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Prefazione. Questioni di metodo e considerazioni generali sul ritratto.

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Academic year: 2021

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1 Prefazione. Questioni di metodo e considerazioni generali sul ritratto.

Il presente studio intende inserirsi nel ricco filone di interventi dedicati al ritratto e all’autoritratto, generi pittorici a cui negli ultimi trent’anni (con un’impennata dalla metà degli anni Novanta) è stata dedicata un’ampia messe di saggi ed esposizioni che, se non specificamente rivolte a questi temi, hanno comunque ad essi riservato ampie sezioni. L’interesse suscitato dalla figura umana e dalla sua rappresentazione è legato alla molteplicità di aspetti sotto i quali può essere affrontato. A partire dagli anni Ottanta hanno subito un consistente impulso i saggi relativi alle connessioni della ritrattistica con la psicologia e la fisiognomica. Le due discipline sono state affrontate in una serie di interventi, costellati da continui approfondimenti, svolti in particolare da Stefano Ferrari e Flavio Caroli1: partendo da generici studi inerenti le tangenze fra la psicanalisi e l’arte2, il primo si è successivamente concentrato sulle valenze psicologiche del ritratto e sul rapporto – anche patologico - fra l’artista e la propria immagine3. Caroli, invece, ripercorrendo l’intera storia della pittura occidentale, ha svolto delle ricognizioni sul significato assunto nel corso dei secoli dalla rappresentazione dei volti, interpretabili come lavagne su cui appaiono frammenti di inconscio resi visibili da determinati tratti fisionomici4.

La ricerca di risvolti patologici nel ritratto e soprattutto nell’autoritratto ha, tuttavia, fornito anche il filo conduttore di diversi eventi espositivi: a livello nazionale si segnalano Il pittore allo specchio.

Autoritratti italiani del Novecento, mostra ferrarese curata da Maurizio Fagiolo dell’Arco che ha fornito una prima possibile catalogazione di alcuni dei più noti e significativi autoritratti del secolo scorso; nove anni più tardi, le tematiche sottese alla rappresentazione di sé, con un ampliamento dell’orizzonte geografico all’intero contesto europeo, è stato poi ripreso da L’artista e il suo io, esposizione curata da Lorella Giudici e Graziella Martinelli Braglia cui è seguita, l’anno successivo, Il ritratto interiore da Lotto a Pirandello5. Parallelamente, nello stesso torno d’anni, preziosi contributi a questi argomenti sono giunti in regione da mostre che, rispolverando il ruolo svolto da Trieste nella diffusione della dottrina freudiana nel resto della Penisola, hanno indagato le connessioni fra la psicanalisi e l’arte appoggiandosi ad alcuni dei più significativi autoritratti

1 Sul tema psicanalisi e arte, nato dal prezioso impulso di Ernst Gombrich ed Ernst Kris, sono state realizzati numerosi convegni e raccolte di saggi curati sia da storici dell’arte sia da psicanalisti: fra questi si segnalano M. Mancia, Nello sguardo di Narciso, Roma – Bari 1990; La maschera, il doppio e il ritratto. Strategie dell’identità, a cura di M. Bettini, Roma – Bari 1991; La rappresentazione del volto nel Novecento: atti del convegno di studi, Museo dell'Arte Classica 19 - 20 febbraio 2004, Roma 2004; A. Boatto, Narciso infranto. L’autoritratto da Goya a Warhol, Roma – Bari 2005.

2 S. Ferrari, A. Serra, Le origini della psicoanalisi dell’arte, Torino 1979. Lo studio, che riassume le dottrine estetiche di alcuni eminenti membri della Società Psicoanalitica di Vienna, si inserisce sulla scia del convegno, tenutosi l’anno precedente, L’arte, la psicanalisi: cfr. L’arte, la psicanalisi, documenti del Convegno internazionale di psicanalisi, Milano, 23-25 novembre 1978, a cura di A. Vermiglione, Milano 1979.

3 S. Ferrari, La psicologia del ritratto nell’arte e nella letteratura, Roma – Bari 1998; S. Ferrari, Lo specchio dell’io.

Autoritratto e psicologia, Roma – Bari 2002; Autoritratto, psicologia e dintorni, a cura di S. Ferrari, Bologna 2004. Tra gli ultimi e più interessanti interventi relativi a quello che potremmo definire “ritratto patologico” segnaliamo S. Ugolini, Nel segno del corpo: origini e forme del ritratto ferito, Napoli 2009.

4 F. Caroli, L’anima e il volto: ritratto e fisiognomica da Leonardo a Bacon, catalogo della mostra di Milano, Palazzo Reale (30 ottobre 1998 – 14 marzo 1999), Milano 1998, evento sollecitato dalle suggestioni raccolte in F. Caroli, Storia della fisiognomica: arte e psicologia da Leonardo a Freud, Milano 2007 (I edizione: 1995). Interessanti per una analisi del ritratto nelle singole parti che lo compongono e per le affinità fra ritratto pittorico e letterario sono inoltre i saggi di Jean Clair, Lea Ritter Santini e Sergio Perosa presenti in Le metamorfosi del ritratto, Venezia 2002.

5 Il pittore allo specchio. Autoritratti italiani del Novecento, catalogo della mostra di Ferrara, Palazzo dei Diamanti (22 luglio – 15 ottobre 1995), a cura di M. Fagiolo dell’Arco, Ferrara 1995; L’artista e il suo io.Tecniche dell’autoritratto nei percorsi del Novecento, catalogo della mostra di Modena, Chiesa di san Paolo (18 dicembre 2004 – 31 gennaio 2005), a cura di L. Giudici, G. Martinelli Braglia, Milano 2004; Il ritratto interiore da Lotto a Pirandello, catalogo della mostra di Aosta, Museo Archeologico Regionale (1 giugno – 2 ottobre 2005), a cura di V. Sgarbi, Milano 2005.

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2 presenti nelle collezioni museali distribuite sul territorio. È nata così Arte e psicanalisi. Volti, mostra del 2002 creata a margine del Congresso Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana, esportata all’Istituto della Cultura Centro Europea di Budapest e da cui è stato tratto il volume Arte e psicoanalisi nella Trieste del Novecento6. Due anni più tardi il focus di riferimento si è ampliato dall’area giuliana agli altri capoluoghi di provincia che hanno fornito il materiale iconografico analizzato in Dallo specchio all’anima. Autoritratti tra Ottocento e Novecento in Friuli Venezia Giulia seguito, soltanto pochi mesi più tardi, dalla mostra pordenonese I volti dell’arte.

Autoritratti e ritratti d'artista nel Friuli occidentale 1882-19847. Ultimo e recentissimo omaggio ad alcuni dei più significativi autori locali è venuto da Autoritratti triestini. La donazione Hausbrandt, mostra che aldilà del pregio delle opere esposte e della molteplicità di soluzioni compositive proposte, ha posto l’attenzione sul collezionismo delle immagini d’artista8: un fenomeno piuttosto singolare data la destinazione e il valore strettamente privati di queste opere, capaci però di solleticare la curiosità dei mecenati sin dal Seicento portando alla formazione, con il cardinale Leopoldo, della maggiore raccolta di autoritratti presente sul territorio italiano: quella degli Uffizi9.

Accresciuta nel 2006 dalla donazione delle duecentonovantasette opere provenienti dalla collezione di Raimondo Rezzonico, la raccolta fiorentina è stata essa stessa al centro di numerosi ricognizioni espositive non necessariamente realizzate nel capoluogo toscano e destinate a valorizzare specifiche sezioni della collezione o a celebrare momenti del suo accrescimento:

fondamentali sono state così l’ampia rassegna Autoritratti dagli Uffizi da Andrea del Sarto a Chagall, realizzata a Roma nel 1990 e, più circoscritta dal punto di vista del lasso temporale analizzato ma estesa a mezzi espressivi contemporanei non convenzionali, Moi! Autoritratti del XX secolo, organizzata in sezioni pensate per scandagliare aspetti come il rapporto fra la maschera e la reale fisionomia del protagonista o le modalità in cui egli espone il proprio corpo10. Di estrema importanza sono state inoltre le mostre che, presentando al pubblico le recenti acquisizioni museali, hanno sottolineato il continuo interesse della Galleria per il genere in esame: se I modelli di Narciso ha voluto semplicemente festeggiare l’acquisizione della cospicua raccolta del

6 La mostra Arte e psicanalisi. Volti, si è svolta al Civico Museo Revoltella dal 29 luglio al 30 settembre 2002; cfr. Arte e psicoanalisi nella Trieste del Novecento, a cura di A. M. Accerboni Pavanello, M. Masau Dan, Trieste 2004.

7 Dallo specchio all’anima. Autoritratti tra Otto e Novecento in Friuli Venezia Giulia, catalogo della mostra di Trieste, Palazzo del Consiglio Regionale (30 aprile – dicembre 2004), a cura di M. Masau Dan, I. Reale, Trieste 2004; I volti dell'arte: Autoritratti e ritratti d'artista nel Friuli occidentale. 1882-1984, catalogo della mostra di Pordenone, Museo Civico d'Arte, Palazzo Ricchieri (17 aprile - 3 luglio 2005), a cura di G. Pauletto, Pordenone 2005.

8Autoritratti triestini. La donazione Hausbrandt, catalogo della mostra di Trieste, Civico Museo Revoltella (14 gennaio – 6 marzo 2011), a cura di S. Gregorat, Trieste 2011.

9Per una storia della collezione, in parte allogata nel Corridoio Vasariano, cfr. W. Prinz, La collezione degli autoritratti, in Gli Uffizi: catalogo generale, Firenze 1980, pp. 765- 772; L. Berti, Gli autoritratti, in Gli Uffizi: storia e collezioni, prefazione di G. C. Argan, introduzione di L. Berti, Firenze 1983, pp. 200 – 213; C. Caneva, Storia di una collezione, in Autoritratti dagli Uffizi da Andrea del Sarto a Chagall, catalogo della mostra di Roma, Accademia di Francia (1 marzo – 15 aprile 1990) - Firenze, Galleria degli Uffizi (12 settembre – 28 ottobre 1990), Firenze 1990, pp. 14 – 45; S. Meloni, La collezione dei ritratti dei pittori, in M. Gregori, Uffizi e Pitti. I dipinti delle Gallerie fiorentine, Udine 1994, pp. 596 – 597;

C. Caneva, Gli autoritratti, in Il corridoio vasariano agli Uffizi, a cura di C. Caneva, Milano 2002, pp. 175 – 180; G. Giusti, Cronache di vita: peregrinazioni, esposizioni e crescita della Collezione di Autoritratti fra Otto e Novecento. Alla ricerca del tempo futuro, in I volti dell'arte: autoritratti dalla collezione degli Uffizi, catalogo della mostra di Venezia (27 gennaio – 6 maggio 2007), a cura di G. Giusti, M. Sframeli, Milano 2007, pp. 39 – 49; G. Giusti, Le esposizioni di autoritratti: scelte interne ed esterne, in Autoritratti dalla collezione della Galleria degli Uffizi, catalogo della mostra di Tokyo - Osaka (11 settembre – 14 novembre 2010/27 novembre 2010 – 20 febbraio 2011), Tokyo 2010, pp. 24 - 28.

10 Sulla prima delle due mostre cfr. nota precedente; Moi! Autoritratti del XX secolo, catalogo della mostra di Firenze, Galleria degli Uffizi (18 settembre 2004 – 9 gennaio 2005), a cura di P. Bonafoux, Milano 2004.

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3 mecenate svizzero Raimondo Rezzonico (comprendente gli autoritratti di Piero Marussig, Luigi Russolo, Pio Semeghini e, per rimanere in area veneto-giuliana, quelli di Angelo Dall’Oca Bianca e Arturo Rietti), Autoritratte. “Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno” ha posto un inedito accento sulla contenuta ma preziosa porzione di autoritratti femminili recentemente accresciuta da venti nuovi ingressi11.

Rimanendo nell’ambito delle mostre specificamente rivolte ai ritratti, queste hanno riguardato precisi ambiti temporali (come nel caso de Il ritratto storico nel Novecento 1902-1952. Dal volto alla maschera, sempre imperniata sul rapporto fra volto, maschera e tipo12) oppure offerto dei particolari punti di vista legati alla tipologia delle immagini cui afferiscono: si pensi, per tornare ancora sul tema delle auto-rappresentazioni, a L’autoritratto. Opere di maestri del ‘900 dalla collezione Raimondo Rezzonico, vetrina delleopere che di lì a poco sarebbero state acquisite dagli Uffizi13. Un taglio insolito, focalizzato su precise declinazioni del genere, ha caratterizzato L’officina del mago. L’artista nel suo atelier, mostra torinese del 2003 tesa a ricostruire il legame fra l’autore e la sua “fucina”14 mentre Persone. Ritratti di gruppo da Van Dyck a De Chirico, prendendo in considerazione una forbice temporale effettivamente molto ampia, ha offerto una panoramica delle situazioni sociali che l’artista può limitarsi a osservare dall’esterno suggerendo però nel contempo e gettando un primo sguardo sui contesti di cui l’autore può risultare parte integrante15. L’ambito familiare o lavorativo, ma anche la solitudine dello studio o l’isolamento della figura su uno sfondo neutrale sono le possibili ambientazioni dei ritratti d’artista, ulteriore declinazione di un genere quanto mai variegato che oltre ad aver riguardato i circoli artistici del passato con le caricature o le strenne per gli aderenti (due esempi per tutti: la Famiglia Artistica di Milano e il Circolo Artistico di Trieste) ha offerto il materiale per la retrospettiva milanese dedicata a Giuseppe Bossi16.

Come accennato, al di là delle mostre a tema - di cui si è cercato di ricostruire un panorama quanto più possibile esauriente ma che non si pretende esaustivo17 - l’interesse nei confronti della

11 I modelli di Narciso. La collezione d’autoritratti di Raimondo Rezzonico agli Uffizi, catalogo della mostra di Genova, Galleria d’Arte Moderna (11 ottobre 2006 – 11 febbraio 2007), a cura di A. Natali, Firenze 2006 (sugli autoritratti citati si rimanda alle rispettive schede); Autoritratte. “Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno” , catalogo della mostra di Firenze, Galleria degli Uffizi, Sala delle Reali Poste (17 dicembre 2010 – 30 gennaio 2011), a cura di G. Giusti, Firenze 2010.

12 Il ritratto storico nel Novecento 1902-1952. Dal volto alla maschera, catalogo della mostra di Crespina, Villa “Il Poggio”

(19 settembre – 2 novembre 2003), a cura di F. Cagianelli, Crespina 2003.

13 L’autoritratto. Opere di maestri del ‘900 dalla collezione Raimondo Rezzonico, catalogo della mostra di Locarno, Casa Rusca, Pinacoteca Comunale (28 luglio – 1 dicembre 2002), a cura di L. Cavadini, Locarno 2002.

14 L’officina del mago. L’artista nel suo atelier, catalogo della mostra di Torino, Palazzo Cavour (31 ottobre 2003 – 8 febbraio 2004), a cura di A. Masoero, B. Marconi, F. Matitti, Milano 2003.

15 Persone. Ritratti di gruppo da Van Dyck a De Chirico, catalogo della mostra di Roma, Palazzo Venezia, Saloni monumentali e Appartamento Barbo (31 ottobre 2003 – 15 febbraio 2004), a cura di O. Calabrese, C. Strinati Cinisello Balsamo 2003; un importante precedente per l’analisi dei ritratti di gruppo viene da M. Praz, Scene di conversazione.

Conversation pieces, Roma 1971.

16 Giuseppe Bossi. Il Gabinetto dei ritratti dei pittori (1806), catalogo della mostra di Milano, Accademia di Brera (11 giugno – 20 settembre 2009), a cura di S. Coppa, M. Olivari, Milano 2009.

17 In quest’ambito rientrano come ovvio anche le mostre monografiche dedicate a specifici ritrattisti: un esempio per tutti è quello di Giovanni Boldini, recentemente trasformato in un vero e proprio oggetto di culto certo anche alla luce dei successi di botteghino generalmente registrati dalla esposizioni dedicate alla pittura impressionista. Solo due anni fa l’artista è stato al centro dell’ampia retrospettiva Giovanni Boldini nella Parigi degli Impressionisti svoltasi tra Ferrara (Palazzo dei Diamanti) e lo Sterling and Francine Clark Art Institute di Williamstown, Massachussets (catalogo a cura di S. Lees, Ferrara 2009) mentre è ancora in corso (dal 25 febbraio al 30 aprile) la mostra Giovanni Boldini – Capolavori e

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4 ritrattistica è esponenzialmente cresciuto anche nell’ambito di eventi dedicati a periodi storici o artistici e ad aree geografiche ben delineate. Estremamente significative, anche alla luce del lasso di tempo e delle regioni oggetto della presente indagine, sono così risultate Ottocento veneto. Il trionfo del colore e Venezia ‘900. Da Boccioni a Vedova, esposizioni succedutesi a Casa dei Carraresi dove hanno proposto un percorso sulla ritrattistica veneta svolto attraverso pietre miliari del genere, inaugurato da La famiglia Fossati di Michelangelo Grigoletti e approdato, in un itinerario oscillante tra tradizione e provocazione, all’Autoritratto con mani e viso di Zoran Music18. Numerosi i ritratti e gli autoritratti disseminati lungo il percorso cronologico di Ottocento.

Da Canova al Quarto Stato19, summa delle tendenze e dei soggetti affrontati dalla pittura e dalla scultura del XIX secolo, mentre le molteplici versioni del genere (con un occhio privilegiato rivolto alla seducente e ambigua rappresentazione della figura femminile) sono state affrontate da La Belle Epoque. Arte in Italia 1880 – 1915, negli scorsi mesi ampliatasi in Da Canova a Modigliani. Il volto dell’Ottocento mostra particolarmente interessante sotto il profilo delle immagini di artisti, degli autoritratti e dei ritratti di gruppo proposti20. Prescindendo dai contesti espositivi e dagli studi tesi a suggerire possibili chiavi di lettura del genere “ritratto”, questo tema è stato inoltre approfondito nell’ambito delle ricognizioni cronologicamente e geograficamente ben circoscritte inserite nei volumi La pittura nel Veneto la cui compilazione, prendendo come punto di partenza i saggi dedicati a Venezia all’interno di La pittura in Italia, si è intersecata con la pubblicazione de Il ritratto nel Veneto 1866 – 194521.

Affrontare una ricerca sul ritratto significa dunque prendere in considerazione una vasta serie di variabili e decidere preventivamente, data la vastità dell’argomento, il taglio da assegnare allo studio. Tracciando un primo discrimine fra ritratto scultoreo e pittorico, in questa sede si è pensato di definire un lasso temporale circoscritto ma sufficientemente ampio (compreso tra il 1895, anno di fondazione dell’Esposizione Internazionale di Venezia, e gli anni Trenta del Novecento) per poter apprezzare le trasformazioni che hanno interessato il genere facendo emergere in controluce i mutamenti di gusto intervenuti nel pubblico e nella critica. Il materiale di prima mano proveniente dallo spoglio della pubblicistica del tempo, usato per la ricostruzione dell’orizzonte storico-artistico del periodo, ha permesso così di assumere come punto di vista privilegiato della presente indagine l’accoglienza riservata ai ritratti dalla stampa coeva,

opere inedite dall’Atelier dell’artista ospitata nella galleria Bottegantica di Milano (http://www.bottegantica.com/new.asp, catalogo a cura di Enzo Savoia).

18 Ottocento veneto. Il trionfo del colore, catalogo della mostra di Treviso, Casa dei Carraresi (15 ottobre 2004 – 27 febbraio 2005), a cura di G. Pavanello, N. Stringa, Treviso 2004, pp. 107 - 129; N. Stringa, Ritratto, autoritratto in Venezia ‘900. Da Boccioni a Vedova, catalogo della mostra di Treviso, Casa dei Carraresi (27 ottobre 2006 – 8 aprile 2007), a cura di G. Pavanello, N. Stringa, Venezia 2006, pp. 88 - 111.

19 Ottocento. Da Canova al Quarto Stato, catalogo della mostra di Roma, Scuderie del Quirinale (29 febbraio – 10 giugno 2008), a cura di M. V. Marini Clarelli, F. Mazzocca, C. Sisi, Milano 2008.

20 La Belle Epoque. Arte in Italia 1880 – 1915, catalogo della mostra di Rovigo, Palazzo Roverella (10 febbraio – 13 luglio 2008), a cura di F. Cagianelli, D. Matteoni, Milano 2008 (si veda, in particolare F. Cagianelli, Violetta o Diavolessa?

Metamorfosi della donna fatale tra coquetterie e seduzione, in ivi, pp. 28 – 43); Da Canova a Modigliani. Il volto dell’Ottocento, catalogo della mostra di Padova, Palazzo Zabarella (2 ottobre 2010 – 27 febbraio 2011), a cura di F.

Leone, M. V. Marini Clarelli, F. Mazzocca, C. Sisi, Venezia 2010 (cfr. soprattutto F. Leone, Dall’ideale classico all’avanguardia futurista. Per una storia del ritratto italiano dell’Ottocento, in ivi, pp. 3 – 29.

21 S. Marinelli, Il ritratto ottocentesco nel Veneto: la ricerca dell’identità, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, I, a cura di G. Pavanello, Milano 2002, pp. 543 – 572; P. Luderin, Ritratti e autoritratti, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, II, a cura di G. Pavanello – N. Stringa, Milano 2008, pp. 365 – 410; Il ritratto nel veneto 1866 – 1945, a cura di S. Marinelli, Verona 2005.

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5 analizzando le monografie e le recensioni delle esposizioni (o meglio: le succinte parti di esse riservate ai ritratti) e confrontando poi queste ultime con i relativi cataloghi, esame che – nell’individuazione dell’impatto quantitativo e del valore qualitativo dei lavori presentati - ha portato alla compilazione di una sorta di statistica relativa alla presenza di tali opere nelle principali mostre. L’indagine, che nella comparazione fra gli articoli rintracciati su “Emporium”,

“L’Illustrazione Italiana”, “The Studio” e “Die Künst für Alle” ha avuto come orizzonte di riferimento l’intera Penisola con alcuni indispensabili sconfinamenti dovuti alla circolazione internazionale di stili e modelli, si è comunque focalizzata sugli autori del Veneto e della Venezia Giulia la cui ricorrenza – soprattutto iconografica - sulle riviste esaminate è stata determinante per la compilazione del successivo catalogo22. Il repertorio di ritratti è stato quindi organizzato (al pari delle successive appendici comprendenti i ritratti riprodotti o semplicemente citati sulle due riviste italiane) sulla base di una delle molteplici classificazioni possibili del genere23. Nella volontà di rispecchiare l’effettiva produzione del periodo, il catalogo è aperto dalle immagini di singoli quelle cioè che, allora come in tutte le epoche, hanno costituito la parte più consistente della ritrattistica. Fra queste sono state individuate tre sotto-tipologie che all’ovvia partizione fra figure femminili e maschili vede affiancarsi i ritratti di critici d’arte, effigi che si è pensato di isolare tanto nel rispetto dell’importanza rivestita da questi personaggi per lo sviluppo e l’affermazione degli artisti quanto per la centralità assunta dalla pubblicistica nella prima parte della ricerca. Il catalogo prosegue con una coppia di ritratti di gruppo a testimonianza dell’esiguità di tale tipologia soprattutto fra gli artisti delle aree geografiche considerate, poco inclini – in realtà – anche alla rappresentazione dei colleghi a cui è dedicata la successiva sezione. Ampio spazio viene infine riservato agli autoritratti la maggior parte dei quali non proviene dalla stampa esaminata ma dall’analisi delle raccolte degli Uffizi, assunte come inequivocabile testimonianza del valore di un artista.

Nonostante fosse uno dei generi maggiormente praticati e quindi più rappresentativi del periodo qui considerato, il ritratto non godeva di una grande considerazione. Come spesso accade, inoltre, il suo stretto legame con l’Ottocento e la sua società fece sì che per un certo periodo venisse perlopiù identificato con quella pratica accademica e quello stile rigidamente rappresentativo tipici della prima metà del XIX secolo, entrambi aspetti da cui la pittura moderna – ancora in cerca di un’identità precisa – intendeva prendere le distanze. La rivalutazione del ritratto andò quindi di pari passo con quella dell’Ottocento e la riscoperta di alcuni dei suoi maggiori interpreti: a segnare questo mutamento fu una serie incalzante di appuntamenti espositivi inaugurata dalla Mostra del Ritratto italiano di Firenze (celebrante il cinquantenario dell’Unità d’Italia), proseguita nel 1916 con la Mostra dell’Autoritratto alla Famiglia Artistica di Milano, la mostra del ritratto veneziano dell’Ottocento ospitata a Ca’ Pesaro nel 1923, la Mostra del Ritratto femminile contemporaneo del 1924 e, oltre il limite cronologico che ci siamo assegnati, la Mostra del Ritratto italiano nei secoli svoltasi a Belgrado nel 193824. Nella trama tracciata da questi eventi, la Biennale di Venezia

22 L’esclusione del Friuli è dettata dal materiale rinvenuto all’interno dei periodici dove, sia negli articoli monografici sia nelle recensioni delle esposizioni, non compaiono artisti di quest’area: unica eccezione è rappresentata da Umberto Martina cui “Emporium” dedica una monografia, centrata proprio sulla produzione ritrattistica, nel 1918 (I. Neri, Artisti contemporanei: Umberto Martina, in “Emporium”, LVII, 338, febbraio 1923, pp. 70 – 81).

23 Le appendici sono state realizzate solamente per “Emporium” e “L’Illustrazione Italiana” alla luce del modo in cui è stato condotto lo spoglio, limitato – per i periodici stranieri – essenzialmente al materiale iconografico in essi reperibile.

24 Catalogo della mostra del ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’anno 1861, Firenze, Palazzo Vecchio, marzo – luglio 1911, Firenze 1911; La mostra dell'autoritratto alla Famiglia Artistica 1873 – 1916, prefazione di V. Pica, Milano

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6 si inserì ribadendo in primis il proprio ruolo di manifestazione d’avanguardia riservando la sala P dell’edizione del 1903 alla mostra del Ritratto moderno e omaggiando il secolo precedente nella mostra dell’Ottocento italiano curata da Ugo Ojetti nel 192825.

Alterna risulta dunque la fortuna di quello che, oltre a essere considerato genere borghese per eccellenza, è forse il tipo di dipinto che pone maggiormente in gioco un pittore, sia dal punto di vista squisitamente tecnico-stilistico sia da quello emotivo26. Non si tratta infatti semplicemente di realizzare una tela gradevole alla vista in cui lo sconfinamento dal realismo può essere accettato da pubblico, committenti e critica a seconda della loro sensibilità e cultura personali. Nel caso del ritratto l’aspettativa principale di questi tre soggetti è generalmente univoca e consiste nella riconoscibilità dell’effigiato; ed è proprio alle attese di quest’ultimo che deve guardare l’artista nel momento in cui è chiamato a dare vita a un’opera capace di unire l’appagamento del narcisismo del committente con la perfetta resa dell’immagine che egli ha di sé stesso, tanto relativamente all’aspetto esteriore quanto rispetto al ruolo rivestito all’interno della società. E’ indubitabile dunque che per sposare le aspettative dell’effigiato, l’artista debba scendere a patti con la propria poetica (e sarebbe a questo proposito estremamente interessante verificare se ci siano - e di quale entità siano – gli scarti stilistici fra ritratti e opere di altro genere nel catalogo di ogni singolo autore) soprattutto in un periodo di grande rivolgimento estetico come quello che intercorre fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo seguente, periodo che peraltro, nonostante l’affermarsi del più rapido ed economico mezzo fotografico, vede ancora una discreta produzione di ritratti. In effetti la sopravvivenza del ritratto nel corso del Novecento è stata più volte messa in discussione sia perché è stato esclusivamente indicato come il secolo delle avanguardie non figurative sia perché sono stati individuati diversi momenti critici che, sin dall’Ottocento, avrebbero contribuito alla scomparsa del genere: primo fra tutti l’affermarsi dell’estetica romantica che, ponendo l’accento non più sull’esatta riproduzione del vero ma piuttosto sul processo creativo dell’artista, avrebbe avuto come conseguenza la maggiore importanza della forma sul contenuto del dipinto27. In realtà proprio per le innumerevoli variabili che bisogna prendere in considerazione nel parlare di ritratti non ci si può limitare a suffragarne la sopravvivenza basandosi semplicemente sulla constatazione dell’effettiva e contemporanea esistenza di un filone astratto e uno figurativo28; piuttosto, bisognerebbe ammettere la possibilità di far rientrare nel genere in esame anche un’opera che, pur non palesando distintamente una

1916; Catalogo della mostra del ritratto femminile contemporaneo, Monza, Villa Reale (maggio – ottobre 1924), prefazione di G. Marangoni, Bergamo 1924; La mostra del ritratto italiano nei secoli, catalogo della mostra di Belgrado, Museo del Principe Paolo (primavera 1938), s. l. 1938).

25 V Esposizione Internazionale d’arte della città di Venezia. 1903. Catalogo illustrato, Venezia (22 aprile – 31 ottobre 1903), Venezia 1903, pp. 84 – 88; XVI Esposizione Internazionale d’arte della città di Venezia. 1928. Catalogo, Venezia (1 aprile – 31 ottobre 1928), Venezia 1928, pp. 27 – 53.

26 Fra i numerosi contributi che hanno suggerito le seguenti considerazioni segnaliamo: L. Grassi, Lineamenti per una storia del concetto del ritratto, in Studi di storia dell’arte, Firenze 1961, pp. 477 – 494 (ripreso poi in idem, ad vocem, Ritrarre – Ritratto, in L. Grassi - M. Pepe, Dizionario della critica d’arte, II, Torino 1978, pp. 486 - 492 e in idem, ad vocem, Ritrarre – Ritratto, in L. Grassi - M. Pepe, Dizionario di arte, Torino 1995, pp. 705 – 715); E. Battisti, ad vocem, Ritratto. L’Ottocento e il Novecento, in Enciclopedia universale dell’arte, XI, Firenze 1963, pp. 595 – 598; T. De Mauro, L.

Grassi, E. Battisti, ad vocem, Ritratto, in Enciclopedia universale dell’arte, XI, Firenze 1963, pp. 564 – 567; E.

Castelnuovo, Il significato del ritratto pittorico nella società, in Storia d’Italia, V, Torino 1975, pp. 1033- 1094; Il ritratto nella pittura veneziana, prefazione di A. Bernheim, Trieste 1998; E. Castelnuovo, M. Aldi, ad vocem, Ritratto, in Dizionario della pittura e dei pittori, IV, Torino 1993, pp. 641 – 651; Marinelli 2002, pp. 543 – 572; Luderin 2008, pp. 365 - 410.

27 Tesi sostenuta nei citati contributi di Grassi.

28 Luderin 2008, p. 365.

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7 precisa fisionomia, sia stata realizzata con la scoperta intenzionalità di ritrarre qualcuno e che questo dipinto sia stato poi accettato dal committente come la personale interpretazione della propria immagine elaborata dall’autore. Indipendentemente da come ci si ponga di fronte a questo problema, si tratta di una questione che mette in campo molte delle antinomie che entrano in gioco nella definizione del genere ritratto29. Primo fra tutti, l’irrisolto dilemma del rapporto fra “imitare” e “ritrarre” e quindi fra un’idealizzazione che può essere dettata dall’adesione a una precisa maniera pittorica e una verosimiglianza tesa alla raffigurazione del volto com’è e non come dovrebbe essere. Dibattito che ha interessato critici e artisti dal Rinascimento in poi30, questo delicato equilibrio si regge su ulteriori problemi innescati dall’interpretazione degli elementi in discussione. La somiglianza, infatti, può essere intesa solo dal punto di vista fisico, ma può anche coinvolgere lo svelamento di aspetti caratteriali e qualità morali dell’effigiato sia allo scopo di essere innalzato a exemplum di integrità (o, in epoca ottocentesca, di laboriosità) sia per accondiscendere alla vanità del protagonista che vuole vedersi immortalato nel momento del suo successo personale e sociale. Le qualità oggettive del dipinto retrocedono a questo punto di importanza rispetto alla soggettività richiesta all’autore, chiamato a compiere uno sforzo di analisi introspettiva sul personaggio al quale – per usare un’espressione in uso nella critica periodica del lasso temporale considerato – deve «infondere la vita». Fra fine Ottocento e inizio Novecento è infatti un topos piuttosto ricorrente il monito lanciato dagli scrittori d’arte affinché i pittori non si limitino a una pedissequa e fredda registrazione dei dati fisionomici, ma riescano a instillare un’anima a quanto dipinto: altrimenti, un risultato forse più attendibile e soddisfacente si sarebbe potuto conseguire ricorrendo al mezzo fotografico31. E’

senza dubbio il timore suscitato dal successo di questo nuovo strumento a spingere gli artisti a concentrarsi su quegli escamotage che potevano far preferire il ritratto pittorico, certo meno conveniente e più faticoso per numero di pose ma anche – e ancora per lungo tempo – indice di indiscutibile distinzione sociale proprio per lo sforzo economico richiesto. Per rendere i propri lavori “appetibili”, dalla metà dell’Ottocento in poi gli artisti si impegnano dapprima nella resa cristallina degli strumenti del lavoro e di tutti quegli accessori che permettono di arguire la professione e lo status del protagonista anche a una sola, fuggevole occhiata, soffermandosi nel contempo sull’esaltazione di quelle qualità come il senso pratico e l’operosità che hanno permesso il raggiungimento del successo personale. Dall’accentuazione di queste doti a uno sguardo maggiormente penetrante nell’animo dell’effigiato il passo è breve ma troppo ardito per trovare adeguata accoglienza nelle recensioni delle esposizioni o nelle monografie dedicate a un determinato artista. Proponendo nelle loro pagine esempi di ritratti realistici e - dal punto di vista

29 Tralasciamo in questa sede l’aspetto dell’analisi linguistica del termine “ritratto”, problema per il quale si rimanda alle voci citate alla nota 26. Ai testi indicati si aggiunga il saggio di Jean Clair, Occhio per occhio, dente per dente, tratto per tratto, in Le metamorfosi del ritratto, a cura di R. Zorzi, Venezia 2002, pp. 1 – 12, dove si sostiene una suggestiva analogia – in primis lessicale - fra ritratto e tratto: secondo l’autore, il ritratto verrebbe a configurarsi come la somma dei «tratti tirati dall’oggetto considerato al piano del quadro, (…) Tracciati, quindi, che l’uno dopo l’altro si ordinano, s i scambiano, si lanciano e si raccolgono, dall’occhio all’oggetto, (…) Ritratto: senza dubbio il prefisso ri-, nell’atto di tracciare, indica la capacità che il disegnatore ha di rappresentare, di ri-presentare, dal vero, l’immagine in grandezza naturale di un oggetto» (p. 1).

30 Una sintetica ma incisiva disamina delle fluttuazioni di tale dicotomia si ritrova nella voce Ritratto in De Mauro, Grassi, Battisti 1963, cit.; più approfondita la trattazione in Castelnuovo 1975, cit.

31 Grassi (1961, p. 479) riporta a questo proposito un passo tratto da “L’Imaginaire” di Jean Paul Sartre che, a proposito dello schizzo di una caricatura, afferma che «manifesta chiaramente qualcosa che mancava alla fotografia, la vita, l’espressione».

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8 stilistico - talvolta quietamente moderni, le riviste del tempo non fanno altro che confermare l’assioma proclamato nel 1900, ma valido anche per i decenni successivi, secondo cui: «Il pubblico non vuol comprendere, che la psicologia faccia buon giuoco nei ritratti».32 Come ovvio, ciò non esclude che esistessero artisti - d’avanguardia o anche maggiormente legati a una figurazione tradizionale -pronti a mettere in discussione una rappresentazione realistica per incontrare il gusto di committenti aggiornati; eppure, stando all’esame dei periodici visionati, questi pare fossero un’esigua minoranza da bandire come espressione di un gusto degenerato33.

Per tornare ai due estremi attorno a cui si è svolto per secoli il dibattito relativo al ritratto, rimane da analizzare l’aspetto dell’idealizzazione. Anche questa può essere intesa in molteplici modi a seconda del “soggetto idealizzante”. Il perfezionamento dell’immagine del ritrattato può essere infatti richiesta dal committente stesso suggerendo quali difetti fisici o morali emendare (un modo di agire già documentato nell’antichità, come testimoniato dall’aneddoto di Plinio relativo al ritratto di Antioco)34e quali doti enfatizzare. Ma l’idealizzazione può anche nascere da un’iniziativa personale dell’artista che voglia considerare il ritratto come uno dei generi in cui saggiare la propria poetica: si tratta quindi un tipo di idealizzazione con motivazioni essenzialmente estetiche, evidente nell’opera delle Avanguardie del Novecento quando il protagonista non è più il modello da ritrarre ma l’assemblaggio mentale delle sue forme compiuto dall’artista in base alla propria maniera. O ancora, come affermato in precedenza, il pittore può essere “guidato” nel proprio lavoro dalle richieste della committenza ma, dato questo senz’altro molto più interessante, può anche decidere di riprodurre i tratti di una persona utilizzandone la fisionomia come un contenitore delle proprie emozioni, paure, sentimenti: in una parola, del proprio io. D’altro canto, si tratta di valutazioni già presenti nel pensiero di autori come Julius von Schlosser e Benedetto Croce che, approfondendo spunti precedentemente trattati dallo storico dell’arte, sostiene che «l’artista ritrae sempre il proprio sentimento, non mai il modello»35. Dato di fatto su cui concordano pressoché tutti gli studiosi del periodo considerato, che vedono peraltro un’accentuazione di questa tendenza mano a mano che ci si addentra nel XX secolo, tale modo di procedere pare confermato dalla valutazione del catalogo dei singoli autori in cui la più consistente presenza di autoritratti – realizzati in diverse età della vita e in vari contesti – testimonierebbe questa crescente necessità degli artisti a confessarsi attraverso la propria opera.

32 G. P. Lucini, Quarta Esposizione Triennale di Milano. I., in “Emporium”, XII, 70, ottobre 1900, p. 325. L’affermazione si inserisce in una più ampia discussione sulle difficoltà per la critica di far apprezzare le novità dell’arte ai visitatori delle mostre.

33 A questo proposito si consideri che, a parte la necessaria citazione dovuta alla vittoria riportata all’Esposizione di Venezia del 1895, Boldini viene “accolto” sulle pagine di “Emporium” solo nel 1918 quando – in agosto – viene citato e riprodotto il suo Ritratto di Giuseppe Verdi (Cronache. Il ritratto verdiano di G. Boldini, in “Emporium”, XLVIII, 284, agosto 1918, p. 104). Per lungo tempo ignorati dai periodici, nel 1922 i Futuristi verranno accusati di trascurare il disegno, da loro giudicato immorale e ridicolo, semplicemente perché «non hanno un alibi migliore per scansare il manicomio» (E. Sacchetti, Il disegno ed il disegnatore, in “Emporium”, LVI, 336, dicembre 1922, p. 339). Due anni più tardi, nella recensione della II Biennale romana, i dipinti di Kokoschka (già ampiamente insultato in precedenti interventi) vengono assimilati a «visioni di incubi,coperti di lebbra colorata, [che mostrano] un equivalente pittorico delle degenerazioni di moda negli ambienti equivoci per abuso di oppio e di cocaina» (R. Papini, La seconda Biennale romana. I. - Gli stranieri e noi, in “Emporium”, LIX, 350, febbraio 1924, p. 105).

34 Secondo la tradizione, Apelle avrebbe dipinto Antioco di profilo in modo da occultarne la parziale cecità. Fra i numerosi contributi in cui è menzionato, l’episodio si ritrova in De Mauro, Grassi, Battisti 1963, p. 566.

35 Grassi 1961, p. 478. La citazione di Croce è tratta da Il Ritratto e la Somiglianza, saggio del 1907 apparso in “Problemi di estetica”; al 1906 risale invece il contributo di Schlosser (Gespräch von der Bildniskunst, in “Praeludien. Vorträge und Aufsätze”) che Grassi parafrasa affermando «Mentre al pubblico interessano soprattutto la somiglianza e la bellezza, l’artista non ha l’interesse storico del profano alla persona in particolare. Quest’ultima concerne invece un problema della sua arte: è il mezzo per la estrinsecazione della propria personalità»; ibidem, p. 490.

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9 Tuttavia ancora una volta i periodici documentano una situazione inversa e vedono il prevalere di immagini tipizzate nonostante i critici parlino spesso di figure parlanti, definizione il cui reale peso non viene mai veramente chiarito. L’impressione sostanzialmente lasciata dallo spoglio effettuato è quella di una critica che, pur millantando il desiderio di svecchiare l’arte e aggiornare il gusto del pubblico, non ha una reale percezione di come attuare questi propositi, vuoi per la consapevolezza dell’impreparazione degli spettatori italiani ad accogliere le novità internazionali, vuoi per la sua stessa difficoltà a lasciarsi andare a criteri di valutazione moderni.

Sciovinisticamente impegnate a ricercare i margini entro cui promuovere il nuovo primato artistico della Penisola, tenacemente legate all’apprezzamento di canoni tradizionali come la forma e il disegno, le riviste non si accorgono dei mutamenti intervenuti nei generi artistici.

Lasciate spesso senza commento, le riproduzioni testimoniano invece le graduali trasformazioni di cui i critici raramente prendono consapevolezza e che si riverberano, per quanto attiene il ritratto, nel lento passaggio dall’accentuazione dell’esteriorità tipica delle immagini borghesi di fine ottocento alla celebrazione dell’esteriorità tutta plastica e formale delle figure immortalate dagli autori del primo Novecento.

Avvertenza: le oscillazioni che riguardano i nomi degli artisti citati sono dovute al rispetto dell’ortografia di volta in volta proposta dalle riviste.

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10 Capitolo primo. Dal 1895 al 1901

Il 1895 non è solo l’anno di nascita dell’Esposizione Internazionale di Venezia1 – evento da cui dipenderà l’evoluzione e il lento aggiornamento dell’arte lagunare – ma è anche l’anno che vede l’inizio delle pubblicazioni di “Emporium”: una circostanza, questa, che in qualche misura contribuisce a spiegare il motivo per cui il periodico possa essere considerato una sorta di organo di propaganda ufficiale della neonata manifestazione. Sin dal primo numero, infatti, il mensile edito dall’Istituto Arti Grafiche di Bergamo dedica entusiastiche parole all’iniziativa, ricordandone i promotori, anticipando l’entità e la provenienza di alcuni dei premi messi a disposizione, enumerando minuziosamente i nomi e la nazionalità dei maestri chiamati a sedere nel Comitato di Patrocinio e, soprattutto, illustrando i motivi che hanno portato alla nascita di questo nuovo appuntamento artistico2. Ed è proprio su questo punto che convergono gli obiettivi che informano l’Esposizione e quelli cui intende ispirarsi il periodico il quale, nell’incipit del primo dei numerosi articoli dedicati all’evento, confessa apertamente che «l’Emporium, per l’indole sua, pel programma e pei mezzi artistici di cui dispone, è chiamato a divulgare nel miglior modo tra il pubblico italiano la conoscenza del notevole avvenimento»3. Compito che si proponeva la rivista, e che intende perseguire anche la Biennale, è quello di aggiornare l’arte lagunare garantendo il confronto fra le opere d’arte italiane e le contemporanee produzioni di autori stranieri favorendo nel contempo lo sviluppo di una coscienza critica nel pubblico che «è stanco delle solite Esposizioni farraginose dove il buono rimane affogato nel mediocre, spesso nel brutto»4. Sebbene si ricordi che una mostra internazionale fosse già stata tentata a Roma nel 1883 per celebrare l’apertura della Galleria Nazionale di Arte Moderna, questa di Venezia si presenta come un’assoluta novità la cui attrattiva principale per gli italiani (tanto per il pubblico quanto per gli artisti) è costituita dalla possibilità di entrare in contatto con pittori e scultori stranieri le cui opere erano ancora sconosciute a molti colleghi della Penisola. Tuttavia parve subito chiaro alla stampa del tempo che il «concorso forestiero (…) non sia abbondante; e, generalmente parlando, gli artisti che hanno esposto non siano rappresentati con opere di primo ordine»5. Nonostante queste pecche e il fatto che molti maestri non abbiano accolto l’invito ad esporre, la mostra viene

1 Ampia la bibliografia relativa alle origini della Biennale; per non appesantire eccessivamente l’apparato di note del presente studio, i riferimenti a saggi precisi verranno esplicitati solo in caso di particolari annotazioni rimandando invece generalmente, per una puntuale ricostruzione dell’evento, a interventi come quelli contenuti in Venezia e la Biennale. I percorsi del gusto, catalogo della mostra di Venezia, Palazzo Ducale e Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro,Venezia 1995 (con bibliografia precedente); N. Stringa, Venezia dalla Esposizione Nazionale Artistica alle prime Biennali: contraddizioni del vero, ambiguità del simbolo, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, I, a cura di G.

Pavanello, Milano 2003, pp. 95 – 126 (con bibliografia precedente); G. Bianchi, Le prime Biennali: pittori veneti e pittori foresti a confronto – 1895 – 1899, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, II, a cura di G. Pavanello, Milano 2003, pp. 573 – 592 (con bibliografia precedente); N. Stringa, La Biennale di Venezia, tracce per un secolo di storia, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, II, a cura di G. Pavanello, N. Stringa, Milano 2008 (con bibliografia precedente).

2 In uno degli articoli dedicati all’Esposizione viene addirittura ricostruita nel dettaglio la storia dei Giardini in cui è allestita la mostra della quale vengono ricordati i promotori e i membri del Comitato per concludere quest’ampia introduzione all’evento con una puntuale descrizione del Palazzo “Pro Arte”; Rag. A. Tivoli, I giardini pubblici di Venezia e la prima Esposizione Internazionale d’Arte, in “Emporium”, I, 5, maggio 1895, pp. 396 – 398. Ulteriori informazioni sui criteri ispiratori della manifestazione, sugli spazi in cui è allestita e sul numero delle opere complessivamente presenti (calcolate in 450 unità, escluse la mostra speciale delle acqueforti olandesi) sono inoltre fornite in Miscellanea. Prima Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, in “Emporium”, I, 6, giugno 1895, pp. 485 – 486.

3 Miscellanea. Belle Arti. La grande Esposizione artistica internazionale del 1895 a Venezia, in “Emporium”, I, 1, gennaio 1895, p. 82.

4 Ibidem.

5 Miscellanea, giugno 1895, p. 486; una sintesi delle pecche rilevabili alla prima Biennale si trova in Bianchi 2003, p. 573.

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11 complessivamente (e forse con eccessiva benevolenza) considerata un successo; e questo anche in riferimento all’arte italiana a proposito della quale, nel prosieguo della pubblicazione,

“Emporium” - soprattutto grazie agli attenti commenti del suo critico di punta, Vittorio Pica – ammetterà un’effettiva situazione di stallo6. All’indomani dell’apertura dell’Esposizione il periodico si affretterà infatti a riconoscere che «mai, crediamo, furono riunite così completamente in una esposizione le varie scuole e mai gli artisti italiani, liberati dalle pastoie e dai convenzionalismi, come in questa Mostra si dimostrarono capaci di competere coi migliori maestri stranieri»7; e, nel numero successivo, proseguirà affermando che «Venendo all’Italia bisogna subito constatare che i nostri artisti, in generale, si sono presentati con opere meritevoli di lode e che la pittura italiana a Venezia può studiarsi nelle varie sue manifestazioni»8. Tale affermazione pare tuttavia immediatamente screditata dall’ordine in cui vengono descritte le scuole pittoriche per cui le notizie relative alle opere testimonianti la produzione peninsulare seguono quelle riguardanti le scuole inglese, belga, tedesca, spagnola e francese. Di estremo interesse è però soprattutto constatare lo spazio e le parole riservate ai singoli generi pittorici e, fra essi, la rilevanza assegnata al ritratto9. Appare qui evidente per la prima volta l’equivoco riscontrato in tutti gli interventi critici esaminati riguardante la costante labilità dei confini fra ritratto, ritratto idealizzato e opera di genere. Se per Duez si parla esplicitamente di «un ritratto di donna in abito rosso sdraiata sur un sofa scarlatto», l’opera esposta da Carolus Duran è indicata come «una figura di donna molto ben trattata», mentre solo in un successivo intervento ci si riferirà al dipinto come ad un «ritratto vigoroso»10. Sono peraltro questi gli unici due ritratti (o presunti tali) affrontati nell’intero articolo che, per quanto riguarda l’arte italiana, si limita a parlare dello scandalo suscitato da L’estremo convegno di Giacomo Grosso, dell’arditezza creativa che informa La figlia di Jorio di Michetti (peraltro l’unico dipinto dell’intera esposizione ad essere ritenuto degno di una riproduzione11), dell’acuto spirito di osservazione che anima I pazzi di Silvio Rotta e dei quadri definiti «a tesi» dei veneziani Laurenti, Tito, Milesi, Zezzos, Da Molin12. Nell’ambito di un palese apprezzamento dell’arte preraffaellita (che, stando al numero di monografie dedicate ai suoi animatori, “Emporium” intendeva evidentemente proporre agli italiani come modello di aggiornamento e esempio di arte di profonda tensione ideale) nell’articolo seguente viene indicato come un vero capolavoro il Cardinale Manning di Ouless,

6 Sulla tipologia di opere italiane presenti a Venezia cfr. ivi, pp. 577 – 580; sinteticamente, tra gli appunti rivolti alla mostra accenniamo qui allo scandalo suscitato dalla presenza dei Divisionisti, alla constatazione che la pittura italiana si esprimeva soprattutto nel paesaggio e alla particolare attenzione rivolta ai temi sociali (si veda, per esempio, il celebre Morocomio di Silvio Rotta) a proposito della quale, in una recensione di Dini, si poteva leggere «anche l’arte nostra risente dell’attuale clima storico e si dà a rappresentare le sofferenze dei proletari. Arte socialista, dicono; ma potrebbe anche essere semplicemente filantropica secondo le tendenze del momento che attraversiamo» (P. Dini, L’Esposizione internazionale di Belle Arti in Venezia, in “Natura ed Arte”, II, XXIII, Milano 1894-1895, p. 887 citato in Bianchi 2003, p.

578).

7 Tivoli, maggio 1895, p. 398.

8 Miscellanea, giugno 1895, p. 487.

9 Interessante e facilmente verificabile anche da una rapida scorsa agli articoli raccolti è l’appunto svolto da Giovanni Bianchi a proposito del modo in cui venivano condotte le recensioni delle singole opere; i critici, infatti, indipendentemente dal periodico di appartenenza e dal personale punto di vista, consapevoli di costituire “gli occhi” di molti appassionati d’arte impossibilitati a essere fisicamente presenti alle esposizioni, cercavano di racchiudere in un primo, sintetico giudizio sull’opera l’impressione da essa provocata, passando solo in un secondo momento a un’analisi più puntuale condotta comunque sempre con uno stile finemente letterario (Bianchi 2003, pp. 573 - 574).

10 Miscellanea, giugno 1895, p. 487.

11 I premiati all’Esposizione Internazionale di Venezia, in “Emporium”, II, 9, settembre 1895, p. 236.

12 Tivoli, maggio 1895, p. 398. Vengono inoltre citati genericamente le marine e i paesaggi di Scattola, Bezzi, Belloni, Fragiacomo, Ciardi e Bortoluzzi.

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12 artista le cui effigi si dice richiamino quelle altrettanto affascinanti di Lenbach: forse proprio grazie all’eccezionalità dell’opera e al suo richiamo alla tradizione lagunare, il dipinto dell’artista britannico è l’unico ritratto ad essere riprodotto fra le quarantotto tavole di illustrazioni che suggellano il catalogo della manifestazione13. Il periodico svela infatti immediatamente il motivo di tale doppio elogio, ascrivibile esclusivamente al fatto che entrambi gli artisti si riferiscono ai Maestri del passato: Rembrandt e Van Dyck nel caso di Lenbach, ma soprattutto il veneto Tiziano nel caso di Ouless. L’avversione per la pittura cromaticamente troppo disinvolta dei francesi comincia a manifestarsi sin dalle prime battute della rivista che, oltre a definire le opere di Besnard (fra cui un Ritratto di donna) «bizzarre concezioni coloriste che destano impressione e fanno pensare»14, non accenna in alcun modo al “parigino” Boldini; e questo fino al momento di dover riportare il verdetto della giuria, che assegnava appunto all’artista ferrarese il premio di 1600 lire dei Comuni della Provincia di Venezia per il «disegno brioso e rapido, con tinte semplici abilmente distribuite» attraverso le quali «ritraeva al vivo un’elegante e capricciosa giovinetta»15. Evidentemente la commissione che presiedeva l’Esposizione aveva operato delle scelte in base a criteri diversi da quelli seguiti da “Emporium” nella valutazione dei dipinti: dei dieci premi messi a disposizione, ben tre andarono a dei ritratti, tutte opere a cui la rivista non aveva assolutamente accennato in precedenza. Assieme al Ritratto della signorina E. di Boldini16 (che in seguito sdegnosamente rifiutò il premio17) ottennero infatti dei riconoscimenti anche il Ritratto di Gerhard Hauptmann di Max Liebermann e Giovinetta bianca di James Whistler, opere che si inserivano in una linea postimpressionista giocata sulla pennellata rapida, sul colore fragrante e corposamente steso18. Se questa circostanza è spiegata dal periodico con l’inettitudine della giuria stessa – essendo questa non composta di artisti ma «esclusivamente di esteti, di critici d’arte, di persone in sostanza che nell’esercizio dell’arte non hanno una posizione, ma l’hanno all’infuori di essa»19, quindi di individui poco competenti dal punto di vista tecnico – in realtà dietro tale atteggiamento si può leggere l’avversione del periodico nei confronti di una tendenza giudicata troppo moderna come l’Impressionismo. Sebbene a questa data il movimento francese si potesse considerare ormai un’esperienza conclusa, superata dalle sue più aggiornate filiazioni, per lungo tempo “Emporium” mantenne il più assoluto silenzio su questa tendenza e i suoi protagonisti, certo vedendo l’importazione di una tendenza legata all’acceso cromatismo come una minaccia

13 I Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. 1895. Catalogo illustrato, Venezia 1895, cat. n. 254, p. 119, tav. s. p.

14 Miscellanea, giugno 1895, p. 487.

15 I premiati, settembre 1895, p. 236.

16 I Esposizione, 1895, cat. n. 37, p. 74. Sul dipinto cfr. S. Lees, Giovanni Boldini nella Parigi degli Impressionisti. Il ritrattista della Belle Époque, in Giovanni Boldini nella Parigi degli Impressionisti, catalogo della mostra di Ferrara,

Palazzo dei Diamanti (20 settembre 2009 – 10 gennaio 2010) – Williamstown, Sterling and Francine Clark Art Institute (14 febbraio – 25 aprile 2010), a cura di S. Lees, Ferrara 2009, p. 61 e B. Guidi, Scheda, in idem, p. 211. L’opera fu eseguita nel 1892, anno in cui - stando a quanto riferito dallo stesso artista in una lettera all’amico Cristiano Banti - il direttore della Galleria degli Uffizi chiese a Boldini un suo autoritratto da esporre nel Corridoio Vasariano: una richiesta che certifica il successo dell’autore e il credito in cui era tenuto dal mondo artistico del tempo.

17 Tale rifiuto, commentato con sconcerto dal periodico, fu ispirato all’artista dal precedente e più prestigioso riconoscimento che il dipinto aveva ottenuto all’Esposizione di Monaco. Cronaca di Belle Arti. Esposizioni, in

“Emporium”, II, 10, ottobre 1895, p. 314.

18 Il dipinto di Liebermann ottenne il premio internazionale di 5000 lire messo a disposizione dalla Provincia di Venezia, mentre a Whistler spettò il premio internazionale di 2500 lire istituito dal Comune di Murano; I premiati, settembre 1895, p. 236. Per il dipinto di Liebermann cfr. I Esposizione, 1895, cat. n. 193, p. 107, mentre per quello di Whistler cfr.

cat. n. 366, p. 144.

19 Cronaca, ottobre 1895, p. 314.

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13 per una tradizione pittorica che, come quella italiana, affondava le proprie radici nel primato del disegno. Uno dei punti saldi della poetica della rivista è infatti il riconoscimento di peculiari specificità artistiche ai singoli Stati, con gli artisti che dovevano impegnarsi a mantenere e rinsaldare tali caratteristiche spesso ricondotte alla conformazione geografica del Paese: da essa, con un atteggiamento fortemente debitore del Positivismo di fine secolo, dipendevano infatti i caratteri nazionali degli abitanti e, di conseguenza, un particolare stile pittorico20. Pur lamentando spesso la situazione di arretratezza dell’arte nostrana, dunque, i critici del periodico si guardarono bene dal proporre nelle sue pagine monografie di artisti stranieri troppo distanti dalla tradizione italiana e, soprattutto, cercarono sempre di esprimere con chiarezza la propria contrarietà all’immissione di modelli forestieri in una tradizione che doveva conservare il suo spirito originario e mantenersi nel solco di una figurazione ben leggibile21.

Decisamente più accomodanti i giudizi riscontrabili in “L’Illustrazione italiana” e non solo in relazione a questa prima edizione dell’Esposizione di Venezia; in generale, infatti, il quindicinale edito dai Fratelli Treves pur nel carattere divulgativo e spesso di costume dei suoi articoli d’arte manifesta un’apertura maggiore nei confronti delle varie tendenze, recensendo spesso eventi altrimenti taciuti e autori non accennati da “Emporium” ma soprattutto – aspetto senz’altro non trascurabile tanto nelle monografie quanto nelle recensioni – offre un apparato iconografico molto più ricco di quello presente nel mensile. Anche “L’Illustrazione”, dopo un succinto resoconto dei motivi che hanno indotto gli organizzatori all’inaugurazione della mostra, si sofferma in primo luogo sulle opere degli stranieri, condividendo la diffidenza di “Emporium” nei confronti del francese Bonnat che «si presenta con un ritratto largo di fattura, ma sensibilmente sbiaccato: la stessa esecuzione striata de’ suoi grandi quadri decorativi» esprimendo poi un giudizio positivo su Alfred Roll che, ignorato dal periodico antagonista, propone il Ritratto dell’ammiraglio Krantz, opera cui si riconosce una fine ricercatezza22. Il rapido accenno ai quattro dipinti di Lenbach – ricondotti anche in questa sede alla maniera di Van Dyck – viene inserito in una più distesa disamina della ritrattistica rispetto a quella presente in “Emporium”: che, peraltro, è il solo a ricordare l’Autoritratto dell’olandese Bisschop, esposto già a Parigi nel 1889 e destinato

20 Questo aspetto era reso ancora più evidente dall’ordinamento dell’esposizione che almeno nella sua prima edizione non prevedeva sale internazionali - dove più agevole poteva essere il confronto fra gli indirizzi stilistici dei vari Stati; al contrario, le opere erano invece raggruppate secondo la provenienza degli autori, favorendo in questo modo la creazione di stereotipi artistici suggeriti forse anche nella convinzione che tali semplificazioni facilitassero - nel pubblico e negli artisti - la conoscenza e la riconoscibilità di stili ancora ignoti nella Penisola (cfr. Bianchi 2003, p. 573). Questa supposizione è avallata dalle parole di Edoardo Ximenes: «molti artisti italiani che non erano mai usciti d’Italia (…) posseggono ora cognizioni più chiare e complete sul carattere e sulle varie fisionomie dell’arte europea – ora che hanno avuto possibilità di studiare l’indirizzo spirituale degli inglesi, quello naturalista degli olandesi e degli scandinavi, il sentimentalismo tedesco e l’eclettismo francese – ci sarà dato, dopo questa prima gara internazionale, vedere migliorati gl’intenti e allargato l’orizzonte verso più elevati ideali d’arte» (E. Ximenes, L’arte internazionale a Venezia, in Mostra Internazionale d’Arte. Venezia 1895, pubblicazione de “L’Illustrazione Italiana”, Milano 1895, p. 24, citato in Bianchi 2003, p. 580).

21 Su questi aspetti, riguardanti per esempio i giudizi espressi a proposito di Cubismo, Futurismo ma anche del Divisionismo, si tornerà nel prosieguo della ricerca.

22 E. Ximenes, L’Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia, in “L’Illustrazione Italiana”, XXII, 16, 21 aprile 1895, p. 243.

A proposito di Bonnat “Emporium” l’aveva definito ritrattista ufficiale salvo poi precisare che l’opera esposta a Venezia fosse di poco conto; diverso il giudizio espresso subito prima a proposito di Carolus Duran il cui ritratto viene detto

«vigoroso»; Miscellanea, giugno 1895, p. 487.

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