengono impiegate le travi in vetro quali elementi strutturali ben definiti sono molto recenti.

Le travi in vetro possono essere suddivise in: travi stratificate a parete continua, travi stratificate discontinue con giunzioni ad attrito, travi stratificate discontinue con giunzione a spinotto, travi in sezione mista e travi stratificate con armatura attiva.

Travi stratificate a parete continua

Un interessante esempio di impiego di travi stratificate a parete continua è costituito dalla passerella pedonale progettata da Robert Nijsse nel 1993 per collegare due edifici a Rotterdam.

Questo piccolo ponte di vetro, completamente chiuso, poggia su due travi portanti in vetro stratificato di luce 3.2 m con intradosso curvo ed altezza massima di 300mm.

Le travi portanti, alte 300mm, sono ottenute mediante laminazione di tre lastre da 10mm, mentre per il piano di calpestio è stato impiegato un pannello stratificato composto da due lastre da 15mm connesso alle membrature principali mediante silicone strutturale.

Il tipo di vetro impiegato è float ricotto, il quale, anche se molto meno resistente di quello temperato, in fase di rottura si frammenta in grandi elementi consentendo alle lastre stratificate di sviluppare un miglior comportamento post- critico.

La componente metallica è limitata a pochi collegamenti puntuali in acciaio

inox di dimensioni molto contenute.

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Figura 1.36 Casa di abitazione, Hampstead, Ing. L. Dewhurst & T. MacFarane, Arch. R.

Mather, 1989-1992.

La soluzione appena descritta è stata applicata successivamente dallo studio architettonico Antenna e da Tim MacFarlane nell’ampliamento del museo di Kingswindorf in Inghilterra.

Figura 1.37 Broadfield House Glass Museum, Gran Bretagna, Ing.

Dewhurst Macfarlane & Partner, Arch. Design Antenna, 1994.

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Travi stratificate discontinue con giunzioni ad attrito

In presenza di luci superiori ai 5-6 m le esigenze di trasposto e la massima dimensione delle lastre non permettono la realizzazione di travi stratificate a parete continua. Per coprire tali luci è necessario realizzare travi formate da elementi vitrei di lunghezza inferiore opportunamente giuntati, ad oggi esiste un sistema di collegamento ad attrito ed un sistema di collegamento a spinotto.

Una giunzione che sfrutta l’attrito per trasmettere gli sforzi tra le lastre di vetro è quella che adotta coprigiunti in acciaio.

È necessario evitare il contatto diretto acciaio-vetro mediante l’interposizione di nylon, neoprene, alluminio, o fogli di materiale plastico.

Questa soluzione è stata adottata per le travi da 8m dell’ Arab Urban Development Institute Reading Room a Riyadh, realizzato nel 1998 da L.

Dewhurst e T. MacFarlane.

Figura 1.38 Arab Urban Development Institute Reading Room, Riyadh, Arabia Saudita, Ing. L. Dewhurst & T. MacFarane, Arch. N.

Fanous, 1998.

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Figura 1.40 Wolfson Medical School, University of Glasgow, Glasgow, Ing. Arup Façade Ingeneering, Arch Reiach & Hall, 2001.

Travi stratificate discontinue con giunzioni a spinotto

Le travi stratificate composte con giunzione a spinotto sono state impiegate da Dewhurst Macfarlane nel 1996 nel progetto della pensilina che copre la scala di accesso alla stazione Yurakucho, nei pressi del Tokyo Internatonal Forum.

La copertura vitrea della pensilina è sostenuta da tre nervature a sbalzo, di

aggetto di 10.6m, ottenute dall’assemblaggio in serie ed in parallelo di diversi

segmenti reciprocamente collegati con spinotti metallici.

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Figura 1.41 Yurakucho Glass Canopy, Tokyo, Ing. Dewhurst Macfarlane, Arch. R. Viñoly, 1996.

Figura 1.42Yurakucho Glass Canopy, Tokyo. Particolare dei collegamenti.

Adottando lo stesso principio Ludwig & Wieler hanno realizzato nel 2001 una

copertura di 14.5m di luce a Monaco di Baviera.

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Figura 1.43 Copertura IHK München, Monaco di Baviera, Ing. Ludwig & Weiler, Arch.

Betsch & Betsch, 2001.

Travi in sezione mista ad armatura passiva

Nelle travi in sezione mista ad armatura passiva gli sforzi di trazione sono assorbiti dall’armatura. Questa soluzione però non migliora le risorse statiche in esercizio ma esclusivamente il comportamento in caso di rottura delle lastre.

Sono attualmente in fase di studio varie tipologie di travi miste che accoppiano al vetro vari materiali, quali acciaio, fibre di carbonio e calcestruzzo.

Un interessante utilizzo di travi in sezione mista si osserva nella Loggia dei Vicari ad Arquà Petrarca a Padova, dove l’Ing. Palumbo nei lavori di restauro ha impiegato delle travi di vetro annealed con armatura di fibra di carbonio incollata al lembo inferiore.

Figura 1.44 Loggia dei Vicari, Arquà Petrarca, Padova, Ing. M Palumbo.

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Travi stratificate con armatura attiva

Le travi stratificate con armatura attiva sono caratterizzate dalla presenza di un rinforzo metallico o fibroso applicato alla trave e sottoposto a trazione facendo contrasto sulla trave stessa.

Il principio è lo stesso impiegato nelle travi presollecitate in cemento armato o in acciaio. La precompressione induce un campo di tensioni di compressione nel vetro che migliora le prestazioni sotto i carichi di esercizio, mentre in fase post- critica si ha lo stesso comportamento offerto dalle armature passive.

Un interessante applicazione di travi continue stratificate con armatura attiva, formata da barre di acciaio inox, si osserva nella copertura vitrea delle terme di Badenweiler in Germania, realizzata nel 2004 da J. Schlaich e R. Bergermann.

Figura 1.45 Terme di Badenweiler, Germania, Ing. Schlaich Bergermann & Partner, 2004.

Le travi hanno lunghezza 6m e presentano estradosso curvo, sono laminate e prive di giunzioni intermedie in quanto sono ottenute con lastre lunghe 6m.

Ogni trave è composta da tre lastre temperate stratificate (quelle esterne spesse 10mm e quella interna 15mm). La lastra centrale ha un’altezza minore di 10mm rispetto alle due lastre esterne per ottenere l’alloggiamento del cavo di armatura formato da una barra di acciaio inox da 10mm.

Alcuni prototipi di travi in vetro con armature sia attive che passive sono stati

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