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Relazione Tecnico-Scientifica “COltivazione di ceppi MIcroalgali SARdi per applicazioni innovative nei settori agro-alimentare, nutraceutico, cosmetico e ambientale”

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Academic year: 2021

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Sardegna FESR 2014/2020 - ASSE PRIORITARIO I

“RICERCA SCIENTIFICA, SVILUPPO TECNOLOGICO E INNOVAZIONE”

Azione 1.1.4 Sostegno alle attività collaborative di R&S per lo sviluppo di nuove tecnologie sostenibili, di nuovi prodotti e servizi

PROGETTI CLUSTER TOP DOWN Relazione Tecnico-Scientifica

“COltivazione di ceppi MIcroalgali SARdi per

applicazioni innovative nei settori agro-alimentare,

nutraceutico, cosmetico e ambientale” (COMISAR)

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Relazione n. 2 periodo di lavoro dal 06/06/2019 al 25/08/2020

Organismo di Ricerca: Centro di Ingegneria e Scienze Ambientali (CINSA) e Centro di Ricerca Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna (CRS4)

Progetto Cluster Top Down: COltivazione di ceppi MIcroalgali SARdi per applicazioni innovative nei settori agro-alimentare, nutraceutico, cosmetico e ambientale (COMISAR)

CUP: CINSA: F21I18000040006 CUP CRS4: J71I17000100002 La Relazione Tecnico scientifica dovrà essere articolata indicativamente nel seguente modo:

1) Struttura, caratteristiche e proprietà dell’innovazione proposta

Descrivere dal punto di vista tecnico scientifico le caratteristiche delle attività/ procedure/

sperimentazioni effettuate e proposte e condivise con le imprese del gruppo cluster.

Indicare, da punto di vista tecnico scientifico, in che modo le imprese hanno usufruito delle attività proposte e sperimentate.

Le microalghe possono essere considerate delle “fabbriche cellulari” in grado di sfruttare la luce del sole per convertire il biossido di carbonio in potenziali biocarburanti, alimenti, mangimi e altri bioattivi di alto valore aggiunto (Chisti 2007). Questi microorganismi fotosintetici si sono adattati ad una vasta gamma di habitat naturali, spesso anche estremi, sviluppando numerosi sistemi di protezione contro diversi fattori di stress (eccessiva irradianza, salinità, temperatura, deficit nutrizionali, etc). Tra i vari sistemi di protezione rientra anche la produzione di prodotti di varia natura caratterizzati da un elevato valore aggiunto, come acidi grassi polinsaturi, antiossidanti, composti citostatici.

Il progetto COMISAR, che ha avuto come finalità lo sviluppo di tecnologie innovative basate sull’utilizzo di microalghe per la produzione di prodotti ad elevato valore aggiunto, si è proposto di contribuire alla conoscenza del vasto mondo delle microalghe studiando dei nuovi ceppi sardi coltivati in laboratorio in condizioni controllate e confrontandoli con specie microalgali già presenti nel mercato.

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Fig. 1. Prodotti commerciali a base di microalghe.

Infatti la biomassa microalgale può essere coltivata commercialmente non soltanto come fonte di cibo, ma anche per l’estrazione di prodotti di varia natura da commercializzare in diversi mercati strategici quali quello nutraceutico, cosmetico, bioenergetico e agroalimentare (Fig.

1). Comunemente questi microrganismi presentano un contenuto di proteine, carboidrati e grassi che varia notevolmente secondo le specie e le caratteristiche dell’ambiente in cui crescono.

Il Progetto della durata di 30 mesi, in fase progettuale era stato articolato in 8 work-packages.

Le attività previste nel progetto hanno riguardato lo sviluppo di tecnologie innovative basate sull’utilizzo delle microalghe per la produzione di prodotti ad elevato valore aggiunto. L’obiettivo del presente progetto era pertanto lo sviluppo e l’ottimizzazione dal punto di vista economico di tali tecnologie e la valutazione della scalabilità. La scelta dei composti da produrre, e quindi dei ceppi algali da coltivare, è stata fatta sia sulla base di un’accurata analisi delle loro potenzialità di mercato sia sulla base degli input delle aziende partecipanti al progetto, che hanno svolto un ruolo attivo nella fase critica di scelta del prodotto finale del processo. I ceppi algali oggetto di studio sono stati isolati esclusivamente in Sardegna. Infatti, nell’ambito del progetto si è fatto riferimento alla ceppoteca algale SCCA (Sardinian Culture Collection of Algae), la cui curatrice è la Dott.ssa Veronica Malavasi.

Le attività che hanno riguardato l’obiettivo WP 2, relativo all’individuazione, caratterizzazione e sperimentazione dei ceppi microalgali, hanno permesso di identificare cinque ceppi adatti alla coltivazione in Sardegna, nonché da utilizzare in un eventuale processo produttivo sulla base di informazioni emerse da attività scientifica pregressa e da un’accurata ricerca bibliografia sullo stato dell’arte dei generi scelti. Nell’ambito di tale obiettivo, ritenuto punto centrale delle attività del progetto, sono state condotte delle caratterizzazioni sulla composizione biochimica totale e sulla capacità antiossidante di queste alghe.

I ceppi algali scelti per condurre le attività sperimentali sono cinque alghe sarde e due alghe commercializzate con composizione nota (Fig. 2). Nello specifico, la Chlorella Pulver (Chlorella

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vulgaris) è stata acquistata dall’azienda tedesca Algova, mentre la Spirulina (Arthrospira platensis) è stata gentilmente fornita da una delle aziende che è presente sul territorio regionale la Livegreen srl., associata all’azienda Milis Energy aderente al progetto Cluster.

I cinque ceppi sardi appartengono alla divisione Chlorophyta. Essendo tutti ceppi non precedentemente studiati sono stati scelti con lo scopo di ampliare la loro caratterizzazione. Di seguito viene fornita una descrizione delle microalghe selezionate ed utilizzate negli esperimenti:

l’alga verde SCCA008: campionata presso il Parco Naturale Regionale Molentargius – Saline, situato nella Sardegna meridionale nel Golfo di Quartu Sant’Elena, Cagliari. Nello specifico il campionamento era stato effettuato in una vasca dell’Ecosistema Filtro, un impianto artificiale di bio-fitodepurazione;

l’alga verde SCCA 024: campionata nei Tacchi d’Ogliatra, in un invaso artificiale presso la località di Scala San Giorgio, Osini (Sardegna centro-orientale);

l’alga verde SCCA 034: campionata presso una sorgente artificiale nella località di Arquerì, foresta di Montarbu situata nel comune di Seui (Sardegna centro-orientale);

Coccomyxa melkonianii SCCA 048: specie nuova per la scienza, è stata campionata nelle acque contaminate da metalli pesanti del Rio Irvi, Sardegna sud-occidentale (Malavasi et al.

2016). Quest’alga appartiene alla classe delle Trebouxiophyceae, la quale comprende generi molto diversi tra loro, sia a livello morfologico sia per quanto riguarda l’ecologia. C. melkonianii è un’alga estremofila in quanto è in grado di vivere in acque contaminate da elevate concentrazioni di metalli pesanti (Malavasi et al. 2016) e di tollerare ampi range di pH, da 4.0 a 8.0 (Soru et al. 2019a). In Pasqualetti et al. (2015) l’alga è stata caratterizzata anche per il suo importante contenuto di luteina. Inoltre, sempre nell’arco di questo progetto, sono state svolte delle indagini in fotobioreattori batch circa gli effetti di diverse concentrazioni di azoto (1/5 e 5 N) nel terreno di coltura (BBM) e gli effetti sul tasso di crescita e sulla sintesi qualitativa dei lipidi (Soru et al. 2019b).

Chlorella cf. sorokiniana SCCA 090: campionata presso la località Monti Mannu, Villacidro (Sud Sardegna). La Chlorella è una microalga verde appartenente alla famiglia delle Chlorellaceae classe delle Trebouxiophyceae., che si caratterizza per le piccole dimensioni (da 3 a 8 micron), e l’elevatissimo contenuto di clorofilla. Quest’alga è formata da una singola cellula ed il suo nome di derivazione greca significa “piccola verde”, negli anni è stata oggetto di moltissimi studi e ricerche anche sulle sue proprietà nutrizionali.

Le colture sono state preparate inoculando delle quantità note dell’alga in beute contenenti il terreno di coltura prescelto. Tutti i ceppi algali sono stati fatti crescere in beute sterili poste all’interno di un frigo termostato con temperatura costante di 25 ± 1°C e provvisto di lampade fluorescenti con un’intensità luminosa pari a 60-80 E cm-2 s-1. Il fotoperiodo è stato regolato da un timer che fornisce 12 ore di luce e 12 ore di buio. Tutto il materiale utilizzato per gli esperimenti è stato sterilizzato in autoclave per 15 minuti 121°C. Gli inoculi e le colture algali sono state preparate sotto cappa a flusso laminare per mantenerne la sterilità.

Per perfezionare la metodica analitica è stata utilizzata della biomassa algale di produzione commerciale (Chlorella pulver Algova). Tale biomassa, così come riportato nell’etichetta, è stata coltivata in” vasche coperte” con luce solare controllata. La biomassa algale di Chlorella è stata essiccata con molta cura. I valori nutrizionali dichiarati sono i seguenti: proteine 50%;

ceneri 9%; grassi 14%; umidità 6.5%.

Spirulina “Livegreen srl”: l’Arthrospira platensis conosciuta con il nome Spirulina, dal latino

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“piccola spirale” era conosciuta già ai tempi degli Aztechi e dei Maya che la usavano quotidianamente quale fonte di energia, per integrare la loro alimentazione. L’alga unicellulare appartiene alla divisione dei cianobatteri e si presenta di colore verde scuro. Le due qualità principali di questa microalga sono l’altissima capacità di assimilazione del prodotto da parte del nostro organismo ed il suo grande apporto nutritivo. Il quantitativo di proteine della Spirulina varia tra il 50% e il 70% del suo peso secco. I carboidrati costituiscono approssimativamente il 15% del peso secco, e sono rappresentati essenzialmente da polisaccaridi.

Fig. 2. Ceppi algali scelti per condurre le attività sperimentali.

Di seguito si riportano le metodiche utilizzate per lo studio della composizione chimica quali- quantitativa dei principali composti ad alto valore aggiunto (Fig. 3) e della valutazione dell’attività antiossidante degli estratti ottenuti dai ceppi algali analizzati (Fig. 4).

Per produrre la biomassa microalgale si è scelto di operare in condizioni autotrofe, utilizzando diversi terreni di coltura adatti alla crescita delle diverse alghe oggetto di studio. Il metabolismo fototrofico è il processo per cui l’energia solare ed il carbonio inorganico sono convertiti in energia chimica attraverso il processo di fotosintesi. Nel presente lavoro, sono stati utilizzati due terreni di coltura: il WARIS-H (McFadden e Melkonian, 1986) ed il Bold’s Basal Medium (BBM) [Bischoff e Bold 1963]. Il BBM è un terreno privo di nutrienti organici e substrati carboniosi, pertanto, è particolarmente adatto per coltivazioni autotrofe.

L’estrazione e determinazione spettrofotometrica dei carboidrati totali è stata condotta seguendo il metodo di DuBois et al. (1956). La determinazione del contenuto dei lipidi totali è stata effettuata mediante l’impiego del metodo Marsh e Weinstein (1966). Il metodo, che sfrutta una carbonizzazione con acido solforico concentrato, prevede un pretrattamento del campione in cui l’estrazione della fase lipidica viene effettuata secondo il metodo Bligh e Dyer (1956). La

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determinazione del contenuto proteico presenti nei diversi ceppi microalgali è stata condotta secondo il protocollo del test dell’acido bicinconinico (BCA), come descritto da Smith et al.

(1985). Il metodo sfrutta la capacità delle proteine di ridurre, in ambiente basico, gli ioni rameici a rameosi che reagiscono con il BCA sviluppando una colorazione viola, la cui intensità viene determinata spettrofotometricamente. La riduzione del rame è causata principalmente da quattro residui di amminoacidi tra cui cisteina o cistina, tirosina e triptofano presenti nelle molecole proteiche. Per determinare il contenuto dei polifenoli totali, l’estratto idroalcolico ottenuto dalle biomasse algali impiegando una miscela etanolo – acqua (70:30, v/v) è stato analizzato col metodo del Folin-Ciocalteau (Singleton, V. L.; 1965).

Fig. 3. Metodiche utilizzate per lo studio della composizione chimica quali-quantitativa.

Il saggio spettrofotometrico del DDPH è stato effettuato in accordo con Brand-Williams et al.

con qualche modifica (Brand–Williams, 1995).

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Fig. 4. Tecniche per la valutazione dell’attività antiossidante.

Il saggio spettrofotometrico del FRAP (Benzie, 1996) è stato effettuato sullo stesso estratto impiegato per il test del DPPH. L’analisi quantitativa della clorofilla-a è stata eseguita applicando tre diverse metodiche spettrofotometriche per valutare la risposta dei campioni analizzati:

Il primo metodo, applicato alla biomassa liofilizzata, seguiva il protocollo proposto da Brito et al.

(2009) opportunamente modificato che prevede l’estrazione dei pigmenti con acetone al 90%. Il metodo prevede l’utilizzo dell’equazione di Lorenzen (1967) per il calcolo della concentrazione della clorofilla-a. Il secondo metodo, applicato sulla biomassa liofilizzata, è stato eseguito secondo il protocollo sviluppato da Fernandes de Souza et al (2018). Il terzo metodo, applicato alla biomassa fresca, è stato condotto secondo il metodo descritto nella tesi di Larivera 2013 che si rifaceva al lavoro di Ritchie 2006, apportando alcune modifiche.

I risultati ottenuti mostrano che, il contenuto delle proteine totali del campione SCCA 034 è risultato essere in linea con quello dei prodotti commerciali utilizzati per il confronto a differenza di quello di Chlorella cf. sorokiniana SCCA 090 e Coccomyxa melkonianii SCCA 048.

I ceppi algali SCCA 024 e SCCA 008, hanno mostrato invece una percentuale inferiore. Per quanto riguarda i carboidrati totali, invece, il campione SCCA 024 ha riportato una percentuale significativamente superiore rispetto a quella presente nella Chlorella Pulver e nella Spirulina commercializzati, seguito da Coccomyxa melkonianii SCCA 048 e Chlorella cf. sorokiniana SCCA 090. Il ceppo SCCA 034, analogamente a quanto osservato per le proteine, presenta un quantitativo di carboidrati totali paragonabile a quello della Chlorella Pulver.

Un altro parametro importante per la caratterizzazione dei diversi ceppi microalgali, è il contenuto dei lipidi totali. Come per gli altri due parametri il campione SCCA 034 ha un contenuto percentuale comparabile con quello della Chlorella Pulver, mentre la Chlorella cf.

sorokiniana SCCA 090 è caratterizzata dalla più bassa percentuale di lipidi totali ma in linea con quella della Spirulina. Oltre ai macronutrienti appena descritti, sugli stessi campioni sono stati determinati i principali composti bioattivi, quali i polifenoli totali e la clorofilla-a. Il tenore dei

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polifenoli totali, ha mostrato delle significative differenze tra i campioni analizzati. Infatti, l’unico ceppo algale che ha mantenuto un quantitativo di polifenoli simile a quello dei campioni commerciali è SCCA 034. Tutti gli altri, presentano invece un basso tenore di polifenoli totali.

Si è infine valutata l’attività antiossidante e antiradicalica mediante l’impiego dei più comuni test in vitro, il test del FRAP e il test del DPPH. Tutti i campioni analizzati mostravano un’elevata capacità antiradicalica ad eccezione dei campioni SCCA 024 e SCCA 008, mentre la Chlorella cf. sorokiniana SCCA 090 è risultato il ceppo con una maggiore attività antiossidante. I risultati ottenuti non mostrano, però, una correlazione diretta tra l’attività antiossidante e antiradicalica e il tenore dei polifenoli totali suggerendo che in questi ceppi microalgali potrebbero essere presenti altri principi attivi che contribuiscono all’ottenimento di questi valori così elevati. In conclusione, tutti i ceppi sardi algali analizzati sono risultati degli ottimi candidati per la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto.

Nell’ambito della caratterizzazione metabolica dei ceppi sardi prescelti sono state portate avanti diverse attività sperimentali. È stata avviata l’analisi preliminare per lo screening metabolomico della frazione polare di estratti algali. L’analisi è stata eseguita in triplicato su una coltura di Picochlorum sp. SCCA 034 e su una coltura di C. melkonianii SCCA 048 in BBM standard durante le diverse fasi di crescita. Nella fase esponenziale di entrambe le alghe osservate si è riscontrata la presenza di 5 metaboliti: acido isocitrico, valina, glutamina, fenilalanina, acido gluconico e glucosio. I risultati preliminari della metabolomica di C. melkonianii, hanno mostrato la presenza di significative quantità di inositolo. Quest’ultimo, noto in alcuni casi come vitamina B7, è un composto utilizzato nella produzione di un gran numero di integratori presenti sul mercato.

Inoltre sugli stessi due ceppi è stato condotto un esperimento variando l’intensità luminosa per studiarne i cambiamenti nella crescita e nel metabolismo.

Le analisi sperimentali legate alla crescita variando questo parametro sono state valutate in quanto lo stato dell’arte indicava che la composizione chimica delle microalghe varia con la specie, l'habitat, la salinità, il pH, la temperatura, l'intensità della luce e altre condizioni ambientali. Le microalghe che si acclimatano ad alte intensità di luce (Grobbelaar et al., 2003) tipicamente hanno: un alto tasso fotosintetico; un basso contenuto di clorofilla per unità di biomassa; alti livelli di pigmenti accessori come i carotenoidi e bassa efficienza fotosintetica.

D’altra parte, le microalghe che si acclimatano a basse intensità luminose (Grobbelaar et al., 2003) hanno: basso tasso fotosintetico; alto contenuto di clorofilla per unità di biomassa; bassi livelli di pigmenti ausiliari come i carotenoidi e alta efficienza fotosintetica.

La nostra ipotesi di lavoro è stata che C. melkonianii SCCA 048 sarebbe stata stressata da un'elevata intensità luminosa perché isolata in un fiume inquinato con una forte torbidità.

Anche in questo caso, l’analisi è stata eseguita in triplicato su una coltura di Picochlorum sp.

SCCA 034 e su una coltura di C. melkonianii SCCA 048 in BBM standard durante le diverse fasi di crescita.

I risultati preliminari mostrano che C. melkonianii SCCA 048 ha manifestato una crescita lenta con luce ad alta intensità rispetto a una luce di minore intensità. La parte sperimentale è finita ed i campioni sono stati congelati per poter poi procedere alle analisi quali-quantitative.

Purtroppo a causa dei provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus COVID-19, i metaboliti non sono ancora stati analizzati al GC.

Nel periodo di riferimento della presente relazione, per quanto concerne il WP6 è stata svolta attività volta valutazione della fattibilità tecno-economica su scala produttiva dei processi

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investigati su scala di laboratorio. In tale ottica è stato sviluppato un tool per la simulazione delle rendite economiche derivabili dall’operatività di fotobioreattori di tipo openpond accoppiati ad impianti di estrazione dell’olio. Tale tool, concretizzatosi in una cartella Excel, prendendo in input i dati ottenuti dalla sperimentazione e contestuale modellazione, consente di effettuare un primo dimensionamento di massima di un impianto operante “outdoor” e una analisi delle potenziali produttività algali e lipidiche conseguibili. Nella parte economica, sono invece valutati i costi di investimento e i costi operativi, ivi compresi costi fissi e costi variabili. Sulla base di tale informazioni il tool consente di valutare il cosiddetto ROI (return on investment) e il cosiddetto tempo di ritorno (pay-back time). Il “tool” tiene conto delle economie di scala e delle caratteristiche meteo-climatiche della località in cui è ospitato l’impianto. Il sistema è poi arricchito con una macro che consente di valutare il prezzo unitario di vendita del prodotto finale al fine di ottenere ROI e tempi di ritorno desiderati. Tramite un collegamento ipertestuale il tool permette poi di confrontare il prezzo calcolato con quelli a cui lo stesso prodotto è attualmente venduto sul mercato all’ingrosso. In tal modo è consentita una valutazione preliminare della competitività del processo implementato. È altresì necessario precisare che il “tool” sviluppato è ancora allo stato embrionale e suscettibile di importanti miglioramenti/integrazioni. Pur tuttavia, anche nella configurazione attuale esso può costituire un utile ausilio alle imprese per lo sviluppo di “business plan” relativi alla realizzazione di tali tipologie di impianto e alla commercializzazione di alghe tal quali ed olio da esse derivato. Nelle parti seguenti del documento saranno spiegate le caratteristiche del tool saranno meglio discusse ma per un maggior dettaglio si rimanda comunque ai rapporti tecnici WP-6 e WP-7. In quest’ultimo sono in particolare riportati i risultati dell’applicazione di tale tool al caso della coltivazione dell’alga da noi investigata in un impianto di circa 1,2 h costituito da reattori simili (a parte le scale) a quello realizzato nel WP7 come impianto pilota. Tale attività, che ha consentito dio dedurre informazioni utili sulle potenziali verticalizzazioni commerciali dell’alga sarda, non è mai stata effettuato prima con un alga sarda e quindi a nostro avviso produce risultati caratterizzati da un elevato livello di innovazione.

2) Metodologie/materiali utilizzati ai fini dello svolgimento del Progetto

Indicare le metodologie utilizzate. Descrivere la replicabilità dell’innovazione proposta

Il supporto della Dott.ssa Michela Isola alle attività del WP2 - 2.1 - Individuazione di ceppi sardi per la coltivazione ha permesso di completare le analisi morfologiche delle microalghe finalizzate alla scelta preliminare dei ceppi da caratterizzare nell'ambito del progetto per gli usi applicativi. Infatti, il contributo della microscopia a scansione, nello studio della biodiversità algale è stato fondamentale per la caratterizzazione di uno dei ceppi più promettenti. Questo perché il TEM/SEM ci ha permesso di osservare le strutture cellulari più piccole del limite di risoluzione del microscopio ottico ed inoltre ci ha consentito una visione tridimensionale delle superfici esterne delle strutture biologiche.

Durante questi mesi, allo scopo di standardizzare, e quindi ottimizzare la tecnica di allestimento di questo tipo di preparati per l'osservazione al microscopio elettronico, abbiamo analizzato diversi campioni di biomassa algale della strain Coccomyxa melkonianii SCCA 048.

Nello specifico si è deciso di utilizzare dei campioni di: biomassa fresca (coltura tal quale), biomassa surgelata, biomassa surgelata trattata con crioconservante.

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Si è quindi proceduto ad effettuare varie prove di fissagio ed osservazione al microscopio, testando diversi metodi di fissazione sui diversi tipi di bioamssa algale, allo scopo di individuare il miglior procedimento per evidenziare le strutture interne delle cellule:

- fissazione con 1% paraformaldeide e 1.25% glutaraldeide per 2 ore su biomassa fresca, - fissazione con 1% paraformaldeide e 1.25% glutaraldeide per 2 ore su biomassa surgelata, - fissazione con 1% paraformaldeide e 1.25% glutaraldeide per 5 ore su biomassa fresca, - fissazione con 3% glutaraldeide per 3 ore su biomassa fresca,

- fissazione con alcol metilico per 20 minuti a -20°C quindi con 1% paraformaldeide and 1.25%

glutaraldeide su biomassa fresca,

- fissazione con 1,5% e 5% KMnO4 per 20 minuti e 1 ora rispettivamente su biomassa fresca.

Al momento si sono confrontatati i dati ottenuti per ciascuna procedura e si sono elaborati i risultati che hanno portato alla stesura di un primo lavoro sulla metodologia che verrà sottomesso a breve ad una rivista scientifica del settore.

Durante il progetto COMISAR la strain C. melkonianii SCCA 048 è stata anche studiata per valutare la sua capacità di crescere in terreni di coltura con diverse concentrazioni di solfato di ferro (FeSO4). Nello studio è stata osservata la capacità di bioaccumulo di questa microalga (Malavasi et al., 2018). La biomassa algale di questi esperimenti è stata surgelata per una successiva estrazione e valutazione dei prodotti ad alto valore aggiunto sotto l’influenza del ferro. Gli esperimenti sono finiti, si stanno analizzando ed elaborando i dati e si stanno aggiungendo le analisi al SEM/TEM assieme alla Dott.ssa Michela Isola, Dott.ssa Raffaella Isola e il Dott. Loy.

Le attività legate al WP5, relativo allo sviluppo e ottimizzazione di tecnologie di estrazione dei composti intracellulari ad elevato valore aggiunto hanno permesso di migliorare la tecnica estrattiva dei lipidi da biomassa microalgale decongelata di Coccomyxa melkonianii SCCA 048. La biomassa ottenuta dalla coltivazione in fotobioreattori di vario tipo e successivamente raccolta, centrifugata a 4000 rpm per 15 minuti, è stata sottoposta a diverse prove di estrazione che hanno previsto l’aggiunta dei passaggi di congelamento in freezer a -25°C e di decongelamento a temperatura ambiente, infine la riduzione del numero di estrazioni in esano (Fig. 5).

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Fig. 5. Schematizzazione del protocollo di estrazione dei lipidi da biomassa congelata e successivamente decongelata di Coccomyxa melkonianii SCCA 048

Tali modifiche hanno consentito l’ottimizzazione della tecnica estrattiva riducendo i costi legati ai quantitativi di solvente necessari all’operazione. La limitazione dell’utilizzo di solventi e conseguentemente la diminuzione degli impatti ambientali di tale fase operativa, hanno permesso di rendere la metodica più sostenibile dal punto di vista ambientale. Inoltre, sono state eseguite delle prove di estrazione dei lipidi da quantitativi di biomassa umida decongelata pari rispettivamente alla metà e ad un quarto del quantitativo impiegato nel precedente protocollo, al fine di massimizzare la resa estrattiva minimizzando la quantità di matrice da sottoporre ad estrazione. I risultati hanno dimostrato che col nuovo metodo si possono ottenere rese simili utilizzando minor quantità di biomassa e di reagenti, riportando quindi una maggior efficienza estrattiva (Fig. 6 e 7).

Fig. 6 Effetto del congelamento sulla resa di estrazione lipidica da Coccomyxa melkonianii

Biomassa fresca Dopo trattamento termico 0

2 4 6 8 10 12 14 16

Lipidi estratti, % wt

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Fig. 7 Effetto del peso di biomassa e quindi del rapporto solido liquido sulla resa di estrazione lipidica da Coccomyxa melkonianii

Sempre nell’ambito del WP5, al fine di verificare la possibilità di utilizzare solventi ambientalmente sostenibili, in collaborazione col Dipartimento di Chimica dell’Università di Cagliari, è stata effettuata una sperimentazione ‘spot’ di estrazione con CO2 supercritica da un campione di biomassa algale di Chlorella pulver (Chlorella vulgaris). La CO2, infatti, si comporta come un solvente in condizioni di temperatura e pressione supercritiche mentre in condizioni standard è un gas che non crea particolari problemi anche perché nell’impianto di estrazione sarebbe completamente riciclata. La scelta di utilizzare Chlorella pulver invece è scaturita dal fatto che la biomassa prodotta mediante C. melkonianii era già stata utilizzata per le prove appena descritte e quindi non era disponibili per le prove di estrazione. La procedura e i risultati ottenuti sono riportati nel seguito. La matrice costituita da Chlorella vulgaris acquistata dall’azienda Algova una volta ricevuta è stata conservata in luogo fresco ed asciutto ad una temperatura non superiore ai 25 °C. Il diossido di carbonio (purezza, v/v > 99.7 %) in bombole da 30 kg dotate di tubo pescante, era invece fornito dalla Air Liquide – Italia.

L’estratto è stato ottenuto utilizzando un impianto da laboratorio di Estrazione in Fase Supercritica, SFE, impiegando del diossido di carbonio, CO2, come solvente. Lo schema è riportato in Figura 8. L’apparecchiatura non commerciale - pressione massima di esercizio di 350 bar - è stata progettata dal gruppo di ricerca della Dott.ssa Procedda del dipartimento di Chimica di Cagliari. Essa è dotata di un estrattore di capacità 0.32 dm3 e di due separatori in serie, di volume rispettivamente di (0.40 e 0.30) dm3.

Il secondo separatore è dotato, sul fondo, di valvola micrometrica che consente – anche grazie al battente di pressione esistente, in qualunque momento dell’estrazione – lo spillamento degli estratti liquidi che vi si accumulano durante l’esperimento. Il CO2 viene fatto circolare nell’impianto tramite l’uso di una pompa per liquidi ad alta pressione (LEWA EL 1) mentre la regolazione fine della pressione, nelle principali sezioni dell’impianto, è realizzata con valvole micrometriche e di regolazione – di tipo pressure regulator e back pressure della TESCOM (non riportate in Figura 8). La misura delle pressioni è effettuata mediante manometri, mentre le temperature sono rilevate da termocoppie Fe/Costantana da 1/8”. La portata istantanea del CO2

è misurata tramite rotametro calibrato posto a valle dell’impianto, mentre la quantità totale è valutata mediante un contatore ELSTER HANDEL.

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Figura 8. Schema dell'impianto di estrazione da laboratorio con fluidi supercritici: B bombola di CO2 con tubo pescante; M1 - M5 manometri; BT crio-termostato; H pre-riscaldatore; P pompa per liquidi; RD disco di scoppio; D, polmone; Tc1 - Tc3 termocoppie; E estrattore; Vm1, Vm2 valvole micrometriche; S1, S2 separatori; FM flussimetro; CdF misuratore di portata.

L’estratto è stato ottenuto, a partire dall’alga Chlorella vulgaris, utilizzando l’impianto appena descritto con l’allestimento a singolo separatore. Le condizioni operative sono indicate nel seguito: 300 bar e 40 °C nella sezione di estrazione; 20 bar e 40 °C nella sezione di separazione; portata del CO2, pari a 1.2 kg h-1 per una durata di 4 h. A 300 bar e 40 °C il CO2

possiede un’elevata densità e potere solvente mentre a 20 bar e 40 °C il CO2 ritorna allo stato di gas sub-critico, perde il suo potere solubilizzante e rilascia l’estratto all’interno del separatore.

Aprendo la valvola inferiore del separatore è possibile raccogliere l’estratto finale da cui, a pressione e temperatura ambiente il CO2 gassoso si allontana spontaneamente. Nella prova effettuata, nell’estrattore sono stati caricati 278 g di matrice. L’estratto ottenuto, 3.4 g (resa 1.2

%, w/w) era costituito da una fase semisolida di colore verde scuro. Il campione è stato trasferito in una boccetta e conservato in frigorifero a +4 °C. Nonostante la resa sia apparente molto bassa è necessario precisare quanto segue:

• L’alga era diversa da C. melkonianii e quindi poteva essere intrinsecamente caratterizzata da un contenuto lipidico più basso.

• La biomassa non era stata sottoposta a precedenti operazioni di disruption e pertanto la parte cellulare risultava intatta impedendo l’estrazione.

• Non c’è stato tempo a sufficienza per ottimizzare il processo in termini di variabili operative.

Alla luce di questi aspetti le rese ottenute sembrano invece abbastanza elevate e quindi l’estrazione supercritica, anche in virtù della maggiore sostenibilità ambientale del solvente e della maggiore purezza del prodotto (non possono rimanere tracce residue di solvente) costituisce a nostro avviso il metodo migliore per effettuare l’estrazione lipidica su scala produttiva.

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Nell’ambito del WP6 è stato sviluppato un tool Excel che consente l’ingegnerizzazione tecno- economica del processo di coltivazione. Il prende in input alcuni dati dedotti col modello matematico sviluppato sempre nel WP6, nel periodo di riferimento antecedente al presente, e li utilizza per fare una serie di analisi tecniche di un processo implementato su una scala larga a piacimento. Di seguito si descrivono le caratteristiche di tale tool ma per una discussione di maggior dettaglio si rimanda al rapporto tecnico WP6.

Nella fattispecie il tool parte dalla conoscenza del ‘dilution rate’ che massimizza le produttività Dmax, (cfr relazione precedente e rapporto tecnico WP6) e sulla base di questa, nonché di altre informazioni sperimentali sull’alga, calcola la cosiddetta efficienza fotosintetica () dell’alga mediante una relazione proposta in letteratura da Molina Grima et al (1998).

A questo punto nel tool di calcolo si può scegliere da un menu a tendina l’alga che sarà coltivata. Per completezza il tool consente anche di valutare l’effetto dell’utilizzo di un consorzio di più ceppi algali, in proporzioni prestabilite, nell’inoculo. Una volta scelto il ceppo sono impostati i valori del contenuto in macro-composti quali lipidi, proteine e carboidrati sulla base dei dati sperimentali ottenuti. Nella fattispecie per il calcolo del contenuto lipidico sono stati utilizzati i dati sperimentali ottenuti come riportato nei rapporti precedenti mentre per il calcolo delle proteine si è partiti dal contenuto in azoto ottenuto mediante l’analisi CHN e a questo si è applicato un fattore di conversione, ‘nitrogen to protein ratio’, pari a 6.25 ampiamente utilizzato in letteratura. I valori degli acidi organici sono anch’essi dedotti dalla letteratura mentre il contenuto di carboidrati è stato ottenuto come complemento a 100 della somma dei valori precedenti.

Di seguito da un menu a tendina sono impostati l’ubicazione dell’impianto, la sua superfice, l’altezza della lama d’acqua nel raceway, la superficie del singolo raceway (pond) etc (cfr rapp.

Tecnico WP6). In base all’ubicazione dell’impianto vengono poi impostate le caratteristiche meteoclimatiche del sito incluse temperature mensili e livelli di radiazione luminosa. Proprio dai valori di radiazione luminosa e dall’area dei ponds, attraverso la conoscenza dell’efficienza fotosintetica è possibile calcolare la quantità di glucosio (carboidrati) prodotti dall’alga nei diversi mesi di coltivazione a seguito di conversione fotosintetica dell’energia radiante raccolta dall’impianto.

Dalle proporzioni con cui i carboidrati sono poi presenti nell’intera biomassa è possibile valutare le quantità di biomassa algale prodotte mensilmente nell’impianto di dimensioni stabilite (cfr.

Rapp. Tecnico WP6). Una volta note le quantità di biomassa secca prodotte mensilmente è possibile dedurre i volumi di coltura e quindi una serie dia altre informazioni quali consumi elettrici, etc. Come si può notare, il tool prevede anche la possibilità che durante la coltivazione si verifichino dei fenomeni di crash della coltura per cui è necessario scaricare completamente i reattori e far ripartire l’impianto. Durante tali eventi, oltre a perdita di biomassa si verifica la produzione di acque di rifiuto che è necessario smaltire e che il tool consente di calcolare. Sulla base delle caratteristiche meteo-climatiche del sito sono calcolati altre informazioni fondamentali quali, acqua evaporata da re-integrare e calore da fornire nei mesi più freddi. Per il dettaglio sui calcoli si rimanda al foglio excel allegato.

Di seguito il tool, sulla base dei dati ottenuti nella sezione di coltivazione, calcola una serie di parametri impiantistici relativi alla sezione di raccolta della biomassa che si ipotizza avvenire per centrifugazione. Sulla base di questa informazione è calcolata anche la quantità d’acqua di rifiuto scaricata e quella che può essere ricircolata in testa alla vasca di coltivazione (ponds o raceway). Infine, si ipotizza di ridurre ulteriormente il contenuto d’acqua della biomassa uscente dalla centrifuga mediante un essiccatore a tamburo. Il tool calcola inoltre il numero di ore di personale da dedicare a questo impianto per poter effettuare valutazioni economiche in seguito.

(15)

Aggregando su base annuale tutte le informazioni ottenute su base mensile e riportandole nello schema grafico dell’impianto di Figura 9, è possibile visualizzare con immediatezza l’analisi tecnica che è possibile effettuare mediante il sistema di calcolo sviluppato. Nella fattispecie sono riportati in Figura i risultati effettuati proprio utilizzando l’alga C. melkonianii. Note le caratteristiche tecniche dell’impianto è possibile fare delle stime dei costi di investimento sulla base dei costi unitari per moduli di circa 1000 m2 ciascuno. Sulla base delle informazioni reperite dai rivenditori e nella letteratura è stato possibile ottenere dei costi unitari d’investimento per i moduli unitari. Applicando poi opportune leggi sulle economie di scala per impianti assimilabili al presente è possibile valutare i costi dell’impianto di dimensioni desiderate (cfr Rapp. Tecnico WP6). Successivamente sono valutati gli ammortamenti e altri costi di gestione imputabili fondamentalmente a: consumi energetici e termici, personale, fertilizzanti, acqua, assicurazioni, prestiti etc. I valori di tali voci erano facilmente desumibili sulla base delle informazioni ottenute mediante l’analisi tecnica appena discussa.

Figura 9. Schema grafico riassuntivo dell’analisi tecnica dell’impianto di coltivazione e raccolta

Dati riferiti a un anno di produzione

57947 GJ Superficie impianto 10000 m2

Superficie totale 12000 m2 Altezza Pelo libero 0.3 m 28219 m3

Elettricità (miscelazione) 111240 kWh 5650 m3

0 m3

algae pond LQ personale; crashes 404 hr

Biomassa persa (crashes) 13504 kg ds # m3 3267852 kWh

Evaporazione 15563 m3

22248 kWh

Flue gas CO2 147538 kg

222480 kWh

Global Dilution rate 2.2142847 1/y

0.0060665 1/day 295077 kg

Acqua riciclo Biomassa Biomassa 15 %dw Elettricità (essicatore)

59786 m3 74514 kg ds 74514 kg dw 253383 kWh

62095 m3 497 m3

4299 hr 207 hr

Acqua rifiuto Biomassa 80 %dw

6643 m3 Elettricità (centrifuga) 74514 kg dw

83657 kWh 93.1 m3

0,2 m/s

10 x

1 x

Spargers

(16)

Valutati tutti questi aspetti il tool presenta una sezione di ricerca obiettivo che consente, cliccando semplicemente su un pulsante, di valutare i prezzi unitari a cui è necessario vendere la biomassa secca affinché il tempo di ritorno dell’investimento sia pari a quello desiderato e impostato su opportuna casella. Infine, cliccando su un altro collegamento ipertestuale (Check valori di mercato) è possibile effettuare un confronto dei prezzi unitari ottenuti con quelli tipici di mercato in modo da poter valutare la competitività del prodotto eventualmente commercializzato in termini di biomassa algale secca (Cfr. Rapp. Tecnico WP7).

Poiché nelle fasi precedenti del progetto si era però stabilito di commercializzare i lipidi algali è stato sviluppato un nuovo foglio di calcolo nel quale è possibile fare le valutazioni tecno- economiche di un impianto in cui alla fase di coltivazione è accoppiata una sezione di downstream nella quale vengono effettuate le fasi di “cell disruption”, estrazione lipidica e purificazione dei lipidi. Nella fattispecie si prevede di effettuare l’operazione di distruzione della parte cellulare mediante un mulino a sfere mentre l’estrazione lipidica viene effettuata mediante CO2 supercritica. La fase di purificazione si rende necessaria perché nel caso dell’estrazione supercritica è necessario separare le proteine, i pigmenti, etc. Questa viene effettuata in un semplice reattore dove insieme all’estratto vengono inviati acido fosforico, idrossido di sodio e acido citrico che consentono di separare i lipidi dal resto della biomassa e soprattutto dai pigmenti quali clorofille e carotenoidi.

Lo schema dell’impianto di estrazione, unitamente a tutte le analisi tecniche che il tool è in grado di compiere è riportato in Figura 10. L’approccio adottato per effettuare tutti i calcoli è del tutto simile a quello descritto a grandi linee per la sezione di coltivazione e facilmente desumibile dal foglio Excel allegato. Sempre in Figura 10 sono quindi mostrati i risultati dell’analisi tecnica effettuata su base annuale in termini di flussi di materia da trattare e la generazione sottoprodotti nonché consumi energetici sia elettrici che termini e di reagenti.

L’aspetto più importante è comunque la possibilità di valutare i quantitativi di prodotto utile da commercializzare generato con l’impianto in esame.

Il dimensionamento delle diverse apparecchiature avviene scegliendo una tipologia base di mulino a sfere, di sistema di estrazione e reattore di purificazione che sono in grado di trattare certi quantitativi di materia. Successivamente, sulla base dei flussi di materia da trattare effettivamente (ossia quelli uscenti dalla sezione di coltivazione) viene calcolato il numero di unità necessarie. Questo consente anche di valutare i costi di investimento dell’impianto sfruttando i calcoli facilmente desumibili dal file excel. Infine, conoscendo i costi per l’energia, per i reagenti, etc è possibile valutare i costi di gestione dell’impianto. Si tenga conto che tra le voci di gestione è previsto anche il costo della produzione della biomassa algale nella sezione di coltivazione per avere una valutazione dell’economicità dell’intero processo che prevede sia la fase di coltivazione che quella di estrazione. Il tool, quindi, permette di ottenere un prospetto dei costi di investimento (che vanno a sommarsi a quelli già visti per la sezione di coltivazione) e dei costi di gestione, che invece sono indicativi di tutte e due le fasi (cfr. Rapp. Tecnico WP6 per maggiori dettagli).

In seguito, sfruttando un approccio del tutto simile a quello già descritto per la sezione di coltivazione, viene specificato dall’utente un tempo di ritorno desiderato per l’investimento e si calcola il prezzo di vendita unitario dell’olio algale che lo garantisce. Cliccando poi sul collegamento ipertestuale è possibile fare un confronto del valore ottenuto con quelli attualmente proposti sul mercato per l’olio algale. Questo consente la valutazione anche della competitività del processo. I risultati ottenuti utilizzando questo tool per valutare le potenzialità economiche del ceppo sardo saranno discussi nel merito nel rapporto tecnico relativo al WP-7.

(17)

Figura 10. Schema grafico riassuntivo dell’analisi tecnica dell’impianto di estrazione e purificazione dei lipidi algali.

In rosso i flussi valorizzabili. Si tenga conto che anche la biomassa residua, in quanto ricca di proteine, è valorizzabile nel settore della mangimistica per zootecnia o per acqua coltura.

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I risultati ottenuti con l’applicazione del tool alla microalga sarda saranno meglio discussi in seguito.

Nell’ambito dell’attività legata al Work Package N°7 è stata effettuata l’analisi della fattibilità del processo su una scala maggiore rispetto a quella del laboratorio realizzando e testando un fotobioreattore pilota di tipo ‘closed raceways’ (cfr. Rapp, tecnico WP-7) ibrido tra sistemi di coltivazione aperti e chiusi. La scelta che ha portato all’adozione di questa configurazione è stata basata sulle seguenti considerazioni:

• i sistemi di coltivazione sono riconducibili essenzialmente a due tipologie ossia, sistemi aperti (ponds e raceways) e sistemi chiusi (fotobioreattori di diverso tipo);

• i sistemi aperti sono caratterizzati da maggiore semplicità realizzativa e gestionale e quindi da minori costi di investimento e gestione. Per contro presentano tipicamente basse produttività in quanto soggetti a potenziali contaminazioni da organismi competitori e/o predatori;

• i sistemi chiusi (fotobioreattori) sono invece caratterizzati da alte produttività e maggiori potenzialità di controllo nonché una bassa propensione alla contaminazione da batteri.

Tuttavia, questi aspetti determinano alti costi di investimento e gestione che si traducono in una minore redditività del processo.

Sulla base di tali considerazioni è stata realizzata una configurazione ibrida che potesse unire alla semplicità realizzativa e gestionale degli ‘open raceways’ i vantaggi dei sistemi chiusi, ossia minore esposizione alla contaminazione biologica della coltura e maggiore possibilità di controllo delle variabili operative incluse flusso gassoso, pH, concentrazione di nutrienti, etc. La configurazione è pertanto costituita da un raceways realizzato in plexiglas trasparente, per far penetrare la luce da diversi punti, chiuso superiormente mediante una copertura, anch’essa trasparente e rimovibile. Questo poteva limitare i fenomeni di contaminazione e consentire un maggiore controllo pur avendo una configurazione economicamente più sostenibile. Inoltre, nel caso in cui si adottassero strategie di coltivazione selettiva basate sull’applicazione di pH molto bassi in modo da sfruttare le proprietà estremofile di C. melkonianii, questa configurazione poteva essere convertita in un sistema aperto semplicemente rimovendo il coperchio. Il sistema ibrido proposto, che per quanto a nostra conoscenza è caratterizzato da un alto grado di innovatività, è quindi caratterizzato da una estrema flessibilità rispetto alle condizioni operative adottate. In Figura 11 è riportato il disegno esploso del progetto originale del sistema.

Figura 11. Disegno CAD del ‘closed raceway’ progettato e realizzato nell’ambito del WP7

(19)

Per entrare maggiormente nel dettaglio il sistema era costituito da una vasca in plexiglas di dimensioni pari a 100 x 50 x 45 cm sul cui coperchio erano montati quattro rack su cui erano alloggiate 4 lampade a led bianchi e blu da 11 W di tipo SMD5050, da 20/22 lumen/led ciascuna. La CO2 era poi fornita in concentrazioni pari a circa 0.04 %v/v mediante flusso d’aria garantito da una pompa da 400 L/hr regolabile e dotata di flussimetri. Il flusso d’aria era fornito in forma di bolle fini per aumentare il trasferimento di CO2 in fase liquida attraverso un diffusore costituito da una serpentina in materiale poroso alleggiata sul fondo del reattore. Poiché nei primi test di crescita, tale serpentina risultava soggetta a fenomeni di occlusione da parte delle alghe, che per fenomeni di sedimentazione e chemiotassi tendevano ad aderire pori della serpentina, essa è stata in seguito integrata da diffusori porosi circolari con la parte porosa rivolta verso il basso in maniera tale da creare condizioni fluodinamiche che impedissero l’adesione delle alghe. Il reattore era poi dotato di sonde per l’analisi del pH e di altri nutrienti nonché di un sistema di termoregolazione per garantire le temperature ottimali. Una fotografia del sistema assemblato è riportata in Figura 12.

Figura 12. Fotografia del fotobioreattore pilota di tipo ‘closed raceway’ assemblato.

Per l’avvio della prima prova sperimentale sono stati preparati 25 L di terreno di coltura Bold’s Basal Medium (BBM). Il BBM è stato selezionato per le motivazioni addotte nel WP-4 nonché perché terreno privo di nutrienti organici e substrati carboniosi, quindi particolarmente indicato per coltivazioni autotrofe. Il terreno di coltura è stato ottenuto miscelando apposite aliquote di soluzioni dei nutrienti base e diluendole in acqua bidistillata MilliQ, fino al raggiungimento della concertazione prevista dal protocollo di preparazione. Successivamente il pH è stato corretto al valore di 6.8 in quanto nelle prove sperimentali si è rivelato il pH che ottimizzava le produttività lipidiche ed in biomassa. Infine, il terreno è stato sterilizzato in autoclave a 121°C per garantire

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condizioni di crescita axeniche. La prova sperimentale è stata condotta ad una intensità luminosa di µmoL/m²s 60-70 fornita dalle lampade sopra descritte con mix di luce bianca e blu.

Il fotoperiodo luce/buio di 12/12 ore, e a temperatura costante. A tal proposito, circa 24 ore prima dell’avvio dell’esperimento, il terreno di coltura auto-clavato è stato inserito nella vasca in plexiglass del mini-impianto, ed è stata accesa l’unità di condizionamento caldo/freddo del reattore selezionando e impostando la temperatura desiderata. Questa operazione, suggerita dai tecnici dell’azienda che hanno realizzato lo strumento, ha consentito all’unità di termoregolazione di portare il terreno di coltura alla temperatura operativa costante di 23°C.

Tale temperatura è stata scelta in quanto si era dimostrata ottimale per la crescita di questo organismo in precedenti prove condotte nel corso di questo Progetto in reattori della stessa tipologia.

Per l’avvio della prova, è stato preparato un opportuno quantitativo di inoculo del ceppo microalgale C. melkonianii consistente in 5 mL di pellet microalgale concentrato, ottenuto centrifugando per 15 minuti a 4000 rpm 5 L di una coltura precedentemente preparata, avente una densità ottica (OD) di circa 0.7. Prima di procedere all’inoculo, è stato eseguito un controllo morfologico della coltura tramite microscopio ottico, per verificarne lo stato di crescita e la presenza di eventuali contaminazioni da funghi o batteri. La prova di coltivazione è stata avviata nel mese di marzo 2020 e si è conclusa entro la prima metà del mese di aprile 2020, dopo 29 giorni di coltivazione.

Durante la prova, sono stati periodicamente monitorati i seguenti parametri: densità ottica (OD) della coltura tramite misurazioni spettrofotometriche in vivo dell’assorbanza della clorofilla a alla lunghezza d’onda di 663 nm; pH, tramite misurazioni con pH-metro e sonda multi-parametrica collegata alla centralina di controllo del mini impianto; temperatura, tramite misurazioni con pH- metro e sonda multi-parametrica collegata alla centralina di controllo del mini impianto;

concentrazioni dei nutrienti inorganici nitrato (NO3-), nitrito (NO2-), azoto totale (TNb) e carbonato (CO2) mediante appositi kit di sonde.

Ai fini della riproducibilità, le misurazioni dell’OD sono state eseguite in triplicato, mentre quelle dei nutrienti inorganici in duplicato. Nello specifico, durante l’esperimento le concentrazioni di nitrato, nitrito, azoto totale e carbonato sono state misurate mediante le sonde HACH® Lange Cuvette-test LCK 339, LCK 341, LCK 138 e LCK 388 rispettivamente. Per l’analisi di nitrati e nitriti, 1 mL e 2 mL di coltura rispettivamente sono stati prelevati dal reattore e filtrati mediante filtri sterili da siringa con pori da 0.45 μm per ottenere una soluzione priva di torbidità.

Successivamente, i campioni sono stati inseriti nelle Cuvette-test contenenti i reagenti predosati seguendo le procedure standardizzate indicate nelle istruzioni d’uso del Kit del prodotto.

Quando necessario, i campioni di coltura filtrati sono stati diluiti con acqua bidistillata MilliQ. Per l’analisi di azoto totale e carbonati, si è proceduto a prelevare dal reattore 1.3 mL e 1 mL di coltura rispettivamente. I campioni sono stati inseriti nelle Cuvette-test senza essere filtrati, e sono stati riscaldati in un digestore per 1 ora a 100°C. Al termine del procedimento, si proseguiva l’analisi seguendo le procedure standardizzate indicate nelle istruzioni d’uso del prodotto. Quando necessario, i campioni di coltura non filtrati sono stati diluiti con acqua bidistillata MilliQ. Le concentrazioni dei nutrienti sono state misurate tramite letture delle rispettive assorbanze mediante l’apposito spettrofotometro HACH® Lange DR 1900. Ulteriori campioni di 500 mL di coltura sono stati periodicamente prelevati per la valutazione lipidomica quali/quantitativa dei lipidi e degli acidi grassi prodotti durante la crescita. I campioni di coltura prelevati a tale scopo sono stati quindi centrifugati per 15 minuti a 4000 rpm e conservati in freezer a -25°C per l’estrazione dei lipidi. Poiché la fase sperimentale era stata avviata poco prima del lock-down imposto dal Governo in occasione della pandemia da COVID-19, e a causa

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dei provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus, il monitoraggio della coltura si è potuto attuare soltanto due volte alla settimana, previa autorizzazione da parte delle autorità competenti dell’Università degli Studi di Cagliari.

3) Risultati conseguiti rispetto agli obiettivi prefissati nel progetto approvato

I risultati sperimentali ottenuti nell’ambito dei WPs che vanno dal n° 2 al n° 6 sono già stati descritti brevemente nelle parti precedenti della relazione e in maniera dettagliata nei rapporti tecnici allegati alla presente. Nel seguito si discutono quindi i risultati ottenuti nell’ambito del WP7 che essendo relativi ad una applicazione su scala pilota consentono di dedurre informazioni più utili rispetto al potenziale applicativo della tecnologia proposta su scala di laboratorio. A corroborare ed estendere le informazioni ottenute con l’impiantino pilota è poi riportata una analisi, effettuata sulla base del tool Excel sviluppato nell’ambito del WP6, sulla redditività di un processo basato sull’utilizzo di C. melkoniani in un impianto di superficie pari a 1,2 ha e basato sull’utilizzo di tipologie reattoristiche analoghe (eccetto ovviamente le scale) a quelle investigate su scala pilota per la produzione e commercializzazione dei lipidi nel settore nutraceutico. I risultati di questa analisi costituendo il risultato più importante in relazione alle finalità del presente progetto sono discussi nel seguito.

Per quanto concerne i risultati ottenuti nella sperimentazione dell’impianto pilota, dal punto di vista visivo l’evoluzione della crescita dell’alga nel reattore è mostrata nelle fotografie scattate a diversi intervalli di tempo riportate in Figura 4. Da queste fotografie si può vedere come al passare del tempo la densità ottica al verde della coltura aumenta progressivamente per effetto della crescita e replicazione algale.

Figura 13. Report fotografico dell’evoluzione della crescita nel fotobioreattore ‘closed raceway’.

(22)

I risultati della prova sperimentale sono riportati in Figura 14 in termini di evoluzione della concentrazione di biomassa nel tempo e di produttività. Come si può notare, al ventiduesimo giorno di esperimento, la coltura ha raggiunto una concentrazione massima di biomassa pari a 1.5 g/L mentre la produttività raggiunge un valore massimo di circa 8 mg/L/giorno attorno al 16- esimo giorno di coltivazione.

0 5 10 15 20 25 30

0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4 1.6

Closed raceway

Concentrazione biomassa, g L-1

Tempo, giorni

(a)

0 5 10 15 20 25 30

0 2 4 6

8 Closed raceway

Produttività biomassa, mg L-1 d-1

Tempo, giorni

(b)

Figura 14. Evoluzione della concentrazione (a) e della produttività (b) di biomass durante la prova con il fotobioreattore pilota ‘closed raceway’

La concentrazione di biomassa ottenuta è abbastanza alta e, come atteso per un sistema ibrido come il nostro intermedia tra quelle tipiche dei sistemi chiusi e quelle dei sistemi aperti (Cfr.

Tabella 1).

Tabella 1. Confronto tra concentrazione massima di biomassa ottenuta e quelle dei sistemi classici.

Tipologia di reattore Concentrazione di biomassa Bibliografia

Sistemi aperti (open ponds, raceways) 0.5-1 Kg/m3 Kumar et al. 2015

Sistemi chiusi (fotobioreattori) 2–9 Kg/m3 Kumar et al. 2015

Closed raceway 1.5 Kg/m3 Questo studio

Come ipotizzato il reattore progettato e realizzato somma i vantaggi derivanti da entrambe le tipologie di fotobioreattori, chiuso e aperto.

Per valutare se i risultati ottenuti con il fotobioreattore pilota replicavano bene i risultati ottenuti su scala di laboratorio in Figura 14 sono riportati i confronti in termini di evoluzione della concentrazione di biomassa.

Come si può osservare dalla Figura, anche nella analoga prova in laboratorio si ottenevano concentrazioni di biomassa pari a circa 1.5 g/L in condizioni di crescita stazionaria.

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0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 0.0

0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4

1.6 Closed raceway

Lab batch PBR

Concentrazione biomassa, g L-1

Tempo, giorni

Figura 15. Confronto tra le concentrazioni di biomassa ottenute nel reattore pilota (Closed raceway) e quelli nei fotobioreattori batch da 2L testati in laboratorio nell’ambito del WP4.

Da questo punto di vista, pertanto, i risultati ben replicano quelli di laboratorio. Tuttavia, è interessante notare che con il reattore pilota tale concentrazione stazionaria di 1.5 g/L si raggiunge in quasi la metà del tempo rispetto a quella effettuata in laboratorio indicando che nel

‘closed raceway’ la crescita è molto più veloce. Questo si traduce in una produttività di biomassa del reattore pilota pressoché doppia rispetto a quella ottenuta in laboratorio. Pertanto, con la configurazione adottata non solo sono stati ben replicati i risultati di laboratorio ma sono state ottimizzate le condizioni di crescita a tal punto da ottenere un notevole incremento delle produttività finali. Se si confronta l’andamento del pH rilevato nel pilota con quello rilevato nei reattori di laboratorio (Cfr. Figura 16a) si può notare come nel primo il pH sia mediamente più basso dopo assestandosi a valori di circa 8.4 contro il pH pari quasi 10 rilevato nell’analogo reattore di laboratorio.

0 10 20 30

6.8 7.2 7.6 8.0 8.4 8.8 9.2 9.6

10.0 Closed raceway Lab batch PBR

pH, /

Tempo, giorni

(a)

0 10 20 30

0.00 0.05 0.10 0.15 0.20

0.25 Closed raceway

Lab batch PBR

CNO3, g L-1

Tempo, giorni

(b)

Figura 16. Confronto tra i valori di pH (a) e di concentrazione dei nitrati (b) rilevati nel reattore pilota (Closed raceway) e quelli nei fotobioreattori batch da 2L testati in laboratorio nell’ambito del WP4.

(24)

Questo indica che la CO2, che ha una tendenza ad acidificare il mezzo, si è trasferita in fase liquida molto meglio nel reattore determinando un miglioramento della crescita delle alghe che la utilizzano per effettuare la fotosintesi. Quindi, a nostro avviso le migliori performances ottenute con il sistema progettato sono ascrivibili ad un migliore sistema di distribuzione del flusso gassoso nella fase liquida. Come si può notare dalla Figura 16b il consumo dei nitrati è molto più veloce nel reattore pilota proprio perché in quel sistema la velocità di crescita delle alghe è molto più veloce. In Figura 17a sono mostrate anche le diverse forme d’azoto rilevate dalle sonde di analisi mentre in Figura 17b è riportata anche, su scala logaritmica, l’evoluzione della concentrazione di CO2 disciolta

Figura 17. Evoluzione delle diverse specie di azoto presenti in soluzione (a) e confronto con le concentrazioni di CO2 disciolta (b).

L’analisi della composizione dei lipidi (in termini dei principali FAMEs) è stata effettuata in quattro diversi istanti del periodo di crescita algale e i risultati sono mostrati nella Figura 18 che segue.

5 10 15 20 25 30 35 40

0 10 20 30 40 50 60

Tempo, (giorni)

Composizione FAMES, (%wt)

C16:0 C18:2 C18:0

Figura 18. Analisi delle principali categorie di FAMEs rilevate nei lipidi estratti da C. melkonianii Come si può notare anche la composizione dei FAMEs, almeno in termini di acidi grassi principali è molto simile a quella rilevata nelle attività condotte nei reattori di laboratorio. Questo

(25)

conferma le che i lipidi estratti da C. Melkonianii possono trovare una valida applicazione nei settori di mercato della nutraceutica e della cosmetica.

Per verificare le potenziali redditività del processo di produzione di biomassa e lipidi col ceppo Coccomyxa melknoniani è stato utilizzato il tool sviluppato in Excel descritto nel WP.6. Sulla base delle informazioni sperimentali modellistiche ottenute nel progetto, ipotizzando di ubicare i raceways all’aperto nella loro versione aperta (senza coperchio) e utilizzando i dati di radiazione luminosa tipici della Sardegna è stata calcolata l’efficienza fotosintetica del ceppo algale sardo.

L’impianto si intendeva costituito da dieci raceways di circa 1000 m2 ciascuno per una superficie utile di circa 1 ha e un ingombro di circa 1.2 ha tenendo conto di spazi di manovra tra un raceway e l’altro di circa 200 m2. Ovviamente l’analisi si può effettuare anche per dimensioni di impianto superiori ma in questo caso ci si focalizza su questa dimensione che come vedremo determina costi di investimento non proibitivi anche per piccole medie imprese. Per il dettaglio sui calcoli effettuati si rimanda al Rapporto tecnico sul WP-7 e al file Excel allegato.

Ci si concentra invece qui sui risultati che in termini di flussi di materia portano ad una produzione stimata di circa 75 (ton/anno) di biomassa secca corrispondente ad una produzione areale di circa 6.6 ton/ha di impianto totale (Cfr. Figura 9 e Rapporto Tecnico WP7). I consumi energetici, idrici, le emissioni di CO2 etc. sono sempre riportati nelle Figure in questione e deducibili con maggiore dettaglio dal file Excel allegato. Sulla base di tutte queste informazioni è poi possibile calcolare i costi di investimento e di gestione per la sezione di coltivazione. Il risultato dell’analisi economica è sintetizzato nel prospetto di Figura 19.

Come si vede nell’insieme, pertanto l’impianto di produzione della biomassa algale comprendente sezione di coltivazione e di raccolta/essicazione, nonché prezzi aggiuntivi per il piping, fitting e altri ancillari diventa pari a € 1'991'072.I costi di gestione vengono invece stimati in circa 453000 €/anno corrispondenti a costi per unità di biomassa secca prodotta pari a circa 6 €/anno/kg.

Supponendo di voler commercializzare la biomassa secca e ipotizzando di volere un tempo di ritorno dell’investimento (pay back) pari a 5 anni, sulla base dei costi sopra riportati, risulta necessario vendere la biomassa ad un prezzo unitario di circa 9 Euro/kg con le redditività generali mostrate sempre in figura 19 e un ROI (Return of investment) di circa 20%.

Come ampiamente discusso negli altri rapporti l’obiettivo finale era però quello di commercializzare lipidi estratti dall’alga sarda. A tal fine è stato ipotizzato di affiancare all’impianto finora discusso anche l’impianto di estrazione dei lipidi mostrato in Figura 14. Esso consiste di una sezione di ‘cell disrutpion’ costituita da uno o più mulini a sfere, una sezione di estrazione mediante CO2 supercritica e infine una sezione di purificazione dei lipidi estratti.

Anche in questo caso è possibile effettuare un semplice dimensionamento utilizzando come dato di input la biomassa secca prodotta nella sezione di essicazione e quindi calcolare le prestazioni dell’impianto nonché i flussi di materia ed energia coinvolti nello stesso. Sulla base di tutte queste informazioni, già mostrate in maniera sintetica direttamente in Figura 10 è stato poi possibile calcolare i costi di investimento e di gestione in maniera analoga a quanto fatto per l’impianto precedente. Per un maggiore dettaglio sulle procedure di calcolo adottate si rimanda comunque e nel rapporto tecnico WP7. Come si vede l’impianto è in grado di produrre ca 5000 L/anno di lipidi algali ma anche un flusso residuo di estrazione di biomassa ricca in proteine e quindi valorizzabile nei settori dell’acquacoltura e della zootecnia pari a 12000 kg/anno. Sulla base di tutte queste informazioni sono stati poi calcolati i costi di investimento e di gestione per la sezione di estrazione mostrati in Figura 20.

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Figura 19. Sintesi grafica del prospetto economico relativo all’investimento per la sezione di coltivazione e raccolta

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