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DAILY REAL ESTATE
venerdì 24 febbraio
EDITORIALI di Rosario Manzo
Città che vince, città che perde
Italia • Interrogarsi sul destino delle città, in particolare di quelle europee e italiane, è un esercizio essenziale per la nostra civiltà che si fonda sulla convivenza urbana, specie nell’epoca della “seconda rivoluzione delle
macchine” e all’inizio della quarta rivoluzione industriale. Un tempo nel quale la cibernetica dell’automazione porterà, con ogni probabilità, a realizzare
“congegni” dotati di intelligenza artificiale, mettendo in crisi anche le professioni intellettuali. Se questa appare essere una prospettiva possibile, dall’altra sono da tempo evidenti i limiti e le criticità della crescita urbana: l’incremento della popolazione in alcune parti del mondo e il declino demografico in altre, l’impatto delle grandi migrazioni sull’occidente e l’avvio di un nuovo ciclo di
urbanizzazione, l’accendersi della competizione per l’accesso alle materie prime e alle risorse essenziali, il riscaldamento globale, la perdita della biodiversità, la lotta tra inclusione e marginalità, la dicotomia tra i “centri” e le “periferie” di ogni specie, l’esistenza di differenti livelli di opportunità e prospettive di lavoro.
Secondo il SIMCO (Sistema informativo sul mercato delle costruzioni mondiali) del CRESME nel 2016 il mercato mondiale delle costruzioni è aumentato ed è pari, per i 150 paesi osservati, a quasi 7.700 miliardi di euro con un trend di crescita dell’1,6%, e punte del 4,4% per l’Africa. In Europa, nonostante la crisi, siamo comunque ad un 2,2% con un volume di affari di circa 1.400 miliardi di euro, diviso pressappoco a metà tra nuove costruzioni (48,6%) e rinnovo (51,4%). La massima parte di questo fatturato è prodotto nelle città.
Globalmente, le previsioni al 2020 sono crescenti e al centro di questo sviluppo ci sono i centri urbani e le infrastrutture, ma ad una condizione: che si
programmi adesso un futuro sostenibile, tenendo conto che le città si
divideranno nettamente in due categorie, “ … quelle che vincono e quelle che perdono”. E’ questo il tema di fondo di due ricerche, elaborate da CRESME, rispettivamente sulle città europee e su Roma al 2030, che rimettono in discussione anche alcune convinzioni consolidate, spesso utilizzate con
superficialità nell’approccio alla gestione delle prospettive delle città italiane. La prima riguarda l’idea comune che non vi sia più crescita urbana: nel periodo 2000 – 2014, delle città europee con popolazione superiore a 300.000 abitanti, 130 hanno visto un incremento, 12 sono rimaste stabili e 27 hanno subito in calo; la previsione per il periodo 2015 – 2030 (fonte Eurostat) è ancora più
eclatante, con 162 città in aumento, 3 stabili e solo 4 in calo ma, soprattutto, con una previsione della percentuale della dinamica demografica pari anche al 33%
(Bruxelles) al 26% (Stoccolma) e al 20,6% (Monaco). Lo sviluppo delle due città italiane comprese nell’elenco (Roma e Milano) è sicuramente più contenuta – tra l’8 e il 10% - ma comunque non di poco conto, considerando l’attuale scenario recessivo dell’economia del nostro Paese. La seconda porta a ridefinire i temi che consentono alle città di essere “vincenti”, al di la della retorica della crescita illimitata appartenente al secolo scorso. L’analisi del CRESME, applicata alle capitali europee, evidenzia almeno due obiettivi costanti della programmazione di medio – lungo periodo per un futuro competitivo della città: ampliamento della propria capacità attrattiva e sviluppo delle opportunità di lavoro di qualità. Le città europee che, per essere vincenti, stanno programmando oggi il proprio futuro introducono regolarmente alcuni temi nei propri piani di medio-lungo termine: una previsione socio-economica espansiva, la gestione della
digitalizzazione e della innovazione ICT, la considerazione della componente ambientale e di resilienza dei tessuti urbani, la definizione di programmi
infrastrutturali d'insieme ed ecosostenibili. Per concepire un futuro desiderabile per le città italiane, è sempre più indispensabile avere una visione “politica” e olistica, condivisa con i cittadini, un “accordo” riconoscibile che metta insieme le azioni immediate con quelle prospettiche volte ad incrementare attrattività, vivibilità e opportunità di lavoro nell’ambiente urbano. Per le città italiane significa governare un difficile e delicato esercizio di riconnessione tra eredità del passato e innovazione, tra riqualificazione bioclimatica ed energetica diffusa e avvio di grandi interventi di rigenerazione e sostituzione urbana, tra innesto di un nuovo senso di appartenenza ad una comunità nelle periferie e limitazione dell’effetto “luna park” dei centri storici urbani, tra incremento del capitale
naturale, adeguamento e potenziamento del sistema delle infrastrutture e della mobilità, tra giusta imposizione fiscale “cittadina” e ampia accessibilità ai servizi di welfare urbano.
Cosi, il dibattito sulle leggi sul consumo del suolo - nazionale e regionali - quello, ormai spento, sulla legge sul governo del territorio, quello sugli strumenti di pianificazione e così via, appaiono essere sempre di più fuori tempo massimo rispetto al contesto attuale, perché alcuni paradigmi dovrebbero essere stati
assunti da almeno un decennio nella gestione “ordinaria” della complessità urbana. Il pericolo è ritrovarsi intrappolati in Fedora, una delle città invisibili di Calvino, dove, nel suo centro: “ … sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando in ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello di un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno guardando la Fedora qual era, aveva immaginato di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro”. La cosa peggiore, infatti, per il nostro Paese sarebbe rifugiarsi in una fatua illusione di rendita parassitaria basata sullo sfruttamento dell’eredità del passato o, peggio, nella
autoreferenzialità di uno sviluppo immaginario, non considerando che oggi – più che in altri tempi, forse - occorre elaborare e condividere una idea valoriale del futuro della comunità, per reinventare e realizzare concretamente quello
materiale e fisico, rinnovando da “dentro” la città.