Introduzione
Perché non ballate? ci racconta il male di vivere attraverso immagini tratte dalle opere letterarie di Raymond Carver.
Non si tratta della drammatizzazione di un unico racconto, ma di un intreccio di figure, di colori, di suoni provenienti dall’universo carveriano, sapientemente cucito nella storia di una famiglia della classe media americana di provincia.
È possibile, con un’approfondita ricerca, individuare nel testo inedito di Gabriele Di Luca, le tracce delle tematiche, dei personaggi, degli umori caratteristici dei lavori di Carver: lo spaesamento, le ansie senza risposta, la paura della morte, il bisogno di essere amati.
L’intreccio familiare è un terreno fertile per indagare sull’animo umano: il figlio che si confronta con la morte dei genitori, con l’alcolismo, pesante lascito del padre, e con il denaro come pressante necessità.
Un altro piccolo universo fa da sfondo a questa storia, la vita del vicino di casa, un taciturno solitario che ha perso la moglie ma ancora, dopo anni, non pensa ad altro che a lei. Il pensiero è così forte che la donna torna, si incarna sulla scena per seguire i passi del marito, senza però essere vista da lui.
La mia ricerca parte da qui. Nel mio elaborato mi concentrerò dapprima sulla vita di Carver, ricostruendo a grandi linee la sua biografia, per capirne più in profondità la poetica e il percorso artistico, inserite in cinquant’anni di storia americana.
Proseguirò la mia analisi indagando sulle ragioni e le esigenze che hanno condotto la regista, la danese Anna Stigsgaard, a scegliere l’opera di Carver come fonte di ispirazione primaria per la costruzione del suo spettacolo. In questa parte darò particolare rilievo alla formazione della Stigsgaard, dalla “scuola” dell’Odin Teatret di Eugenio Barba, fino all’ approdo in Italia, al Teatro Era di Pontedera.
Arriverò quindi all’analisi del testo Perché non ballate?, scritto dal drammaturgo,
regista e attore Gabriele Di Luca, mettendo in evidenza soprattutto le differenze che
intercorrono tra la prima versione, con la quale il gruppo artistico ha iniziato le
prove, e quella definitiva dello spettacolo.
La parte centrale del mio elaborato sarà dedicata all’analisi vera e propria della messa in scena, con un’attenzione particolare ai tratti distintivi del lavoro: l’uso di numerosi oggetti scenici, lo spazio che cambia di continuo, il personaggio/presenza di Nina, la struttura circolare della storia .
Come conclusione dedicherò il capitolo finale ad uno sguardo sul teatro giovane contemporaneo, di cui Perché non ballate? è un calzante esempio, esaminando le vite artistiche, la formazione e i percorsi già affrontati dai quattro attori, tutti al di sotto dei quarant’anni.
Ho avuto la possibilità osservare da vicino il processo di creazione e di crescita della pièce, grazie al benestare del gruppo, di respirare l’aria febbrile degli ultimi giorni prima del debutto; per questo, talvolta, nella mia analisi mi arrischierò in commenti o supposizioni, maturati a caldo, durante le prove.
Grazie a questa mia partecipazione attiva al lavoro ho potuto disporre, fin dall’inizio della mia analisi, delle due versioni del testo, alle quali ho dedicato un intero capitolo. Ambedue sono contenute nell’ appendice.
Ringrazio Anna Stigsagaard e tutti gli attori per avermi concesso la possibilità di fare quest’esperienza, senza la quale il mio elaborato sarebbe sicuramente più scarno ed incompleto.
Capitolo 1.
Raymond Carver, maestro del minimalismo letterario americano.
È possibile comprendere a fondo le tematiche affrontate nelle opere di Carver solo dopo averne conosciuto la vita. Per questo motivo ho deciso di dedicare il primo capitolo ad una panoramica biografica, soffermandomi sugli accadimenti più significativi.
Per questo lavoro mi sono basata essenzialmente sul libro della biografa e saggista americana Carol Sklenicka, Raymond Carver, una vita da scrittore
1, integrando il percorso con alcune delle opere di Carver di maggior rilievo.
Le origini
“Io volevo essere come tutti gli altri. Allo stesso tempo volevo scrivere.
“ R.C.2Raymond Carver nacque il 25 maggio del 1938 all’ospedale di Clatskanie, in Oregon.
I suoi genitori, Ella e Clevie Raymond Carver, erano arkansani di vecchio ceppo, trasferitisi verso ovest in cerca di lavoro.
Alla nascita di Raymond, i Carver vivevano in affitto in una casetta di legno di proprietà della Crossett-Western Timber Company di Wauna, una segheria costruita sul corso inferiore del fiume Columbia.
Nel ’41, proprio nel momento in cui molti americani correvano ad arruolarsi per l’entrata in guerra degli Stati Uniti, C.R (come veniva chiamato dagli amici il padre di Raymond) si trasferì invece a Yakima, Washington, dove prese alloggio in una piccola casa di legno , poco distante da quella di suo fratello Fred e trovò lavoro come manovale alla Cascade Lumber. Pochi mesi più tardi fu raggiunto da Ella e dal bambino.
1 C. Sklenicka, Raymond Carver, una vita da scrittore, Roma, Nutrimenti, 2011.
2 Ivi, pag.33
.
Il 18 agosto del 1943, al St Elisabeth Hospital di Yakima, venne alla luce James Franklin Carver, fratello minore di Raymond.
L’infanzia e la prima adolescenza dello scrittore furono caratterizzate dalla piaga dell’obesità. In quinta elementare pesava già sessanta chili per poco più di un metro e mezzo di altezza.
Questo problema era fonte di scherno e di una conseguente tendenza alla solitudine del ragazzo.
Negli anni della giovinezza di Raymond, un altro serio problema fece capolino:
l’alcolismo del padre.
La poesia Bretelle sembra prendere spunto da questi ultimi due temi dolorosi: il narratore è un bambino di seconda elementare a cui la madre sta dicendo che dovrà indossare le bretelle la mattina successiva perché nessuna cintura riesce più a contenerlo (tema dell’obesità). Contemporaneamente il padre si lamenta del chiasso e chiede dell’acqua (perché si è ubriacato, commenta la madre).
Il bambino allora prende un bicchiere di acqua della rigovernatura dei piatti.
Quando viene scoperto i genitori smettono di litigare tra di loro per prendersela col bambino. Viene accusato di non volere bene al padre. Allora il piccolo beve l’acqua sporca per provare il contrario ed è lui a stare male. La pace che arriva alla fine è “ il silenzio che scende in una casa quando nessuno riesce a dormire”, per utilizzare le parole di Ray.
Mamma ha detto che non avevo una cinta adatta e che avrei dovuto portare le bretelle il giorno dopo a scuola. Nessuno portava le bretelle in seconda e nemmeno nelle altre classi, se è per questo. Ha detto:
te le metti sennò te le faccio assaggiare sulle gambe. Non voglio sentire altre storie. Allora papà ha detto qualcosa.
Stava nel letto che prendeva gran parte dello spazio della baracca in cui abitavamo. Ha detto se potevamo stare zitti e sistemare la faccenda il giorno dopo. Non doveva forse andare al lavoro presto
la mattina dopo? Mi ha chiesto pure di portargli
un bicchiere d’acqua. È tutto il whisky che si scola, ha detto mamma. S’è
disidratato.
Sono andato al lavello e, non so perché, gli ho portato
un bicchiere di acqua saponata. Lui l’ha bevuta e ha detto: Certo che aveva un sapore strano, figliolo. Da dove viene quell’acqua?
Dal lavello, ho detto io.
Credevo gli volessi bene a tuo padre, ha detto mamma.
Ma sì, ma sì, ho detto io e sono tornato al lavello e ho immerso un bicchiere
nell’acqua saponata e ho tracannato un paio di bicchieri tanto per farglielo vedere. Gli voglio bene a papà, ho ripetuto.
Eppure, credevo proprio che avrei vomitato là per là. Mamma ha detto:
Fossi in te mi vergognerei come un ladro. Non ci posso credere, trattare tuo padre in quel modo. E perdio, domani ti metti quelle bretelle eccome, altrimenti… Ti stacco tutti i capelli se
mi fai storie domattina. Non me le voglio mettere le bretelle, ho detto io. Sì che te le metti, ha ribattuto lei. E detto questo ha preso le bretelle e ha cominciato a darmele giù per le gambe nude
mentre io saltellavo per la stanza e piangevo. Papà
ci ha gridato di piantarla, per l’amor di Dio, piantatela. La testa gli scoppiava e oltretutto aveva lo stomaco in subbuglio per via dell’acqua
saponata. Be’, ringrazia questo qui, ha detto mamma. È stato allora che
qualcuno ha cominciato a battere sulla parete della baracca accanto alla
nostra. All’inizio sembrava con un pugno – bum bum bum- ma poi,
chiunque fosse, ha preso una scopa o il manico
di uno spazzolone. Cristosanto, ve ne volete andare a letto lì?
ha gridato una voce.
Piantatela un po’! E noi l’abbiamo piantata. Abbiamo spento la luce e
ci siamo infilati a letto in silenzio. Il silenzio che scende in una casa
dove nessuno riesce a dormire
3.
Quando i Carver furono costretti a tirare la cinghia, a causa anche dell’alcolismo di C.R, fu Ella a rimboccarsi le maniche per tenere in equilibrio le sorti economiche della famiglia .
Era una donna orgogliosa la madre di Carver, e chi l’ha conosciuta la ricorda come
“capace di fare qualsiasi lavoro”, ma anche “strana” o “particolare”, interessata a sé stessa, ai propri figli e a niente altro.
Durante l’adolescenza Ray ed i suoi amici (essenzialmente due, Jerry King e King Kryger) si sentivano diversi dai coetanei che avevano attorno e sognavano costantemente di andarsene da Yakima.
3 R. Carver, Il nuovo sentiero per la cascata, Roma, Minimum fax, 1997, pag. 157.
Il 25 gennaio del 1954 un titolo a tutta pagina del Daily Republic di Yakima catturò l’attenzione di Ray: “Hemingway torna dalla giungla. Lievemente ferito in due incidenti aerei. Il romanziere termina il viaggio a terra”.
La lettura dell’articolo, come ricorda lo stesso Carver, fu all’epoca “esaltante e fantastica”, perché i luoghi menzionati apparvero ai suoi occhi di adolescente
“tanto lontani quanto la luna”.
Ray si sentiva attratto ed affascinato dal mondo letterario, ma in modo confuso, senza comprendere come questo poteva legarsi con l’istruzione scolastica.
Insieme a King Kryger si iscrisse ad un corso per corrispondenza del Palmer Istitute of Authorship di Hollywood. Fu il padre a pagare la tassa di iscrizione di venticinque dollari e contemporaneamente iscrisse il piccolo James ad un corso di disegno.
Stavano però arrivando tempi duri. Prima Fred Carver, zio di Ray, poi suo fratello C.R persero il lavoro alla Cascade Lumber. C.R fece persino ricorso contro il suo licenziamento e costrinse la ditta ad ammettere di non aver seguito le procedure corrette, cosa che prevedeva per il padre di Ray una seconda possibilità. Ma prima che l’inchiesta del sindacato fosse conclusa Fred e suo fratello se ne andarono da Yakima, diretti a Chester, nella California settentrionale, dove trovarono lavoro alla Collins Pine Company.
Ella restò a Yakima per consentire a Ray di finire l’anno scolastico. Fu il momento in cui il ragazzo, deciso a raccimolare qualche soldo da spendere per conto suo, si presentò ad una farmacia vicino casa, di tale Al Kurbitz, per un lavoro di fattorino.
Quell’anno (1956) Raymond si diplomò. Fu il primo della famiglia a conquistare questo titolo anche se i suoi voti non risultarono eccellenti, anzi piuttosto scarsi.
I primi di giugno dello stesso anno il padre chiese alla moglie di caricare quanto più era possibile sulla loro Chevy grigia del 1950 e di portare i ragazzi in California.
Era riuscito a trovare una casa.
Dopo aver tanto sognato di abbandonare Yakima ora finalmente stava per accadere.
Ray però adesso non voleva più partire, qualcosa, o meglio qualcuno, lo tratteneva in quella città.
Quel qualcuno si chiamava Maryann Burk.
Ray aveva conosciuto Maryann nel giugno del 1955. Lei non aveva ancora quindici anni e faceva la cassiera in uno Spudnut
4Shop a Union Gap, Washington. Fu amore a prima vista.
Si sarebbero sposati esattamente due anni dopo, il 7 giugno del 1957, e nel dicembre dello stesso anno sarebbe nata la loro prima figlia, Christine LaRae Carver.
Mentre Maryann stava partorendo, il padre di Raymond fu ricoverato nel reparto di psichiatria dello stesso ospedale.
Il Carver scrittore
Maryann fu la prima a spronare il giovane marito a seguire i proprio sogni.
Nonostante avesse appena scoperto di essere nuovamente incinta (il secondo figlio dei Carver, Vance Lindsay, nascerà il 19 ottobre del 1958, appena un anno e mezzo dopo la sorella) Maryann lavorò, per due settimane, in uno stabilimento di conserve solo per comprare al marito la sua prima macchina da scrivere.
Convinse Raymond persino ad iscriversi al “Chico State Collage”.
Fu qui che Carver incontrò un giovane professore, il dottor John Gardner, che tredici anni dopo sarebbe diventato un brillante scrittore di successo, ritratto addirittura sulla copertina del New York Times Magazine. Gardner fu il suo primo vero maestro e mentore. Carver ricorda così quell’incontro:
Ne ero semplicemente elettrizzato […] Era di una stoffa diversa da tutti quelli che avevo conosciuto. Era sempre disposto ad aiutare […] ed io mi trovavo in quella fase della vita in cui facevo tesoro di tutto. Qualunque cosa lui dicesse mi entrava subito in circolo e cambiava il mio modo di vedere le cose […]. La mia vita era piuttosto sacrificata, ma da lui ho imparato cose che, anche se non ho potuto metterle subito in pratica, ho portato sempre con me
5.
Nel 1961 Carver vide per la prima volta il suo lavoro andare in stampa: Stagioni furiose uscì su Selection
6e Il padre sulla rivista “Toyon”
7.
4 Lo spudnut è una ciambella dolce di farina di patate.
5 C. Sklenicka , Raymond Carver, una vita da scrittore cit., pag. 109.
6 Rivista letteraria del Chico State College.
7 Rivista studentesca dell’Humboldt State College.
Nonostante però i primi successi letterari cominciassero ad arrivare, le condizioni economiche dei Carver erano costantemente disastrose. Sempre nel ’61 si trasferirono prima ad Eureka, nella California settentrionale, poi ad Arcata. Qui Raymond si iscrisse alla Humboldt State University, frequentò i corsi del professor Richard Cortez Day, trovò un impiego presso una ditta che lavorava legname e si laureò nel 1963.
Il ’61 fu un anno importante anche per un altro fatto: il 2 luglio Ernest Hemingway, primo eroe letterario di Raymond, si uccise con un colpo di doppietta a Ketchum, Idaho.
Carver ricorderà in seguito che, secondo il suo parere, il credo di Hemingway era che “la narrativa debba basarsi sull’esperienza vissuta”
8. Non è un caso infatti, sempre secondo Carver, se poco dopo la morte dello scrittore, nella narrativa americana, si fosse affermata una tendenza anti realistica. L’anno successivo venne rappresentata la prima opera teatrale scritta da Carver, la commedia Carnation, un atto unico originale, riecheggiante il teatro dell’assurdo di Beckett, Ionesco e Albee.
Ancora nel 1962 la “Western Humanities Review” pubblicò un suo racconto dal titolo Pastorale
9e la rivista “Target” la poesia L'anello di ottone. Ottenne, come pagamento del racconto, due copie della rivista; per la poesia invece riscosse il suo primo assegno, della modica cifra di un dollaro.
Una volta laureato, con la giovane Maryann ancora iscritta all’università
10, ottenne una borsa di studio di 500 dollari a semestre per un master presso il prestigioso Iowa Writers' Workshop, un seminario di scrittura creativa diretto da Paul Engle.
L’ambiente dell’esclusivo corso però non fu mai congeniale al giovane Ray, soprattutto per la competizione feroce che si respirava al suo interno. Decise quindi di rimanervi un solo anno, andandosene con un semplice Master of arts, conseguito senza tesi.
I Carver fecero ritorno in California nel ‘64, a Sacramento, dove Ray trovò lavoro come custode diurno ed in seguito notturno al Mercy San Juan Hospital. Qui potè dedicarsi alla scrittura lontano dalla confusione dei due piccoli Christi e Vance. Nel
8 C. Sklenicka, Raymond Carver, una vita da scrittore cit., pag. 130.
9 Il titolo sarà successivamente cambiato in La baita.
10 La moglie di Carver si iscriverà all’università nel ’61 ma sarà costretta a ritirarsi per prendersi cura della figlia Christi, che aveva contratto una grave infezione renale. Tornerà allo studio più avanti per laurearsi nel ’68.
saggio Fuochi del 1981 Carver parlerà in maniera quasi spietata dell’influsso
“pesante e talora malefico” dei figli sulla sua scrittura.
Devo dire che l'influsso più grande sulla mia vita, e sulla mia scrittura, è venuto, direttamente o indirettamente, dai miei due figli. Sono nati prima che avessi vent'anni, e dal primo all'ultimo giorno che abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto, circa diciannove anni in tutto, non c'è stata una singola zona della mia vita nella quale il loro pesante, talora malefico influsso non sia arrivato
11.
A Sacramento i Carver rimasero fino al 1967. I successi in campo letterario continuavano ad arrivare (il 29 maggio del ’67, ad esempio, il racconto Will You Please Be Quiet, Please?
12fu scelto da Martha Foley per la raccolta The Best American Short Stories 1967) ma la situazione economica di Raymond e famiglia era sempre più disastrosa. Il 13 giugno dello stesso anno il tribunale di Sacramento sentenziò il fallimento dei Carver, sollevandoli da tutti i debiti. Raymond, nel frattempo, tornò ad Iowa City, lasciando la famiglia a trascorrere l’estate in California.
Il 17 giugno del 1967 C. R. Carver morì nel sonno. Raymond raccontò alla moglie Maryann di averlo sognato quella notte mentre, dalla porta della sua camera da letto, gli diceva “Addio figlio mio”.
L’autopsia del medico legale indicò come causa della morte un’occlusione coronaria, una malattia cardiovascolare e un’arteriosclerosi generalizzata.
Poco dopo la morte del padre, Ray ottenne il suo primo lavoro da impiegato presso una casa editrice di Palo Alto, in California, la Science Research Associates, come redattore dei libri di carattere scientifico. Qui conobbe lo scrittore Gordon Lish, al tempo editor della rivista Esquire, che in futuro sarebbe diventato anche suo editor.
Nel ’68 Maryann vinse una borsa di studio per l’estero e l’intera famiglia Carver la seguì a Tel Aviv, in Israele. Ray si era prefissato di frequentare alcuni corsi universitari, per ricavarne qualche credito utile per la specializzazione che non aveva ancora terminato. Ma i buoni propositi non bastarono. Raymond non si sentiva a suo agio in Israele, innanzitutto a causa della lingua. Per uno scrittore curioso, abituato a trarre ispirazione soprattutto da ciò che lo circonda, non capire le conversazioni, anche le più banali, incontrate per strada, fu intollerabile. E poi la
11 R. Carver, Voi non sapete che cos’è l’amore (saggi, poesie, racconti), Roma, Minimum fax, 1984, pag.199.
12 Titolo originale tradotto letteralmente in italiano: Vuoi star zitta per favore?
cucina, l’impossibilità di procurarsi i liquori americani, la città caotica e sovraffollata che erano costretti ad attraversare con i mezzi pubblici fecero il resto.
Dopo soli quattro mesi tornò in America.
Nel 1969 venne assunto nuovamente dalla Science Research Associates come direttore presso l'Ufficio Pubblicità, si stabilì a San José in California, ma a settembre venne licenziato e visse per tutto l'anno successivo con un sussidio di disoccupazione. In quello stesso anno gli venne assegnato il Discovery Award per la poesia. Nel 1970 i Carver si spostarono a Sunnydale, sempre in California. Qui il racconto di Ray, Ventiquattro ettari, fu inserito nell'antologia letteraria The Best Little Magazine fiction e la raccolta di poesie dal titolo Winter Insonnia fu pubblicata dalla Kajal Press. Gli anni settanta cominciarono con un considerevole aumento di fama per Carver che, nel 1971, ricevette dalla San Francisco Foundation una speciale menzione in occasione di un premio a Joseph Henry Jackson. Contemporaneamente la sua vecchia conoscenza Gordon Lish accettò di pubblicare un suo racconto dal titolo I vicini
13. Per l’anno scolastico ’71-’72 gli venne assegnato l'incarico di insegnante di scrittura creativa a Santa Cruz, presso l’Università della California.
Nel 1972 Carver ricevette una borsa di studio, la Wallace E. Stegner Felowship dell'Università di Stanford, per l'anno accademico 1972-1973 e a luglio riuscì ad acquistare casa a Cupertino. Per l'anno accademico 1974-1975 ottenne un incarico come docente di scrittura creativa a Santa Barbara, ancora sotto l’Università della California, diventando anche redattore dello “Spectrum”, rivista consolidata del campus. Ma i conti ancora non tornavano, nonostante i riconoscimenti faticosamente ottenuti. Nel‘74 la sua salute peggiorò. La causa principale fu la sua dipendenza, proprio come il padre, dall’alcool. Carver si troverà costretto a chiedere le dimissioni dall’Università, nonostante il conto in rosso. Tornò a Cupertino, dove visse due anni senza lavoro e con pochi momenti di lucidità, dedicati essenzialmente allo scrivere, diventando spesso violento con la moglie a causa della bottiglia. Il loro rapporto, già profondamente fiaccato dalle difficoltà di una vita sempre in bilico, ne risentirà profondamente. Nel febbraio del 1976 venne pubblicata da Capra Press un’altra raccolta di poesie intitolata At Night the Salmon Move e a cura della McGraw-Hill, sempre nello stesso anno, nella collana diretta da Gordon Lish, la sua prima raccolta di racconti intitolata Will You Please Be Quiet,
13 Oggi troviamo il racconto intitolato, nella traduzione italiana, semplicemente Vicini.
Please? Ancora nel ’76 scrisse il racconto Con tanta di quell'acqua a due passi da casa, che ispirerà uno degli episodi più commoventi del film Short cuts
14, diretto da Robert Altman. Fra l’ottobre del 1976 e il gennaio dell’anno successivo Carver fu ricoverato ben quattro volte in ospedale per tentare una disintossicazione dall’alcool. Il suo matrimonio era giunto alla parola fine. Raymond si trasferì a McKinleyville, nella contea di Humboldt in California, dopo un breve soggiorno dalla madre e la casa di Cupertino fu venduta. Nel frattempo comunque la raccolta di racconti Vuoi star zitta per favore? ottenne la nomination al premio più prestigioso della narrativa americana, il National Book Award. Pur non vincendo riscontrò un importante successo di pubblico e di critica. Nel 1977 conobbe, ad un congresso di scrittori a Dallas, Tess Gallagher, poetessa e scrittrice che, qualche anno più tardi, sarebbe diventata la sua seconda moglie. Nel ’78 ci fu un disperato tentativo di riappacificamento con Maryann che naufragò in una definitiva separazione. Nel ’79 Raymond andò a vivere con Tess prima a El Paso e poi a Tucson. Nel 1980 Carver, che aveva ottenuto un incarico come docente di Letteratura Inglese a Syracuse, nello stato di New York, è costretto ad anticipare di un semestre il suo lavoro a causa del pensionamento anticipato di un professore. Il 20 aprile 1981 uscì una nuova raccolta di racconti dal titolo What We Talk About When We Talk About love
15. In una brillante recensione sulla prima pagina della
“New York Times Book Reviewal” si elogiava la capacità di Carver nel ridurre la trama e le parole al minimo essenziale. Carver però non si riconobbe mai in questa definizione di minimalismo letterario e negli ultimi anni cercherà di riprendere in mano alcuni lavori abbozzati e altri già completati nel tentativo di dare loro un aspetto meno basico e disadorno.
Sul finire dello stesso anno, dopo l’uscita della seconda raccolta What We Talk About When We Talk About love, Carver ottenne il Carlos Fuentes Fiction Award dalla rivista “Columbia” per il racconto Il bagno. Il 18 ottobre del 1982 fu ufficializzato il divorzio fra Raymond e Maryann e lo scrittore si sentì libero così di intensificare il suo rapporto di collaborazione con Tess. Proprio in quel periodo ai due venne commissionata una sceneggiatura sulla vita di Dostoevskij dal regista Micheal Cimino. Il 18 maggio del 1983 venne assegnato a Carver il Mildred and
14 In Italia conosciuto come America Oggi, 1993, realizzato intrecciando nove racconti e una poesia di Raymond Carver.
15 In Italia il titolo è tradotto letteralmente : Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore.
Harlod Strass Living, un premio prestigioso, costituito da una borsa di studio quinquennale e rinnovabile di trentacinquemila dollari netti all’anno. Ad erogare la somma era la American Academy and Institute of Arts and Letters, a patto che Raymond abbandonasse ogni forma lavorativa e retribuita per dedicarsi unicamente alla scrittura. Così Carver si dimise dalla Syracuse University. Il 15 settembre dello stesso anno uscì la sua terza raccolta di racconti dal titolo Cathedral. Gli anni che vanno dal 1984 al 1986 furono molto prolifici, soprattutto per la scrittura poetica;
furono gli anni della celebrità e di stimati riconoscimenti, ad esempio la candidatura al premio Pulitzer per la sua ultima raccolta. Nel 1987 venne pubblicata dalla casa editrice Delacorte l'antologia curata da Carver e Tom Jenks American Shorty Masterpieces ed uscirà sul “New Yorker”, il 1 giugno, il suo racconto sugli ultimi giorni di vita di Cechov, dal titolo Errand
16.
Non ci sarebbero stati altri racconti dopo questo. Infatti nel settembre del ’87 Carver ebbe un’ improvvisa emorragia al polmone sinistro. Sarà operato d’urgenza a Syracuse il 1° ottobre. L’anno successivo, appena dopo aver comprato una casa a Port Angel, gli vennero diagnosticate delle metastasi al cervello. Dovette quindi sottoporsi ad un ciclo di radioterapia a Seattle. Non smetterà di scrivere, neanche con l’aggravarsi della malattia e la coscienza del suo male. Il 17 giugno sposò Tess Gallagher. Morì neanche due mesi dopo, nella sua casa a Port Angel, il 2 agosto del 1987. In un discorso commemorativo, tenutosi pochi mesi dopo la sua morte, la Gallagher concluse con un aforisma scritto da Ray:
E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos'è che volevi?
Potermi dire amato,
sentirmi amato sulla terra
17.
16 In Italia il titolo è tradotto letteralmente : L ’incarico.
17 C. Sklenicka, Raymond Carver, una vita da scrittore cit., pag. 726.
La poetica di Carver
<<
[…] Sono un sognatore, e ho sempre vissuto le mie fantasticherie. Ecco perché ho cominciato a scrivere. Perché altrimenti era tutto così insopportabilmente noioso
>>18.Carver è stato un maestro della narrativa breve americana, ricordato come uno dei più importanti esponenti del cosidetto “minimalismo”. Insieme alla seconda moglie, Tess Gallagher, combatterà sempre contro questa definizione, considerandola troppo semplicistica, incapace di includere nella totalità l’intera sua opera.
La breve vita, intensa e travagliata, costellata di difficoltà economiche, continui trasferimenti, problemi con l’alcool, è stata il vivaio perfetto per il fiorire dei suoi racconti, popolati di personaggi simili a lui e agli uomini della sua America di provincia.
La narrativa che a me personalmente interessa di più è quella che senz'altro ha punti di riferimento nel mondo reale. Naturalmente nessuna delle storie che racconto io è veramente accaduta. Ma c'è sempre un elemento, qualcosa che mi è stato detto o che ho visto io stesso, che funziona da punto di partenza
19.
All’interno dei suoi racconti troviamo protagonisti umili, spesso disperati, annichiliti dalla dura esistenza, incapaci di reagire al male che li divora dall’interno, sempre in bilico tra il grigiore placido della quotidianità ed i tormenti tipici dell’essere umano: la paura della morte, il bisogno di essere amati, di comunicare con l’altro, di essere in qualche modo “salvati” .
La sua scrittura appare lineare, basica, anche per quanto riguarda le poesie, caratterizzata dall’uso di un linguaggio ordinario e quotidiano, ma non per questo banale.
Carver lavora secondo la teoria dell’omissione: tutto ciò che non è fondamentale enunciare viene escluso dalle sue opere. Per sua stessa ammissione sappiamo che sottoponeva il proprio lavoro a numerose revisioni, considerando lo scrivere una
18 R. Carver, Niente trucchi da quattro soldi, Roma, Minimum fax, 2002, pag. 13.
19 B. Adelman, Carver country. Il mondo di Raymond Carver, Roma, Contrasto, 2010, pag 15.
sorta di “processo di rivelazione”
20.
Questo scrittore americano si è dedicato quasi esclusivamente alla narrativa breve e alla poesia, se tralasciamo un tentativo di romanzo, cominciato nel 1977 e mai terminato.
Verso la metà degli anni sessanta, mi sono reso conto che avevo qualche difficoltà a concentrare l’attenzione su opere narrative di una certa lunghezza. Per un po’ di tempo ho avuto difficoltà a leggerle, oltre che a cercare di scriverne. La mia attenzione si era come esaurita; non avevo più la pazienza necessaria a tentare di scrivere dei romanzi. È una storia complicata e troppo noiosa per raccontarla ora.
Però so che ha molto a che fare con la ragione per cui scrivo poesie e racconti brevi. Presto dentro, presto fuori. Niente indugi. Avanti
21.
Molto spesso il tema conduttore dei racconti è quello della coppia. Coppie simili a quella dei suoi genitori, alla coppia formata da lui e dalla prima moglie Maryann, inserite in un ambiente domestico capace di essere parte attiva nella narrazione, di scandire il tempo della vicenda e di descrivere l’eterno disagio dei protagonisti, come i telefoni che squillano alle ore più impensabili o gli elettrodomestici dispettosi che si rompono all’improvviso. Il testo dello spettacolo Perché non ballate?, di cui parlerò nei capitoli successivi, è una sintesi perfetta di queste tematiche.
Si è spesso parlato della scrittura di Carver, paragonandola a quella di alcuni grandi del passato, come Hemingway, forse il primo tra i miti della sua giovinezza.
Ecco che cosa ne pensa lo scrittore statunitense Jay Mcinerney, che fu suo allievo:
Scoprire la narrativa di Carver all’inizio degli anni Settanta è stata un’esperienza che ha trasformato parecchi scrittori della mia generazione, un’esperienza paragonabile forse alla scoperta del fraseggiare di Hemingway negli anni Venti. In effetti il linguaggio di Carver era inequivocabilmente simile a quello di Hemingway - la semplicità, la nitidezza, le ripetizioni, i ritmi quasi colloquiali, la precisione della descrizione fisica. Però Carver evitava accuratamente quell’egoismo romantico che rendeva l’idioma hemingwayano un modello quantomai goffo per gli altri scrittori della seconda metà del ventesimo secolo
22.
Alla luce di queste dichiarazioni appare evidente la peculiarità di Carver, anche
20 Affermazione ripresa dall’intervista di Francesco Durante a Roma, nell’aprile del 1987, riportata da Gigliola Nocera in L’America profonda di Carver in R. Carver, Tutti i racconti, Milano, Mondadori, 2005.
21 R. Carver, Il mestiere di scrivere, Torino, Einaudi, 2008, pag. 5.
22 J. Mcinerney, Raymond Carver, mentore, in Il mestiere di scrivere cit., pag.134
dopo un confronto con uno mostro sacro come Hemingway.
Il suo particolarissimo apporto alla letteratura consiste in una reinvenzione e in un aggiornamento del realismo, in cui ha evidenziato la faccia oscura del sogno americano.
Nel saggio Fuochi Carver sviluppa il proprio concetto di ispirazione, o, per dirla come lo scrittore, di influsso:
[…] l’influsso letterario è per me difficile da individuare con qualche certezza.
Per quanto mi riguarda sarebbe ugualmente inesatto dire che sono stato influenzato da tutto ciò che ho letto e che non penso di essere stato influenzato da alcuno scrittore. […] Varie volte è stato detto che scrivo “come” Hemingway. Tuttavia non posso dire che il suo modo di scrivere abbia influenzato il mio. Hemingway è stato uno dei molti scrittori la cui opera, come quella di Durrell, ho letto e ammirato quando avevo vent’anni. Non ne so molto, insomma, di influssi letterari. Eppure ho qualche nozione di altri tipi di influssi. Gli influssi di cui so qualcosa mi hanno sollecitato in modi che spesso, a prima vista, sembravano misteriosi, e a volte si fermavano appena un gradino al di sotto del miracoloso. Ma questi influssi mi sono stati chiari mano a mano che il mio lavoro andava avanti. […]
23L’influsso di cui ci parla Carver ha poco a che vedere con l’imitazione, con uno stile da riprodurre.
Potremmo dire piuttosto che si tratta di un canale, attraverso il quale arrivano le idee e le immagini, molte tratte dalla memoria, dall’osservazione continua e attenta, votata al particolare. Lo scrittore è colui che le rielabora, facendosi guidare da esse, sempre pronto a cambiare rotta, per seguire un nuovo influsso.
La scrittura per Carver è un tutt’uno con la vita. Nella sua introduzione all’opera Niente trucchi da quattro soldi, Marco Cassini, co-fondatore della casa editrice Minimum fax, ci fa notare come per lo scrittore la letteratura non sia staccata dal mondo terreno, dalle attività quotidiane, dal peso della responsabiltà di essere padre e dal doversi occupare e preoccupare dei propri figli:
[…]fra gli ingredienti che in un modo o nell’altro hanno finito col diventare letteratura hanno per Carver pari dignità ciò che ha a che fare con la scrittura vera e propria (la formazione, le letture, gli incontri con scrittori e insegnanti, i primi tentativi poetici e narrativi, il tempo e il luogo dello scrivere) e per così dire l’ambiente (le disgrazie economiche, la morte del padre, i litigi con la moglie Maryann, i figli, i mille mestieri fatti per mantenere la famiglia, l’alcolismo, la rinascita, l’incontro con Tess Gallagher, la malattia). […] Carver insomma non si nasconde, anzi si concede: ci racconta la scrittura senza mai prescindere dal fatto
23 R. Carver, Il mestiere di scrivere cit., pag 14.
che fa parte della sua vita (della sua giornata) e ci mette continuamente al corrente dei progressi e dei processi di una e dell’altra
24.
La produzione di Carver è molto ampia e articolata. Per questo sarebbe semplicistico riassumerla in un unico filone.
Le opere di inizio carriera sono da annoverarsi nella corrente minimalista, grazie anche all’influsso di Gordon Lish, all’epoca direttore della sezione narrativa dell’
“Esquire”.
Negli anni ottanta però Carver si spinge oltre, dedicandosi anima e corpo al desiderio di realizzare qualcosa di veramente originale e nuovo, concedendosi un’espressione più piena e completa, soprattutto nella prosa.
Gigliola Nocera, docente di Lingue e Letterature Anglo-Americane dell’Universtà di Ragusa, riassume così il percorso della poetica carveriana:
Tra il realismo rarefatto delle prime raccolte e il realismo visionario delle ultime si colloca dunque il cammino di Raymond Carver, e con esso una stagione estremamente significativa per la short story americana del novecento. Egli è stato un grande narratore perché ha saputo trasgredire e sconvolgere ogni teoria, ed essere un fuorilegge in grado di scrivere nuove leggi. Ha cercato dei maestri, da John Gardner a Gordon Lish, per imparare a non seguirli, e ha saputo allargare i confini del realismo americano
25.
Ci troviamo di fronte quindi ad uno scrittore unico nel suo genere, capace di lasciare un segno personale ed indelebile nel panorama letterario mondiale.
24 M. Cassini, Introduzione a R. Carver, Niente trucchi da quattro soldi cit., pag.6-7.
25 G. Nocera, L'America profonda di Raymond Carver, in Raymond Carver, Tutti i racconti cit.
Capitolo 2.
La regista Anna Stigsgaard: dagli anni dell’Odin fino a Pontedera.
Anna Stigsgaard è stata allieva del maestro di origini pugliesi Eugenio Barba.
Per comprendere a fondo il suo percorso e la sua formazione artistica è necessario soffermarsi su una delle pagine più importanti del teatro contemporaneo: l’Odin Teatret.
Il 1° ottobre del 1964 Eugenio Barba fonda a Oslo l’Odin Teatret, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani che avevano tentato di entrare alla Scuola Teatrale di Stato senza riuscirvi.
All’origine, l’idea era, molto semplicemente, quella di creare un piccolo teatro di repertorio che avrebbe dato regolarmente spettacoli.
Le condizioni di lavoro a Oslo erano però tali che il gruppo decise di stabilirsi in una città più piccola e di modificare i suoi obiettivi iniziali
26.
Nel giugno del 1966 infatti si spostano ad Hostelbro, una cittadina danese di provincia.
Barba è considerato uno dei maggiori esponenti del cosiddetto Terzo Teatro (sarà lui stesso infatti a scriverne il manifesto nel 1976), un universo composto e percorso da gruppi portatori di un’etica unica nel suo genere, alla ricerca di un proprio spazio nel quale individuare, attraverso un continuo lavoro di studio e di pratica, l’essenziale a cui tendere e restare fedeli.
[…] Il Terzo Teatro vive ai margini, spesso fuori o alla periferia dei centri e delle capitali della cultura, un teatro di persone che si definiscono attori, registi, uomini di teatro, quasi sempre senza essere passati per le scuole tradizionali di formazione o per il tradizionale apprendistato teatrale, e che quindi non vengono neppure riconosciuti come professionisti.
Ma non sono dilettanti. L’intero giorno è per loro marcato dall’esperienza teatrale, a volte attraverso ciò che chiamano training, o attraverso spettacoli che debbono
26 E. Barba cit. in T. D’Urso/F. Taviani, Lo straniero che danza, Torino, Cooperativa Editoriale Studio Forma, 1977, pag. 8.
lottare per trovare il loro pubblico. Secondo i tradizionali metri teatrali, il fenomeno può apparire irrilevante. Da un punto di vista diverso, però, un Terzo Teatro lascia pensare […]
27Le origini dell’Odin sono però da ricercare ancora prima del ’64.
Franco Perrelli, nel suo libro Gli spettacoli di Odino, ci fornisce una ricostruzione completa del cammino percorso da Barba e dai suoi collaboratori in tutti questi anni.
Il nodo fondamentale, l’incontro che ha dato inizio ad ogni cosa, è stato quello fra il giovane pugliese e il maestro polacco Jerzy Grotowski. Barba iniziò il suo
“apprendistato” in Polonia nel 1961, imbattendosi quasi casualmente nel teatro della cittadina di Opole nel quale lavorava Grotowski.
Da studente, Barba aveva avuto contatti con intellettuali marxisti e, ancora nella cerchia dei giovani socialisti dell’Università di Oslo, suggestionato da un film di Wajda, decise di chiedere una borsa di studio per la Polonia e lì diplomarsi regista.
La Polonia, che Gomulka governava con piglio nazionalista, paternalistico e vagamente liberale, era allora il modello di un comunismo relativamente diverso; la sua vita culturale e, in particolare, teatrale certo si avvantaggiava della favorevole contingenza politica ed era fiorente e seguita in tutta Europa
28.
Il culmine di questo rapporto si ebbe nella collaborazione di Barba all’adattamento drammaturgico del testo simbolista di Stanislaw Wyspianski, da cui nacque Akropolis (1962).
Con il lavoro su Akropolis si vennero a definire anche le linee guida per il training dell’attore, non ancora praticato a Opole.
Per avvicinarci al termine training, secondo l’accezione di Barba, soffermiamoci sulle sue parole:
Il training non insegna a recitare, a diventare bravi, non prepara alla creazione. Il trainig è un processo di autodefinizione, di autodisciplina che si manifesta attraverso reazioni fisiche. Non è l’esercizio in sé stesso che conta – per esempio fare delle flessioni o dei salti mortali- ma la giustificazione data da ciascuno al proprio lavoro, una giustificazione che, anche se banale o difficile a spiegare a parole, è fisiologicamente percettibile, evidente per l’osservatore. […]
Questa necessità interiore determina la qualità dell’energia che permette di lavorare senza sosta, senza curarsi della stanchezza, e quando si è esausti, allora continuare, proprio in quel momento andare avanti, senza arrendersi: questa è l’autodisciplina
27 E. Barba, Teatro, solitudine e rivolta, Milano, Ubulibri, 1996, pag.96-97.
28 F. Perrelli, Gli spettacoli di Odino, Bari, Edizioni di pagina, 2005, pag. 8.
di cui parlavo
29.
L’autodisciplina è il punto focale.
Il rimando continuo ad una domanda personale, lo scontro quotidiano con un mestiere che è anche un modo di vivere, questa è la forza di cui Barba ci parla.
L’allievo deve essere consapevole di ciò che sta affrontando. L’Odin è a tutti gli effetti un Teatro-Scuola dove, contrariamente a quanto accade nelle tradizionali accademie di teatro occidentali, si antepone al talento la volontà di immolare sé stessi all’Arte, similmente a quanto avviene invece nei teatri classici orientali.
Il teatro, come ogni altra attività artistica, è disciplina. Ogni esplosione deve essere padroneggiata. L’attore deve cavalcare la tigre, non esserne sbranato. Il traboccare fisico delle emozioni deve essere canalizzato, controllato, e così divenire un’ondata che porta con sé segni espliciti. Non deve prendere il sopravvento e gettare l’attore in azioni disordinate che scimmiottano il dolore.
30Iben Nagel Rasmussen, attrice danese, con Barba dal 1966, ricorda così gli esordi all’Odin e l’incontro con la pratica del training:
Il training fisico viene guidato dai vecchi attori. Eugenio commenta e propone correzioni. Nei primi anni gli veniva ancora da alzarsi per mostrare alcuni esercizi:
la verticale sulla testa o sulla spalla, il che fa cadere la camicia bianca svelando una carnagione scura.
Il silenzio regna in sala […].
L’Odin Teatret non ha ancora sviluppato un suo proprio training. Gli elementi provengono da diverse discipline […]. Tuttavia il trainig non ha niente a che vedere con la ginnastica. Eugenio sottolinea che ogni azione fisica deve essere accompagnata da una motivazione interiore. Niente è solo forma. Sembra che lui abbia un’idea molto chiara del perché eseguiamo gli esercizi e dove questi ci porteranno. Il training vocale è il suo regno e segue ogni singolo allievo indicando con mano le zone dei diversi risonatori del corpo
31.
Anna Stigsgaard, la regista di Perché non ballate?, ha vissuto in prima persona tutto questo, ha toccato con mano ed ha assimilato il rigore e la dedizione, la cura minuziosa per il lavoro in teatro. Una cura che elabora ogni personale contributo dell’attore, per tradurlo sulla scena.
In un saggio del 1972 dal titolo Parole o presenza
32, Eugenio Barba chiarisce i
29 E. Barba, Teatro, solitudine e rivolta cit., pag.78.
30 T.D’Urso/F. Taviani, lo straniero che danza cit., pag. 15.
31 I. Nagel Rasmussen, Il cavallo cieco. Dialoghi con Eugenio Barba e altri scritti, Città di Castello, Bulzoni Editore, 2006, pag. 46-47.
tentativi che lo hanno portato a comprendere intimamente la direzione da prendere con il gruppo Odin:
Dovetti ammettere che l’argomento della tecnica era una razionalizzazione, un ricatto pragmatico – se fai questo ottieni questo – che usavo per far accettare agli altri il mio modo di lavorare. […] Ad un livello personale – poco chiaro, pieno di ombre – sentivo che sotto l’alibi di un lavoro che gli altri definivano come teatro, io cercavo di annientare l’attore nel mio compagno di lavoro, lavarlo dal personaggio, distruggere il teatro dei nostri rapporti, e incontrarci io e lui, come compagni d’armi che non hanno bisogno di difendersi[…]. Allora non si trattava più di insegnare o imparare qualcosa, tracciare un metodo personale, scoprire una nuova tecnica, trovare un linguaggio originale, demistificare sé stesso o gli altri. Solamente non avere paura l’uno dell’altro. Avere il coraggio di avvicinarsi l’uno all’altro fino ad essere trasparenti e lasciare intravedere il pozzo della propria esperienza.
33Personalmente ritengo che il punto nodale più forte che collega Anna Stigsgaard al suo maestro Barba stia proprio in queste parole. Osservando il lavoro in sala, con gli attori di Perché non ballate? è possibile intravedere la ricerca di un punto di partenza neutro, che viene ancora prima del personaggio. Il teatro è, per prima cosa, un’esperienza, un’esperienza che attraversa gli uomini. I primi a fare i conti con quest’esperienza sono, senza dubbio, gli attori. Se osserviamo la questione dal punto di vista di Barba, il regista è colui che guida quest’esperienza, con un occhio rivolto alla continua possibilità di cambiare direzione, se le circostanze lo richiedono. Perché l’esperienza abbia luogo è necessario però che l’attore porti sé stesso sulla scena, le proprie incertezze, il proprio mondo intimo, fatto di ricordi, paure, immagini, e lo metta al servizio, spontaneamente e sinceramente, del lavoro.
Non è cosa da poco.
Avendo seguito, per circa un mese, le prove dello spettacolo Perché non ballate?, posso affermare di aver assistito a questo tentativo da parte di Anna di risvegliare il pensiero originario di ciascun attore, di farlo confrontare con sé stesso e con l’altro, prima che con un testo.
Anna è nata nel 1979 in Danimarca, anche se da anni risiede stabilmente in Italia.
La sua formazione teorica ed artistica è iniziata nel suo paese d’origine: è stata l’assistente alla regia di Eugenio Barba, tra il 2002 e il 2006, per tre produzioni, Il
33E.Barba, Parole o presenza in T.D’Urso/F. Taviani, Lo straniero che danza cit.,pag.19.
sogno di Andersen, Le grandi città sotto la luna, Ur-Hamlet, che hanno avuto repliche in Danimarca, Spagna, Polonia, Italia, Norvegia e Bali.
Mi soffermo brevemente su ognuna delle tre opere.
Il sogno di Andersen (2005) nasce principalmente da due suggestioni, proposte all’intero gruppo Odin da Eugenio Barba: la tratta degli schiavi e la vecchiaia. Solo in un secondo momento è stato deciso di creare intorno a queste tematiche uno spettacolo dedicato allo scrittore Hans Christian Andersen, in occasione del bicentenario della sua nascita.
Il punto di collegamento è un passo del diario personale dello scrittore danese, nel quale viene raccontato un sogno spaventoso: Andersen è invitato dal re a viaggiare sul suo vascello. Non riuscendo a raggiungere la nave, viene caricato su una seconda imbarcazione. Qui scopre, dopo essere stato spinto in malo modo nella stiva, di trovarsi su una nave di schiavi e di far parte del carico.
Barba ci presenta così lo spettacolo:
Una comunità di artisti si raduna in un giardino della Danimarca. È un mattino luminoso. Aspettano la notte d’estate quando il sole, tramontando, balla. Un amico sta per raggiungerli da un altro continente. Con lui, sognando ad occhi aperti, si inoltreranno in un pellegrinaggio nelle regioni delle fiabe di Andersen. L’Europa è in pace. Lo è, per lo meno, il loro paese. O forse soltanto il loro giardino. In quello spazio ristretto, le ore sembrano fermarsi e liquefarsi. Nell’estate fiocca la neve, e la neve si macchia di nero. Le loro fantasie navigano su un sogno tenebroso: un vascello che trasporta uomini e donne incatenati. Gli artisti sentono il peso d’invisibili catene. Sono schiavi anche loro? Quando il pellegrinaggio volge al termine, i sognatori ad occhi aperti si rendono conto che la loro giornata d’estate era lunga una vita. Li aspetta il letto dei sonni senza sogni. Sono fantasmi, marionette o giocattoli le figure che li vengono a prendere? Che vita viviamo, quando smettiamo di sognare? E quale tragedia o farsa danza il sole?
34In scena, sotto la regia di Eugenio Barba, ci sono: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Augusto Omolú, Iben Nagel Rasmussen, Julia Varley e Frans Winther.
34 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico dell’Odin Teatret all’indirizzo http://www.odinteatret.dk/media.pdf
Le grandi città sotto la luna (2003) nasce invece seguendo il percorso di una vecchia suggestione, quella che ha dato vita, nel 1980, allo spettacolo Le ceneri di Brecht, incentrato sull’esistenza di quest’uomo, esiliato e nomade, in fuga dal nazzismo e poi, addirittura, straniero a casa sua, una volta tornato, alla fine della guerra. Il progetto però si sviluppa in maniera profondamente diversa. Le grandi città sotto la luna è uno spettacolo musicale, avvolto da un atmosfera brechtiana:
bombardamenti, devastazioni e rovine sotto lo sguardo della luna, che si fa di volta in volta beffarda o attonita, fredda o incandescente. Gli attori che danno vita allo spettacolo sono: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Augusto Omolú, Iben Nagel Rasmussen, Julia Varley e Frans Winther
35.
Infine Ur-Hamlet (2006), un progetto maestoso che vede in scena, oltre agli elementi dell’Odin (Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Mia Theil Have, Julia Varley, Torgeir Wethal, Frans Winther) il Pura Desa Gambuh Ensemble di Bali, composto da circa trenta artisti, fra danzatori e musicisti. Sono presenti inoltre circa quaranta attori di diverse nazionalità, per comporre il coro degli stranieri. Ur- Hamlet è tratto da Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, una delle più importanti opere letterarie danesi medievali, fonte della celebre tragedia Shakespeariana
36.
Contemporaneamente al lavoro con Barba, Anna Stigsgaard si occupa della propria formazione universitaria. Infatti nel 2007 si è laureata in Letterature comparate e arabo all’Univesità di Copenaghen.
Nel 2008 ha seguito, sempre come assistente, il lavoro del giovane regista suo connazionale Kaspar Holten, Le nozze di Figaro, al Teatro Reale di Copenhaghen.
Dal 2009 ha iniziato a sperimentarsi nella regia in prima persona:
Meu Coração Viagem (2009) è uno spettacolo nato dalla residenza artistica al Festival Internazionale di Teatro di Strada Imaginarius. Più di ottanta persone (musicisti di fado, danzatori, cantanti…) appartenenti alla comunità di Santa Maria de Feira, in Portogallo, insieme ad un’attrice e ad un ensemble di canto ucraino,
35 Ivi.
36 Ivi.
hanno lavorato sul romanzo L’imperatore di Portugallia di Selma Lagerlöf
37.
A Feliz Idade (2010) è nato all’interno dello stesso Festival Imaginarius. In questo caso il lavoro è stato condotto da Anna Stigsgaard, in collaborazione con lo scrittore Valter Hugo Mãe, sul tema della nostalgia e del ricordo, partendo da dodici interviste fatte ad anziani del luogo
38.
Abito (2010) è una co-regia con Roberto Bacci, prodotto dalla Fondazione Pontedera Teatro. Lo spettacolo si ispira alla vita e alle opere dello scrittore portoghese Fernando Pessoa. In scena sono presenti quattro storici attori di Pontedera Teatro (Elisa Cuppini, Savino Paparella, Francesco Puleo, Tazio Torrini), più un coro in bicicletta, formato da dieci allievi (Valentina Bechi, Alice Casarosa, Chiara Coletta, Simone Evangelisti, Julia Filippo, Alice Maestroni, Irene Rametta, Silvia Tufano, Cristina Valota, Sara Morena Zanella)
39. Lo spettacolo non ha avuto felici recensioni, ma la parte unanimamente riconosciuta dai critici come la più interessante è quella del coro in bicicletta, sezione appunto curata dalla Stigsgaard.
Tommaso Chimenti, sulla rivista on-line Scanner, riassume così il suo pensiero:
Il coro delle biciclette, orchestrali e stuntman (quattro mesi di prove in produzione), che vorticano paurosamente intorno al protagonista sono l’effetto scenico-estetico che più ritorna, ricorre, si ricorda all’uscita a fianco, in contrasto con un testo più volte tortuoso come una curva di montagna, nebuloso e cupo
40.
Lisboa (2011) è uno spettacolo di strada, ancora ispirato a Fernando Pessoa, nato da una “costola” dello spettacolo Abito. Protagonisti stavolta i dieci coreuti in bicicletta che, attraverso l’utilizzo delle terrazze, dei cortili, dei balconi e delle piazze, trasformano poeticamente ogni città in una Lisboa immaginaria
41. È uno spettacolo che si è facilmente adattato a spazi di ogni tipo ed è per questo che è
37 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico del Festival Internazionale Imaginarius all’indirizzo http://www.imaginarius.pt/index.php?pg=historico.
38 Ivi.
39 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico di Pontedera Teatro all’indirizzo http://www.pontederateatro.it/?p=11113.
40 T. Chimenti, Abito, Ispirato a Il Libro delle Inquietudini di Fernando Pessoa,”Scanner”
,
http://www.scanner.it/live/abito4803.php.
41 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico di Pontedera Teatro all’indirizzo http://www.pontederateatro.it/?p=10346
stato agilmente esportato all’estero, in Brasile, Austria, Danimarca, Portogallo e Giappone.
Vie del cuore (2011) è uno spettacolo tripartito, presentato ad Hostelbro, durante l’annuale Festuge, ovvero la settimana di incontri, feste e spettacoli, organizzata dall’Odin Teatret. In ognuna delle tre serate, il pubblico viene accompagnato a visitare i luoghi, all’interno della cittadina danese, dove hanno avuto inizio alcune storie d’amore. A fare da guida ci sono musicisti, cantastorie e oltre cinquanta artisti internazionali invitati alla Festuge
42.
L’idiota (2012) è uno spettacolo nato da una nuova drammatizzazione dell’opera omonima di F.M. Dostoyevsky, elaborata da Anna Stigsgaard con Stefania Pop- Corseu. In scena nove attori / musicisti dell’ensemble del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca, in Romania
43. Tiepidi apprezzamenti si avvertono per questa produzione. Sulla rivista Persinsala Daniele Rizzo considera efficace la regia della Stigsgaard nel rappresentare il canovaccio degli eventi “
[…]tuttavia, la direzione è sembrata perdere vigore (e chiarezza) nel momento di esprimere con personalità drammaturgica il naufragio di quella stessa identità e di ogni possibile ricerca (individuale) di senso.“
44La Stazione (2013) è nato dal progetto di integrazione che ha coinvolto gli abitanti della zona della stazione di Pontedera. Culmine del lavoro è stato lo spettacolo- ritratto del quartiere, al quale hanno partecipato ottanta tra attori e musicisti, professionisti e non
45.
A Borgo Pace (2013) è uno spettacolo itinerante che ha coinvolto un intero quartiere della periferia di Lecce. Hanno collaborato alla sua realizzazione più di cento abitanti della zona, insieme agli attori e ai musicisti dei Cantieri Teatrali
42 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico dell’Odin Teatret all’indirizzo http://www.odinteatret.dk/arrangementer/2011/juni/viii-holstebro-festuge/viii-holstebro-festuge--- full-programme.aspx.
43 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico del Teatro nazionale Cluj-Napoca all’indirizzo http://www.teatrulnationalcluj.ro/index.php?page=listpaged&pid=137.
44 D. Rizzo, L’idiota in fieri, “Persinsala”
,
http://teatro.persinsala.it/lidiota-3/7488.45 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico di Pontedera Teatro all’indirizzo http://www.pontederateatro.it/?page_id=9451.
Koreja
46.
Extra Pontem (2013-2014) è uno progetto nato per raccontare la vita e la storia del quartiere Fuori del Ponte di Pontedera. Sono stati coinvolti gli abitanti, le associazioni, le scuole e i commercianti, che hanno dato vita ad un vero e proprio spettacolo, presentato al Teatro Era il 10-11-12 ottobre 2014
47.
Nel 2009 Anna Stigsgaard inizia a confrontarsi anche con la pedagogia. Il suo primo seminario dal titolo Essere in azione, svoltosi all’ Università Roma III, concentra il lavoro sulle azioni fisiche e la musicalità.
Tra febbraio e maggio del 2011 ha tenuto un corso settimanale di teatro per gli extracomunitari della sua nuova città di adozione, Pontedera.
Ancora nel 2011 ha diretto un seminario sulla voce per attori al Teatro Potlach di Fara Sabina, in provincia di Rieti.
Tra il 2013 e il 2014 il suo percorso di insegnante si è di nuovo concentrato su Pontedera, con un corso per gli studenti del Liceo pedagogico E. Montale e uno per gli adolescenti della comunità per minori.
Tra settembre e dicembre 2014 ha tenuto il corso di Regia Teatrale presso il Dipartimento di civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa.
Appare chiaro come, nonostante la giovane età, Anna Stigsgaard abbia un curriculum vitae esteso e costellato di nomi altisonanti. Mi ripropongo di tenere d’occhio i suoi prossimi lavori, mossa da grandi aspettative.
46 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico dei Cantieri Teatrali Koreja all’indirizzo http://www.teatrokoreja.it/koreja/rassegne.php?actionToDo=showEventSheet&eventID=537.
47 Informazioni reperibili on-line nell’archivio informatico di Pontedera Teatro all’indirizzo http://www.pontederateatro.it/?page_id=9442.