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Metilfenidato: effetti a livello genico

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Academic year: 2021

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Alla mia famiglia,

che senza di me

chissà dove sarebbe....

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INDICE

INTRODUZIONE...3

● ADHD (Sindrome da deficit dell'attenzione/iperattività)...3

● Farmacocinetica – Farmacodinamica...4

● Efficacia clinica...5

● Uso ed abuso...6

MACCANISMO D'AZIONE E CONSEGUENZE TERAPEUTICHE...8

ALTERAZIONI A CARICO DELLA CREATINA CHINASI...15

POTENZIALE INDUZIONE DI DANNO GENOMICO...23

ALTERAZIONE COMPORTAMENTALE DURANTE L'ATTIVITA' DIURNA NEI MODELLI DI RATTI ADULTI...28

METILFENIDATO: STESSI EFFETTI SUL GENE REGOLATORE...33

CONCLUSIONI...43

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INTRODUZIONE

Il Metilfenidato (MPD) è uno psicostimolante dell'acido ritalinico usato nel trattamento del disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività (ADHD), diagnosticato nel 3-7 % dei bambini in età scolastica. Brevettato nel 1954 dalla Ciba Pharmaceutical Company (successivamente diventata Novartis), viene prodotto negli Stati Uniti i quali ne sono i principali consumatori. La vendita di MPD è stata approvata anche in alcuni stati europei, come il Regno Unito e la Germania, ma il numero di prescrizioni è nettamente inferiore al dato statunitense. Il principale meccanismo d'azione è quello di inibire il re-upteke della Dopamina (DA) neuronale, aumentando il suo periodo di permanenza nel vallo sinaptico ed aumentando di conseguenza la stimolazione dei recettori post-sinaptici della stessa DA (D1, D2, D3). Sebbene l'eziologia di questa condizione sia sconosciuta, l'MPD è stato usato con successo sino dal 1960 per controllare i sintomi da ADHD. Negli ultimi due decenni, il numero di bambini, adolescenti e adulti a cui è stato prescritto il MPD per questo scopo è aumentato.

Definizione di Sindrome da deficit di attenzione/iperattività

La sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD) è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell'adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. La sindrome si manifesta

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generalmente prima dei 7 anni di età.

La terapia prevede due modalità terapeutiche per l'ADHD: ● Farmacologica; con psicostimolanti

● Comportamentale; con vari interventi psicosociali

Anche per quanto concerne gli approcci terapeutici vi sono differenze tra Europa e USA. In Europa, dove la prescrizione è più ristretta anche per normative regolatorie, le linee-guida prevedono inizialmente interventi psicosociali (modifiche comportamentali, terapia cognitiva, terapia di famiglia, ecc). Negli USA invece prevale sin dall'inizio l'indicazione per il trattamento farmacologico. In entrambi gli approcci risulta tuttavia ampia la variabilità per quanto concerne la durata della terapia, l'osservazione, il tasso di efficacia e i criteri utilizzati per la sua stima e il MPD rappresenta il farmaco di prma scelta per l'ADHD.

Farmacocinetica-Farmacodinamica

Nei bambini, il picco di concentrazioni ematiche è raggiunto dopo circa 2 ore dalla somministrazione orale, con una durata di azione di 1-4 ore e una emivita di 2-3 ore. La relazione dose/risposta del MPD è molto variabile, ed è associata alla fase di incremento dei livelli ematici del farmaco, così che il dosaggio deve essere individualizzato. Nei paesi in cui il farmaco è in commercio, è disponibile in compresse da 5-10-20 mg; negli USA anche in capsule a rilascio modificato da 20 mg. In considerazione del profilo cinetico e dinamico è necessario somministrare

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più dosi giornaliere. In genere si inizia con un dosaggio da 5 mg due volte al giorno, che può essere poi incrementato fino a 60 mg/die in 2-3 somministrazioni. Alla sospensione, alcuni bambini possono mostrare un effetto rebound con esacerbazione dei disturbi comportamentali. Tale effetto può essere prevenuto con uno schema terapeutico che preveda un dosaggio maggiore al mattino seguito da dosi inferiori durante la giornata, o usando formulazioni a rilascio modificato.

Efficacia clinica

I risultati di studi clinici hanno evidenziato che la somministrazione è efficace in circa il 70% dei bambini con ADHD. La comparsa dell'effetto del farmaco è rapida; a volte è possibile notare miglioramenti già dal primo giorno di somministrazione. Una settimana di trattamento è in genere sufficiente per ottenere benefici valutabili anche in ambito scolastico: aumento dell'attenzione, della capacità di portare a termine i compiti e dell'organizzazione della scrittura, oltre alla riduzione dell'impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali conflittuali. Negli studi finora condotti è stato notato che la stessa dose di MPD può tuttavia produrre nei diversi bambini con ADHD cambiamenti in positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di valutazione usato. Questo paradosso evidenzia l'eterogeneità delle misure finora utilizzate nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all'analisi del rendimento scolastico del bambino. Bisogna inoltre considerare che

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circa il 20-30% dei bambini con ADHD non risponde al MPD. Questi bambini risponderebbero invece al trattamento con anfetamina. I fattori che sembrano limitare l'efficacia del farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico (sintomi che nei bambini con ADHD il MPD migliora), la concomitanza con lesioni organiche e neuroevolutive, e la presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli. Tutti questi elementi riconducono anche alla difficoltà di eterogeneità della definizione diagnostica di questa sindrome. Mentre l'efficacia nel breve periodo è ben documentata, le conoscenze sui potenziali effetti negativi a lungo termine sono molto ridotte rispetto agli studi che riguardano l'efficacia del trattamento. Finora, sono stati esaminati effetti sullo sviluppo della crescita e del peso, nonché sulla dipendenza. I risultati mostrano una leggera, e nella maggior parte dei casi, transitoria diminuzione nell'accelerazione in altezza e un effetto protettivo in materia di comportamento da dipendenza, vale a dire che il rischio per lo sviluppo di abusi di alcool e droga è ridotto (Huss 2004).

Uso ed abuso

Sebbene l'eziologia di questa condizione è sconosciuta, l'MPD è stato usato con successo sino dal 1960 per controllare i sintomi da ADHD. Negli ultimi due decenni, il numero di bambini, adolescenti, adulti a cui è stato prescritto il MPD

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per questo scopo è aumentato. Tuttavia, ci sono questioni allarmanti che sono emerse con questa tendenza.

Primo: bambini di due anni di età a cui è stato diagnosticato ADHD sono stati

trattati con farmaci psicostimolanti. Non solo questa diagnosi clinica è difficile da fare in giovane età, e potrebbe quindi portare ad inutili esposizioni al farmaco, ma le conseguenze del trattamento a lungo termine con psicostimolanti durante questo delicato periodo di sviluppo cerebrale, sono poco chiare;

Secondo: una volta risolto l'uso di prescrizione si hanno anche relazioni di uso

illecito di MPD tra i giovani, dalla scuola media attraverso il college. Per esempio, dalle indagini è emerso che fino al 16% degli studenti universitari fanno uso di metilfenidato per aumentare l'attenzione nel corso dello studio, o per ottenere un elevato rendimento. La maggior parte degli abusi riguarda la somministrazione del farmaco per via orale, ma nell'ambiente ricreativo l'uso di MPD endonasale non è raro, ed è stata riportata anche la somministrazione endovenosa, con conseguente esposizione a livelli più elevati della sostanza. Preoccupante, nonostante il suo uso da decenni, che gli effetti a lungo termine siano rimasti in gran parte ignoti. Per esempio non è chiaro se l'esposizione ripetuta a MPD produca modificazioni neuronali, e se l'MPD induce cambiamenti molecolari aumentando la suscettiblità a successivi disturbi da abuso di sostanze stupefacenti. La ricerca nel ultimi dieci anni ha iniziato a chiarire l'effetto che hanno i neuroni all'esposizione all'MPD.

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MECCANISMO D'AZIONE E CONSEGUENZE TERAPEUTICHE

Alterazioni indotte nel traffico e nell'attività delle vescicole sinaptiche

Il MPD legandosi ai trasportatori neuronali di DA, blocca il trasporto di DA verso l'interno nelle cellule neuronali (Wayment, H.K. et al., 1999). Il MPD influisce anche indirettamente sul trasporto di DA mediante il trasportatore vescicolare mono amminico-2 (VMAT-2), una proteina che trasporta la DA citoplasmatica dentro le vescicole sinaptiche all'interno delle cellule neuronali per l'immagazzinamento e il successivo rilascio ( Truong, J.G. et al., 2004). Il VMAT-2 è il solo trasportatore responsabile per il sequestro della DA citoplasmatica all'interno delle vescicole, e le alterazioni delle funzioni VMAT-2 possono in questo modo regolare ambedue i livelli intra ed extra neuronali di DA ed i successivi eventi post-sinaptici. Una recente attenzione si è focalizzata sulla regolazione farmacologica del VMAT-2 citoplasmatico contenente vescicole (quelle vescicole che non si co-frazionano con le membrane sinaptosomiali dopo la lisi osmotica) isolate dai lisati dei sinaptosomi dello striato del ratto. La somministrazione in vivo del MPD aumenta il trasporto di DA nelle vescicole citoplasmatiche purificate dallo striato dei ratti trattati con MPD (. Questo aumento avviene in concomitanza con una redistribuzione di proteina VMAT-2 dalla frazione di vescicola associata alla membrana (quelle vescicole che si co-frazionano con le membrane sinaptosomiali dopo la lisi osmotica) dentro la

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frazione di vescicola citoplasmatica e ambedue i fenomeni sono mediati dai recettori della DA: D1 e D2.

Questo studio esamina gli effetti della somministrazione di MPD sul VMAT-2 sia nelle vescicole citoplasmatiche che in quelle associate alla membrana. I dati riportati qui e quelli riportati precedentemente (Volz, T.J. et al., 2007) mostrano che il traffico, la funzione di sequestro di DA, il contenuto di DA, e la funzione di rilascio di DA esocitosica sia delle vescicole citoplasmatiche che delle vescicole sinaptiche associate alla membrana, può essere farmacologicamente manipolata da un trattamento in vivo con MPD. Queste scoperte possono fornire importanti osservazioni utili per comprendere e trattare disturbi che coinvolgono una anormale trasmissione di DA inclusi l'abuso di droga, il morbo di Parkinson e il disturbo da deficit dell'attenzione e iperattività.

I risultati presentati nella tabella 1 dimostrano che le vescicole sinaptiche contenenti il VMAT-2 sono distribuite irregolarmente tra i 2 gruppi di vescicole isolati dai lisati dei sinaptosomi striatali del ratto.

VMAT-2 [³H]DHTBZ

immunoreactivity binding

Cytoplasmatic vesicles 32±3% 25±6%

Membrane-associated 68±8% 75±6%

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I dati provenienti dagli esperimenti di immunoreattività VMAT-2 e da [³H] DHTB2 binding indicano che, approssimativamente il 70% del VMAT-2 isolato dai sinaptosomi striatali del ratto è contenuto nelle frazioni di vescicola associate alla membrana e che approssimativamente il 30% del VMAT-2 è contenuto nelle frazioni di vescicola citoplasmatica. Abbiamo quindi esaminato gli effetti di MPD sui due gruppi di vescicole. Come viene mostrato nella tabella 2, una singola iniezione di MPD (40 mg/Kg) ha aumentato e diminuito l'immunoreattività VMAT-2 rispettivamente nelle vescicole citoplasmatiche e in quelle associate alla membrana.

Questi cambiamenti indotti da MPD nell'immunoreattività VMAT-2 sono avvenuti in concomitanza con un aumento delle velocità di trasporto della DA in ogni frazione vescicolare (TAB.2). Oltre all'incremento delle velocità di trasporto della DA, la somministrazione di MPD ha aumentato il contenuto di DA sia nelle frazioni di vescicola citoplasmatica che in quelle associate alla membrana senza cambiare il contenuto di DA nell'intero tessuto striatale (TAB.3).

Saline MPD Saline MPD VMAT-2 immunoreactivity DA transport velocity

Cytoplasmatic vesicles 174±9 304±9 2,4±0,3 3,6±0,2

Membrane-associated 222±13 126±6 0,20±0,03 0,52±0,02

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Come mostrato nella tabella 4 la somministrazione di MPD ha aumentato anche la quantità e la velocità iniziale di rilascio di DA stimolato da K+ dalle sospensioni striatali del ratto.

La somministrazione del farmaco psicostimolante ampiamente descritto (MPD), aumenta il trasporto di DA nelle vescicole citoplasmatiche purificate dallo striato dei ratti trattati con MPD. Questo aumento avviene in concomitanza con una redistribuzione di proteina VMAT-2 dalla frazione di vescicola associata alla membrana dentro la frazione di vescicola citoplasmatica.

Saline MPD DA content Cytoplasmatic vesicles 15,0±0,7 46±2 Membrane-associated 42±2 81±2 vesicles Whole striatum 8826±1312 9240±621 Saline MPD Saline MPD DA release velocity Magnitude of DA release

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Questi fenomeni possono essere manipolati farmacologicamente poiché un recettore agonista D2 della DA imita gli effetti del MPD, ed il pre-trattamento in vivo sia con un recettore antagonista D1 che D2 attenua i cambiamenti indotti dal MPD.

Questo studio vuole ampliare queste scoperte esaminando gli effetti del MPD su ambedue i gruppi di vescicole isolate dai lisati dei sinaptosomi striatali del ratto. Le vescicole sinaptiche contenenti il VMAT-2 sono distribuite irregolarmente tra i due gruppi di vescicole, con la frazione di vescicola associata alla membrana contenente la maggior parte del VMAT-2 isolato dai sinaptosomi (TAB.1). I risultati presentati nella tabella 2 confermano le scoperte fatte in precedenza, cioè che una singola iniezione di MPD (40 mg/Kg, s.c., una dose usata in precedenza per studiare il traffico vescicolare indotto da MPD) ridistribuisce il VMAT-2 all'interno dei terminali nervosi sinaptosomiali e al citoplasma, come notato un'ora dopo il trattamento. Questa ridistribuzione di vescicole al citoplasma indotta dal MPD risulta in un aumento nel trasporto di DA nella frazione di vescicola citoplasmatica come mostrato nella tabella 2. Da notare che il MPD up-regola in modo cinetico il numero diminuito di VMAT-2 restando nella frazione di vescicola associata alla membrana in modo tale che il trasporto di DA in questa frazione di vescicola viene aumentato anch'esso (TAB.2). Questi aumenti indotti dal MPD nel trasporto di DA nelle frazioni di vescicola associata alla membrana e in quella citoplasmatica hanno numerose interessanti conseguenze funzionali. L'aumento nel trasporto di DA (causato dal traffico di vescicole nelle vescicole citoplasmatiche e dalla up-regulation cinetica di VMAT-2 nelle vescicole associate

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alla membrana) ha come risultato un aumento nel contenuto di DA in ambedue le frazioni vescicolari, con nessun cambiamento nel contenuto di DA nell'intero tessuto striatale (TAB.3).

Aumentando la velocità di trasporto di DA vescicolare, la somministrazione di MPD ha come risultato, di conseguenza, una ridistribuzione di DA dentro lo striato dal citoplasma e dentro le vescicole. Una importante implicazione terapeutica di questi dati riguarda gli effetti neurotossici dello psicostimolante, metanfetamina. La somministrazione di metanfetamina produce un abnorme accumulo di DA citoplasmatica e la susseguente formazione di specie reattive dell'ossigeno associato alla DA, portando in questo modo ad un danno permanente sia nel campione umano che in quello animale (Volkow, N.D. Et al., 2001) . I dati qui presentati rivelano che la somministrazione di MPD favorisce il sequestro di DA citoplasmatica nelle vescicole sinaptiche citoplasmatiche e in quelle associate alla membrana. Queste scoperte, probabilmente, sono alla base dell'abilità, del post-trattamento con MPD in vivo, di esercitare una protezione contro la neurotossicità indotta da metanfetamina in un campione animale (Sandoval, V. et al., 2003). Una anormale disposizione di DA contribuisce inoltre probabilmente allo sviluppo del morbo di Parkinson (Jenner, P. 1998), e gli aumenti indotti da MPD nel trasporto di DA vescicolare e il sequestro di DA possono esercitare una protezione anche per questo stato di malattia. Considerando tutto ciò, è da notare che il trattamento con MPD migliora l'andatura e la funzione motoria (Devos, D. et al., 2007) come pure la funzione cognitiva (Auriel, E. et al., 2006) negli esseri umani affetti dal morbo di Parkinson.

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Un'altra conseguenza funzionale degli aumenti indotti da MPD nel trasporto di DA vescicolare e nel contenuto di DA, è un aumento indotto da MPD nella velocità e nel grado di rilascio di DA stimolata dalle sospensioni striatali (tabella 4). poiché sia gli importi di contenuto di DA vescicolare, sia la velocità di rilascio del neurotrasmettitore possono influenzare l'attivazione dei recettori (Liu, G. 2003), queste scoperte indicano l'importante implicazione terapeutica che il trattamento con MPD influenzi la trasmissione sinaptica quantal nello striato, aumentando l'indice al quale i recettori della DA vengono esposti a DA e probabilmente la grandezza e/o la durata di questo effetto.

Presi assieme, questi dati mostrano che il traffico, la funzione di sequestro della DA, il contenuto di DA e la funzione di rilascio di DA esocitosica delle vescicole sinaptiche possono essere tutti manipolati farmacologicamente mediante un trattamento con MPD in vivo. Queste scoperte possono fornire importanti osservazioni utili per comprendere e trattare disturbi che coinvolgono una anormale trasmissione di DA, inclusi l'abuso di droga, il morbo di Parkinson ed il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

Una considerevole parte della comunità scientifica critica l'uso del MPD nei bambini e considera inopportuno il trattamento di bambini con sostanze stupefacenti, tanto più che il numero di bambini trattati con psicostimolanti è aumentato drasticamente negli anni. I sostenitori rispondono che questa preoccupazione sia infondata, ma recenti studi scientifici stanno tentando di dimostrare che il MPD, al di là della sua attività terapeutica, possa causare effetti

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collaterali nel breve e nel lungo periodo quali:

– aumento dell'attività della creatina chinasi nel cervello

– induzione a danno genomico con effetti mutageni e cancerogeni – alterazione comportamentale durante l'attività diurna

– effetti sul gene regolatore paragonabili a quelli della cocaina

Alterazioni a carico dell'enzima Creatina Chinasi

Il principale meccanismo d'azione del MPD è quello di aumentare la trasmissione della dopamina (DA) attraverso molteplici azioni incluso il blocco del trasportatore del re-uptake della DA e l'amplificazione della durata della risposta dopaminica. La grande diffusione dell'ADHD e il maggiore uso terapeutico del MPD sollevano dei dubbi riguardanti i suoi eff1etti collaterali a lungo termine e il suo profilo di sicurezza (Klein, Schwartz 2003). I sintomi speso persistono nell'adolescenza e le conseguenze a lungo termine includono un basso rendimento di occupazione ed un maggiore rischio di sviluppo di altri disturbi psichiatrici (Mannuzza et al., 1997,1998).

Alcuni studi recenti hanno mostrato gli effetti a breve e a lungo termine del MPD. È stato dimostrato che l'esposizione durante l'età dello sviluppo ad alte dosi terapeutiche di MPD ha effetti a breve termine sui neurotrasmettitori nelle regioni

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cerebrali coinvolte nella stimolazione comportamentale, nell'apprendimento, nell'appetito e nello stress. La modulazione cronica causata dal MPD sui giovani cervelli può avere effetti sulla neurochimica cerebrale, che modifica alcuni comportamenti nell'età adulta (Gray et al., 2007). In un altro studio, i ratti sottoposti a somministrazione cronica di MPD nel periodo adolescenziale hanno mostrato una maggiore sensibilizzazione locomotoria all'anfetamina ma non al MPD nella fase adulta. Queste scoperte suggeriscono che l'esposizione in giovane età al MPD potrebbe aumentare il rischio di un successivo abuso alle anfetamine (Valvassori et al., 2007). Altri studi hanno mostrato che una singola somministrazione di MPD su ratti giovani ha indotto un'immediata attivazione di geni e questa risposta è stata ottenuta dall'acronica somministrazione di MPD. Il mutamento dei geni di espressione nello striato dei ratti in fase di sviluppo indotto dal MPD potrebbe avere implicazioni nell'uso cronico di MPD nei bambini (Chase et al., 2003, 2007). Inoltre, il MPD ha presentato un effetto minimo sull'espressione del fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF). Infine è stato dimostrato che il MPD ha effetti sulla trascrizione delle proteine regolatrici e sulla loro modulazione e sulla plasticità sinaptica in specifici circuiti corticostriatali, inclusi quelli coinvolti nelle funzioni di attenzione e nella dipendenza agli psicostimolanti. Una tale regolazione di geni indotta dal MPD potrebbe contribuire sugli effetti terapeutici e/o sulla predisposizione all'abuso a questo psicostimolante. La Creatina Chinasi (CK) è importante per la normale omeostasi dell'energia poiché esercita numerose funzioni complementari come il temporale buffering energetico, la capacità metabolica, il trasferimento

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dell'energia e il controllo metabolico. Il cervello come altri tessuti che presentano alti e variabili tassi di metabolismo di ATP presenta un'alta concentrazione di fosfocreatina e attività di CK. È stato bene descritto che l'inibizione dell'attività di CK è stata implicata nella patogenesi di numerose malattie specialmente del cervello (Schlattner, Wallimann et al., 2000). Quindi, in questo studio è stata misurata l'attività di CK nel cervello dei ratti giovani e adulti a una somministrazione intensa (1 iniezione) o cronica (28 gg) di MPD.

I risultati hanno dimostrato che la somministrazione intensa di MPD ha aumentato l'enzima nella corteccia pre-frontale (2 e 10 mg/kg), nell'ippocampo (10 mg/kg), nello striato (10 mg/kg) e nella corteccia cerebrale (10 mg/kg) dei giovani ratti. Però l'attività di CK non è stata alterata nel cervelletto dei giovani ratti in seguito alla somministrazione intensa di MPD. La somministrazione cronica di MPD ha inoltre aumentato la CK nel cervello dei giovani ratti; nel cervelletto e nella corteccia cerebrale a 10 mg/kg e nella pre-frontale, ippocampo e striato a 2 e 10 mg/kg. La somministrazione intensa di MPD 10 mg/kg ha aumentato l'attività di CK nella corteccia pre-frontale,nell'ippocampo, nello striato e nella corteccia dei ratti adulti ma non nel cervelletto. Infine anche la somministrazione cronica di MPD (10 mg/kg) ha aumentato il CK nel cervello dei ratti adulti.

Gli effetti del MPD sul metabolismo cerebrale sono ancora poco conosciuti. Sono state misurate le quantità di glucosio cerebrale utilizzato dai ratti in seguito alla somministrazione intensa di MPD in dosi varianti da 1,25 a 15 mg/kg. Questo studio ha riportato importanti alterazioni dipendenti dalla dose nell'attività metabolica nei componenti del sistema extra-piramidale, nel nucleo Accumbens e

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nei tubercoli olfattivi (Porrino e Lucignani 1987). È stato anche recentemente riportato che la somministrazione cronica di MPD ha aumentato l'attività enzimatica a catena della respirazione mitocondriale nel cervello dei giovani ratti (Fagundes et al., 2007). Considerando che gli effetti del MPD sul metabolismo cerebrale sono ancora poco conosciuti e che il CK svolge un ruolo importante nell'omeostasi dell'energia cellulare, abbiamo misurato l'attività di CK nel cervello dei ratti giovani e adulti in seguito a somministrazione di MPD intensa (1 sola iniezione) o cronica (28 gg).

Il CK svolge un ruolo importante nella rapida rigenerazione dell'adenosinatrifostato (ATP) nei tessuti ad alto consumo di energia come il cervello, la muscolatura scheletrica ed il cuore, dove funziona da reale sistema di tamponamento dei livelli di ATP cellulare. L'enzima catalizza il trasferimento reversibile di un gruppo fosforile dall'ATP alla creatina producendo fosfocreatina e adenosinadifosfato (ADP) (Wallimann et al., 1992). È stato ampiamente dimostrato che una diminuzione nell'attività di CK è associata a un passaggio neurodegenerativo risultante in una perdita neuronale che può seguire in ischemia cerebrale (Tominoto et al., 1993), malattie neurovegetative (Aksenov et al., 2000) ed altri stati patologici (Streck et al., 2008). Inoltre abbiamo recentemente dimostrato che l'attività cerebrale di CK viene inibita dagli anti-psicotici (ALOPERIDOLO e OLANZAPINE) (Assis et al., 2007) dopo uno shock-elettroconvulsivo (Burigo et al., 2006) e mediante un preparato al rutenio (Zanette et al., 2007).

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aumentata dalla somministrazione intensa o cronica di MPD nel cervello di ratti giovani e adulti. I nostri risultati hanno dimostrato che la somministrazione intensa di MPD ha aumentato l'attività di CK nella corteccia pre-frontale, nell'ippocampo, nello striato e nella corteccia cerebrale dei ratti giovani e adulti alla dose maggiore (10 mg/kg) (scelta come modello di uso ricreativo). Abbiamo poi accertato che la dose intermedia (2,0 mg/kg), cioè la dose terapeutica per la cura della ADHD ha aumentato l'attività di CK solo nella corteccia pre-frontale dei ratti giovani. Inoltre la somministrazione intensa di MPD non ha alterato l'attività di CK nel cervelletto di ratti giovani e adulti. Però la somministrazione cronica di MPD ha aumentato l'attività di CK nel cervello (cervelletto, corteccia pre-frontale, ippocampo, striato e corteccia cerebrale) dei giovani ratti, alla dose maggiore (10 mg/kg). Inoltre la dose intermedia (2,0 mg/kg) di MPD ha aumentato l'attività enzimatica nell'ippocampo nello striato e nella corteccia pre-frontale dei giovani ratti.

Nei ratti adulti, in seguito ad una somministrazione intensa di MPD alla dose maggiore (10 mg/kg), l'attività di CK è aumentata nella corteccia pre-frontale, nell'ippocampo, nello striato e nella corteccia cerebrale ma non nel cervelletto. Infine la somministrazione cronica di MPD (solo nella dose 10 mg/kg) ha aumentato l'attività di CK nel cervello (cervelletto, corteccia pre-frontale, ippocampo, striato e corteccia cerebrale) nel gruppo di ratti adulti. La somministrazione intensa alla dose maggiore si MPD (10 mg/kg) nei ratti giovani ha prodotto gli stessi effetti che ha avuto nei ratti adulti. La somministrazione intensa della dose intermedia (2,0 mg/kg) di questo farmaco non ha cambiato

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l'attività di CK in nessuna zona cerebrale studiata da noi, eccetto per la corteccia pre-frontale nei giovani ratti. La somministrazione cronica alla dose maggiore di MPD ha aumentato l'attività di CK nel cervello dei ratti giovani incluso il cervelletto. Anche la dose intermedia ha aumentato l'attività enzimatica nella corteccia pre-frontale nell'ippocampo e nello striato. Nel gruppo dei ratti adulti, solo la somministrazione cronica alla dose maggiore di MPD ha aumentato l'attività di CK. È possibile che non siano state trovate importanti differenze tra il gruppo dei ratti giovani e quello dei ratti adulti semplicemente perchè il gruppo dei ratti giovani era già troppo vicino all'età adulta.

In questo contesto, i risultati ottenuti potrebbero essere messi in relazione al lavoro eseguito da KOLB et al (2003), il quale ha riportato che la somministrazione di sostanze psicostimolanti (anfetamina e cocaina) promuove la crescita neuronale in alcune zone cerebrali dei ratti. È stato ipotizzato se i risultati riportati da KOLB et al (2003) possano essere associati con l'aumento dell'attività di CK, poiché questo enzima produce grandi quantità di ATP. D'altra parte, RICAURTE et al (2005) ha dimostrato che la somministrazione dell'anfetamina, simile a quella usata clinicamente per l'ADHD degli adulti, danneggia le terminazioni nervose dopaminergiche nello striato di primati adulti non umani. I meccanismi alla base degli effetti collaterali e terapeutici del MPD non sono ancora chiaramente compresi. È noto che il MPD blocchi i trasportatori della DA e che tale comportamento da agonista indiretto della DA potrebbe essere importante per i suoi effetti terapeutici. Inoltre, prove provenienti dalla letteratura attinenti all'argomento suggeriscono che il MPD presenti profondi effetti

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neuro-biologici a lungo termine (Yano, Steiner et al., 2007). Numerosi studi hanno valutato gli effetti tossici del MPD sul SNC e la sua relazione con l'età e la durata di tempo di esposizione al farmaco (Yano e Steiner et al., 2005). Alcuni di questi studi hanno riportato gli effetti del MPD sul sistema nervoso centrale esposto al farmaco durante l'infanzia e l'adolescenza; i suoi effetti potrebbero essere attribuiti ad alterazioni nelle funzioni dei tessuti dopaminergici (Federici et al., 2005), nell'espressione dei geni (Chase et al., 2003,2007) ed altri cambiamenti molecolari relativi al metabolismo neuronale (Fukui et al., 2003).

L'uso ricreativo del MPD sembra essere in aumento e gli effetti di questo tipo di uso nei roditori non sono stati ancora bene studiati (Volkow, 2006). Le dosi di MPD minori di 5 mg/kg I.P. riflettono quelle usate clinicamente, mentre la dose 10 mg/kg imita l'uso ricreativo. In questo studio, abbiamo trovato effetti più pronunciati quando è stata usata la dose maggiore. In questo contesto un interessante lavoro è stato affidato a questo argomento (Botly et al., 2008). Questo lavoro è caratterizzato dall'auto-somministrazione intravenosa di MPD nei ratti e ha mostrato che la DA media i suoi effetti rinforzanti. In una interessante relazione, YANO e STEINER (2007) hanno presentato numerosi effetti a lungo termine del MPD sul cervello in fase di sviluppo. Alcuni cambiamenti, come un'alterata regolazione dei geni dei fattori di trascrizione sono simili a quelli della cocaina e delle anfetamine. Altri effetti, come l'espressione dei peptidi oppioidi e la densità delle molecole post-sinaptiche, presentano differenze tra il MPD, la cocaina e le anfetamine. Le differenze appoggiano l'ipotesi che il MPD produca minori neuroadattamenti della cocaina e dell'anfetamina.

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La diminuzione dell'energia è stata collegata alla morte neuronale e alla neurodegenerazione (Schurr et al., 2002). In questo contesto è stato dimostrato che avviene una riduzione dell'utilizzo di glucosio cerebrale locale in segiuto ad una somministrazione cronica di MPD (Porrino e Lucignani 1987).

Comunque è stato recentemente riportato che il MPD ha aumentato l'attività enzimatica della respirazione mitocondriale a catena nel cervello dei ratti (Fagundes et al., 2007). Infine è stato dimostrato che il MPD ha aumentato l'attività di CK nel cervello. Prendendo in considerazione le precedenti scoperte ed i risultati attuali è stato ipotizzato che il MPD aumenti la produzione di ATP aumentando l'attività della catena respiratoria mitocondriale, a causa del re-uptake dei neurotrasmettitori e della ristabilizzazione del gradiente ionico. Anche il sistema creatina-fosfocreatina/CK è aumentato producendo maggiore ATP nel cervello. Anche le attività di altri importanti enzimi metabolici, come quelli del ciclo di Krebs devono essere valutate.

la somministrazione intensa di MPD ha aumentato l'attività di CK nella corteccia pre-frontale nell'ippocampo, nello striato e nella corteccia cerebrale ma non nel cervelletto nei ratti giovani ed adulti. La somministrazione cronica di MPD ha anch'essa aumentato l'attività di CK in queste regioni cerebrali come anche nel cervelletto nei ratti giovani e adulti. La dose maggiore (10 mg/kg) ha presentato effetti più pronunciati. Queste scoperte suggeriscono che l'esposizione intensa o cronica al MPD ha aumentato l'attività di CK, un enzima coinvolto nell'omeostasi energetica nel cervello di ratti giovani e adulti.

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Potenziale induzione di danno genomico

Nel 2005 uno studio condotto da El-Zein et al. ha scoperto un triplo aumento del danno genomico osservato nei linfociti di 12 bambini dopo una terapia di tre mesi con MPD. Dal grande studio di coorte fu dimostrata un'associazione del danno genomico con l'incidenza del cancro (Bonassi et al 2006), e un incremento del rischio di mutagenesi e cancerogenesi appariva plausibile. Fino ad allora il composto era stato definito come non genotossico.

Di recente sono state fornite nuove informazioni sugli effetti del MPD sull'integrità genomica osservata nei linfociti periferici dei bambini affetti da ADHD (Walitza et al. 2007). In uno studio prospettico è stato analizzato il danno genomico in 38 bambini prima, in gruppo di altri 30 bambini ad un mese dall'inizio della terapia con MPD, in un altro di 21 a tre mesi ed in uno di 8 a sei mesi. L'esito del danno genomico è stato la frequenza dei micronuclei, un sottoinsieme di abbreviazioni cromosomiche nei linfociti sanguigni periferici. In questo studio il trattamento con MPD non presentava alcuna significativa alterazione della frequenza dei micronuclei.

Nello studio condotto da El-Zein et al. (2005) 12 bambini con ADHD sono stati curati per tre mesi con MPD ed il danno genomico era stato valutato prima e dopo. Sono stati riscontrati aumenti di 3; 4,3; e 2,4 volte, rispettivamente, di abbreviazioni cromosomiche (12 casi), di scambi tra cromatidi fratelli (11casi), di frequenze di micronuclei (11 casi).

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Nello studio di Walitza et al., non si è riscontrata alcuna significativa frequenza nell'alterazione del micronucleo. Dato che tutti e tre gli endpiont investigativi risultavano aumentati nello studio di El-Zein, si sarebbe dovuto notare un potenziale aumento di danno genomico analizzando la frequenza del micronucleo e non si ha conoscenza di variazioni tra metodi/procedure o differenze nelle dosi o della forma farmaceutica di MPD. El-Zein e i suoi collaboratori escludevano che nei cambiamenti di salute dei pazienti l'ambiente, la dieta o lo stile di vita costituissero la causa dell'aumento del livello di danno citogenetico.

Poichè El-Zein et al. aveva valutato solo una volta il punto dopo l'inizio del trattamento con mph, non è impossibile che i loro elevati numeri rappresentino tali eventi isolati. Un'altra possibilità potrebbe essere trovata nei polimorfismi del citocromo p450. È stato pubblicato che il MPH diminuiva la totale concentrazione epatica di cyp450 nei topi e alterava l'attività catalitica e/o il livello polipeptidico di cyp1a, cyp2e1 e cyp3a (Le Nedelec e Rosengren 2002). quindi, i polimorfismi del cyp450 possono influenzare gli effetti del mph. Il campione del nostro studio era più omogeneo (tedesco caucasico) che il campione di El-Zein et al., composto da bambini di diverse etnie. Anche se può essere ipotizzato che ciò possa implicare un'ampia distribuzione di polimorfismi del cyp450 e una più diversa risposta di danna genomico, non può essere anche escluso che un certo fenotipo era sovrarappresentato in uno studio e mancante negli altri. Come un dato di fatto rimane che il numero di soggetti in entrambi gli studi era piccolo ( 12 in El-Zen et el. 2005 ; 21 per lo stesso punto di tempo in Walitza 2007).

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il MPH fù introdotto più di 50 fa. Al momento la sostanza non ha seguito l'approvazione degli standard odierni. Nel corso degli anni, alcuni ricercatori trovarono effetti citogenetici in vitro, i quali erano limitati o all'altezza, con possibili dosi tossiche, o erano -come discusso in dettaglio da Suter et el.(2006) - interpretati senza un confronto ad un controllo storico. Questo può tradursi in un'errata interpretazione di esperimento, sia negativo che positivo, se il campione di controllo di solito si presenta con un basso livello di danno. Nel 2003, Teo et al. utilizzarono un test di genotossicità batterica standard equivalente a quello che di solito è richiesto oggi nel processo di formale approvazione della sostanza, trovando l'MPH negativo al test di mutazione batterica e al test di mutazione della linfoma timidina chinasi dei mammiferi sul topo, con e senza attivazione metabolica, e in una prova del micronucleo del midollo osseo nei maschi e nella femmine cd-1 dei topi. Mentre una tossicità associata alla sostanza fu osservata nei test sui mammiferi, gli effetti indotti non erano di natura mutagena o clastogena. Questo è stato ulteriormente supportato da una recente pubblicazione di Sauter et al. (2006) che trovò l'MPH negativo nel test sull'aberrazione cromosomica dei linfociti umani in vitro e nel test del micronucleo del midollo osseo del topo usando topi b6c3f1. Questi autori forniscono anche una situazione sull'avanzamento del dibattito sui diversi aspetti degli studi sui test di genotossicità. Per esempio, essi descrivono il basso rischio di una minore sensibilità dei modelli di roditore, o tests di applicazione in vitro sul sistema di attivazione metabolica derivato dai roditori rispetto all'esposizione umana per motivare al differenza tra i risultati dei tests e la relazione di El-Zein, perchè le

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attuali conoscenze del metabolismo umano e dei roditori al MPD renderebbe il roditore più sensibile ai metaboliti genotossici. Essi forniscono anche un calcolo che indica che la concentrazione della sostanza nei tests di genotossicità era di diversi ordini di grandezza superiore alla concentrazione massima raggiungibile in pazienti sotto terapia all'ADHD. Andreazza et al. (2007) hanno recentemente descritto l'induzione di danni al DNA, come rilevato da una singola cellula tramite elettroforesi in gel (chiamato anche test cometa) nelle cellule del sangue e nelle cellule dello striato e dell'ipocampo dopo il trattamento acuto e cronico dei topi con MPH, ma non l'elevata formazione di micronuclei nei linfociti periferici degli stessi animali. Per diversi motivi questi risultati non sono una prova di induzione alla genotossicità da parte del MPH. Tossicità da danno cellulare, apoptosi o necrosi possono inoltre causare effetti nel test della cometa che non furono controllati. I tipi di cellule (escluse quelle del sangue periferico nel test cometa) sono interessanti da utilizzare in un tale approccio, ma non hanno avuto alcuna particolare risposta caratteristica nei test di genotossicità. Pertanto, l'inserimento di valori storici di controllo di questo laboratorio per questi particolari tipi di cellule sarebbe stato utile per stimare se la dimensione dell'effetto riguardi la variazione intra-individuale o inter-sperimentale. Infine i controlli positivi non sono stati inclusi.

Per una sostanza data cronicamente come il MPH, i test di effetti cancerogeni sui roditori (biotest) possono essere richiesti. Da una panoramica dei dati sui modelli di cancerogenesi del roditore, sono state date recenti risposte sui risultati da elevato danno genomico (Holtmann et al., 2006). L'MPH non è stato trovato

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cancerogeno in una prospettiva a lungo termine nel biotest sul ratto e nello studio del topo p53, ma ha prodotto un aumento della neoplasia epatica nei topi B6C3F1 al più alto dosaggio di prova di 55-56 mg/Kg peso corporeo/giorno, che è di circa 60 volte superiore alla dose raccomandata per i pazienti ADHD (Taylor et al. 2004). A causa di queste neoplasie epatiche, MPH è stato esaminato dal programma nazionale di tossicologia dell'istituto di scienze ambientali per la salute, U.S.A. (NTP) con l'obiettivo fornire alcune prove di attività cancerogena (NTP 1995). Tuttavia, il meccanismo di induzione di tali neoplasie al più alto dosaggio di prova, può essere diverso da un effetto mutageno o genotossico di MPH. A volte, possono verificarsi tossicità nei test a dosi più elevate, le quali possono portare, per compensazione, al un aumento della proliferazione cellulare, che può quindi aumentare il rischio di sviluppo spontaneo di malignità. MPH altera i livelli di dopamina ed è stata trovata dopamina genotossica ad alte quantità in vitro come già nel 1983 (Moldeus et al. 1983). Esso indusse pause, mutazioni nelle cellule dei mammiferi ma non nei test batterici.

Gli autori hanno suggerito che tale attività dopaminergica riguarda l'ossidazione della DA e la generazione di radicali reattivi dell'ossigeno, semichinoni e chinoni e hanno ritenuto improbabile che simili reazioni possano verificarsi e causino genotossicità in vivo. In aggiunta, i livelli della DA nel midollo osseo o nei tessuti periferici, i quali potrebbero essere rilevanti per l'induzione al danno genomico, non hanno subito alterazione in seguito ad un allungamento misurato della terapia di MPH. Nel sistema sperimentale, l'apoptosi può essere indotta dalla DA e si pensa che ciò sia mediato da uno stress ossidativo. Per esempio, Junn e

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Mouradian hanno relazionato nel 2001 che la dopamina innescò apoptosi in vitro nelle cellule del neuroblastoma sh-sy5y, il tutto verificato attraverso percorsi di segnalazione che furono avviati dalla generazione di specie reattive dell'ossigeno. Questo fu trovato prevalentemente dopo l'assorbimento di dopamina e fu inibito dall'inibitore Nomifensine dell'assorbimento dopaminico. Dopo il trattamento in vitro di linfociti periferici con dopamina, fu descritto un aumento di radicali dell'ossigeno intracellulari (Cosentino et al. 2004) ed l'induzione all'apoptosi (Cioca et al. 2000). L'induzione all'apoptosi è generalmente considerata una difesa contro la formazione di alterazioni cancerogene.

Alterazione comportamentale durante l'attività diurna nei modelli di ratti adulti

Quasi tutti gli animali hanno orologi endogeni che sincronizzano ritmicamente le funzioni fisiologiche con le loro condizioni ambientali. Nei mammiferi, gli oscillatori endogeni che regolano l'attività del ritmo circadiano includono il nucleo suprachiasmatico (SCN) dell'ipotalamo. Il SCN è sincronizzato da fattori esterni (CUES = segnali, fattori) (Zeitgebers), come il ciclo luce/buio (Minors et al., 1986), dalla retina attraverso il tratto retino-ipotalamico (Reppert et al., 2001). Questa sincronizzazione permette all'animale di essere più stabile metabolicamente e fsiologicamente; qualsiasi deviazione dal suo normale ritmo circadiano porta a condizioni patologiche che richiedono una risincronizzazione o sincronizzazione al nuovo ritmo (Wang et al., 2006). Le attività del ritmo

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circadiano dei mammiferi sono variazioni cicliche che corrispondono alle esigenze fisiologiche e comportamentali, mantenendo l'omeostasi, o la stabilità fisiologica, nonostante le variazioni nelle condizioni interne ed esterne (Dafny et al., 1973).

Gli psicostimolanti possono modificare l'attività del ritmo circadiano alterando l'espressione dei geni orologio (Schulz et al., 2006). Il trattamento cronico con gli psicostimolanti, inclusi la cocaina, l'anfetamina ed il MPD, causa effetti a lungo termine inclusi la tolleranza, la sindrome da privazione e la sensibilizzazione (Askenasy et al., 2007). La principale ipotesi dello studio è che le dosi di MPD che alterano l'attività motoria alterano anche il suo modello diurno.

L'esperimento è stato realizzato attraverso una ripetuta somministrazione di MPD a 0,6; 2,5; e 10,0 mg/kg sul modello di attività orizzontale diurna nei ratti. Dopo sei giorni di trattamento diurno, i ratti che avevano ricevuto solo salina mostravano un simile modello di attività locomotoria diurna in tutti i giorni dell'esperimento, mentre il gruppo sottoposto a 0,6 mg/kg di MPD mostrava una maggiore attività locomotoria durante il periodo di interruzione, senza cambiamenti nel modello di attività diurna. Il gruppo sottoposto a 2,5 mg/kg di MPD ha suscitato i più profondi cambiamenti sia nell'attività complessiva che nel suo modello diurno. Ciò indica che il MPD influisce sul modello di attività locomotoria diurna in un modello dose-dipendente a U rovesciata.

Questo massimo livello di effetto del MPD a 2,5 mg/kg conferma l'ipotesi che un comportamento ottimale alla sensibilizzazione al MPD avviene anche a questa dose.

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Considerando il potenziale di un sovradosaggio di MPD su pazienti affetti da ADHD ed il suo potenziale abuso da pazienti affetti da ADHD e senza ADHD (Wilens et al., 2008), queste scoperte hanno implicazioni interessanti che riguardano effetti a lungo termine del MPD. Sarà anche utile comprendere la relazione tra gli effetti del MPD e quelli di altri stimolanti sul ritmo circadiano dell'attività motoria.

L'MPD appartiene alla stessa classe di psicostimolanti della cocaina e della anfetamina. Quando viene somministrato in modo sistemico, la potenza del MPD è paragonabile a quella della cocaina e delle anfetamine (Massello et al., 1999). Questi psicostimolanti sono agonisti della dopamina (DA).

L'MPD e la cocaina si legano al trasportatore della DA e inibiscono il re-uptake della DA della sinapsi aumentando intensamente la DA sinaptica. Queste sostanze quindi aumentano in modo esponenziale la capacità di apprendimento, l'emozione e la ricompensa. Un aumentata DA sinaptica contribuisce ad effetti intensi e a lungo termine del MPD e di altri stimolanti, incluse la sensibilizzazione, la tolleranza e la dipendenza. Secondo Laakso et al. (2002) tutte le droghe di abuso portano ad aumenti delle concentrazioni extracellulari di DA nelle relative zone cerebrali. È probabile che, oltre ai loro effetti paralleli sul comportamento, sulla sensibilizzazione e sulla tolleranza gli stimolanti abbiano anche effetti sui ritmi diurni che coinvolgono l'attività motoria. I ritmi biologici degli organismi sono geneticamente codificati e sono influenzati dall'espressione di geni specifici, generalmente chiamati geni orologio. L'espressione dei geni orologio può essere modulata da certe droghe; Schulz (2006) descrive gli effetti delle droghe prescritte

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e ricreative sul ciclo sonno-veglia negli umani e suggerisce che ci sia un collegamento tra gli agenti farmacologici e l'alterazione dei geni orologio e dell'attività del ritmo circadiano. Altre relazioni suggeriscono che gli psicostimolanti modificano il modello di attività del ritmo circadiano, tramite una differente espressione dei geni orologio. Questi cambiamenti nel modello del ritmo circadiano successivi alla somministrazione di una droga sono effetti a lungo termine, che persistono oltre l'intensa esposizione alla droga e, come la sensibilizzazione comportamentale, dopo che la droga è stata eliminata dal corpo. Alcuni studi hanno stabilito una relazione tra gli psicostimolanti come la cocaina e la metanfetamina (Sokolov et al., 2003), e l'espressione dei geni orologio; considerando che il MPD appartiene alla stessa classe della cocaina e anfetamina, è ragionevole che i suoi effetti sul modello di attività orizzontale diurna possano essere secondari ai cambiamenti nell'espressione dei geni orologio assomigliando a quelli trovati con gli altri stimolanti. I nostri dati indicano che il trattamento giornaliero con il MPD provoca cambiamenti dose-dipendenti nel modello dell'attività del ritmo diurno. Se questa redistribuzione del modello di attività circadiana sia dovuto a cambiamenti nell'espressione di geni che hanno effetti primari sull'attività motoria o sui livelli di DA resta ancora da stabilirsi.

Inoltre, poiché il trattamento prolungato con il MPD ha causato un ulteriore incremento nella locomozione e nella sensibilizzazione, simile al trattamento con la cocaina o anfetamina (Gaytan et al., 1998) è possibile che gli psicostimolanti non solo inibiscono il re-uptake della DA bloccando il DAT (trasportatore DA) ma potrebbero avere indotto anche la produzione dei recettori D1 e D2 (Kleven et

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al., 1990). Questo aumento dei recettori dopaminici potrebbe avere causato l'aumento complessivo nell'attività orizzontale, portando a cambiamenti nel normale ritmo di attività motoria. Gli effetti sul gruppo sottoposto a 10 mg/kg indica che il MPD come la cocaina, può provocare sia la tolleranza che la sensibilizzazione, a seconda della dose. Nel caso della cocaina, ciò è influenzato dal fatto se la droga viene presa in modo continuo o discontinuo (Izenwasser et al., 2002), la tolleranza e la sensibilizzazione al MPD dipendono più esclusivamente dalla dose somministrata. Izenwasser et al. (2002) hanno riferito che la tolleranza e la sensibilizzazione possono esistere simultaneamente e appoggiano l'idea che il MPD possa esprimere sia la sensibilizzazione che la tolleranza a 10 mg/kg. Kleven et al. (1990) hanno osservato che le ripetute iniezioni di cocaina hanno causato diminuzione a lungo termine nei collegamenti D1 ed una diminuzione transitoria in D2 in alcune zone cerebrali, mentre ha causato la stessa cosa ma con effetti rovesciati in altre. Questa osservazione suggerisce che la diminuzione nei collegamenti dei recettori DA potrebbe essere messa in relazione all'induzione alla tolleranza per la cocaina come anche per le dosi maggiori di MPD (10 mg/kg). Un'altra possibile spiegazione è che il trattamento ripetuto con il MPD risulti nei cambiamenti genetici o molecolari dei geni orologio. Abaraca C. et al. 2002 e UZ T. et al. (2003) hanno riferito che i cambiamenti genetici nell'espressione dei geni orologio dei ratti del periodo 1 (MPER1) accadano in seguito alla somministrazione di cocaina. Secondo le loro osservazioni, il livello di espressione di MPER1 detti le condizioni per le quali si sviluppi sensibilizzazione e tolleranza. I topi con MPER1 mutante non presentano

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sensibilizzazione alla cocaina e non hanno sviluppato tolleranza. Questo potrebbe essere anche il caso del MPD ad alte dosi, poiché il gene MPER1 del ratto è modificato causando la tolleranza, ma l'espressione del gene è ristabilita durante il periodo di interruzione e causa sensibilizzazione durante la ristimolazione.

Metilfenidato e cocaina: stessi effetti sul gene regolatore?

Alcuni cambiamenti molecolari, come l'alterazione del fattore di trascrizione del gene regolatore, sono simili a quelli di cocaina e anfetamina. Altri effetti, in particolare quelli relativi all'espressione dei peptidi oppioidi e la densità post-sinaptica delle molecole (homer 1a) differiscono tra il trattamento con metilfenidato e cocaina o anfetamine. Queste differenze sostengono la teoria che il metilfenidato produce meno neuro-dipendenza di cocaina e anfetamina, e potrebbe fornire una base molecolare per la ridotta dipendenza del metilfenidato rispetto a questi altri psicostimolanti.

Effetti molecolari del Metilfenidato

Molti studi sugli effetti molecolari indotti dal MPD sino ad oggi hanno valutato i cambiamenti nel gene regolatore in aree bersaglio della DA, in particolare lo striato. Per esempio, recenti studi hanno trovato che un ampia varietà di geni era

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up-regolata nello striato dopo ripetuti trattamenti con MPD (Andriani et al., 2006). Lo striato è un nucleo proencefalico, componente principale dei circuiti cortico-basale e cortico-gangliare, i quali sono cruciali per gli aspetti motivazionale, esecutivo e motorio della direzione comportamentale (Gerfen, C.R. e Wilson, C.J. 1996). Numerosi studi mostrano che lo striato si trova tra le regioni cerebrali che mostrano i più pronunciati cambiamenti nell'espressione dei geni dopo vari trattamenti con psicostimolanti (Berke, J.D. e Hyman, S.E. 2000). Recenti studi di mappatura indicano che questo è anche il caso del MPD (Yano, M. e Steiner, H. 2005). I cambiamenti molecolari indotti da psicostimolanti nello striato dorsale e ventrale sono implicati nell'addizione di psicostimolanti. Alcuni dei più colpiti circuiti striatali (dorsali) (Willuhn et al., 2003) comprendono anche i reticolati frontostriatali dell'attenzione, obiettivo terapeutico nell'ADHD (Solanto, M.V. et al., 2002).

Sino ad oggi gli studi molecolari hanno mostrato interesse sulle molecole di segnalazione e sulle molecole coinvolte nella neuroplasticità, includendo i fattori di trascrizione e le proteine strutturali che regolano la plasticità sinaptica (es. proteine Homer).

Fattori di trascrizione

I fattori di trascrizione sono importanti bersagli molecolari del trattamento con psicostimolanti perchè regolano l'espresione dei geni e sono pertanto cruciali per molte forme di neuroplasticità. Le estensive ricerche, durante il decennio passato, hanno dimostrato come gli psicostimolanti, come cocaina e anfetamina, avevano effetto sui fattori di trascrizione, o attivando costitutivamente i fattori di

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espressione (es. cAMP risponde dell'elemento vincolante proteinico, CREB) (Carzelon, W.A.J. et al., 2005), o attraverso la regolazione dei loro geni di espressione, oppure attraverso lo splicing dell'mRNA. Nelle aree bersaglio della DA, come lo striato, le somministrazioni acute di psicostimolanti incrementano l'espressione dei fattori di trascrizone causando un incremento del flusso di DA ed un'eccessiva stimolazione dei recettori dopaminergici. Questi effetti sono principalmente mediati dal recettore dopaminico D1 (Steiner, H. e Gerfen, C.R. 1998), in concomitanza con con un ingresso di glutamato (Wang, J.Q. e McGinty, J.F. 1996), ma anche dai recettori di tipo D2, come pure altri neurotrasmettitori. Una recente ricerca dimostra che l'MPD produce simili effetti sui fattori di trascrizione. Nel 1996 fu riportato per la prima volta che un'acuta somministrazione di MPD (2,5 mg/kg) causava un incremento dei livelli della proteina Fos nello striato dei gatti adulti (Lin, J.S. et al., 1996). Studi successivi hanno mostrato un'induzione da MPD nell'mRNA c-fos o nell'espressione di FOS nei ratti e topi (Trinh, J.V. et al., 2003). Un altro fattore di trascrizione dei geni indotto nello striato comprende lo zif268 (Yano, M et al., 2006) e il fosB (Chase, T.D. et al., 2005) . Simili agli effetti della cocaina e della anfetamina, questi effetti sono mediati dai recettori D1 dello striato. Sebbene molti di questi studi sono focalizzati sulla regolazione del gene nello striato, l'incremento dell'espressione di tali fattori è stata mostrata anche in altre aree del cervello, inclusa la corteccia, ed in misura minore nel nucleo accumbens. Questi cambiamenti molecolari sono emersi in seguito a somministrazioni intraperitoneale (IP) o sottocutanea (SC) di 2 mg/kg (e anche superiori) di MPD. Sebbene presenti nei preadolescenti,

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adolescenti e adulti, questi effetti sembrano essere più concentrati nei giovani animali, in linea con quanto detto per altri psicostimolanti (Ehrlich, M.E. et al., 2002).

Ripetuti trattamenti con tali sostanze causano numerosi cambiamenti neuroadattativi, inclusa l'alterata regolazione dell'espressione dei geni. Nello striato, l'induzione del fattore di trascrizione dei geni è particolarmente affievolita (es. ridotta comparsa con acuta induzione) dopo ripetute somministrazioni di psicostimolanti ( Harlan, R.E. et al., 1998). Un ripetuto trattamento con MPD produce effetti simili. Per esempio, l'inducibilità di c-fos e zif268, in una sfida tra MPD (Cotterly, L. et al., 2007) e cocaina (Brandon, C.L. e Steiner, H. 2003), risulta essere significativamente affievolita il primo giorno dopo somministrazione ripetuta di MPD. Questo effetto può durare per più di 4 settimane (Chase, T.D. et al., 2005), ma eventualmente dissipato. In contrasto, un incrementata induzione del gene fu riportata per parti del nucleo accumbens o nella corteccia. Altri studi hanno mostrato un incrementato del livello basale di mRNA CREB nello striato o di proteina CREB nel nucleo accumbens (Andersen, S.L. et al., 2002) di ratti adulti dopo ripetuto trattamento con MPD come nei giovani.

I cambiamenti molecolari indotti da psicostimolanti includono anche la produzione di una forma mozzata di FosB, dtta delta-FosB (McClung, C.A. et al., 2004). Questa diversa giuntura presenta una anormale lunga emivita, e quindi si accumula nel tessuto con la ripetuta somministrazione giornaliera di farmaco. Recenti scoperte hanno mostrato che un ripetuto trattamento con MPD ha

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incrementato i livelli di FosB immunoreattiva nello striato e nella corteccia, riflettendo eventualmente l'accumulo di delta-FosB.

In sintesi, le prove disponibili indicano che i cambiamenti indotti da MPD nell'espressione dei fattori di trascrizione sono qualitativamente simili a quelli prodotti da cocaina e amfetamine.

Neuropeptidi: Sostanza P; Dinorfine ed Encefaline

Le sporgenze striatali dei neuroni esprimono e rilasciano diversi neuropeptidi che agiscono come neurotrasmettitori, e anche questi sono regolati da recettori dopaminergici e psicostimolanti. Studi sugli animali hanno mostrato che cocaina e amfetamine producono un massiccio incremento nell'espressione della Sostanza P e delle dinorfine, e hanno effetti più lievi nell'espressione delle encefaline. Inoltre, l'espressione alterata dei peptidi oppioidi dinorfinici ed encefalinici è anche stata trovata nello striato umano dei tossicodipendenti da cocaina (Hurd, Y.L. e Herkenham, M, 1993).

Studi indicano che trattamenti acuti e ripetuti di MPD cambiano l'espressione della Sostanza P nello striato in modo simile ad altri psicostimolanti. In contrasto, dinorfine ed encefaline sembrano essere colpite solo minimamente. Un acuto e recente studio ha confrontato gli effetti sulla espressione di questi geni attraverso il monitoraggio dei loro mRNA in parallelo tra 20 min e 24h dopo iniezione di MPD (2-10 mg/kg, IP, ratti adulti). Simile agli effetti della cocaina e delle amfetamine, l'espressione della Sostanza P è stata aumentata in modo massiccio e dose dipendente, con un aumento dei livelli di mRNA entro i 20 min e duraturo dopo le 3h. Contrariamente, nell'espressione delle dinorfine, fu trovato solo un

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incremento marginale (a 1h). Questa scoperta contrasta con gli studi sugli effetti delle dinorfine e delle encefaline, i quali mostrarono che l'incremento dei livelli di mRNA dinorfinico era presente entro 30 min, prominente a 2-3h (Smith, A.J. et al., 1994), e duraturo per 18-30 ore (Wang, J.Q. et al., 1995), dopo un'acuta somministrazione di sostanza. L'encefailna è solo moderatamente influenzata da trattamenti acuti di cocaina e amfetamine (Wang, J.Q. et al., 1996). In contrasto, dosi acute di MPD non hanno prodotto effetti consistenti nell'espressione delle encefaline. I risultati ottenuti dopo ripetuti trattamenti con psicostimolanti sono coerenti con gli effetti acuti precedentemente descritti. Simili ai fattori di trascrizione, l'espressione della Sostanza P è indotta dopo ripetuto trattamento con cocaina o amfetamina, ma questa induzione è minore se confrontata con l'induzione acuta. Induzione diminuita di Sostanza P è stata trovata anche dopo ripetuto trattamento con MPD.

L'mRNA dinorfinico ha una lunga emivita, e i trattamenti ripetuti e quatidiani di cocaina e amfetamina producono un massiccio incremento dei livelli di mRNA dinorfinico, probabilmente a causa di accumulo.

Al contrario, trattamenti ripetuti di MPD con una alta dose (10 mg/kg) giornaliera per 7 giorni (la quale produce una diminuzione significativa nell'induzione dei fattori di trascrizione e sostanza P) hanno portato come risultato solo un modesto incremento dell'espressione dinorfinica. Analogamente, un recente studio sulla trascrittasi inversa -PCR non ha trovato alterata l'espressione dinorfinica dopo trattamento per 17 giorni con MPD (2 mg/kg, adolescenti). Ripetuti trattamenti con cocaina e amfetamina incrementano anche i livelli di mRNA encefalinico,

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sebbene in misura minore (Spangler, R. et al., 1997). Al contrario nessun cambiamento nell'espressione delle encefaline è stato riscontrato dopo un trattamento ripetuto di 7 giorni con MPD.

Queste scoperte indicano che i cambiamenti indotti dal MPD nell'espressione della Sostanza P sono simili a quelli prodotti da cocaina e amfetamina, considerando che i cambiamenti nell'espressione dei peptidi oppioidi dinorfinici ed encefalinici sono modesti o assenti.

Potenziali meccanismi del differenziamento del gene regolatore da parte del MPD

Anche se discussi in precedenza, i risultati dimostrano che motli degli effetti molecolari indotti dal MPD sono simili a quelli di altri psicostimolanti, altri studi hanno invece rilevato la potenzioale importanza nel differenziamento del gene regolatore. Studi che hanno confrontato l'espressione di diversi geni in parallelo (Cotterly, L. et al., 2007) indicano che, in contrasto con la cocaina e anfetamine, l'MPD esercita effetti limitati sulla espressione dei peptidi oppioidi (dinorfine e encefaline), e non produce significativi blocchi di induzione della proteina homer

1a dopo ripetuto trattamento. Questi differenti effetti molecolari sono

probabilmente legati a particolari effetti neurochimici del MPD. L'MPD differisce da cocaina e anfetamine, nel senso che ha una bassa affinità per il trasportatore

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della serotonina (Gatley, S.J. et al., 1996), e di conseguenza non produce eccedenze quantitative della stessa serotonina (Kankaanpaa, A. et al., 2002). È ben noto che i recettori della serotonina mediano alcuni degli effetti comportamentali (Muller, C.P. e Huston, J.P. 2006) e cellulari di cocaina e anfetamine. Per esempio, la fosforilazione di ERK nella corteccia prefrontale, trovata dopo le anfetamine, ma non dopo il MPD, era dipendente da un ingresso di serotonina (Pascoli, V. et al., 2005). Inoltre è stato dimostrato che la serotonina partecipa alla regolazione del gene nello striato (Gardier, A.M. et al., 2000). In particolare, la serotonina ha effetti significativi nell'espressione delle dinorfine e delle encefaline nello striato (Horner, K.A. et al., 2005) e media alcuni degli effetti della cocaina e delle metanfetamine. Abbiamo quindi ipotizzato che la scarsità di effetti del MPD sull'espressione dei peptidi oppioidi potrebbe essere attribuita alla mancanza di effetti sulla trasmissione della serotonina nello striato. È attualmente noto che se rafforzando la stimolazione del recettore della serotonina in combinazione con l'azione del MPD, si simulerebbero pienamente gli effetti indotti dalla cocaina sulla regolazione del gene. Tuttavia un recente studio ha dimostrato che agonisti diretti e indiretti del reccettore danno, in combinazione con MPD, una potenziata attivazione comportamentale indotta dal MPD, dimostrando un'interazione sinergica tra queste sostanze, almeno sul piano comportamentale. Dagli studi è inoltre emerso che, in contrasto con la cocaina, il trattamento ripetuto con MPD non ha ostruito in modo significativo l'induzione dell'homer 1a . Attualmente, si sa ancora poco sui meccanismi che regolano l'espressione dell'homer 1a dello striato, al di là del ruolo cruciale dei recettori D1. L'arretramento all'induzione del

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gene dopo trattamenti ripetuti con psicostimolanti si è pensato possa essere una neuro-adattazione compensatoria indotta dalle sostanze, compreso l'aumento della funzione dinorfinica. I peptidi dinorfinici ed encefalinici nella proiezione dei neuroni dello striato, sono preposti a servire, in parte, come meccanismi a feedback negativo per il mantenimento dell'omeostasi del sistema. Quindi, l'aumento della funzione dei peptidi oppioidi dopo vari trattamenti farmacologici, si ritene possa agire come un freno per contrastare l'eccessiva attivazione della proiezione dei neuroni dello striato a causa dell'ingresso negli stessi neuroni di dopamina (e glutammato) deprimente. Pertanto, il mancato arretramento nell'espressione di homer 1a dopo ripetuti trattamenti con MPD potrebbe riflettere una neuroadattazione compensatoria minore, rispetto a quelle prodotte da cocaina e anfetamina. Funzionalmente, la differente regolazione dell'homer 1a da parte di ripetuti trattamenti con MPD o con cocaina a anfetamnie suggerisce effetti diversi di queste sostanze sugli aspetti della plasticità sinaptica (Thomas, U. et al., 2002).

Potenziali conseguenze da differenzizione del gene regolatore da parte del MPD

La neuroadattazione indotta da psicostimolanti, inclusa l'alterazione dell'espressione del peptide oppioide e l'influenza sui recettori oppioidi nello striato, è stata confermata nella tossicodipendenza da cocaina. Quali sono le conseguenze del comportamento di queste modifiche molecolari nello striato negli esseri umani? Una funzione di up-regulation delle dinorfine striatali è stata coinvolta in diversi effetti comportamentali, compresi i sintomi di astinenza

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(anedonia, disforia, depressione), probabilmente legati alla eccessiva inibizione del sistema dopaminico mesolimbico (Carzelon, W.A.J. et al., 2004). Tali effetti possono facilitare la ricaduta. Nei modelli animali, alcune neuroadattazioni sembrano verificarsi con ripetuti trattamenti con MPD (per esempio: modesto aumento dell'espressione delle dinorfine, arretramento induzione c-fos e zif268). Tuttavia, i risultati riesaminati suggeriscono che tali neuroadattazioni sono più limitate rispetto ad altri psicostimolanti. Neuroadattamenti più limitati dovrebbero tradursi in una riduzione nella dipendenza da MPD, rispetto ad altri psicostimolanti.

L'esposizione al MPD avviene principalmente come terapia per l'ADHD, ma questo psicostimolante è anche abusato. La responsabilità della dipendenza che deriva dall'uso di MPD in ambedue le impostazioni, tuttavia, rimane controversa. Il confronto dei cambiamenti molecolari indotti dal MPD con quelli di psicostimolanti, come cocaina e anfetamine nei modelli animali suggeriscono che il MPD produce un numero minore (o in parte diverso) di neuroadattazioni. Questa differenza potrebbe essere dovuta alla incapacità del MPD a stimolare la neurotrasmissione di serotonina. Quindi, la riesaminazione degli effetti molecolari nei modelli animali sarebbe in accordo con una minore responsabilità di dipendenza per il MPD. Studi futuri dovranno determinare le conseguenze funzionali dei cambiamenti molecolari che si verificano con l'esposizione al MPD.

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CONCLUSIONI

Gli studi effettuati sugli animali dimostrano che il trattamento ripetuto con MPH produce una varietà di cambiamenti comportamentali e molecolari. Tuttavia, tali effetti sono stati in gran parte prodotti da dosi e vie di somministrazione che mi comportano un aumento dei livelli di picco di MPH.

Inoltre la maggior parte degli studi hanno valutato piccoli cambiamenti dopo il trattamento indotto dalla sostanza, e pochi hanno determinato effetti a lungo termine. Pertanto, maggiori sforzi negli studi futuri dovrebbero essere fatti per indagare sulle conseguenze della somministrazione di MPD orale sugli animali sia a breve che a lungo termine, con fatti che meglio imitano l'esposizione clinica al MPD. Sino ad oggi, un aumento del rischio di tossicodipendenza tardiva dopo il trattamento terapeutico con MPD non è supportata da studi clinici. Anche se questo sembra essere in accordo con gli effetti molecolari del MPD, potrebbe anche essere collegato a questioni metodologiche negli studi clinici. Quindi, la continuazione degli studi supplementari a lungo termine sono necessari per accertare le conseguenze neuro-comportamentali dell'esposizione umana al MPD. Per quel che riguarda il suo uso nei trattamenti terapeutici, come la sindrome da deficit dell'attenzione/iperattvità, la prescrizione del MPD dovrebbe avvenire solo dopo una inefficace terapia comportamentale, la quale non prevede la somministrazione nel paziente di alcuna sostanza psicostimolante. Inoltre, la terapia farmacologica con MPD dovrebbe essere preclusa a pazienti al di sotto di una soglia di età nella quale il sistema nervoso presenta ancora una particolare

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fragilità strutturale ed immunologica. Infine, ampi studi dovrebbero essere indirizzati verso l'uso del Metilfenidato nei trattamenti di patologie che coinvolgono un'anormale trasmissione di DA neuronale, quali l'abuso di droga ed il morbo di Parkinson.

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